l’Unità 24.12.11
Il segretario Cgil
Non si salva l’Italia se non si fa crescere il lavoro
di Susanna Camusso
Una vigilia di Natale in piazza, dove abbiamo allestito un grande albero, l’Albero del lavoro, delle storie del lavoro. Per dire che la nostra mobilitazione continua, e continuerà ancora, per chiedere di cambiare le scelte più inique contenute nella manovra e per ridare un futuro al Paese ripartendo dai giovani e dal lavoro.
La manovra economica approvata, l’ennesima nel corso di questo travagliato anno, ha tratti forti di iniquità, pesa soprattutto sul reddito da lavoro dipendente e su chi ha di meno ed è troppo timida verso gli alti redditi. Una manovra con un segno di profonda ingiustizia sociale determinato da scelte che, ancora una volta, ricadono sui soliti noti. Il presidente del Consiglio ha attribuito alla pesante correzione di bilancio il nome di «salva Italia». Noi abbiamo sostenuto e continuiamo a sostenere che non si salva l’Italia se si impoverisce la gran parte della sua popolazione. Possiamo dire che il criterio, così come enunciato dallo stesso Monti nel suo primo discorso alle Camere, ovvero «rigore equità crescita», ha un anello mancante: l'equità, mentre per la crescita siamo ancora in attesa.
Di certo non dimentichiamo che se ci troviamo qui, in questa situazione difficile, il carico maggiore di responsabilità è da imputare alle politiche del governo precedente, con il suo aver negato la crisi, praticato la divisione nel Paese, fatto crescere le diseguaglianze, svilito il lavoro pubblico, alimentato il populismo. Abbiamo salutato positivamente l'uscita di scena dell'ex governo. Abbiamo compreso la credibilità nazionale ed europea del nuovo governo, ma ciò non deve impedire il giudizio sulle scelte fatte e di criticare le continuità con le passate manovre. In particolare, pur apprezzando il risultato sulla deindicizzazione delle pensioni, sottolineiamo l’iniquità della cosiddetta «riforma delle pensioni». Una decisione sbagliata che penalizza i lavoratori con 40 anni di contributi e scollega la previdenza dal lavoro. Inoltre, in una stagione già così difficile per il lavoro, sottrae possibilità ai giovani, taglia risorse al sistema invece di trasferirle sulle pensioni dei giovani. Così come per la tassazione sulla casa, modifiche ne abbiamo ottenute, ma la misura chiedeva una progressività, perché non possiamo mettere sullo stesso piano chi ha ricevuto dai nonni una casa in eredità e chi magari ne possiede venti.
Per questo la mobilitazione unitaria per cambiare il segno di queste scelte continuerà. La fase due annunciata da Monti dovrà mettere in agenda la correzione dei punti più ingiusti della manovra e guardare alla crescita, ai giovani ed al lavoro. Per quanto riguarda il mercato del lavoro, l'articolo 18 deve considerarsi capitolo chiuso: si fa sempre più strada nel Paese l'idea che il tema non sia la flessibilità in uscita ma la riduzione drastica delle troppe forme contrattuali atipiche e una riforma degli ammortizzatori sociali per la continuità del reddito. Apriremo, inoltre, una vertenza fiscale che parta dall'introduzione di un'imposta patrimoniale sulle grandi ricchezze per recuperare risorse da destinare non solo alla crescita ma anche ad un urgente riequilibrio: c'è un sovraccarico insopportabile di tassazione sul lavoro dipendente che deve essere urgentemente risolto.
il Riformista 24.12.11
La deriva del partito persionale
di Emanuele Macaluso
Ieri l’Unità ha pubblicato un’intervista a Nichi Vendola che sembra una pietra tombale sull’alleanza che aveva preso il nome dalla città di Vasto: Pd-Idv-Sel. Preliminarmente vorrei fare una osservazione che a mio avviso ha un senso molto politico: l’intervista è corredata da una grande foto di Niki circondato da manifesti con il simbolo del Sel e anche il nome di “Vendola”. Insomma come quelli del Pdl con Berlusconi, dell’Idv con Di Pietro e dell’Udc con Casini: il partito personale. Una deriva a cui non resiste nemmeno la sinistra. Ma veniamo al dunque. Il giudizio di Vendola sulla manovra somiglia a quello di Di Pietro: «Socialmente sbagliata, inutile per il contenimento del debito pubblico, spinge il paese dentro una voragine recessiva». Non ha votato contro perché Sel non ha parlamentari. Sappiamo bene che questa manovra non è quella che avrebbe fatto un governo di sinistra (che non c’è), e per essere varata occorre che sia votata (con grandi mal di pancia e diserzioni) anche dalla destra. Vendola invece chiede «una patrimoniale pesante» che nemmeno un governo di centrosinistra sarebbe in grado di varare. E con questa linea il segretario di Sel pensa che, se si fosse votato, il centrosinistra di Vasto avrebbe vinto le elezioni. Infatti, per il futuro, insiste nel dire che non si può fare a meno di Di Petro.
Scrivo questa nota perché ritengo che nel partito di Vendola ci sia un pezzo della sinistra che ha una storia in comune con quella che si ritrova nel Pd e fuori dai partiti. L’orientamento politico di questa forza ha quindi un rilievo e occorre discutere con rigore sul domani.
Vendola teme che il Pd, consideri «il governo conservatore di Monti, propedeutico per nuove alleanze». Cioè teme un’alleanza tra il Pd e il Centro, come sbocco della crisi politica che attraversa tutti gli schieramenti politici.
A questo punto vorrei fare io una domanda a Vendola: la collocazione del Centro di Casini, Fini e Rutelli, con la sinistra o con la destra è un tema che non interessa Sel?
E interessa saperlo perché le alleanze di domani sono condizionate dall’azione politica di oggi. La posizione nei confronti dell’emergenza che vive il paese, e quindi del governo chiamato a uscirne, è il terreno di questa verifica. E se questo è il terreno, il giudizio radicalmente negativo di Vendola pone al Pd un problema. Anche perché il segretario del Sel vede oggi «un centrosinistra genuflesso che si comporta come un chierichetto nei confronti dei poteri costituiti». Cosa fare? Io penso che il centrosinistra dovrebbe mantenere una sua autonomia e un suo punto di vista sulla situazione politica e sui contenuti stessi della manovra. Ma oggi occorre fare una scelta di fondo che attiene alle sorti stesse del paese. E proprio in nome di un autonomo giudizio, il centrosinistra deve contribuire decisamente e anche criticamente al successo del governo Monti.
La sua sconfitta sarebbe la vittoria della destra reazionaria, tra cui c’è la Lega. Ma non solo la Lega.
il Riformista 24.12.11
Se il partito di Bersani perde i deputati-operai
QUI PD. Dopo l’annuncio delle dimissioni della Codurelli («ho l’impressione di non riuscire a rappresentare le lavoratrici alla catena di montaggio») parla Boccuzzi, l’onorevole democrat ex dipendente della Thyssen Krupp
di Ettore Maria Colombo
«Soffro troppo a sostenere le politiche di Monti. Mi dimetto da deputata». Così ha detto, ieri, in un’intervista all’Unità rilasciata ad Andrea Carugati, Lucia Codurelli. Lecchese, 61 anni, ex operaia, già delegata di fabbrica per la Cgil, poi a lungo dirigente dei Ds, la Codurelli dice addio al Parlamento con una lettera inviata già da giorni al presidente della Camera: «Ho l’impressione di non contare niente, di non riuscire a rappresentare le operaie alla catena di montaggio, la parte del Paese sul quale più si accanisce la manovra varata dal governo Monti». Per diventare effettive le dimissioni andranno, in ogni caso, votate dall’Aula di Montecitorio, la quale, per norma e per prassi, le respinge, almeno la prima volta. Vedremo se la Codurelli ci ripenserà, ma certo è che, per quanto ne abbia parlato a lungo con il segretario del Pd, che l’ha invitata a recedere («Lucia, non sei mica solo tu a soffrire», gli avrebbe confidato il segretario, stando all’Unità, che è come dire: «Stiamo soffrendo pure noi») la deputata ex-operaia non appare intenzionata a recedere. «Non sono l’unica. Siamo in tanti, nel grup-
po del Pd, a essere in sofferenza», spiega la Codurelli. Tra di loro c’è, di sicuro, Antonio Boccuzzi. Classe 1973, torinese, ex operaio della Thyssen Krupp («è solo da pochi mesi che non lo sono più»), ex delegato Uil, carattere mite, ma codino da rasta, Boccuzzi ha visto la morte in fac-
cia, in quel rogo maledetto. Se la Codurelli si dimetterà davvero, resterà lui solo a potersi fregiare della qualifica di “ex operaio”, nel gruppo parlamentare del Pd.
Vorrebbe chiedere alla Codurelli di ripensaci?
Sì, ma prima voglio parlarle in privato. Avevo percepito il suo disagio, ma non credevo si sarebbe dimessa. Vede, abbiamo lavorato tanto, io e lei, in commissione Lavoro e anche tutti gli altri, come il mio amico torinese Stefano Esposito, per portare a casa dei risultati. E qualcosa abbiamo ottenuto. Io ed Esposito ci volevano astenere, per dare un segnale, almeno, di malessere, poi Bersani ci ha convinto. Non tutto è chiuso, c’è il decreto Milleproroghe dentro il quale vanno inseriti, assolutamente, i provvedimenti che non siamo riusciti a mettere dentro la manovra economica: norme a favore dei lavoratori più deboli, quelli più penalizzati. La battaglia, per me, è appena cominciata. E intendo portarla avanti, in Parlamento e fuori, con la Cgil e con tutti gli altri sindacati confederali. Che sono casa mia, a differenza di altri che stanno nel Pd.
Soddisfatto, allora?
Guardi, questa manovra manca di equità, e in modo pesante, questo è sotto gli occhi di tutti. C’è molto poco sulle pensioni d’oro, che poteva essere tassate molto di più del livello attuale, il 15%. Anche i capitali scudati potevano essere tassati di più. Non c’è la patrimoniale e molto altro ancora. E anche dire, come stanno dicendo Monti e Fornero, che poi ci sarà il secondo tempo non va bene.
