il Riformista 9.12.11
Pompei di sabbia nel Nord Africa da Mille e una notte
Viaggio. Città di fango in Mali, "in sale" in Egitto, la moschea di Haji Piyada in Afghanistan. Forme "perdute" dell'abitare, rintracciate dall'arch. Tonietti, domenica a "Più libri più liberi".
di Andrea Consoli
L'arte di abitare la terra (L'Asino d'oro edizioni, 250 pagine, 27,00 euro) di Ugo Tonietti, architetto e professore di Scienza delle costruzioni presso l'Università di Firenze, è un prezioso Baedeker per avvicinarsi allo studio delle architetture antiche (spesso preistoriche), non poche volte indecifrabili agli stessi occhi degli studiosi. La storia dell'abitare - dell'abitare, cioè, il mondo - è affrontato da Tonietti osservando e indagando le costruzioni fantastiche e prodigiose che sono sopravvissute alle corrosioni del tempo, e che spesso sono nate nel cuore di civiltà povere, nomadi, pastorali, abituate a ogni tipo di ostilità della natura, ma nelle quali era ancora forte il legame - che valeva per tutti - tra il pensare e l'agire architettonico.
Il viaggio inizia alla medina di Chefchouen, nel Rif, zona montuosa del nord del Marocco, dove antichi e sapienti "maalem" (maestri muratori) hanno costruito un affascinante groviglio abitativo di "dar" (cellule abitative) e di "derb" (isolati), e che oggi è gravato da innesti "moderni" che ne minacciano la sopravvivenza. Il viaggio prosegue a Djenné, nel Mali, presso le misteriose architetture primitive saadiane in terra cruda, e giunge a Shali, presso il lago salato dell'Oasi di Siwa, nell'Egitto occidentale (al confine con la Libia), dove Tonietti spiega e racconta le difficili architetture di sale, realizzate mediante la complessa lavorazione dei "karshif", ovvero zolle di sale. Sempre in terra africana, Tonietti non poteva non visitare Lalibela, in Etiopia, famosa in ogni dove (e patrimonio mondiale dell'Unesco) per le misteriose basiliche ciclopiche ipogee costruite scavando nella roccia e che, come tutte le architetture antiche - spesso in terra cruda o in terra pressata e mischiata con la paglia - sono in grave pericolo conservativo.
L'arte di abitare la terra, poi, lascia l'Africa per due tappe "orientali": la prima è ad Aleppo, nella Siria del Nord, dove strane costruzioni in terra continuano ad intrigare per le strane cupole della abitazioni (il viaggio poi prosegue a Palmira, la Regina del deserto, la cui decadenza si lega alla ribellione della regina Zenobia nei confronti dei Romani); la seconda è nel lontano Afghanistan, precisamente nella città di Balkh (luogo natio del filosofo Avicenna, e centro del culto mistico zoroastriano), dove Tonietti ci fa conoscere la moschea di Haji Piyada, anch'essa in terra, e che gli storici e gli archeologi hanno difficoltà a datare. L'arte di abitare la terra, non è soltanto un libro di architettura - o, più precisamente, di tecnica antica delle architetture - ma un vero e proprio taccuino antropologico, un libro di viaggi, finanche un libro poetico, perché forte è la suggestione nello sguardo dello studioso di miti e leggende antiche (per intenderci, tra la Bibbia e le Mille e una notte).
Attraversando deserti e tornanti di montagna - avvincenti quelli di un Afghanistan ancora infestato di mine e ricoperto di carcasse di carri armati russi -, facendosi accompagnare da autisti irresponsabili (come in Mali) e osservando le donne con il burqa (sempre in Afghanistan), Tonietti - che pubblicò in parte questi viaggi sulla rivista Left - s'immerge pienamente nel mondo preistorico di alcune delle più antiche civiltà (notevoli le analisi "matissiane" delle incisioni rupestri), e indaga il rapporto dell'uomo antico con la terra, con l'abitare, con la tecnica costruttiva, la cui analisi mai si disgiunge da una lettura socio-antropologica che prevede finanche il mistero, il fascino evocativo, e al cui centro, molto spesso, c'è la presenza femminile, ora generatrice e gioiosa, ora ridotta a schiavitù da oscure leggi castranti (come a Shali, o a Balkh).
