martedì 21 aprile 2015

Corriere 21.4.15
Alessandra Arachi
Una madre si ribella al destino Sfida ai pregiudizi sull’anoressia
di Michele Ainis


Alessandra Arachi scrive su queste colonne da un quarto di secolo. S’occupa di costume, attualità, politica. Ma scrive pure libri, per lo più romanzi. E in tale veste i suoi due mestieri — la giornalista e la scrittrice — si confondono, si sovrappongono come una decalcomania. Perché la cifra narrativa di Arachi è questa: racconta la realtà con l’immaginazione, parla di cose vere attraverso la menzogna d’una fiction. Uno dei suoi romanzi, per esempio, aveva per protagonista Persico, l’amico di Enrico Fermi oscurato dall’ombra del genio. E anche in quel caso la penna dell’autrice cercava la verità mentendo, usando gli strumenti della falsificazione letteraria.
Raccontare è sempre, in qualche misura, raccontarsi: «Madame Bovary c’est moi», diceva Flaubert. Quanto può essere sincera la bugia? Fin dove ci si può mettere a nudo, parlando d’altro mentre si parla di se stessi? Arachi ha consumato questo esperimento nel 1994, con il suo primo romanzo. Trattava dell’anoressia, il disturbo alimentare che ti porta a rifiutare il cibo, e insieme al cibo anche la vita. E ovviamente quel libro nasceva dal vissuto dell’autrice. Ne furono vendute centinaia di migliaia di copie, si vende ancora adesso. Nel 2005 divenne un tv movie, trasmesso da Rai Uno. Ma soprattutto bucò l’attenzione collettiva sulla malattia psichiatrica con il più alto indice di mortalità, quasi il 20 per cento dei casi.
Perché l’anoressia è un male perfido, cattivo. Divora l’esistenza di tante adolescenti, e al contempo divora anche gli affetti, rompe le amicizie, distrugge il matrimonio dei genitori cui tocca fronteggiare la sciagura. Però non è affatto sicuro che questo disturbo sia un fenomeno recente, un virus tipico delle società industrializzate. Probabilmente ne fu vittima anche santa Caterina da Siena, e chissà quanti asceti celebrati come campioni della cristianità. Gli unici a risultarne immuni sono i politici, verrebbe da osservare. Loro casomai mangiano troppo, soffrono di bulimia. Ma la questione non si presta al sorriso: è una materia aspra, tragica, com’era aspro il primo romanzo di Alessandra Arachi.
Quel libro s’intitolava Briciole . Quest’altro, Non più briciole (Longanesi). Stesso argomento, stessa autrice, ma a distanza di vent’anni. È sempre rischioso tornare sul luogo del delitto: quando l’assassino cede alla tentazione, in genere viene smascherato. Tuttavia stavolta cambia l’assassino. In primo piano non c’è un’adolescente che dimagrisce fino a diventare un chiodo, bensì sua madre. O meglio: i sensi di colpa delle madri, l’imputazione silenziosa che il mondo sputa addosso a ogni madre per i problemi di cui soffrono i suoi figli. Vale nell’anoressia, vale in cento altre situazioni. Tanto che nei corsi di pedagogia pure l’autismo viene interpretato come risposta a una carenza affettiva sperimentata fra le mura domestiche.
In questo caso una psicologia approssimativa tira fuori tutto un repertorio che costella le pagine del romanzo: madri-drago, madri-coccodrillo, madri-frigorifero. La mamma del romanzo si ribella, corre perfino dai carabinieri per denunziare i medici che le impedivano l’incontro con sua figlia rinchiusa in ospedale, essendo proprio lei la scaturigine del male. Dev’esserci una legge che vieti l’ingiustizia, dice. Dev’esserci un giudice che mandi a processo i ciarlatani, anche se il ciarlatano indossa il camice bianco del dottore.
Sicché sbuca fuori un altro tema, oltre al rapporto fra genitori e figli, oltre al nesso fra scienza e verità, oltre alla trama invisibile delle cause e degli effetti per spiegare ciò che ci succede. Il tema della legge, dei fili che collegano il diritto alla cultura, ai costumi, alle credenze più diffuse. Fino a che punto la legge ne è il riflesso, fino a che punto può funzionare viceversa da tampone contro lo stigma, il pregiudizio sociale? Ma in questa storia i temi sono innumerevoli: apri una scatola, ne trovi dentro un’altra. Uno su tutti: la norma e l’eccezione. In che consiste la normalità nei convincimenti o negli atteggiamenti? E quanta follia abita in seno al nostro mondo tecnologico?
Queste domande restano, in qualche modo, sottotraccia. Però chi legge ne annusa l’odore mentre s’immerge in una vicenda restituita con prosa rapida, guizzante. Condotto per mano dall’autrice, che a sua volta — in una paginetta conclusiva — ringrazia le mani esperte del suo editor, ed effettivamente Longanesi ne conta fra i migliori. Ma dopotutto, fuori da ogni testo, c’è sempre un pre-testo. Prima del testo c’è la colpa involontaria, di cui a turno siamo vittime un po’ tutti. E tuttavia pure carnefici, benché quasi mai ce ne rendiamo conto .