Dunque?
Il Pdl ha posto veti grandi come una casa su questo e su altro. Non si poteva fare di più. Vede, nelle assemblee che faccio in giro per l’Italia o dalle mie parti, con l’eccezione di quelli davvero in difficoltà,
la gente normale è pronta a fare sacrifici, però chiede che li facciano anche gli altri, specie i più ricchi, non da soli. Bere la pillola amara va bene, è necessario, ma insomma, che la bevano tutti, almeno è
meno amara.
Parliamo di Pd, uno vede in tv Sergio Cofferati e Pietro Ichino e pensa: stanno in due partiti diversi?
Guardi, anch’io, quando vedo queste scene, vivo un senso di spaesamento e, anche, di confusione. Non
va bene. Non è che io neghi il principio democratico, ma se c’è una linea, votata a larga maggioranza, come quella stabilita dalla Conferenza nazionale sul Lavoro del Pd tenuta a Genova, tutti dovrebbero attenersi a quella. E alla voce del segretario. Sento, invece, troppe voci discordanti e che stonano, a partire dall’articolo 18. Licenziare, già oggi, è molto facile, glielo posso garantire io, e pensare di stravolgere lo Statuto dei Lavoratori è assurdo. Il Pd deve parlare con una voce sola.
La Stampa 24.12.11
Sette milioni per Radio Radicale
Anche stavolta Radio Radicale riesce ad acchiappare i finanziamenti che le sono necessari. Stavolta il «poche-proroghe» concede per il 2012 sette milioni di euro, presi dai fondi (certo non abbondanti) disponibili a sostegno dell’editoria. Scelta che solleva le proteste di Franco Siddi, segretario della Fnsi.
l’Unità 24.12.11
Con il Milleproroghe soldi a Radio radicale, tagli al Fondo editoria
di Roberto Monteforte
Bel regalo per Natale a Radio Radicale. Viene confermata la convenzione con lo Stato ed anche lo stanziamento di oltre sette milioni di euro. Lo indica la bozza del «Milleproroghe». Che però prevede che la copertura per la spesa sia garantita da una «riduzione dell’autorizzazione di spesa» degli stanziamenti previsti nella
legge del 25 febbraio del 1987 che rinnova la legge 416 sull’editoria.
Tradotto vuole dire che quei sette milioni di euro saranno sottratti al già brutalmente tagliato Fondo per l’editoria. Un vero paradosso, visto che sono molte le testate a rischio chiusura proprio per l’eseguità del Fondo. Lo denuncia con energia il segretario della Fnsi, Franco Siddi. «Il ripristino dei fondi a Radio Radicale affermanon sia a scapito degli obblighi verso la carta stampata, il cui fondo è stato ingiustamente impoverito mentre è indispensabile che sia al più presto ripristinato». «Se esiste un problema di recupero di Radio Radicale continua non può passare su una legislazione destinata al sostegno della carta stampata già oltremodo mortificata e con oggi molte testate a rischio moria e centinaia di posti di lavoro in bilico. Non si può applicare il principio vita tua, mors mea. Si trovino per Radio Radicale conclude vie giuste e non improprie».
Quanto la crisi sia pesante lo testimonia Liberazione, il quotidiano di Rifondazione comunista. Proprio a causa dei tagli al «finanziamento diretto» l’edizione cartacea chiuderà i battenti dal prossimo 1 ̊ gennaio. La redazione ha avuto un incontro con il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’Editoria, Carlo Malinconico che ha riconosciu-
to riferendosi a Liberazione come «siano da tutelare e valorizzare realtà editoriali di particolare rilievo». Oltre alla «sua profonda preoccupazione», Malinconico che ieri è stato ricevuto da Napolitano al Quirinale ha auspicato «una soluzione che consenta la continuità editoriale ed occupazionale». Ma in quali tempi? È quello che Siddi gli ha chiesto, invocando «un esito concreto e rapido» per quella testata e per le altre che rischiano la chiusura». L’altra richiesta al Governo è stata quelle di «far conoscere rapidamente l’ammontare reale delle risorse disponibili con l’integrazione delle quote del cosiddetto “Fondo Letta” al fine «di consentire alle imprese in difficoltà di poter fornire idonee rassicurazioni alle banche ed avere così accesso al credito».
Ora senza correzioni al Milleproroghe, la situazione sarà ancora più drammatica.
il Fatto 24.12.11
La Casta ingrassa sulla nostra pelle
Si allarga lo scandalo alla Regione Lazio Non solo pensioni e vitalizi ad assessori “esterni” e decaduti: anche ricchi incarichi a candidati Pdl trombati. Ma chi li ferma?
di Carlo Tecce
La manovra Polverini prevede 1,4 miliardi di tagli e aumenti di imposte, con il bollo auto che sale del 10 per cento e la benzina di 20 centesimi
POLVERINICRAZIA Oltre ai nuovi vitalizi, i posti d’oro nelle aziende esterne alla Regione
Il pacco firmato Regione La-zio è complicato. La manovra dei vitalizi per assessori esterni e consiglieri decaduti nasconde tagli e tasse per 1,4 miliardi di euro. Come incartare i sacrifici (per i cittadini) con i privilegi (per i politici). Eppure il governatore Re-nata Polverini mette su il viso del dispiacere, quel senso di pudore nel chiedere euro ai cittadini, sempre e comunque ai cittadini: “Era l'unica possibile”.
GIÀ, MICA poteva lasciare senza pensione la Giunta oppure i tre consiglieri del centrodestra transitati per sbaglio in Regione? Il regalo farà contento il sindaco Giovanni Di Giorgi che, nervosamente, deve scegliere la poltrona giusta: resta nel Consiglio laziale o si dedica al comune di Latina? Un dilemma e un sollievo: qualsiasi decisione prenda Di Giorgi, il vitalizio è garantito a 50 anni con una riduzione del 5 per cento, a 55 al 100 per cento. Nessun dubbio, però, sui rincari: aumentano le imposte (+0,33% Irpef), la benzina con un'accisa inedita (20 centesimi al litro), il bollo per l'automobile (+10%). Mentre calano i fondi per il sociale e le opere pubbliche (-100 milioni di euro). Com'era? “L'unica manovra possibile”. Peccato che il centrosinistra suggeriva al Governatore di vietare un mal costume tipico di una regione grossa, indebitata e spendacciona: un dirigente pubblico deve rispettare un tetto massimo di stipendio senza cumulare l'incarico in corso con il vitalizio regionale.
NON CONOSCIAMO la risposta perché l'ex sindacalista si è rifiutata di rispondere ai partiti di opposizione: rischiava di bombardare l'alleanza con il Pdl che si regge sui favori reciproci e il potere condiviso. Il mandato Polverini ha un difetto di nascita: la lista dei berlusconiani rimase fuori perché presentata in ritardo, e dunque i cacicchi locali, non eletti, andavano sistemati. Quelli che sommano lo stipendio pubblico con il vitalizio già maturato in banca o in tasca. Ecco i sei candidati trombati in partenza e ora, momentaneamente, occupati in aziende satelliti della Regione Lazio. C'è l'imprenditore Luigi Celori, 54 anni, a spasso con una rendita di tre legislature: è stato nominato presidente di Autostrade del Lazio, superati mesi di inattività politica. C'è Tommaso Luzzi, 61 anni, per 15 anni in Regione: si è accontentato di Astral, una società che pulisce e asfalta le tangenziali e i raccordi. C'è il socialista Donato Robilotta, 56 anni, commissario straordinario di Ipab Sant'Alessio, un centro per ciechi che gestiva un imponente patrimonio immobiliare. C'è Bruno Prestagiovanni, 54 anni, commissario straordinario di Ater Roma, un carrozzone che assegna le case pubbliche. C'è Massimiliano Maselli, 44 anni, presidente di Sviluppo Lazio, dove transitano bandi di gara e studi scientifici. C'è Erder Mazzocchi, 43 anni, commissario straordinario di Arsial, l'agenzia regionale per l'agricoltura. I magnifici sei incassano un degno e meritato stipendio pubblico, servono serenamente le istituzioni sapendo di incassare (in futuro o adesso) un sostanzioso vitalizio. I magnifici sei, soprattutto, assicurano l'esistenza politica di Re-nata Polverini.
AL TRAGUARDO di una serie di nomi e scrivanie, fra le proteste cestinate e negate, c'è un'ultima idea che i partiti di opposizione hanno presentato al governatore: perché confermare il rimborso chilometrico per i consiglieri? Vi può suonare stonato, ma i rappresentanti laziali, se abitano a 15 chilometri dal palazzo regionale, recuperano un quinto di un pieno di benzina. I 71 consiglieri laziali vengono pagati per il mandato in Regione (indennità), per essere presenti in aula (diaria), per raggiungere il palazzo (rimborso), per presiedere o partecipare in commissione (e sono venti). Però, va detto che la Polverini ci ha provato. Voleva fare una manovra con meno tasse ai cittadini e più tagli ai politici. Il Governatore ha deluso i cronisti che speravano in un ripensamento sui vitalizi: “Niente passo indietro. Da due giorni siamo in linea con le altre Regioni. Avevamo una discriminazione che colpiva solo i nostri assessori esterni, abbiamo messo le cose a posto”. E il Codacons che fa ricorso contro la manovra? “Che devo fare? ”, ha risposto la Polverini. Se sapesse cosa fare, sarebbe il governatore del Lazio che toglie ai ricchi e dà ai poveri, non viceversa. O forse, caspita, è proprio lei?
