martedì 21 aprile 2015

Corriere 21.4.15
La salita più difficile di Bartali. In bicicletta per salvare gli ebrei
di Aldo Grasso


Nel settembre del 2013 Gino Bartali è stato dichiarato «Giusto tra le Nazioni» dallo Yad Vashem, il Museo dell’Olocausto di Gerusalemme, il massimo riconoscimento attribuito a persone che durante le persecuzioni nazifasciste hanno rischiato la vita per salvare anche solo un ebreo.
Bartali, si legge sul sito del memoriale, ha agito «come corriere della rete, nascondendo falsi documenti e carte nella sua bicicletta e trasportandoli attraverso le città, tutto con la scusa che si stava allenando. Pur a conoscenza dei rischi che la sua vita correva per aiutare gli ebrei, ha trasferito falsi documenti a vari contatti e tra questi il rabbino Cassuto». Il periodo in cui ha lavorato più intensamente per mettere in salvo gli ebrei è stato tra il settembre 1943 e il giugno 1944.
Bartali ha dunque contribuito a salvare famiglie perseguitate durante l’occupazione nazifascista: ha pedalato anche per loro, corriere e latore di documenti falsi di una rete clandestina che aiutava centinaia di ebrei nascosti negli istituti religiosi e nelle abitazioni di famiglie coraggiose del Centro Italia. «Fingendo di allenarsi — ha spiegato il figlio Andrea —, il babbo trasportava documenti falsi, nascosti nei tubi del telaio o del manubrio, per dare una nuova identità a persone perseguitate dalle leggi razziali e minacciate dalle deportazioni nei campi di concentramento». In vita, Bartali non ne ha mai parlato: «Certe cose si fanno ma non si dicono». C’è voluta una tesi di laurea, «La Seconda guerra mondiale di Gino Bartali: ebrei, cattolici e dissidenti tra Umbria e Toscana 1943-1944», di Paolo Alberati (oggi consulente sportivo e procuratore di atleti), per riportare alla luce questa storia fuori dell’ordinario. Ancora il figlio Andrea: «Babbo partiva dal principio che il bene si fa ma non si dice, perché lui considerava una grande vigliaccheria lo speculare sulle disgrazie o sui dolori degli altri, ha fatto sempre tutto in silenzio. Quando il cardinale lo chiamò per dirgli che c’erano circa 14 o 15 mila cittadini ebrei nascosti nelle chiese, nei collegi, presso famiglie amiche, pensò di aiutare questo persone con documenti falsi a raggiungere il porto di Genova, dove avrebbero poi potuto imbarcarsi per l’America o il Sud America. Però, mancava qualcuno che potesse trasportare questi documenti falsi. E la scelta del cardinale ricadde su mio padre. Lo convocò e gli disse: Bisognerebbe che tu portassi questi documenti. Sappi, però, che, se ti trovano, ti fucilano sul posto».
«Quel naso triste come una salita/quegli occhi allegri da italiano in gita»; ne ha fatta di strada Gino Bartali per meritarsi da Paolo Conte versi preziosi che danno, meglio di un trattato antropologico, la rappresentazione frontale del grande campione. Sì, ne ha fatta di strada, in bici, a piedi, pedalando e scarpinando perché non tutti i grandi atleti si assomigliano, e Bartali non è Coppi, uomo solo al comando, baciato dalla grazia, morto giovane e caro agli dei. Ma senza Bartali non ci sarebbe stato Fausto Coppi, e viceversa.
Bartali baciapile, paolotto si diceva allora, e Coppi trasgressore, irretito dalla Dama Bianca, fedifrago ma libero pensatore e dunque «moderno». Bartali teneva appuntato sulla giacca il distintivo dell’Azione Cattolica e Indro Montanelli lo descriveva come il «De Gasperi del ciclismo». Quando nel 1955 abbandonò le corse, Dino Buzzati scrisse sul «Corriere»: «Bartali è stato il vivo simbolo del lavoro umano. Ha lavorato fino all’ultimo, badando a fare tutto il suo dovere meglio che gli era possibile. Ecco la grande lezione di umile onestà».
La gloria sportiva e civile di Bartali ha avuto bisogno di tempo per crescere; speriamo impieghi altre generazioni per non essere dimenticata.