venerdì 24 aprile 2015

Corriere 24.4.15
il segnale atteso sui migranti che è arrivato a metà
di Franco Venturini


L’Europa non ha capito fino in fondo, ieri a Bruxelles, che il Mediterraneo trasformato in fossa comune metteva in gioco la sua legittimità morale e dunque politica. Non ha capito che la tragedia in corso, dopo tanta retorica, esigeva una risposta forte e solidale in armonia con i suoi valori. E così dal vertice straordinario è uscita una Europa ordinaria, capace sì di prendere alcune decisioni importanti («clamorose» le ha definite Renzi) ma già divisa sulla loro applicazione.
Consapevole sì dell’enormità della posta in gioco ma egoista fino all’inverosimile nel difendere interessi nazionali, sensibilità delle opinioni pubbliche o elezioni prossime.
Sappiamo bene che i flussi dei migranti, e dietro di loro la questione libica, pongono problemi di enorme complessità. Ma questo non può alleggerire la coscienza di una Europa chiamata a dar prova di sé davanti a una ecatombe che non finirà in assenza di iniziative sollecite e coraggiose. Ebbene l’Unione, allineando la solidarietà umanitaria con quella spesso centellinata nelle crisi finanziarie, ha fatto a metà. Ha triplicato la dotazione finanziaria dell’operazione Triton e di quella Poseidon, arrivando a quei nove milioni mensili che la sola Italia spendeva lo scorso anno con l’iniziativa Mare Nostrum. Ha moltiplicato le navi impegnate nel pattugliamento grazie agli impegni presi da Gran Bretagna (una portaelicotteri e due unità minori), Germania (tre fregate), Francia, Belgio, Irlanda. Ma ha lasciato alla discrezione di ogni comandante la possibilità di spingersi oltre le 30 miglia dalle coste italiane, che restano il limite della missione e riducono così la sua capacità di condurre operazioni di ricerca e salvataggio. Il premier britannico Cameron, a due settimane dalla prova delle urne, ha difeso una posizione che esemplifica bene il tenore del dibattito di ieri: diamo tre navi a Triton e speriamo di contribuire a salvare vite, ma le persone prese a bordo devono essere portate nel Paese più vicino cioè in Italia, non in Gran Bretagna. Il che oltretutto sembra contraddire gli accordi di Dublino, visto che una nave è territorio del Paese di cui batte bandiera.
Renzi è parso soddisfatto perché l’Europa si è data per la prima volta una strategia in materia di migrazioni. In parte ha ragione, visto che ci saranno più soldi, più navi, più iniziative di cooperazione con l’Africa (si terrà un vertice euro-africano a Malta) e soprattutto, come ha assicurato la Merkel, è stato avviato un percorso per cambiare la distribuzione dei profughi. Ma è anche vero che nella confusione dei dati che esiste anche in Italia alcuni tra i 28 hanno potuto sostenere nuovamente una tesi smentita dalle cifre e cioè che Triton deve evitare di costituire, come avrebbe fatto lo scorso anno Mare Nostrum, un incoraggiamento alle migrazioni offrendo soccorsi solleciti e maggiori probabilità di salvare la pelle. La verità è che i movimenti dei disperati che fuggono dalle guerre, queste sì sempre più numerose e crudeli, sono invece cresciuti dopo la fine di Mare Nostrum e soprattutto si sono moltiplicate le perdite di vite (circa mille contro 17 nel 2014, negli stessi mesi) . Ambiguo è anche il programma su base volontaria per accogliere cinquemila profughi in Paesi che non ne ospitano o ne ospitano pochi. E Renzi si è trovato talvolta quasi isolato nelle sue battaglie, con l’appoggio soltanto di Malta e Grecia perché persino la Spagna non voleva che la Ue mettesse il naso nei suoi metodi e la Francia appariva troppo timida o troppo preoccupata dal terrorismo che le cresce in casa. L’Europa dei piccoli passi non poteva però non affrontare l’altra faccia del «che fare», quella che contempla a titolo di ipotesi la distruzione dei barconi degli scafisti con «azioni mirate», l’individuazione e la cattura dei loro capi grazie al supporto dell’intelligence e a possibili azioni lampo, in una parola la guerra al «business dei migranti». La responsabile della politica estera della Ue, Federica Mogherini, è stata incaricata di approfondire simili possibilità anche dal punto di vista legale: serve prima una risoluzione dell’Onu, si può agire in assenza di una richiesta libica (da Tripoli è invece giunta una minacciosa contrarietà), chi parteciperebbe e chi no tra gli europei e tra gli altri? Compito arduo e forse non breve. E lo stesso si può dire dell’idea di esaminare le credenziali per l’asilo in Stati amici e vicini: chi accetterebbe di creare campi di rifugiati sul proprio territorio in attesa della sentenza dei funzionari, e dove andrebbe chi avesse superato l’esame? Forse in Germania, che accoglie già un terzo di tutti i rifugiati? Altro tempo, molto tempo, mentre il tempo non c’è. L’Europa ha forse preso coscienza ieri di almeno una parte degli orrori mediterranei che esigono una sua risposta il più possibile unitaria, alta e decisa. Non basta, se vuole salvare quel tanto di identità che le resta. Il primo passo ne esige altri.