il Fatto 24.12.11
Dalle tessere dell’Ugl all’elicottero per la “sagra del peperoncino”
Lei, Renata Polverini, ha anche parlato di accanimento. Troppe cose e tutte insieme, specialmente a partire dalla sua candidatura alla presidenza del Lazio, nell’era post-Marrazzo. Si è parlato di presunto “tesseramento gonfiato all’Ugl”, il sindacato di destra che per anni l’ha vista protagonista. “colpevole”, in primis, la redazione di Report, poi alcuni articoli di Libero ed Europa. In sostanza, i numeri di iscritti venivano alterati in modo tale da avere un maggiore peso negoziale al tavolo con gli altri sindacati e negli organismi ed enti previdenziali. La Polverini, alla fine, si è giustificata e ha spiegato che l’Ugl non si sarebbe comportata in modo diverso dagli altri sindacati. Quindi la vicenda legata a un appartamento: abitava in una casa dell’Ater (Azienda territoriale per l’edilizia residenziale pubblica) sull’Aventino, zona molto chic di Roma, con affitto a prezzi popolari. La giustificazione? “Da tre generazioni ci abita la famiglia di mio marito”. Peccato che le case degli enti non si possono ereditare: l’assegnazione varia al variare del reddito. E ancora il 22 luglio del 2011, quando il Fatto Quotidiano scopre che il presidente del Lazio raggiunge Rieti (un’ora d’auto da Roma) con un elicottero messo a disposizione dalla Protezione civile. L’evento imperdibile era la “Sagra del peperoncino”. Al cronista che le chiede spiegazioni specifiche non risponde. Poi sibila: “Non ho nulla da spiegare. Pago tutte le spese che faccio, non scoprirai nemmeno una cena a mio carico. L’importante è che non vado con i soldi pubblici, vai tranquillo caro”. L’affettuoso “caro” del presidente regionale è anche accompagnato da spintoni e insulti di Rositani: “Vada via, cretino, altrimenti la prendo a schiaffi. Non ha capito? Le do uno schiaffo”. Ma sulla vicenda Renata Polverini ha poi proseguito assicurando che l’elicottero: “Lo userò ancora se avrò bisogno di conciliare, da presidente, la mia presenza in più contesti”. Ora si riapre un nuovo capitolo della Polverineide, lo scandalo dei vitalizi.
il Fatto 24.12.11
Insulti anche a Riccardi
Nuovo attacco on line contro gli ebrei romani
di Federico Mello
É il caso di cominciare a riflettere seriamente su ciò che sta avvenendo su Internet in questi giorni. Dopo il caso del forum nazista Stormfront, un altri gravi atti di odio antisemita è stato denunciato ieri. “Ecco i nazisti-ebrei, membri della cupola mafiosa ebraica”. Questo il titolo che sovrasta un poster di propaganda apparso sul sito antisemita Holywar nel quale sono riportati nomi, cognomi e fotografie di collaboratori del sito della capitale Romaebraica.it . La denuncia è arrivata da Giacomo Kahn, direttore del mensile “Shalom” sul sito stesso della Comunità ebraica romana. Nel poster – ripubblicato proprio da Romaebraica.it –, in mezzo a numerosi deliri che fanno il verso a una sorta di integralismo cattolico di stampo razzista e violento, si invitano i cattolici a un maggior impegno “contro l’intolleranza ebraica”. “Questi schiavi di Satana – prosegue il poster che mette in effigie una Stella di Davide con al centro una svastica – vogliono la distruzione della Chiesa cattolica”. Segue poi una lunga lista di personaggi – ebrei e non – indicati come appartenenti alla “cupola”.
Kahn denuncia una vera e propria campagna antiebraica: “Ogni volta che si affrontano temi che riguardano la Comunità ebraica – le sue parole –, ogni volta che denunciamo derive antisemite della società italiana, ogni volta che denunciamo tentativi negazionisti e interpretazioni riduttive della storia della Shoà, i nostri nemici vengono allo scoperto e si scatenano, organizzando campagne antiebraiche che diventano vere e proprie istigazioni alla caccia all’uomo”. Non solo: “Da tempo l’antiebraismo, specie quello che si esprime attraverso la rete, ha assunto toni sempre più aggressivi nei confronti degli ebrei, ne abbiamo data ampia testimonianza sul sito della Comunità Ebraica, ricordando le recenti liste nere e le minacce di Militia”. Anche questa volta il sito pubblica foto degli esponenti della comunità ebraica e redattori del sito come se fossero bersagli. Sono in atto, conclude Kahn, “le procedure per la denuncia, presso la Polizia postale, di questo attacco antisemita che attraverso la diffamazione e la menzogna vorrebbe spegnere la voce della comunità ebraica italiana”.
Sempre ieri, inoltre, è stato utilizzato un articolo de Il Giornale per attaccare il ministro per l’Integrazione e la cooperazione Andrea Riccardi: lo ha usato un partecipante al forum sulle pagine italiane del sito neonazista Stormfront.
L’articolo è di Paolo Granzotto ed è stato pubblicato sul quotidiano milanese il 18 dicembre scorso. Il ministro viene criticato per aver avanzato, dopo i gravi fatti di Torino, l’idea di dare case ai Rom e di mandare a scuola i loro figli. Non solo. Il forum pubblica un altro articolo, questa volta del giornalista Maurizio Blondet, che definisce Riccardi “cripto-giudeo” e “cattolico noachide” (il noachismo è un sistema morale nella tradizione ebraica) e mostra la foto del ministro a Torino, in visita presso la comunità ebraica.
Questa nuova ondata di antisemitismo digitale, suscita la reazione del Pd: “Preoccupa l’aumento in questi giorni di aggressioni antiebraiche sulle pagine dei più conosciuti siti antinazisti e antisemitì” dicono i responsabili sicurezza e giustizia del Pd, Emanuele Fiano e Andrea Orlando. “Ci auguriamo che la magistratura, come nel caso del sito Stormfront voglia procedere rapidamente per istigazione all’odio razziale e diffusione di idee diffamatorie. Rimane tuttavia ancora la sensazione che in un periodo di grave crisi sociale, lo stereotipo antisemita riemerge sempre con rinnovata forza come nel caso del sito Holywar con i volti e i nomi di appartenenti alla comunità ebraica di Roma a cui va la nostra solidarietà”. I democratici si stringono anche intorno al ministro Riccardi “oggetto anche lui di ingiurie e offese che certamente non fermeranno il suo impegno per l’integrazione e la tolleranza”.
Anche il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, condanna “ogni forma di antisemitismo e di incitamento alla violenza razziale”, ed “esprime solidarietà alla comunità ebraica di Roma e a tutti coloro che il sito antisemita Holywar cita nel suo delirio diffamante”.
il Fatto 24.12.11
Il commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa Thomas Hammarberg
Tv: l’Italia non è libera
di Marina Castellaneta
Rafforzare il pluralismo nel segno della libertà di stampa. Lo chiede il commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa Thomas Hammarberg che nello studio del 6 dicembre sul pluralismo nei media e i diritti umani (CommDH (2011) 43) disegna la mappa della situazione dei media tradizionali in Europa e dei rischi per la democrazia provocati da situazioni di monopolio, tutt’altro che scomparsi malgrado l’avvento di nuovi strumenti di comunicazione.
Un posto di primo piano tra gli Stati che subiscono effetti negativi proprio per la presenza di situazioni monopolistiche lo conquistano le nuove democrazie sorte dalle ceneri dell’ex Unione sovietica e l’Italia. L’ex Rappresentante dell’OSCE sulla libertà dei media Miklos Haraszti, che ha curato lo studio, mette l’accento sull’anomalia italiana che mostra come il monopolio possa “provocare rischi gravi anche nelle più antiche democrazie”. La libertà di stampa e di espressione godono buona salute in Italia, ma – si precisa nello studio – questo non vale per il settore televisivo dominato da un duopolio Rai e Mediaset che, tra l’altro, si trova in una situazione di monopolio tra le televisioni commerciali e nel mercato pubblicitario. Tutto aggravato dal fatto che l’ex premier Silvio Berlusconi non sono solo è comproprietario di Media-set, ma è stato anche capo del governo con forti controlli sul sistema televisivo pubblico. In barba agli standard europei che vietano a politici la proprietà e il controllo di emittenti televisive per evitare interferenze politiche o di governo sulla libertà di stampa. “La Germania e il Regno Unito – scrive Haraszti – impongono restrizioni sulla diretta proprietà o controllo delle emittenti da parte di attori politici; i Paesi Ue richiedono indipendenza dai partiti e dai politici. L’Italia, a dispetto della legge Frattini, non ha fatto niente”.
A nulla è servita le leggi Gasparri e Frattini del 2004. Scarsi anche i risultati dal passaggio dall’analogico al digitale che, malgrado la novità, consentono ai due soggetti che controllano la televisione (Rai e Mediaset) di usare la propria forza economica anche nel mercato digitale.
In tutta Europa, poi, spirano venti di monopolio. Troppi i segnali che mostrano una tendenza a forme di concentrazione tra i media tradizionali. Con difficoltà sia per le televisioni indipendenti che non riescono a ottenere licenze e sia per i giornali nella distribuzione delle copie. Non mancano mezzi anche più sottili con grandi gruppi che comprano pubblicità unicamente nei media fedeli. In Europa, poi, c’è ancora una concentrazione dei mass media nelle mani di pochi gruppi editoriali con maggiori rischi di interferenze con la linea editoriale di stampa e televisione.
NON BASTA QUINDI l’avvento del digitale per raggiungere, almeno sul fronte televisivo, maggiore pluralismo. Certo, è risolto il problema della scarsità delle frequenze, ma non automaticamente quello provocato da situazioni di monopolio. La Commissione europea dovrebbe intervenire con maggiore forza. L’impero editoriale di Murdoch è stato oggetto di poca attenzione da parte di Bruxelles sul fronte del rispetto delle regole di concorrenza, mentre la Commissione ha riservato maggiore attenzione a Spagna e Francia che stanno provando a cambiare il sistema televisivo pubblico “decommercializzando” e provando ad attingere risorse in altro modo. Un intervento visto con favore nello studio perché mettere a disposizione della collettività un canale libero da annunci commerciali incrementa la qualità della televisione e permette la diffusione di programmi funzionali alla diversità culturale. È vero che la concorrenza è essenziale, ma i media non possono essere considerati semplicemente come un altro mercato. Non vanno esclusi, quindi, sgravi fiscali e aiuti a patto che la loro concessione sia indipendente da ogni valutazione sui contenuti. Un trattamento particolare deve poi essere riservato al servizio pubblico considerato dal Consiglio d’Europa, in molti documenti, come uno strumento per la costruzione della democrazia, per la tutela dei diritti umani e per la salvaguardia delle diversità culturali (si veda lo studio specifico sul servizio pubblico, CommDH (2011) 41).