L'arte di abitare la terra verrà presentato domenica a Roma alla fiera della piccola editoria "Più libri più liberi" (Palazzo dei Congressi all'Eur, Sala Diamante, ore 16)e, insieme con l'autore, ne parleranno Simona Maggiorelli e Lavinia Ripepi.
il Fatto 9.12.11
Non solo esenzione dall’Ici. Per la Chiesa nessuna rivalutazione delle rendite catastali
Ecco una delle sorprese contenute nel decreto salva-Italia, come rivela Il Sole24Ore con un effetto sulle casse dell'erario stimato in 400 milioni di euro l'anno. Insomma, un vero e proprio tesoretto per le zoppicanti casse dello Stato alla perenne ricerca di denaro fresco
qui
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/12/09/solo-esenzione-dallici-chiesa-nessuna-rivalutazione-delle-rendite-catastali/176340/
il Fatto 9.12.11
Le “innocenti” evasioni di Santa Romana Chiesa
di Marco Politi
qui
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/12/09/le-innocenti-evasioni-di-santa-romana-chiesa/176237/
l’Unità 9.12.11
Riccardi: verifica dei Comuni sull’Ici della Chiesa
Divampa in rete e nei partiti la polemica sull’Ici per gli immobili della Chiesa. Il ministro Riccardi: «Paghi sugli immobili adibiti ad attività commerciali». Berlusconi: «Libertà di coscienza per i miei».
di M.Ze.
Divampa su internet e dentro i partiti la polemica sull’esenzione dell’Ici per gli immobili della Chiesa. E dopo un’intensa giornata di botta e risposta tra favorevoli e contrari ecco a fine serata la dichiarazione del ministro per la Cooperazione e l'Integrazione, Andrea Riccardi: «Credo dice intervistato da Lucia Annunziata su Rai Tre che le attività di culto, culturali della Chiesa siano una ricchezza per il Paese e quindi l'Ici-l' Imu non va pagata. Per quelle che possono essere le attività commerciali gestite dalla Chiesa, dai religiosi, dalle associazioni cattoliche vigilino i Comuni o chi è preposto a questo per vedere se l'imposta viene pagata e intervenga. Inutile fare una grande battaglia. Si tirino fuori i casi, si valuti caso per caso e si intervenga: se c'è stata mala fede conclude si prendano le misure necessarie». Tema su cui si dibatte da quando Silvio Berlusconi ne decise l’abolizione ma che oggi di fronte alle misure lacrime e sangue della manovra -, è di grandissima attualità tanto che in meno di 24 ore l'appello lanciato da MicroMega che chiede di eliminare i privilegi sull'Ici dagli immobili della Chiesa cattolica ha superato 50.000 firme. «È scandaloso ha scritto Barbara Spinelli sul sito della rivista che la Chiesa italiana chieda più equità nella manovra, e non sia sfiorata dal dubbio che anche lei debba contribuire ai sacrifici chiesti agli italiani». IL DIBATTITO NEI PARTITI Nel Pd le posizioni sono diverse. «I patrimoni immobiliari della Chiesa, come quelli di altre organizzazioni destinati all'assistenza e a scopi umanitari, dovrebbero essere protetti dalla tassazione. Ma sugli immobili che determinano un profitto credo che anche la Chiesa debba fare la sua parte», sostiene Ignazio Marino. Intanto venti deputati Pd (primi firmatari Concia e Esposito) hanno presentato una mozione ad hoc, mentre il vicecapogruppo Pd romano, Fabrizio Panecaldo, presenterà lunedì in Campidoglio un'ordine del giorno per chiedere al Governo di imporre l'Imu al patrimonio immobiliare del Vaticano adibito ad uso esclusivamente commerciale». «L'Ici sui locali commerciali dice Beppe Fioroni la Chiesa già la paga, in base ad una norma voluta dal governo Prodi», ma all’ex ministro sembra rispondere indirettamente Marco Cappato, dai radicali: solo a Milano, dice, sarebbero 17 le strutture ricettive ecclesiastiche che si dichiarano esenti dall'Ici. «Altre 23 strutture non pagano né fanno dichiarazione», secondo quanto risulta dall'elenco reso noto dal consigliere comunale radicale «sulla base delle informazioni fornite su mia richiesta dall'amministrazione comunale». Giorgio Merlo, invece, spera «che il segretario Bersani non raccolga questa ventata laicista e che non aderisca alla moda, ricorrente, di colpire la Chiesa per rispondere ad un singolare e curioso istinto “progressista”». Non va meglio nel Pdl: Gabriella Giammanco chiede «un sacrificio alla Chiesa per aiutare i pensionati e chi, con tanti sacrifici, è riuscito ad acquistare una casa», mentre il collega Stefano Saglia si allarma: «Sulla tassazione degli immobili alla Chiesa cattolica il Pdl dovrebbe avere una posizione unitaria» e contrastare le «mistificazioni laicista». Denis Verdini e Nunzia De Girolamo spingono in direzione opposta e alla fine Silvio Berlusconi si chiama fuori. Dice: «Io non d’accordo, ma lascerò libertà di coscienza ai membri del mio partito». Fli, dal canto suo, presenta un emendamento per l'istituzione presso il Ministero dell'Economia di una Commissione paritetica mista Stato-Chiesa cattolica e altre confessioni religiose per individuare di comune accordo le fattispecie che danno luogo a esenzioni dall' imposta sugli immobili (ex Ici) », mentre Idv e Sel sono nette: nessuno sconto.
