Corriere 10.4.15
Padiglione Vaticano: si punta sulla parola
Il cardinale Ravasi ha incaricato Micol Forti di curare il contributo della Santa Sede alla Biennale
di Paolo Conti
«L’espressione visiva della fede non può essere sempre cristallizzata in uno stereotipo conservativo, legato al passato, è bene che sia pronta a interloquire con il mondo in cui viviamo anche mettendo nel conto la fatica che ciò comporta». Sala Stampa Vaticana, appuntamento inconsueto: si presenta il Padiglione della Santa Sede alla Biennale Arte 2015. Il padrone di casa è il cardinal Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio consiglio della cultura e commissario del Padiglione.
Abituato a confrontarsi con le asperità della cultura contemporanea, promette in questa occasione che la Chiesa di papa Francesco giocherà la carta del cambiamento anche nella raffigurazione del sacro nelle chiese cercando di ricucire «il rapporto frantumato nel secolo scorso tra arte e fede, che in realtà sono sorelle». Molti parroci, il cardinale lo ammette, anche in contenitori architettonici contemporanei cercano la rassicurazione iconologica nell’eterna statuetta lignea. Ma Ravasi, profondo conoscitore della musica classica, è il tipo che (lo racconta in conferenza stampa) per capire i gusti dell’era in cui viviamo ascolta e analizza i brani di Amy Winehouse. E sa che un’immagine stancamente ripetitiva in un mondo ben più complesso e tormentato rappresenta «una chiara distonia col presente».
L’approccio di Ravasi ha consentito la realizzazione del Padiglione 2015, il secondo approdo veneziano della Santa Sede dopo l’esordio del 2013. Il tema proposto dal cardinale è In principio… la parola si fece carne . Nel 2013 il nodo del principio era ancorato alla Genesi, stavolta siamo al prologo neotestamentario del Vangelo di Giovanni accanto alla suggestione della parabola del buon samaritano nel Vangelo di Luca. Curatrice del Padiglione (costato circa 400 mila euro, grazie soprattutto al supporto del Progetto cultura di Intesa Sanpaolo) è Micol Forti, responsabile della collezione di Arte contemporanea dei Musei Vaticani, voluta nel 1973 da Paolo VI con le identiche intenzioni di Ravasi, il confronto con l’arte dei propri tempi.
La scelta è caduta su tre artisti di cui due donne, comunque tutti esponenti di Paesi complessi e certo non ricchi. Si tratta di Monika Bravo, nata a Bogotá in Colombia nel 1964 che su sei schermi, con l’opera The sound of the word is beyond sense, affronterà il tema della lingua, della parola, della comunicazione. Elpida Hadzi-Vasileva, nata a Kavadarci in Macedonia nel 1971, con Haruspex , proporrà un’installazione architettonica che riporterà lo spettatore alla suggestione della «Tenda del Signore» usata dal popolo ebraico per proteggere l’arca dell’Alleanza. Infine Mario Macialu, nato a Maputo in Mozambico nel 1984, esporrà dodici fotografie dedicate al tema dell’oscurità, Growing on darkness .
Il presidente della Biennale, Paolo Baratta, ha rivendicato il ruolo dell’istituzione come crocevia di dialoghi e di confronti ricordando come «il tema della fede intersechi sempre le vie dell’arte, magari nascosto dalla capacità degli artisti di criptare»