Nessun dubbio, poi, che i nuovi media grazie a Internet cambiano gli scenari e consentono maggiore pluralismo, ma c’è un rischio perché lo sviluppo delle reti ha spinto alcuni governi a intervenire così come era accaduto con l’avvento della televisione, ossia con un eccessivo controllo statale.
l’Unità 24.12.11
Città satelliti fantasma
La bolla immobiliare spaventa il colosso Cina
Grattacieli semivuoti, scuole senza bambini, vigili urbani lungo strade deserte L’edilizia sembrava un settore trainante dell’economia e si costruisce ancora ma Pechino ora annuncia una frenata e impone tasse più alte sulla casa
di Gabriel Bertinetto
Gengis Khan, imperatore a corto di sudditi. Nella grande piazza di Kangbashi la sua statua troneggia in solitudine. Una città progettata e costruita per ospitare almeno un milione di persone mostra tutto il suo spettrale splendore di palazzi disabitati, cinema senza spettatori, scuole a frequenza zero, negozi che non si sono mai riempiti né di merci né di compratori, larghe arterie stradali dove scorre lentissimo solo il tempo e il traffico è assente. Un’immensa e ordinata colata di cemento e asfalto spicca nel cuore desertico della Mongolia interna cinese. Attorno al luogo in cui sino a sei anni fa non c’era che un minuscolo villaggio, si estende su una superficie di 35 chilometri quadri il nuovo, e assai ipotetico, capoluogo della prefettura di Ordos.
Fenomenale investimento edilizio basato sul pronostico di eventi che non si sono materializzati. Grazie al sottosuolo zeppo di carbone e gas naturale (rispettivamente un sesto e un terzo delle risorse nazionali), il reddito medio degli abitanti del luogo è uno dei più alti di tutta la Cina. C’erano le premesse perché i nuovi ricchi locali investissero in quello che si prospettava come un grosso affare. Ed effettivamente quasi tutti gli appartamenti sono stati comprati subito, sulla carta. Acquisti speculativi, effettuati nella previsione di rivendere a breve scadenza o affittare a caro prezzo. Ma in quelle case ad abitare non ci vuole andare nessuno. A tutt’oggi a Kangbashi vivono poco più di 20mila persone, sperdute, pressoché invisibili.
Follie del deserto mongolo? Spostiamoci duemila chilometri a sudest, alle porte di Shanghai, capitale del miracolo economico cinese.
Sembra Kangbashi, ma si chiama Lingang.
Città satellite sorta in espansione circolare attorno a un rotondo lago artificiale largo tre chilometri. In sei anni a partire dal 2005 sono stati spesi complessivamente oltre 16 miliardi di euro. Quaranta chilometri di strade. Ventiquattro ponti. Canali e giardini. Condomini, uffici, e centri commerciali. C’è davvero tutto quello che serve a una articolata e funzionante convivenza urbana. Mancano solo i fruitori. Chi l’ha visitata di recente, ha notato netturbini e vigili urbani al lavoro per ripulire marciapiedi che nessuno sporca e garantire l’ordinata circolazione di vetture che non passano mai. Degli 800mila abitanti previsti entro il 2020, a Lingang per ora non si vede l’ombra.
Kangbashi, Lingang. Non sono casi isolati. Il territorio della Repubblica popolare è costellato di città o quartieri tirati su in gran fretta nell’entusiastica illusione di uno sviluppo illimitato. Le banche hanno imprestato senza freni a imprese e individui accecati dal miraggio di un arricchimento facile e quasi inevitabile. I prezzi sono saliti vertiginosamente. Parte di coloro che si erano indebitati per inseguire il miraggio edilizio, non riescono più a pagare le rate. Parte di coloro che hanno investito nel mattone, si ritrovano proprietari di un bene di cui non possono disporre perché scarseggiano ormai gli acquirenti. Tanto che i prezzi stanno ora scendendo altrettanto precipitosamente di quanto erano cresciuti.
In altre parole in Cina si sta passando dal boom alla bolla. All’orizzonte del miracolo economico cinese si profila l’incubo vissuto negli ultimi anni da centinaia di migliaia di persone in Occidente, tra case requisite a debitori insolventi, imprese costrette a chiudere, banche sull’orlo della bancarotta.
Pechino annusa il pericolo. E vara misure per contenere la spirale inflazionistica, ad esempio imponendo limiti all’erogazione del credito, mentre viene allo scoperto la «fragilità» del sistema bancario cinese.
Secondo il Fondo monetario internazionale, le banche locali sono abbastanza robuste da sostenere crisi isolate, ma verrebbero travolte dal cumulo fra eccesso di emissioni creditizie ed esplosione della bolla immobiliare. «Sembrano costruite sulla sabbia», commenta Jim Chanos, presidente del fondo di investimento Kynikos, che ha deciso di vendere le proprie quote nella Banca dell’Agricoltura, una delle più grandi in Cina, proprio mentre lo Stato, attraverso il Fondo governativo di sicurezza ha iniziato a comprare azioni delle quattro maggiori banche nazionali, per proteggerle dal rischio di un ulteriore indebolimento.
Recentemente il vice premier Li Keqiang ha dichiarato che «la Cina manterrà le restrizioni vigenti nel mercato». Vale a dire sono confermate le misure varate un anno fa per correggere gli squilibri nel settore edilizio. Fra i provvedimenti per impedire lo scoppio della bolla, tasse più alte sulla casa, e in alcune città il divieto di possederne più di una. In pratica le autorità stanno tentando di rimediare ai guai provocati da loro stesse con l’immissione selvaggia di capitali agli inizi del decennio.
Insomma è tempo di rivedere alcuni luoghi comuni diffusi da qualche tempo in Occidente sulla Cina. Ciambella di salvataggio per i Paesi del Vecchio e Nuovo continente che affogano nei debiti. Inesauribile fucina di prodotti destinati ai mercati esteri. Immenso bacino d’acquisto per le merci in arrivo dall’Occidente. Questo era diventato a poco a poco la Cina nell’immaginario collettivo grazie alla straordinaria crescita degli ultimi anni, lo sviluppo edilizio, la modernizzazione tecnologica. Una foto troppo nitida, cui necessita più di un ritocco per assomigliare di più al vero.
La Stampa 24.12.11
Wall Street manda gli 007 a studiare la crisi cinese
I grandi investitori non hanno dubbi: il Dragone è a rischio
di Francesco Semprini
ROMA Natale Anche a Wall Street gli addobbi natalizi la fanno da padroni Quest’anno la Borsa Usa ha sofferto con tutte le piazze mondiali Ora punta il dito sul rischio cinese: e prepara le sue contromisure
Sono al lavoro da mesi, impegnati a raccogliere ogni indizio utile, a visionare ogni giuntura della mastodontica ossatura del Dragone. Sono gli 007 arruolati dai fondi speculativi, «task force» inviate sul territorio cinese con l’obiettivo di raccogliere dati, filtrarli, ed elaborarli per consentire la formulazione di strategie a prova di crisi.
Sempre più spesso basate su scommesse al ribasso. Perché lo tsunami finanziario dopo aver travolto Stati Uniti ed Europa, farà rotta verso l’Estremo oriente. Ne sono convinti molti hedge fund che da mesi inviano i loro 007 a Shenzen, Guangzhou o Pechino per capire di che magnitudo possa essere il rischio cinese. Emerging Sovereign Group, il fondo controllato per il 50% dal private equity Carlyle, ha spiegato al Financial Times di aver parlato chiaro ai propri clienti: «Pensiamo che il prossimo atto della crisi andrà in scena in Oriente», nonostante le misure aggressive varate dal governo cinese per far fronte alla recessione. C’è da temere, commentano gli analisti, non solo perché Esg è un’autorità in materia (ha fiutato prima di altri la crisi in casa euro). Ma anche per la volatilità degli indicatori: l’indice Shanghai Composite da aprile ha registrato una contrazione del 27%, il Pil cinese ha rallentato la corsa dal 10,4% del 2010 al 9,2% del 2011, e le previsioni per il 2012 lo danno a +8,3%.
Si è contratto il rapporto tra consumi privati e crescita, mentre le fonti di finanziamento si sono ridotte, per non parlare delle perdite di novembre registrate dal manifatturiero. «Questo può dare un’idea delle dimensioni della debolezza», dicono gli strateghi di Brevan Howard, hedge fund con 32 miliardi di asset gestiti, secondo cui il problema è costituito anche dai dati governativi che offrono solo una visione parziale. Ecco così che per far fronte ai lati oscuri della comunicazione pechinese spiega Ft alcuni fondi come Glg Partners hanno arruolato squadre di 007 da inviare sul territorio.
A pensar male del resto non si sbaglia del tutto: c’è chi a scommettere contro la Cina ci ha guadagnato e come, specie nell’ultimo anno. Ariose China Growth Fund, ad esempio, ha registrato un rimbalzo del 35% nei ricavi, mentre Hugh Hendry, il guru scozzese di Eclectica Asset Management che con il suo «China Short» ha messo a segno un +52%. Come? Puntando al ribasso su titoli del settore automobilistico ma soprattutto immobiliare. Il «real estate» sembra essere il tallone d’Achille della seconda economia mondiale, anche perché rispetto agli Usa, dove sono stati privilegiati i consumi, le risorse finanziarie liberate dal governo cinese sono confluite per la gran parte in infrastrutture e mattone, generando effetti inflattivi. Da qualche tempo però si sta registrando un calo nel valore degli immobili, un’ombra sull’orizzonte economico nazionale e non solo. Tanto da permettere ad Hendry di conquistare l’appellativo di nuova Cassandra per il video girato nel 2009 in un distretto finanziario di Guangzhou desolato, tra grattacieli quasi vuoti e palazzi semideserti. La sua clip è cliccatissima su YouTube. Nel 2011 degli spazi adibiti ad uso ufficio risultano vuoti il 14% a Shanghai e il 9% a Pechino, mentre «le vendite immobiliari a settembre e ottobre, i mesi di maggior fermento, sono calate dal 40 al 60% su base annuale», avverte James Chanos, fondatore del fondo Kynikos Associates. Il gestore di origini elleniche è convinto che la bomba cinese sarà mille volte più potente di quella di Dubai e per questo ammonisce le agenzie di rating per i «giudizi rosei» elargiti al Dragone: «Attenti l’hard landing della Cina è già cominciato».
