martedì 21 aprile 2015

Corriere 21.4.15
I big d’Europa puntano ai 23 milioni di auto cinesi
Ghosn: Renault continuerà a investire sul Paese
De Meo: il mercato si stabilizza, ma è sempre al top
di Guido Santevecchi


SHANGHAI - Ci sono 1.343 automobili schierate sotto i riflettori del Salone di Shanghai, 109 al debutto mondiale. E 2.000 tra case e produttori di componenti hanno pagato centinaia di migliaia di euro per assicurarsi lo spazio nei 350 mila metri quadrati dell’esibizione. La Mercedes ha foderato in carta patinata con la sua pubblicità alcuni quotidiani cinesi e Shanghai, capitale economica della Repubblica popolare, ha varato misure straordinarie per gestire i numeri del salone che da ieri e per dieci giorni attende quasi un milione di visitatori: è stata anche aperta una nuova fermata della metropolitana davanti alla mostra.
Eppure, la decelerazione dell’economia cinese tocca anche il mercato dell’auto. La parola d’ordine «nuova normalità», con la quale il governo definisce il rallentamento del Pil, dopo trent’anni di aumenti a doppia cifra, si sente anche al Salone. Nel 2014 in Cina sono stati venduti 23,49 milioni di veicoli, confermando la Repubblica popolare primo mercato mondiale, ma la crescita si è dimezzata a un +6,9% rispetto al +13,9 del 2013 e il primo trimestre 2015 ha registrato un +3,9% (contro il 9,2%).
La risposta dei produttori mondiali è stata un incremento degli investimenti, perché, come ha spiegato il ceo di Volkswagen Group China, Jochem Heizmann, «questo mercato crescerà di meno ma è sempre il più importante del pianeta, ha una forza tremenda». Stesso ragionamento dal Ceo di Nissan e Renault, Carlos Ghosn: «Continueremo a investire in Cina». Però forse la festa è finita, abbiamo chiesto a Luca de Meo, l’italiano responsabile globale vendite-marketing e membro del board di Audi. «Il mercato si è normalizzato ed è maturato, ma noi dieci anni fa vendevamo 50 mila Audi in un anno in Cina, oggi 50 mila è il volume di un mese», ci ha risposto con sicurezza.
La reazione alla «nuova normalità» dunque sono i nuovi investimenti, i nuovi modelli. In Cina l’anno scorso l’industria automobilistica ha puntato oltre la metà degli investimenti globali in capacità produttiva: 12,7 miliardi di dollari sono stati spesi per nuove fabbriche. Ford ha appena aperto un impianto a Hangzhou da 250 mila auto l’anno e nel 2016 ne avrà un altro a Harbin da 200 mila. Volkswagen vuole costruire 5 milioni di vetture l’anno nel 2019 (nel 2014 sono state 3,5 milioni) come parte di un investimento da 22 miliardi di euro. General Motors promette di toccare quota 5 milioni un anno prima, nel 2018. Certo, quando i due giganti rivali avranno raggiunto l’obiettivo di capacità produttiva, la «turbo-crescita» cinese sarà un ricordo, ma i numeri resteranno comunque tali da ripagare l’investimento, sostengono i top manager. A Shanghai è presente anche l’industria italiana. Con idee creative. Fiat-Chrysler punta sulle Jeep e due vetture disegnate tre anni fa per il mercato cinese: la Viaggio e la Ottimo. Per la Viaggio gli stilisti Fiat hanno presentato ieri un modello con logo Expo Milano in edizione limitata. La berlina costa 168 mila yuan (quasi 25 mila euro) e agli acquirenti saranno dati in bonus un passaggio aereo andata e ritorno per Milano e due biglietti per l’Expo.
Al Salone quest’anno mancano le modelle in miniabiti sdraiate o abbracciate alle vetture: mesi fa il Quotidiano del Popolo aveva pubblicato un commento sdegnato contro «l’uso di carne umana, semisvestita, avviluppata intorno alle vetture in mostra». Gli organizzatori di Shanghai hanno colto il messaggio e hanno bandito le ragazze promettendo di «ricostituire l’essenza della mostra riconcentrandosi su tecnologia e innovazione industriale». Nuova normalità in Cina è anche quest’aria moralista.