il Fatto 9.12.11
I crociati dell’Ici. La tassa vaticana spacca i partiti
Il fronte cattolico dal Pd al Pdl. Ma sul web è rivolta anti-privilegi
di Fabrizio d’Esposito
Una guerra trasversale nei poli. Per far pagare alla Chiesa l’Ici (o Imu) a Cesare, cioè allo Stato. Una questione che sul sito di Micromega in sole ventiquattr’ore ha già mobilitato 70mila persone. Anche in Parlamento la maggioranza potrebbe essere ampia. Lo dicono le due donne che, da un lato e dall’altro, conducono in prima fila questa guerra. Paola Concia per il Pd e Gabriella Giammanco per il Pdl. Sostiene Concia: “Da quando ho presentato la mozione mi stanno telefonando in tanti. Le firme per il momento sono trenta”.
Il segretario democrat Pier Luigi Bersani ieri non si è espresso in merito. L’ala cattolica, con in testa Beppe Fioroni, preme per stoppare il dibattito. In agosto, però, Bersani aprì a modifiche dell’attuale normativa che sì prevede già il pagamento dell’Ici per gli immobili commerciali di proprietà della Chiesa, ma introduce un escamotage: una cappella in un albergo, per esempio, porta all’esenzione. E si potrebbe continuare all’infinito.
CONTINUA Concia: “Bersani era favorevole a un esame caso per caso. Leggo che persino Casini è d’accordo sul principio e Fli e Idv vogliono fare degli emendamenti. Io presento una mozione perché comunque si arriverà a un voto. Chiediamo un censimento serio, non fumoso, delle proprietà e una quota del 30 per cento sul patrimonio della Chiesa. Se mettono la fiducia al decreto gli emendamenti saltano”.
Il punto è questo. Nel Pdl, Giammanco sta preparando un emendamento ma se ci sarà la fiducia sul “Salva Italia”, salta tutto. E sono pochissime anche le speranze di far entrare questa battaglia nel nuovo provvedimento. Di certo c’è che il Pdl per bocca del capogruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto vuole la blindatura con la fiducia. In più il segretario Angelino Alfano (ex democristiano) è contrario a mettere in discussione in privilegi del Vaticano. Silvio Berlusconi ha assicurato però che lascerà “libertà di coscienza ai membri del partito”. Dice Giammanco: “La posizione di Berlusconi mi rincuora. In un grande partito ci sono opinioni diverse. Io sto preparando un emendamento.
ll governo ha detto di essere disposto a ragionare sull’indicizzazione delle pensioni fino a 1400 euro e sulla riduzione dell’Imu sulla prima casa purché a saldi invariati. È indispensabile, perciò chiedere un sacrificio alla Chiesa per aiutare i pensionati e chi, con tanti sacrifici, è riuscito ad acquistare una casa. Preciso che dico queste cose da cattolica praticante, che ogni domenica va a messa”. Giammanco ritorna sulla questione dell’ultima legge che regola la materia, quella del 2006, con trucchetti annessi: “Per evitare inutili demagogie sull’argomento è bene chiarire che per legge dal 2006 gli immobili della Chiesa che non hanno esclusivamente natura commerciale sono esentati dal pagamento dell’Ici. Inserendo l’avverbio esclusivamente il legislatore ha trovato un escamotage per sottrarre al fisco gli immobili del Vaticano messi a reddito. È sufficiente, infatti, una piccola cappella all’interno di edifici usati per scopi commerciali per non pagare l’Ici”.
ANCHE nel Pdl, si parla di un fronte ampio. Il triumviro ancora in carica, Denis Verdini, ha detto che “da laico farebbe pagare l’Ici alla Chiesa”. Gli ex socialisti come Margherita Boniver, ma pure lo stesso Cicchitto, sarebbero favorevoli. Altri nomi sono questi: l’ex ministro Romani, Beccalossi (vicina a La Russa), Mottola, Rampelli. Dice la deputata Nunzia De Girolamo: “Siamo in tanti nel Pdl a pensarla così, il punto è capire se ci saranno o no gli emendamenti a causa della fiducia. In un momento d’emergenza e di crisi come questo la Chiesa ha chiesto equità ed è giusto che dia il suo contributo. Oggi a Milano, per fare un altro esempio, ci sono teatri che fanno beneficenza ma producono anche reddito e non pagano”.