E questa volta Pechino sembra poter far poco rispetto al 2008, spiega Gordon Chang, autore de «Il prossimo collasso della Cina». Il paese sta andando incontro a una transizione politica come ne avvengono una ogni dieci anni, «destinata a proseguire sino al 2014 quando la nuova leadership si sarà stabilmente insediata». Questo secondo Chang crea una semiparalisi ai vertici di Pechino per la quale i «tecnocrati possono adottare solo modeste misure destinate a rivelarsi inadeguate».
La Stampa 24.12.11
Continua la repressione della “rivoluzione dei gelsomini”
Cina, Chen Wei condannato a 9 anni per quattro articoli pubblicati sul Web
di Ilaria Maria Sala
HONG KONG Giro di vite
Protesta in Cina Sono sempre più limitate le possibilità di espressione dei dissidenti anche su Internet
Finisce con una sentenza durissima il tentativo di portare in Cina una ventata di gelsomini: l’attivista per i diritti umani Chen Wei, 42 anni, detenuto da 10 mesi, è stato condannato ieri a 9 anni di prigione per aver scritto quattro articoli su Internet, inneggiando alla nascita della società civile in Cina, nello scorso febbraio, quando alcuni dissidenti cinesi avevano auspicato delle proteste che si ispirassero alle rivolte mediorientali.
Gli articoli, alcuni dei quali ospitati da siti esteri quali Human Rights in China, un’organizzazione di dissidenti in esilio, chiedevano il diritto alla libertà di espressione, e sono costati a Chen la condanna per «incitamento alla sovversione del potere di Stato». Uno dei più letti si intitola semplicemente «Le malattie del sistema, e la democrazia costituzionale come medicina»: ma evidentemente già questo è stato troppo per le autorità cinesi.
Il processo si è tenuto nella città di Suining, nel Sichuan, ed è durato meno di due ore. Secondo quanto dichiarato dall’avvocato di Chen, Zhen Jianwei, l’attivista non ha nemmeno potuto rilasciare una dichiarazione, ed ha potuto consultarsi con il suo legale appena due volte da febbraio. La pena è di gran lunga la più severa comminata alle più di 130 persone arrestate dall’inizio dell’anno dopo il tentativo di «rivolta dei gelsomini», ed è paragonabile solo alle pene durissime subite dal Nobel per la Pace Liu Xiaobo, condannato a Natale del 2009 a 11 anni, e da Liu Xianbin, condannato a 10 anni per aver scritto articoli pro-democrazia.
In tutti e tre i casi, si tratta di attivisti che hanno avuto un ruolo importante nelle proteste di Tiananmen del 1989, e che hanno già scontato pene detentive per la loro partecipazione a quel movimento. Chen Wei torna in prigione per la terza volta, sempre per reati d’opinione: dopo due anni di carcere per il suo ruolo a Tiananmen, infatti, Chen venne nuovamente condannato nel 1992 per aver cercato di organizzare una commemorazione pubblica del massacro di Pechino che mise fine alle proteste del 1989, e trascorse cinque anni dietro le sbarre. Inoltre, tutti e tre gli attivisti sono fra le centinaia di firmatari della Carta 08, un testo prodemocrazia ispiratosi alla Carta 07 cecoslovacca, in parte scritto da Liu Xiaobo, che chiedeva alle autorità cinesi vaste riforme politiche.
Chen, ha fatto sapere l’avvocato, avrebbe deciso di non richiedere un processo d’appello, ma ha ribadito la sua innocenza, e dichiarato che «la democrazia prevarrà». Oltre ai nove anni di prigione, Chen dovrà anche scontare due anni aggiuntivi di interdizione dai pubblici uffici.
Immediatamente, numerosi gruppi per i diritti umani, da Amnesty International e Pen International all’organizzazione cinese in esilio Chinese Human Rights Defenders hanno condannato la sentenza, chiedendo l’immediata liberazione di Chen.
La Primavera dei Gelsomini cinese, prima ancora di essere riuscita a sbocciare, si conclude con un pesante inverno. "Il processo è durato due ore. Il dissidente era stato già in prigione per Tiananmen"
l’Unità 24.12.11
Dura condanna per il dissidente Chen leader di Tienanmen
Chen Wei, attivista dei diritti umani in Cina ed ex leader delle proteste di piazza Tienanmen nel 1989 e firmatario di Charta 08, la petizione che chiedeva riforme al regime, è stato condannato a 9 anni di carcere per «sovversione». Chen era stato arrestato lo scorso febbraio insieme ad altri dopo aver cercato di organizzare manifestazioni contro il regime
sull’onda delle rivolte arabe. La corte di Suining nella provincia di Sichuan ha condannato il 42enne dissidente dopo un processo durato tre ore nel quale gli sono stati contestati alcuni scritti critici nei confronti del partito comunista cinese. La condanna «per incitamento alla sovversione del potere dello stato» è stata una delle più dure comminate agli attivisti arrestati nell’ultimo anno. Chen ha ribadito in aula la sua innocenza aggiungendo: «La democrazia alla fine prevarrà e i dittatori cadranno». I suoi legali hanno riferito che non presenterà appello.
il Riformista 24.12.11
E la Cina (in Usa) scopre il fascino della religione
I giovani mandati a studiare nelle scuole private della “bible belt” si convertono sempre più spesso al cristianesimo. E il risveglio religioso spaventa anche il Partito, che si arrocca in difesa dell’ateismo
di Andrea Pira
Attraversano l’oceano, studiano e si convertono. I giovani cinesi scoprono la religione seduti tra i banchi delle scuole private confessionali della Bible belt americana, nel sudovest degli Stati Uniti. Se il proselitismo è vietato oltre la grande Muraglia, ha rivelato un’inchiesta di Bloomberg Businessweek, sempre più scuole protestanti, e in misura minore cattolica, svolgono opera missionaria in cattedra.
«In Cina non sarei potuta diventare cristiana» ha raccontato al settimanale Wu Haiying, 21 anni, ex studentessa alla Ben Lippen High School in South Carolina, dove arrivò su consiglio di un suo insegnante di inglese in Cina, un cristiano rinato. «Affinché una persona decida di convertirsi occorre tempo. Il forte spirito religioso che pervade la Ben Lippen ti fa quasi sentireindoverediavvicinartial cristianesimo».
Dei 108 studenti stranieri dell’istituto, 80 sono cinesi. Una «larga minoranza» si avvicina alla religione, ha spiegato il direttore del programma di inserimento, Emery Nickerson, convinto che il governo di Pechino non sarebbe contento quanto lui delle conversioni. Superato lo smarrimento iniziale, i ragazzi, catapultati senza preparazione in un ambiente di ferventi cristiani, fanno una scelta gradita ai dirigenti scolastici ma che lascia senza parole i genitori.
Gli insegnanti, i compagni di scuola, le famiglie che li ospitano, sono coinvolti nell’opera di proselitismo. «Persone che tengono talmente agli studenti cinesi tanto da volere che conoscano Gesù Cristo come lo conosciamo noi», ha sottolineato un ex direttore della scuola. Per i genitori cinesi, spiegano i consulenti, gli istituti confessionali garantiscano solidi valori morali, una preparazione adeguata e rette più economiche.
Gli Usa sono inoltre considerati una nazione cristiana, dunque questo tipo di scuole sono percepite come parte della cultura statunitense. Oltre ai corsi d’inglese, indispensabili per molti ragazzi che spesso mentono sulla loro reale conoscenza della lingua, si affiancano letture della Bibbia e partecipazione ai culti.
«Pechino è confusa ha detto al settimanale Daniel Bays, esperto di cristianità in Cina Il governo non può impedire ai genitori di mandare i figli a studiare all’estero. Teme il loro rientro in patria, ma non può farci molto». I cristiani in Cina oscillano tra gli 80 milioni e 125 milioni. Di questi, 12 milioni sono cattolici, divisi tra i 5 milioni di affiliati all’Associazione patriottica legata al Partito comunista e i fedeli delle chiesa sotterranea allineati al papa. Sebbene dal 1949 la Repubblica popolare sia uno Stato ufficialmente ateo, nel Paese convivono diverse religioni, dal buddhismo al taoismo, dal cristianesimo all’islam, sia nella sua versione uigura, sia tra i cinesi Hui, l’unica minoranza a distinguersi esclusivamente su base religiosa dal resto della popolazione.
Il risveglio religioso sembra non aver risparmiato neppure il Partito. Ne è una prova l’intervento del vice presidente del dipartimento per il Fronte unito, Zhu Weiquan, sulle pagine di Cercare la verità, rivista teorica del Comitato centrale del Pcc.
L’alto funzionario, incaricato di gestire il fascicolo Tibet, ha messo in guardia i suoi compagni dal diffondersi di pratiche religiose tra i membri del Partito. Gli oltre 80 milioni di iscritti devono essere atei, ha detto Zhu. «All’internodelPartitoc’èchi spinge per la revoca del divieto a professare una qualche fede. Sostengono che possa essere di aiuto ai quadri e alcuni, addirittura, che il divieto sia anticostituzionale ha aggiunto Ma la nostra politica verso la religione non è cambiata di una virgola».
Frasi pronunciate in chiusura di un anno che ha visto Pechino aprire uno scontro diplomatico con il Vaticano per le ordinazioni episcopali senza l’assenso papale con conseguente scomunica dei vescovi coinvolti; l’assedio al monastero buddhista di Kirti e le autoimmolazioni dei monaci in segno di protesta, e un’attenzione particolare al taoismo come tassello della strategia di soft power cinese.
