lunedì 20 aprile 2015

Corriere 20.4.15
Giuristi senza vergogna sulle leggi razziali
di Cesare Rimini


Sono giorni in cui si rincorrono i ricordi delle guerre, dei delitti di cui l’umanità ha saputo macchiarsi, e al tempo stesso basta alzare la testa per vedere che, vicino e lontano, la efferatezza continua e non ha limiti, una componente della storia dell’uomo.
Oggi nella sala napoleonica dell’Università degli Studi di Milano (ore 17) si parla di «Le leggi razziali del fascismo: scelte, silenzi, complicità dei giuristi italiani», cioè delle norme antiebraiche e razziali che dal ’38 al ’45 hanno scosso le fondamenta dell’ordinamento giuridico dell’epoca. L’incontro all’università, cui partecipano Nerina Boschiero, Sandro Gerbi, Gustavo Ghidini, Piergaetano Marchetti, Tullio Treves, Adriano Vanzetti, prende le mosse dal libro di Giuseppe Acerbi Le leggi antiebraiche e razziali italiane ed il ceto dei giuristi (Giuffrè) che commenta le leggi e i decreti che si sono susseguiti, proposti e scritti da un nugolo di «giuristi di regime» disposti a tradurre in realtà, in «leggi della vergogna», le direttive del partito. Veri servitori dello Stato fascista che hanno poi abusato di cariche e incarichi per ricevere denaro, vendendo anche le «discriminazioni» che le leggi consentivano per alcune categorie di ebrei, in passato meritevoli per l’Italia.
Giuseppe Acerbi evita esecrazioni che vengono spontanee nel convincimento che, lasciando parlare le cose, esse stesse sono sufficienti a esprimere un giudizio severissimo.
Ma è giusto aggiungere, per chi può dire «io c’ero sia pure bambino» che alcune decisioni del tribunale della razza accolsero domande di «arianizzazione» basate sulla richiesta di ebrei che chiedevano di dimostrare di essere figli adulterini di padre ariano. E poi non veniva «considerato ebreo colui che è nato da genitori di cui uno solo di razza ebraica e che alla data del 1° ottobre ’38 XVI» era stato già battezzato. Moltissimi sacerdoti si prestarono ad anticipare la data del battesimo, che era avvenuto dopo la data fatidica, a fin di bene per consentire la «discriminazione» di bambini che così prima poterono frequentare le pubbliche scuole italiane e poi salvarono la vita.