Il fronte trasversale dei clericali che si oppongono e vogliono lasciare le cose così come sono ieri ha registrato l’adesione del sindaco di Roma, Gianni Alemanno. Un sindaco papista: “'Credo ci sia una polemica inutile attorno a questa vicenda perché c’è una legge dello Stato molto precisa che distingue gli immobili a uso commerciale rispetto a quelli di culto o utilizzati a scopi sociali. Se ci sono violazioni della legge basta fare denunce specifiche. Ho la sensazione che facendo un discorso confuso si voglia fare un’opera di discredito nei confronti della Chiesa cattolica”.
Stessa linea per il ministro per la Cooperazione, il cattolico Riccardi, mentre nel Pd Merlo invita Bersani a “respingere la menzogna laicista”. Nei due poli si stanno insomma delineando due partiti trasversali su Chiesa e Ici. E la mozione di Concia potrebbe avere una maggioranza laica. Forse.
La Stampa 9.12.11
Dilaga la polemica sull’Ici alla Chiesa
ROMA. MicroMega in un solo giorno ha raccolto oltre 50 mila adesioni per chiedere l’abolizione dei privilegi della Chiesa, su Facebook la pagina «Vaticano pagaci tu la manovra finanziaria» in tre giorni è arrivata oltre i 160 mila «mi piace». Il governo rimette mano all’Ici e subito si riapre la polemica, che dilaga dai blog alle dirette radio, dai giornali alle discussioni tra la gente. Con Avvenire e Famiglia Cristiana impegnate in prima fila nella contro-crociata. «È scandaloso - ha scritto Barbara Spinelli sul sito di MicroMega - che la Chiesa italiana chieda più equità nella manovra, e non sia sfiorata dal dubbio che anche lei debba contribuire ai sacrifici chiesti agli italiani». «Laicismo col trucco», ribatte il settimanale dei Paolini. «Chi riaccende ciclicamente la campagna di mistificazione sull’Ici non pagata non lo fa per caso, ma intende creare confusione e colpire e sfregiare la Chiesa e l’intero mondo del non profit: non sopporta l’idea che ci sia un altro modo di usare strumenti e beni e vorrebbe riuscire a tassare anche la solidarietà, facendo passare l’idea che sia un business, un losco affare, una vergogna», scrive il direttore di «Avvenire» Marco Tarquinio che ieri ha ripubblicato pari pari l’editoriale del giorno prima al grido di «repetita juvant».
Sull’agenzia dei vescovi «Sir» il giurista e rettore della Lumsa, Giuseppe Dalla Torre chiarisce che l’esenzione dall’Ici è un «beneficio fiscale di cui gode non solo la Chiesa, ma anche la pluralità di organizzazioni ed enti laici, pubblici o privati, non commerciali e riconducibili al non profit».
Intanto il Parlamento si spacca trasversalmente tra «pro» e «contro». Venti deputati del Pd (tra i quali Pollastrini, Concia, Argentin, Touadì, Capano) hanno presentato a Montecitorio una mozione per proporre al governo di far pagare alla Chiesa almeno il 30% dell’Ici «dovuta». Contro l’«iniqua tassazione della solidarietà» si schierano, invece, i cattolici del Terzo Polo (Casini, Buttiglione, Baio, Binetti), Fioroni del Pd, Mantovano e Gelmini del Pdl. E sulla richiesta, arrivata da più parti, Pdl compreso, di introdurre l’Ici anche per i beni ecclesiastici, Silvio Berlusconi evidenzia come «tutte le risorse che la Chiesa risparmia vanno in opere e in aiuto a chi ha bisogno, ma sulla questione ho lasciato ai membri del mio partito libertà di coscienza». Il Fli intende affidare la soluzione a una commissione Stato-Chiesa.
La Stampa 9.12.11
Una norma “pasticciata” sotto la lente di Bruxelles
100mila immobili. A tanto ammonta il patrimonio della Chiesa in Italia Di questi, 9 mila sono scuole 26 mila strutture ecclesiastiche e 5 mila strutture sanitarie
Da subito erano state previste esenzioni per gli «enti non commerciali», ma dopo i limiti posti dalla Cassazione (2004), lo Stato è intervenuto con altre due leggi
L’Anci propone la mappatura di un possibile tesoretto da 700 milioni
di Paolo Baroni e Giacomo Galeazzi
Per avere l’esenzione totale basta che all’interno dell’immobile a uso commerciale ci sia anche una piccola struttura destinata ad attività di culto Gianfranco Mascia Promotore della biciclettata «Santa B-Ici» del Popolo Viola che ieri ha fatto tappa vicino ad alcuni edifici del Vaticano Il Vaticano è di nuovo nel mirino per l’esenzione dall’Ici dei suoi immobili
Ma la Chiesa l’Ici la paga oppure no? E se la dovesse pagare su tutti gli immobili ora esentati quale sarebbe il gettito previsto di un’operazione del genere? La polemica impazza e la confusione è davvero tanta. Come riassume nella sua «inchiesta» on line Arianna Ciccone, sul sito «viola» valigiablu.it, l’introduzione dell’Ici risale al 1992 ma da allora il legislatore ha previsto molte correzioni. Da subito erano previste esenzioni che riguardavano non solo la Chiesa cattolica, ma anche tutti gli immobili utilizzati da «enti non commerciali», il cosiddetto non profit (associazioni, enti, comunità, circoli culturali, sindacati, partiti politici, ecc.) «destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive».