Corriere della Sera 24.12.11
Anche la Paris Hilton russa scende in piazza contro Putin
Batosta alle urne e molti sospetti
Oggi nuova manifestazione con politici, blogger e star Il popolo scende in strada
MOSCA — Saranno in tanti e tra loro non mancheranno politici di lungo corso, intellettuali famosi, scrittori e vippume vario. Compresa Ksenia Sobchak, nota come Paris Hilton russa, che appena un anno fa si presentava a un'intervista col presidente georgiano Saakashvili (dopo la guerra del 2008) indossando una maglietta col ritratto di Putin, «l'amato premier».
La grande manifestazione di oggi degli indignati russi ha messo in fibrillazione il Paese. Quarantacinquemila persone si sono già impegnate a partecipare sulla pagina di Facebook. Registi, attori e altri personaggi di spettacolo hanno realizzato filmati in cui compaiono con un nastro bianco (come quelli della precedente dimostrazione che Vladimir Putin aveva scambiato per profilattici) con su il proprio nome e l'invito a scendere in piazza. La blogosfera è in fermento e ogni metodo appare buono per convincere la gente a non starsene a casa. Compreso quello escogitato da un sito che esorta le ragazze a non farsi scappare l'occasione di incontrare migliaia di maschi giovani, benestanti e intelligenti. Si, perché secondo tutte le rilevazioni, coloro che protestano sono soprattutto professionisti e intellettuali che vivono nelle grandi città, in particolare la capitale e San Pietroburgo. I membri di quelle che lo stratega del Cremlino Vladislav Surkov aveva bollato come «comunità urbane annoiate». Ma delle quali oggi Putin e il presidente Dmitrij Medvedev hanno deciso di tenere conto, per cercare di evitare danni peggiori.
E l'annuncio di una serie di misure per allentare la «democrazia guidata» è stato accolto con favore dal Consiglio d'Europa: «passi importanti per rafforzare la democrazia in Russia». Un giudizio che certamente ha fatto molto piacere al Cremlino, dove si sta cercando in tutti i modi di riportare la protesta sotto controllo, incanalandola verso lidi diversi da quelli dove sono approdate tutte le varie rivoluzioni colorate (Georgia, Ucraina, eccetera).
Così lo stesso Surkov, del quale peraltro Putin si starebbe per liberare, ha affermato in un'intervista che «il sistema è già cambiato». Le istanze della protesta, sarebbe il messaggio, sono già state accolte dal potere. Anche il capo della chiesa Kirill, che nei giorni scorsi si era lasciato andare a dichiarazioni che parevano incoraggiare i manifestanti, ieri ha espresso grande cautela: l'informazione che proviene dai network sociali rende i russi «particolarmente vulnerabili di fronte a manipolazioni». Il popolo farebbe bene a non farsi corrompere da questi siti. Il timore, ovviamente, è che agenti stranieri stiano operando nell'ombra per organizzare una rivoluzione, come ha più volte detto lo stesso Putin.
Intanto i manifestanti vanno avanti. Dopo il rifiuto di due strade vicino al Cremlino, hanno ottenuto dalle autorità la via intitolata ad Andrej Sakharov. Ci saranno praticamente tutte le opposizioni democratiche. Per non scontentare nessuno, gli oratori saranno 19, compresi famosi scrittori come B. Akunin e Dmitrij Bykov. Interverrà anche il blogger Aleksej Navalny, che ha scontato 15 giorni di carcere per la precedente dimostrazione.
Probabilmente salirà sul palco anche Mikhail Gorbaciov, che all'inizio aveva appoggiato in pieno Putin. «Mi sentivo veramente legato a lui, ma ora?» si è chiesto l'ex presidente sovietico. Le cose dette dal premier dopo le precedenti proteste (i profilattici e il resto) lo hanno veramente colpito: «Sono dispiaciuto. E provo veramente vergogna».
Come la Sobchak, anche altri personaggi famosi hanno deciso di cambiare fronte. La piazza sta diventando un luogo cool dove essere. E poi sono già migliaia gli utenti che hanno visto il filmato che si richiama al sito di relazioni sociali «teamo» (http://www.newsru.com/russia/23dec2011/kanun.html). Il messaggio è esplicito. All'ultima manifestazione c'erano tra 25 e 60 mila persone, per il 70% maschi. Il 65% aveva meno di 35 anni e l'80% disponeva di un reddito superiore alla media. Il 50% non era sposato. «Tiriamo le somme: migliaia di uomini perfetti e liberi; andiamo in piazza!».
Fabrizio Dragosei
Corriere della Sera 24.12.11
«Brogli in serie, a Mosca una democrazia da preistoria»
di Virginia Piccolillo
ROMA — Non c'è solo la piazza a chiedere conto a Vladimir Putin dei brogli. Il bureau dell'assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ha preso una decisione senza precedenti in Russia: inviare per la terza volta gli osservatori. Andrea Rigoni, deputato italiano che farà parte della missione di post-monitoraggio, spiega perché: «Ci sono evidenze di irregolarità, per giunta "poco professionali"».
Poco professionali?
«Già, non sono avvenuti come al solito nei paesini, ma persino nella capitale. Segno del grande nervosismo che ha preso il governo di fronte alla protesta. Per la prima volta Putin ha sentito un brivido: qualcosa potrebbe cambiare».
Quali evidenze ci sono del voto truccato?
«Ci sono video girati con i telefonini di cui blog come Golos sono pieni. Ci sono testimonianze: anche di fronte a uno di noi c'è chi ha inserito più di una scheda nell'urna».
E lui cosa ha fatto?
«Nulla. Il problema è che noi possiamo solo osservare».
Quali sono le tecniche di broglio?
«Oltre allo stuffing vote con pacchi di schede precompilate inserite nell'urna, c'è l'home vote, basta telefonare e dire che si è malati e il seggio viene a casa tua. E il bussing vote: blocchi di persone trasferite in pullman da un seggio a un altro per votare più volte».
E come viene consentito?
«Esiste il certificato di assenza dal proprio luogo di residenza, per chi lavora in un'altra città, che consente di votare altrove. Al seggio non c'è possibilità di controllare se lo ha già fatto e lo si lascia votare. Sono state verificate firme assimilabili alla stessa persona. Interi uffici hanno fatto il tour del voto».
Ma chi li portava a votare?
«Tutte le autorità statali hanno fatto propaganda per il partito di governo. In più c'è stata una fase pre-elettorale molto burocratizzata e controllata che ha fatto da sbarramento. Molte forze politiche non sono state registrate dal ministero della Giustizia (dunque dal governo) e non hanno potuto candidarsi. Quando sono andato alla commissione centrale elettorale, per verificare il trasferimento dei dati, io sono passato, ma il mio interprete no. Delle centinaia di contestazioni documentate solo 23 sono state accolte. Si dà per scontato che un margine di brogli esista sempre. Però la Russia non può rimanere all'età della pietra della democrazia».
Cosa accadrà al termine della vostra missione a Mosca?
«Il plenum dell'assemblea deciderà, se la situazione resta questa potrebbero scattare censure o sanzioni».
Putin è caustico con la protesta.
«È molto preoccupato. Con queste percentuali di voto alle presidenziali potrebbe essere costretto ad andare al ballottaggio. Sente che c'è una frattura interna. Non è più lo zar».
Repubblica 24.12.11
Mosca torna in piazza contro Putin Anche Gorbaciov sale sul palco
MOSCA La Russia torna in piazza contro Putin e prepara nuove cifre da record. Se l´8 dicembre i centomila di piazza Bolotnaja hanno messo in allarme il governo urlando contro i brogli e le censure, adesso si prepara una scossa ancora più forte. Nel grande raduno previsto per oggi sulla piazza delle Tre Stazioni, ci sarà una folla ancora più grande. E sul palco, a godersi dopo vent´anni una platea così vasta, ci sarò anche Mikhail Gorbaciov, il padre della perestrojka. L´annuncio della sua partecipazione convincerà altre migliaia di cosiddetti moderati a partecipare alla protesta. In un´intervista a Novaja Gazeta, il giornale della giornalista assassinata Anna Politkvoskaja, Gorbaciov ha ammesso di «provare profonda vergogna» per aver appoggiato inizialmente la presa di potere di Putin e dei suoi. Con Gorbaciov ci saranno lo scrittore Boris Akunin, che ha scoperto la politica dopo il voto palesemente truccato del 4 dicembre. Il titubante leader del partito democratico Jabloko. Il cantante rock Jurij Shevciuk, leader del gruppo Ddt entrato quasi per caso tra le fila dei ribelli dopo un diverbio pubblico con Putin. Daranno forza ai leader naturali delle proteste: l´ex vicepremier eltsiniano Boris Nemtsov, l´ecologista Evgenja Chirikova e il blogger anticorruzione Aleksej Navalnjy, atteso da decine di migliaia di fans dopo il suo arresto e 15 giorni di carcere. Pensata come un grande evento, più un concerto che un comizio, la manifestazione costerà tutti i centomila euro raccolti nel porta a porta. Previsto il nastro bianco come segno di protesta, le foto di Vaclav Havel per onorare la memoria dell´intellettuale ceco ignorato dal Cremlino e il solito slogan: «Via il partito dei ladri».
(n. l.)
Repubblica 24.12.11
Sangue a piazza Tahrir, il furo di una rivoluzione
di Tahar Ben Jelloun
Gli avvenimenti in atto a piazza Tahrir, in Egitto, ci obbligano a rettificare alcuni dati divulgati da tutti noi, che però sono errati. Ciò che è accaduto un anno fa in Egitto non era una rivoluzione, bensì un colpo di stato militare. Mubarak non ha lasciato il Paese sotto la spinta dei manifestanti, per quanto numerosi e decisi, ma per volontà di una giunta militare che non gli ha lasciato altra scelta.
