Corriere 27.4.15
La famiglia ritrovata
«Parla» la camera degli sposi: nel capolavoro di Mantegna volti e segreti di una dinastia
di Edgarda Ferri
E così, d’ora in avanti si ricalcherà la strada di Andrea Mantegna mentre lavorava alla «Camera Picta», chiamato da Ludovico Gonzaga per celebrare la nomina cardinalizia del figlio Francesco.
Non per guerra, ma per cortesia, nel 1460 il marchese aveva ceduto la sua reggia in Corte Vecchia a Pio II, che a Mantova aveva convocato una Dieta per combattere i turchi, e con famiglia, biblioteca e pittore si era trasferito nel trecentesco castello/fortezza di san Giorgio.
Vi si accede attraversando l’arioso il cortile ricavato sulla piazza d’armi da Luca Fancelli. Oltre il ponte levatoio, attraverso la rampa elicoidale si arriva a una sala rettangolare che porta diritta alla Camera degli Sposi, o «Camera Picta». La parete di fronte raffigura l’arrivo della lettera da Roma con l’attesissima nomina. Quella a sinistra, l’incontro del padre con il figlio appena nominato.
Mantegna ha dipinto i due episodi, ciascuno delle dimensioni di otto metri per tre, in una stanza di otto metri e cinque centimetri per lato. Per aumentare la cubatura, è stata rialzata la volta. Per mettere in ombra le pareti non dipinte, le finestre sono state spostate.
Per non interrompere la narrazione, la scena è stata realizzata radente la mensola del camino. Sul soffitto, l’oculo spalancato su cieli azzurri, nuvole gonfie, donne e amorini ammassati intorno al davanzale, dà l’impressione di essere all’aperto.
Al centro della scena, non c’è Ludovico ma sua moglie Barbara del Brandeburgo, sposata a dodici anni e arrivata con un seguito di 150 tedeschi subito mandati indietro dal suocero: salvo «due vecchie e due o tre famigli, perché la sposa deve dimenticare i costumi de Alemania, e meno ne avrà, più alla svelta dimenticherà».
Educati dal Vittorino da Feltre, fondatore a Mantova della «Ca’ zoiosa aperta a poveri e nobili», Ludovico e Barbara sono colti, raffinati, cordiali. Il marchese si circonda di artisti, si professa «umile allievo» di Luca Fancelli, e nel castello di Goito, la sua dimora del cuore, disegna progetti.
«Ieri, a causa del brutto tempo, aveva scritto alla marchesa il segretario Marsilio Andreasi, il mio illustre Signore non è andato per boschi ma è rimasto tutto il giorno in casa a disegnare una colombaia e una stalla». La marchesa spedisce erbe mediche al marito gottoso, puntualmente informato in volonteroso e rauco italiano della nascita di «polesini» (pulcini) e dello stato dei bachi da seta allevati su un’altana in cima al castello.
Seduto su un tronetto, e sotto, il fedele bracco Rubino, Ludovico mostra la lettera al suo segretario (la crepa provocata dal sisma del 2012 sfiorava i loro nasi).
Dietro di lui, il monumentale secondogenito Gianfrancesco poggia le mani sulle spalle del fratello Ludovichino, a dieci anni pronotonario nella cattedrale di Mantova. In piedi, la mantellina che gli maschera la schiena bombata, il primogenito Federico.
La bambina translucida con una mela in mano è Paola: sposerà il conte Leonardo di Gorizia: «che non face altro che bere e ballare, e solo per miracolo non si era ammazzato almeno trenta volte correndo come un pazzo a cavallo».
La ragazza vestita di broccato dorato, in piedi dietro la madre, è probabilmente Barberina, promessa a un tedesco vecchio e peloso. Mancano Bianca, morta di diarrea, Cecilia terziaria francescana «un pocho goba», Susanna costretta a cedere il fidanzato Sforza, causa la gobba, alla sorella Dorotea.
Compiuti i quattordici anni, Dorotea era stata costretta a mostrarsi nuda ai milanesi per garantire che era diritta: «e toccata dal collo fino alla cauda», aveva scritto la marchesa al marito; mentre, al mediatore che esclamava «il duca non la sposerà mai», aveva ribattuto, piccata: «la perfezione è solo di Dio».
Sulla parete a sinistra, il diciottenne cardinale incontra il padre. Indossa per la prima volta la mantella rossa. Raccomandandolo al papa, Ludovico aveva truccato la data di nascita e Barbara gli aveva suggerito di farsi crescere la barba per sembrare più vecchio.
Semisepolto in una sorta di «robone» azzurro, tiene per mano l’esangue Ludovichino. Sulla scena c’è anche Federico, con la gobba avvolta nella mantella bicolore; Ludovico, con i rachitici nipoti Sigismondo e Francesco; i suoi sette cani e il maestoso cavallo: drittissimo.