Nel 2004 la Cassazione, prendendo spunto da una caso legato ad un pensionato studentesco, introduce una prima novità e cancella l’esenzione per gli immobili, appartenenti ad un ente ecclesiastico, «destinati allo svolgimento di attività oggettivamente commerciali». Insomma, l’etichetta «non profit» non basta più a garantire l’esenzione: non deve esserci traccia alcuna di attività commerciale o economica. Nel 2005 lo Stato corre ai ripari e con una prima «interpretazione autentica» ripristina l’impostazione originaria della legge. Ma «questa impostazione - ricorda Ciccone, che per mettere le cose in chiaro si professa “non credente” - viene impugnata di fronte alla Commissione europea e denunciata come “aiuto di Stato”: gli enti non commerciali che svolgono quelle attività socialmente rilevanti sono comunque da considerare “imprese” a tutti gli effetti, e dunque l’esenzione costituirebbe una distorsione della concorrenza nei confronti dei soggetti (società e imprenditori) che svolgono le stesse attività con fine di lucro soggettivo». La palla a questo punto passa al governo Prodi che, con un decreto a firma dell’allora ministro dello Sviluppo Pierluigi Bersani, introduce un nuovo concetto, quello di attività «non esclusivamente commerciale» e affida ad una commissione del ministero dell’Economia la definizione dei dettagli. A Bruxelles la precisazione basta e la procedura contro l’Italia viene archiviata. I Radicali non demordono e chiamano in causa direttamente la Corte di giustizia di Lussemburgo. A sua volta, il nuovo Commissario alla concorrenza Almunia riapre il fascicolo sui possibili «aiuti di Stato». Entro maggio 2012 Bruxelles dovrà decidere se assolvere o condannare l’Italia con multa ed eventualmente porre fine ai privilegi e disporre il rimborso all’erario delle tasse non pagate in cinque anni dagli enti ecclesiastici» ricorda «valigiablu». Intanto, la questione Ici-Chiesa ha fatto capolino anche nella legge dell’agosto 2010 sul federalismo fiscale: introducendo la nuova imposta unica municipale il governo Berlusconi aveva deciso di togliere l’esenzione Ici su ospedali, scuole e alberghi a partire dal 2014. Poi, sono insorti dubbi interpretativi e si è tornati alla norma precedente.
A quanto ammonta il patrimonio della Chiesa in Italia? Si parla di circa 100 mila immobili, di questi 9 mila sono scuole, 26 mila strutture ecclesiastiche e quasi 5 mila strutture sanitarie. Per l’Agenzia delle entrate significa un potenziale introito di due miliardi di euro all’anno. Stime che risalgono al 2005 fatte dall’Anci, l’Associazione dei Comuni, ridimensionano questa cifra a 400 milioni che oggi, con le rivalutazioni decise col decreto Salva-Italia salgono a 700 milioni. Altri parlano di un miliardo. Solo a Milano denunciavano ieri i Radicali esistono 17 strutture ricettive che si dichiarano esenti dall’Ici (dalla Casa del Clero Domius Mater Ecclesiae a due immobili del Centro salesiano Paolo VI a diversi pensionati femminili gestiti da suore) e altre 23 che non fanno dichiarazione. A Roma il Popolo viola parla di 306 immobili tra case di accoglienza, case per ferie, domus, hotel e istituti vari Ici-esenti. Tra questi l’albergo Giusti, l’hotel Domus Pacis, l’hotel Villa Rosa. La confusione è tale e tanta che il nuovo presidente dell’Anci, il reggiano Graziano Delrio, dalle colonne dell’Unità ieri ha proposto un censimento generale per avere «un quadro preciso». E poi spiega: «Laddove è chiaro il carattere commerciale delle attività svolte in un immobile, per quei locali l’Ici va pagata. Se di fianco a un santuario c’è un bar, non credo che questo sia funzionale al culto».