Questo punto è essenziale per comprendere la violenza della repressione scatenata dall´ottobre scorso contro gli egiziani e le egiziane. L´esercito ha preso il potere, facendo credere che sarà il popolo a governare il Paese. Grave errore. Il popolo è rimasto per le vie e sulle piazze, e ha creduto di essersi sbarazzato dalla dittatura di un capo corrotto. Ma purtroppo la verità è un´altra: l´esercito ha mantenuto lo stato d´emergenza decretato 50 anni fa. Il 9 ottobre scorso, alcune auto blindate hanno investito 27 manifestanti che si ribellavano contro le aggressioni ai danni dei copti; e il 19 novembre lo stesso esercito ha ucciso 50 manifestanti e tradotto davanti a tribunali speciali migliaia di insorti, condannati a pene pesanti. L´esercito non intende cedere neppure un grammo del suo potere, e soprattutto dei suoi privilegi. Come già Sadat, Mubarak aveva colmato i militari di favori: sapeva che in questo modo li avrebbe placati, evitando un colpo di stato. Ma nel gennaio scorso, quando tra il clamore popolare milioni di persone hanno occupato piazza Tahrir, così come i rivoluzionari francesi avevano preso Place de la Bastille, i militari non potevano contrapporsi a quella forza popolare, quando già si contavano centinaia di morti e di dispersi. Hanno dunque giocato il gioco della rivolta, mentre in segreto si preparavano a prendere il potere.
Il 20 dicembre migliaia di donne hanno manifestato specificamente contro le violenze dei soldati ai danni delle manifestanti arrestate. Ieri una di loro ha dichiarato davanti alle telecamere: «Mi hanno pestata, mi hanno strappato i vestiti di dosso. Ero nuda, ma nei miei occhi non c´era paura». Un´altra manifestante brandiva un giornale con la fotografia di tre soldati mentre trascinano a terra, come un animale, una donna a metà denudata, gridando: «L´Egitto senza dignità è un Egitto senza vita!».
I militari invitano le donne a restarsene a casa. Ma il 25 gennaio scorso queste donne hanno dato il via alla rivolta. Come chiedere loro di tornare in silenzio a fare le casalinghe? In ogni epoca, l´Egitto ha avuto le sue combattenti: non sono donne sottomesse né rassegnate. Se oggi Hillary Clinton dichiara che quanto avviene in Egitto è una vergogna per lo Stato, dimentica però di dire che il governo americano era stato messo al corrente del modo in cui i militari hanno destituito Mubarak per prendere il potere. Nessuno lo rimpiange, ma tutti esigono che sia giudicato, e soprattutto che riporti nel Paese i miliardi di dollari da lui rubati e depositati presso banche straniere. I militari non seguono questa via. Stanno rubando la rivoluzione del popolo, mentre le elezioni danno favoriti i fratelli musulmani.
Ora queste elezioni non sono democratiche, nella misura in cui si intende la democrazia come una cultura, una tradizione radicata nelle mentalità. In Egitto, come in Marocco e in Tunisia, la democrazia ha funzionato in quanto tecnica. Ma votare non basta per essere democratici: occorre difendere i valori fondamentali che sono alla base di un sistema democratico. Ora, la religione è incompatibile con la democrazia (si è ben visto ciò che ha dato la democrazia cristiana in Italia).
Quella che aveva preso il nome di "primavera araba" sta perdendo i suoi colori, e trascolora oramai verso il rosso: rosso sangue.
(Traduzione di Elisabetta Horvat)
Corriere della Sera 24.12.11
Cuba, amnistia anche per reati politici
Cuba a sorpresa annuncia la liberazione di circa tremila prigionieri, alcuni dei quali condannati per crimini contro la nazione. Ossia prigionieri politici. Il presidente Raul Castro ha comunicato ieri un'amnistia senza precedenti per «ragioni umanitarie». Tra i prigionieri vi sarebbero anche 86 stranieri di 25 Paesi diversi. L'amnistia dovrebbe divenire effettiva nei prossimi giorni, come ha dichiarato il presidente Castro in chiusura della seconda sessione annuale dell'assemblea nazionale cubana. Non ha, però, precisato se verrà scarcerato anche l'americano Alan Gross, condannato nel mese di marzo a 15 anni di carcere con l'accusa di spionaggio. Il governo cubano aveva già liberato più di 100 prigionieri politici nel 2010, dopo l'intercessione della Chiesa cattolica. E forse dietro quest'ultimo annuncio potrebbe esserci la prossima visita di Benedetto XVI il prossimo aprile.
Repubblica 24.12.11
Eros e Amore
Il senso della vita secondo Gesù
di Eugenio Scalfari
SCALFARI "Noi abbiamo una mente riflessiva che ci consente di pensare noi stessi e di vedere le nostre azioni Ma nell´economia dell´Universo siamo solo un piccolo evento"
MARTINI "Il Vangelo dice: ama il tuo prossimo come ami te stesso. Lei ama gli altri?" SCALFARI "I diversi da me li tollero, in qualche caso li amo. Ma gli ingiusti no"
Due punti di vista partiti da premesse diverse cercano nella giustizia nella carità e nel perdono una prospettiva comune
Eugenio Scalfari e il cardinale Martini ragionano sui nodi che stringono fede ed esistenza terrena
MARTINI "Il dubbio mi tormenta spesso, fa parte della nostra condizione di uomini e non di angeli Chi non si cimenta con esso, crede in maniera poco intensa"
In fondo ad un lungo corridoio una porta a vetri si apre su una piccola stanza dove scorre il tempo di Carlo Maria Martini, già arcivescovo di Milano, biblista, pastore di anime e di coscienze, cardinale di Santa Romana Chiesa. Siede su una poltrona accanto ad una finestra dalla quale si vedono un pezzo di cielo e un cipresso.
Accanto a lui c´è il suo assistente, don Damiano, che è quasi la sua ombra, lo aiuta a muoversi, gli somministra le medicine alle ore stabilite, lo accompagna nei suoi spostamenti ormai rari. Non è frequente che un gesuita diventi cardinale e ancor meno frequente che sia stato alla guida della diocesi più importante d´Europa, ma Martini è un´eccezione per tante cose ed anche per la sua carriera ecclesiastica.
A me è capitato di vedere molto da vicino i gesuiti in una fase particolare della mia vita: avevo vent´anni, era il 1944, Roma era occupata dai nazisti; i giovani di leva e gli ebrei erano ricercati dalle SS, la polizia militare del Reich, ed io trovai rifugio insieme ad un centinaio di altri giovani nella Casa del Sacro Cuore dove i gesuiti gestivano i cosiddetti "esercizi spirituali". Duravano al massimo una settimana, ma nel nostro caso durarono più d´un mese. La Casa era extra-territoriale, con bandiera del Vaticano alla finestra e guardie palatine al portone.
Poiché, come ci disse il padre rettore, i gesuiti non dicono bugie, gli esercizi spirituali dovemmo farli in piena regola sebbene tra di noi ci fossero molti ebrei e alcuni non credenti.
Per me fu una preziosa esperienza anche perché il rettore era padre Lombardi, un prete di notevole personalità e grande finezza intellettuale cui in seguito fu dato il soprannome di "microfono di Dio" per le sue attività che a dire il vero erano più politiche che pastorali.
I gesuiti che conobbi in quell´occasione e che guidavano le "meditazioni", celebravano la messa e le altre funzioni religiose che costellavano la nostra giornata, li osservai con molta attenzione; il rettore, quando ci separammo, mi propose addirittura di iscrivermi all´Università Gregoriana, eravamo entrati in confidenza ed anche in polemica durante una serie di dibattiti su Sant´Agostino e su San Tommaso.
Ricordo queste vicende personali per dire che i gesuiti che conobbi allora non somigliavano in nulla a Carlo Maria Martini. Erano molto accoglienti e amichevoli, ma piuttosto arcaici nel loro modo di considerare la religione; Martini invece è pienamente coinvolto nella modernità di pensiero. Quanto all´intensità della fede, non sta certo a me misurarla; dico solo che la fede di Martini ti fa pensare perché emerge dal suo profondo; quella che si respirava al Sacro Cuore aveva invece un sentore di sacrestia piuttosto sgradevole per chi come me la fede non ce l´ha e neppure sente il bisogno di cercarla.
Vi domanderete allora quale sia la ragione per la quale io frequenti Martini e lui accetti di buon grado questa frequentazione. La mia risposta è che siamo sulla stessa lunghezza d´onda, ci sentiamo in sintonia l´uno con l´altro e il motivo probabilmente è questo: ci poniamo tutti e due le stesse domande: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo. Sembrano essere diventante un luogo comune queste domande e forse lo sono, ma continuano a costituire la base d´ogni filosofia e d´ogni conoscenza. Le nostre risposte spesso differiscono ma talvolta coincidono e quando questo avviene per me è una festa e spero anche per lui.
Il nostro di oggi è il quarto incontro che ho avuto con lui; è il 6 dicembre, fuori piove, siamo nella casa di riposo della Compagnia di Gesù a Gallarate in un edificio che fu donato alla Compagnia una cinquantina d´anni fa dalla famiglia Bassetti. Gli incontri precedenti sono avvenuti nel 2009 e nel 2010, ma il primo fu un dibattito che avvenne a Roma alla fine degli anni Ottanta a palazzo della Cancelleria, organizzato da don Vincenzo Paglia, della comunità di Sant´Egidio.
Il cardinale è ammalato di Parkinson, è lucidissimo, ma cammina con difficoltà. Da qualche tempo il male gli ha molto affievolito la voce che è diventata quasi un soffio, ma don Damiano ha imparato a leggere dal movimento delle sue labbra le parole senza voce e le traduce per renderle comprensibili.
Il nostro colloquio qui trascritto è stato rivisto dal cardinale: le difficoltà della comunicazione rendevano necessario il suo "imprimatur".
