lunedì 27 aprile 2015

Corriere 27.4.15
Torna un pezzo di Rubens nella pala dai tanti destini
La Camera degli Sposi: nel capolavoro di Mantegna volti e segreti di una dinastia
di Roberta Scorranese


Era alla corte di Mantova da appena cinque anni, ma Pieter Paul Rubens si era conquistato l’assoluta fiducia del duca Vincenzo I: questi gli commissionava ritratti delicati e importanti sul piano politico, lo incaricava di scottanti «ambasciate» diplomatiche (a Madrid, per esempio), della compravendita di opere d’arte e, in ultimo, volle affidargli una sorta di «biografia pittorica» familiare, la Pala della Santissima Trinità.
Il 28enne Rubens intuì subito il desiderio di gloria imperitura del Gonzaga, quella volontà di trascendere il tempo con la forza di un nome e così ideò una imponente raffigurazione a più livelli: al centro, la Trinità in gloria; sulla sinistra Vincenzo, il committente (che osa guardare lo Spirito Santo); accanto, il defunto padre Guglielmo e, dietro, i figli Francesco IV, Ferdinando e Vincenzo II. Di fronte, la moglie Eleonora de’ Medici e la madre, Eleonora d’Austria. Dietro le due donne, ecco le giovani rampolle Margherita ed Eleonora. Ai lati, altre due enormi tele che oggi si trovano ad Anversa e a Nancy.
Ebbene, questa pala (oggi quel che ne rimane è a Palazzo Ducale) nei secoli si è trasformata in un puzzle d’arte e guerra e oggi si intreccia con il progetto della riapertura della Camera Picta. Vediamo come. Intanto, in epoca napoleonica, le tele laterali vennero asportate. Poi, nel 1801, la Pala venne fatta a pezzi da un generale che cercò di portarla via a brandelli per meglio collocarla sul mercato, ma il colpo non gli riuscì del tutto. La parte centrale, con il nucleo della famiglia e la Trinità, si è conservata.
Per il resto, seguendo il bizzarro destino del famoso «tesoro» dei Gonzaga (sparpagliato ovunque), si è dispersa in giro per il mondo: il ritaglio con Ferdinando è riapparso solo di recente e oggi è alla Fondazione Magnani Rocca di Mamiano di Traversetolo; il frammento con la principessa Margherita è stato avvistato l’ultima volta nel 2010 in una collezione privata londinese; Vincenzo II è al Kunsthistorisches Museum di Vienna. Poi, a ritrovare il pezzo con il ritratto dell’altro figlio, Francesco IV, è stato un imprenditore mantovano, gentile e appassionato di arte legata al suo territorio: Romano Freddi, il proprietario della collezione che va ad arricchire la storia di Palazzo Ducale. «Ho cominciato a cercare dipinti, bronzetti e manufatti dagli anni Settanta — spiega Freddi — e adesso ho un unico obiettivo: che questa collezione non vada dispersa».
Un centinaio di opere (oltre al Rubens, anche una Crocifissione giottesca, un dipinto di Giulio Romano e uno di Domenico Fetti) delle quali 85 rimarranno in comodato d’uso al Palazzo Ducale fino al 2025. «Un patrimonio — continua Freddi — che in un certo senso ricostruisce un tassello della collezione gonzaghesca, un contributo a definire meglio il racconto di quell’epoca di corte». E anche il ritrovamento del ritaglio di Rubens ha avuto una storia travagliata: era finito nella collezione di un fotografo veneziano, poi presso il museo privato Bellini di Firenze e infine nelle mani di Freddi, che lo ha riportato a Mantova.
«Un pezzetto di Rubens che ritorna e che ci ricorda quanto sia stato importante nel definire il gusto, lo stile e il sistema culturale dei Gonzaga» commenta Renata Casarin, dirigente di Palazzo Ducale. Un cerchio che si chiude e che è iniziato con l’arrivo di Rubens e l’instaurazione di un modo nuovo e «laico» di fare arte, legato ai principi della Controriforma.
È l’artista che crea un sistema estetico ma che è anche consigliere, mercante, responsabile delle acquisizioni di corte, in un’epoca in cui l’arte non serviva più a salvarsi l’anima ma a costruire un’architettura borghese, tellurica, immanente. E forse il destino di quella pala ha un disegno più chiaro.