La Chiesa cosa dice? Come risponde a questa nuova campagna? In Vaticano si fa notare che all’origine della controversia c’è l’eccessivo margine di interpretazione consentito dalla distinzione tra attività «commerciali» e «parzialmente commerciali». Anche per questo la battaglia dell’Ici è fatta più di parole che di numeri: alla stima dei 700 milioni di euro di esenzione non corrispondono «contro-cifre» da parte della Cei.
il Fatto 9.12.11
Manovra, quei soliti inciuci tra Vaticano e frequenze tv
Su previdenza e Imu intesa Pd-Pdl e Terzo polo
Il relatore “Le coperture? Non ci abbiamo pensato”
“Demagogia” l’imposta alla Chiesa
“Mica possiamo colpire Berlusconi”, la “spiegazione sulle televisioni
di Wanda Marra
Passando alla Camera in questi giorni capita di imbattersi in inediti capannelli: come quello di martedì, fuori dalla porta della Commissione Lavoro, in cui Giulio Santagata, Ciro Bocuzzo e altri deputati del Pd, carte alla mano, cercavano di spiegare a Giuliano Cazzola (Pdl) come e perché bisognava modificare la norma della Manovra sulle pensioni. Ne è uscito fuori un parere condiviso e ufficiale della suddetta Commissione. Ecco, nei sobri tempi dell’era Monti si fa così: vertici più o meno informali, estenuanti sedute di Commissione, riunioni dei gruppi per discutere (e per blindare il dissenso), proposte, modifiche e pareri “condivisi” dall’inedita maggioranza in Parlamento, Pd, Pdl e Terzo Polo. Martedì si sono incontrati i tre leader, Angelino Alfano, Pier Luigi Bersani e Pierferdinando Casini per mettersi d’accordo sugli aggiustamenti da apportare alla manovra. In Commissione Bilancio, quella che deve effettivamente trovare la quadra a livello parlamentare, a tenere le fila sono due mediatori, i relatori per Pd e Pdl, Pier Paolo Baretta e Maurizio Leo. Di “importanti convergenze” ha parlato il primo a giornata conclusa. E infatti Pd, Pdl e Terzo Polo sono sostanzialmente d’accordo su due questioni: le pensioni (e dunque, sulla necessità di portare l’aumento legato all’inflazione anche agli assegni fino a 1400 euro, e su quella di introdurre una maggior gradualità dell'innalzamento dell' etàpensionabile per il lavoratori) e l’Imu, ovvero le tasse sugli immobili di proprietà (l’ipotesi sul campo è quella di aumentare la franchigia sulla prima casa). Il punto, però, è quello delle coperture. E qui cominciano i guai. Leo ieri dichiarava (candidamente?): “Non ci abbiamo pensato”. Anche qui, le questioni in campo sono teoricamente tre. TEORICAMENTE, perché tassare gli immobili del Vaticano “è questione che non esiste”. Lo dice senza mezzi termini lo stesso Beretta, lo confermano un po’ tutti. “Questa è demagogia”, liquida la questione il piddino Francesco Boccia “Stiamo parlando di modifiche che richiedono coperture per 3 miliardi e mezzo - 4 miliardi di euro. Forse di più. E che ci facciamo con l’Ici al Vaticano? ”. Per la questione gara sulle frequenze tv la questione è un po’ più sfumata. Berlusconi ieri ha espresso un’altolà nel suo pieno stile: “La gara sulle frequenze? Andrebbe deserta”. E anche se nel Pd spingono perché si faccia, è Roberto Rao, fedelissimo di Casini, a chiarire il punto: “È difficile. Berlusconi penserebbe che ce l’abbiamo con lui”. E i Democratici, d’altronde, ripetono il mantra degli ultimi giorni: “Sta fallendo il paese, mica possiamo far cadere il governo per questo”. Rimane il prelievo sui capitali scudati. Si ragiona fino a un raddoppio (dall’1,5 di ora al 3 per cento per un gettito di 2 miliardi di euro): il Pd l’ha chiesto subito, il Pdl potrebbe cedere. Da sottolineare, però, che proprio ieri i tecnici della Camera hanno avvertito che potrebbe essere difficile applicare la tassa. Proprio quella dell’equità. STAMATTINA scade il termine per gli emendamenti. E il Pdl deciderà sempre stamattina se presentarli, il Pd si regolerà di conseguenza. L’Udc ha già detto che non lo farà e Fli ne ha presentati alcuni “di testimonianza”. Alla fine, nella sostanza, una volta che si sarà arrivati a un ventaglio di proposte condiviso, questo verrà presentato al governo. Forse già da stasera. Forse alla fine del week - end. Starà all’esecutivo - con il ministro per i Rapporti con il Parlamento Giarda nelle vesti di mediatore - dire di sì o di no. Dopodichè con ogni probabilità il tutto confluirà in un maxi-emendamento che arriva in Aula martedì e sul quale Monti porrà la fiducia (ieri è tornato a chiederlo lo stesso Berlusconi). Non prima di altri contatti più o meno informali con Alfano, Casini e Bersani, che dovranno sostanzialmente mettere il timbro su quel che hanno e non hanno ottenuto. Chi non lo farà sarà l’Idv. Per tutti, il capogruppo a Montecitorio, Donadi: “Quella di Monti è una manovra classista che tutela evasori fiscali e banche”.