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Scalfari Vorrei cominciare il nostro dialogo da un nome e dalla persona che lo portava: Gesù. Per me quella persona è un uomo nato a Betlemme, dove i suoi genitori Giuseppe e Maria che vivevano a Nazareth si trovavano occasionalmente il giorno e la notte del parto. Per lei, eminenza, quel bambino è il figlio di Dio. Sembrerebbe che la differenza tra noi su questo punto sia dunque incolmabile. Eppure è proprio quel nome che ci unisce. Lei lo chiama Gesù Cristo, io lo chiamo Gesù di Nazareth; per lei è Dio che si è incarnato nel Figlio, per me è un uomo che è creduto essere il Figlio e in quella convinzione ha vissuto gli ultimi tre anni della sua vita, gli anni della predicazione e poi della "passione" e del sacrificio. Ma la predicazione è appunto quel tratto della sua vita che ci unisce. Ho pensato molto all´incontro di due persone già avanti negli anni che vengono da educazioni, culture e percorsi di vita così diversi che sono desiderosi di conoscersi sempre più e sempre meglio. Ha un senso tutto questo? Qualche volta penso che lei speri di convertirmi, di farmi trovare la fede. Questo rientrerebbe nei suoi compiti di padre di anime. È questo che lei si propone?
Martini No, non penso di convertirla anche se non possiamo escludere né io né lei che ad un certo punto della sua vita la luce della fede possa illuminarla. Ma questa è un´eventualità che riguarda solo lei. Lei cerca il senso della vita. Lo cerco anch´io. La fede mi dà questo senso, ma non elimina il dubbio. Il dubbio tormenta spesso la mia fede. È un dono, la fede, ma è anche una conquista che si può perdere ogni giorno e ogni giorno si può riconquistare. Il dubbio fa parte della nostra umana condizione, saremmo angeli e non uomini se avessimo fugato per sempre il dubbio. Quelli che non si cimentano con questo rovello hanno una fede poco intensa, la mettono spesso da parte e non ne vivono l´essenza.
La fede intensa non lascia questo spazio grigio e vuoto. La fede intensa è una passione, è gioia, è amore per gli altri ed anche per se stessi, per la propria individualità al servizio del Signore. Il Vangelo dice: ama il tuo prossimo come ami te stesso. Non c´è in questo messaggio la negazione dell´amore anche per sé, l´amore – se è vera passione – opera in tutte le direzioni, è trasversale, è allo stesso tempo verticale verso Dio e orizzontale verso gli altri. L´amore per gli altri contiene già l´amore verso Dio. Lei ama gli altri?
Scalfari Non sempre, non del tutto. Mentirei se dicessi che amo gli altri con passione come amo alcune persone a me vicine e mentirei se dicessi che l´odio è un sentimento a me ignoto. Detesto l´ingiustizia e odio gli ingiusti. I diversi da me li tollero e in qualche caso li amo pensando che la loro diversità sia ricchezza. Ma gli ingiusti no.
Martini Forse lei ricorderà che sul tema dell´ingiustizia abbiamo molto discusso nel nostro precedente incontro.
Scalfari Lo ricordo benissimo. Io le domandai quali fossero i peccati più gravi e lei mi rispose che la precettistica della Chiesa enumera una serie di peccati numerosa. In realtà – mi disse e io l´ho trascritto fedelmente nell´articolo che feci dopo quel nostro incontro – il vero peccato del mondo è l´ingiustizia, dal quale gli altri discendono.
Martini Sì, lei ricorda bene, dissi così. Ma forse non approfondimmo abbastanza che cosa intendevo con la parola ingiustizia.
Scalfari Può spiegarlo adesso.
Martini Ebbene l´ingiustizia è la mancanza di amore, la mancanza di perdono, la mancanza di carità e il sentimento di vendetta.
Scalfari Lei mi disse anche che il sacramento della confessione e della penitenza, fondamentale per i cristiani, non è più vissuto e praticato come dovrebbe essere.
Martini La penitenza non è quella di recitare dieci "paternostri" ma scoprire la bellezza della carità e metterla in pratica.
Scalfari Mi ricorda il pentimento dell´Innominato del Manzoni nei Promessi sposi....
Martini La lotta contro l´egoismo è molto lunga.
Scalfari Ne deduco che il Creatore ha creato un mondo ingiusto.
Martini Il Creatore ha donato agli uomini la libertà. Essa può generare la solidarietà verso gli altri, ma anche l´egoismo, la sopraffazione, l´amore verso il potere. Ho letto il suo ultimo libro, lei parla di queste cose.
Scalfari Sì, anch´io penso che l´istinto d´amore pervada la vita delle persone ma abbia diverse dimensioni e direzioni. Lei lo chiama amore, io lo chiamo eros, lei chiama il bene carità ed io lo chiamo sopravvivenza della specie, cioè umanesimo. Mi sembra che con parole diverse diciamo la stessa cosa. Gesù, per quanto capisco, tentò il miracolo di cancellare l´amore per se stessi, ma quel miracolo non riuscì.
Martini Gesù non tentò di cancellare l´amore per se stessi, anzi lo mise come misura per l´amore degli altri.
Scalfari Io penso che la vita sia cominciata da un essere monocellulare e poi sia andata vertiginosamente avanti secondo l´evoluzione naturale. Noi abbiamo una mente riflessiva che ci consente di pensare noi stessi e di vedere le nostre azioni, ma nell´economia dell´Universo siamo un piccolo evento: così è nato il mondo e noi tutti e così scomparirà. A quel punto nessun´altra specie sarà in grado di pensare Dio e Dio morirà se nessun essere vivente sarà in grado di pensarlo. Noi non siamo una regola, noi siamo un caso, una specie creata dalla natura, come credo io, o da un dio trascendente come crede lei. Spinoza dice: Deus sive Natura, oppure anche Natura sive Deus. Lei sa che questa concezione della divinità, così intensa come lei ha, sconfina nell´immanenza? Una scintilla di Divinità sta dunque in tutte le creature viventi ed è appunto la vita.
Martini Lei mi domandò nel nostro precedente incontro che cosa io pensassi dell´affermazione del teologo Hans Küng che sostiene la fede verso la vita come la condizione preliminare e necessaria per arrivare alla fede in Dio. Lo ricorda?
Scalfari Sì, ricordo anche che lei era d´accordo con quell´affermazione.
Martini È vero e lo si vede osservando un bimbo appena nato il quale si affida nelle mani dei genitori totalmente. Anche lei è venuto qui nella fiducia che non avrebbe trovato nessuno con un fucile spianato. Questa è una forma primaria di fede.
Scalfari Chiaro. Lei ha detto in un suo scritto che è un errore affermare che Dio sia cattolico.
Martini Sì, l´ho detto. Dio è il Padre di tutte le genti, quindi apporgli l´aggettivo cattolico è limitante.
Scalfari Ammetterà tuttavia che il monoteismo cristiano è assai diverso da quello ebraico e anche da quello dell´islam. In quelle religioni la Trinità sarebbe considerata eresia inconciliabile con il Dio unico. In quelle religioni il Dio unico è innominabile e non raffigurabile, per i cristiani invece ha il nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo ed è stato dipinto e scolpito per millenni. La storia dell´arte occidentale è in gran parte la storia di Dio, del Figlio, della madre del Figlio, dei Santi. Si può dire che il cristianesimo è una religione monoteista? Oppure storicamente è una religione ellenistica?
Martini La Trinità è Dio-comunione. Il Figlio è la Persona con cui il Padre si manifesta agli uomini. Forse il modello "ontologico" con cui si è pensata la Trinità fino ad oggi dovrebbe cedere il passo al modello "relazionale" che aiuterebbe meglio anche il dialogo orizzontale. Quanto ai Santi, non sono solo intermediari tra noi e Dio ma anche testimoni del bene e forse la Chiesa ne ha canonizzati troppi.
Scalfari Dunque quando la nostra specie scomparirà e quando il giudizio universale sarà avvenuto il Figlio non avrà più ragion d´essere e lo Spirito santo neppure.
Martini Non esattamente, il Figlio sarà la beatitudine delle anime che vivranno nella luce.
Scalfari Senza memoria del sé terrestre che hanno abbandonato?
Martini Noi uomini non siamo in grado di sapere queste cose, di conoscere l´aldilà. Sappiamo però che Paolo dice che la Carità non avrà mai fine. Quindi supponiamo che riconosceremo ciò che abbiamo vissuto nell´amore.
Scalfari Dio è il padre di tutte le genti, ma la Chiesa ha fatto del Dio cattolico anche una bandiera d´identità, di guerra e di stragi.
Martini Quando ha fatto questo ha sbagliato. La Chiesa, come tutte le istituzioni terrene, contiene il bene ed il male ma è depositaria di una fede e di una carità molto grandi. Anche Pietro rinnegò.
Scalfari Forse è troppo istituzione.
Martini Forse è troppo istituzione.
Scalfari Forse è troppo dogmatica.
Martini Direi in un altro modo: l´aspetto collegiale della Chiesa è stato troppo trascurato. Secondo me questo punto andrebbe profondamente rivisto.
La conversazione dura ormai da oltre un´ora. Guardo don Damiano in modo interrogativo e lui mi fa di sì con la testa. Dico al cardinale che è arrivata l´ora di congedarmi. «Ma le faccio un´ultima domanda: che cosa pensa dei fatti politici italiani di questi ultimi mesi? La Chiesa, dopo un silenzio troppo lungo, mescolato con alleanze oltremodo discutibili, ha infine chiesto con il cardinale Bagnasco che venisse ripulito il fango che ha imbrattato l´etica pubblica. È d´accordo con questa posizione?».
Martini Sono d´accordo. In Italia esiste una cattolicità avvertita e consapevole e ci sono anticorpi preziosi che alla fine si manifestano contribuendo a recuperare il bene anche nella sfera dove si amministra il potere.
Mi alzo. Anche lui si alza aiutato da don Damiano. Ci abbracciamo. Lui mormora qualcosa e don Damiano traduce: «Ha detto che prega spesso per lei». Io rivolgendomi a lui gli dico: «Io la penso molto spesso, è il mio modo di pregare». Lui si avvicina al mio orecchio e con un filo di voce dice: «Prego per lei, e anch´io la penso spesso», sorride e mi stringe la mano. Forse voleva dire che pensare l´altro è più che pregare. Io almeno ho capito così.