il Fatto 9.12.11
Dopo il no all’accordo con la Svizzera
Intoccabili evasori
“Bocciata” anche la tassa sui capitali scudati
di Caterina Perniconi
Gli evasori fiscali italiani possono continuare a dormire tra due cuscini. I sacrifici per il Paese li faranno i pensionati, a loro non sarà chiesto nient’altro. L’accordo con la Svizzera, per tassare i capitali detenuti clandestinamente, appare impossibile. E anche la nuova tassazione sui soldi riportati in Italia con lo scudo fiscali sta sfumando.
IERI, INFATTI, i tecnici della Commissione Bilancio della Camera hanno manifestato dubbi sulla possibilità di applicare la nuova tassa “una tantum”. L’imposta, spiegano i tecnici, “potrebbe non trovare applicazione sul complesso dei capitali già emersi” visto che il contribuente potrebbe avere investito in altre attività o potrebbe avere “spostato la sua posizione presso un altro intermediario”.
Insomma, o pagavano di più subito, o adesso è difficile recuperare quell’1,5% richiesto dalla manovra Monti, e considerato comunque un valore molto basso. Perché tassando i capitali al 5%, il gettito aumenterebbe da 2 a 7 miliardi. Ma i problemi a far rispettare questa norma sono molti, a partire dalla privacy. Infatti per i tecnici della Camera è necessario un chiarimento supplementare sulla “garanzia di anonimato delle dichiarazioni di emersione delle attività da parte degli intermediari nei confronti dell’amministrazione finanziaria”.
Si potrebbe intervenire, quindi, su coloro che i capitali in Svizzera li hanno lasciati. Ma il governo, per voce del ministro dei Rapporti col Parlamento, Piero Giarda, ha escluso categoricamente questa ipotesi. Che non significava una caccia alle streghe, perché la lista degli evasori non è necessario che sia pubblica.
GRAN BRETAGNA e Germania hanno stipulato un accordo col paese elvetico affinché entro maggio del 2013 i cittadini dei due Paesi che esportano soldi all’estero paghino un’imposta tra il 19 e il 35% sulla media dei soldi presenti nella banca tra il 2003 e il 2010 e un’aliquota fissa del 25% sulle rendite di quel capitale. Le tasse vengono quindi riscosse dalla Svizzera a fronte della conservazione dell’anonimato dei clienti. “É assurdo – ha scritto il leader dell’Idv, Antonio Di Pietro, sul suo blog – che proprio l’Italia, cioè il Paese che più di tutti è flagellato dall’evasione fiscale e dalla fuga dei capitali all’estero, invece di essere il primo a firmare quegli accordi guardi da un’altra parte proprio come faceva Berlusconi. Di questo passo, caro professor Monti, di soluzione ne resta una sola: evasione impunita e ogni tanto un bel condono. Ci siamo già passati”.
Contemporaneamente la manovra impone alle Amministrazioni pubbliche di non fare più pagamenti in contanti oltre i 500 euro. Nella pratica significa che le Poste non potranno più erogare le pensioni cash. E gli anziani che non hanno un conto corrente saranno costretti ad aprirlo, spese incluse. Per la gioia delle banche e dei soliti noti. Berlino e Londra
Hanno stipulato un accordo con la Svizzera affinché entro il maggio 2013 i cittadini dei due Paesi che esportano soldi all’estero paghino un’imposta tra il 19 e il 35% sulla media dei soldi presenti nella banca tra il 2003 e il 2010 e un’aliquota fissa del 25% sulle rendite di quel capitale
il Fatto 9.12.11
I signori del Palazzo: sacrifici zero
La riforma delle pensioni non si applica ai dipendenti di Camera, Senato, Quirinale e Corte costituzionale
di Eduardo Di Blasi
Il dettaglio è nella Nota illustrativa del bilancio di previsione per il 2011 dell’Amministrazione della Presidenza della Repubblica, il documento che, per opera dell’attuale presidente in carica, rende un po’ più trasparente il bilancio del Quirinale. È qui che al paragrafo sull’andamento della spesa è scritto: “Per cercare di contenere la dinamica della spesa del comparto pensionistico, è stata di recente modificata in modo incisivo la normativa dei pensionamenti anticipati di anzianità, fissando a regime il limite di 60 anni di età e 35 anni di anzianità utile al pensionamento e introducendo misure dissuasive con la previsione di significative riduzioni di trattamenti pensionistici”. La nota ci informa di due cose. La prima, poco conosciuta ma sancita dalla legge, è che gli organi costituzionali (Presidenza della Repubblica, governo, Camera, Senato e Corte costituzionale) conservano una propria autonomia organizzativa e di bilancio. La seconda è che, al Quirinale, dopo una modifica “incisiva” della normativa intervenuta nei mesi passati, si può andare in pensione al compimento dei 60 anni e con 35 anni di anzianità. E che ciò si potrà fare, nonostante la manovra del governo che impone da subito il passaggio al sistema contributivo “per tutti” e che allunga i tempi per la pensione di anzianità oltre i 40 anni di contribuzione. Il carico delle pensioni non è negato nella nota al bilancio. Pesa anzi enormemente sul conto del Colle ed è in continua ascesa: 92,3 milioni di euro per il 2011, contro gli 88,5 del 2010. Una cifra che copre il 37,8% del bilancio per il 2011, a fronte di una contribuzione previdenziale degli attuali dipendenti vicina agli 8 milioni di euro annui. Nonostante le rigide regole che valgono fuori dai Palazzi, all’interno tutto è regolato da direttive interne che lavorano su tempi diversi. Va dato atto al Colle di essersi fatto carico di inserire nel proprio ordinamento interno i due decreti economici sui tagli al pubblico impiego (il 78 del 2010 e il 98 del 2011), circostanza che è stata tradotta con una “riduzione del 5% e del 10% delle retribuzioni e delle pensioni per la parte eccedente i 90 mila e i 150 mila euro” (che ha prodotto un risparmio di circa mezzo milione di euro l’anno), il blocco delle progressioni automatiche delle retribuzioni e delle pensioni al tasso dell’inflazione programmata e il blocco delle progressioni automatiche di anzianità per le pensioni più elevate (qui il risparmio è stato più consistente, poco più di 2,7 milioni di euro l’anno). Sulla disciplina dei pensionamenti “anticipati” adottata, il dato del risparmio conseguito è ancora da calcolare.
COSÌ COME il Quirinale, anche Camera e Senato dispongono di un proprio bilancio interno che copre non solo deputati e senatori ma l’intero apparato statale che lì è assunto. Sulla vicenda che riguarda i primi, si sta cercando una convergenza sul tema dei vitalizi. Sul tema dei dipendenti, però, le leggi non ancora aggiornate ci dicono che al Senato “con le nuove e più restrittive disposizioni”, “fermo restando il collocamento a riposo d’ufficio per uomini e donne a 65 anni di età”, si può andare in pensione al compimento dei 60 anni se in possesso dei requisiti richiesti (20 anni di servizio effettivo e 35 anni di contributi), “conservando la facoltà di un’anticipazione” a 57 anni “ma con l’applicazione di forti penalizzazioni”. L’aliquota contributiva a carico dei dipendenti a decorrere dal primo gennaio 2011è addirittura scesa: è passata dal 9,7 all’8,8. Certo è da dire che sia a Montecitorio che a Palazzo Madama, così come già detto per il Colle, sono stati applicati i parametri dei decreti di luglio. Sul fronte pensioni anche nel bilancio della Camera si prevede un “inasprimento dei requisiti per il pensionamento di anzianità”, ma la nota la bilancio 2011 non chiarisce quali siano. Anche per i bilanci di Camera e Senato, d’altronde, il peso delle pensioni è considerevole. I trattamenti previdenziali pesano ogni anno su quello del Senato per 182 milioni e su quello della Camera per 209.
SUL TEMA pensionistico, infine, la Corte costituzionale si adegua, per i propri giudici, al corso della previdenza in magistratura. Il regolamento interno deliberò che i membri della Corte venissero pensionati con un’auto blu di rappresentanza.
La Cgia di Mestre ha fatto i conti in tasca agli italiani per la manovra prossima ventura: costerà 830 euro l’anno netti a famiglia, quasi 2000 se si aggiungono a quella le precedenti manovre estive di Berlusconi. La mancata rivalutazione della pensione costerà di media 280 euro l’anno, con picchi di 311 euro in meno nel La-zio. Cioè, non proprio in tutto il Lazio. In alcuni palazzi di Roma la tempesta verrà affrontata, probabilmente, con maggior tatto.
l’Unità 9.11.12
Editoria: contro i tagli la Fnsi da Malinconico
Il sottosegretario con delega all’Editoria, Carlo Malinconico si incontrerà oggi con i vertici della Fnsi. Avrà modo di chiarire la contraddizione tra le sue rassicuranti dichiarazioni sul mantenimento del Fondo per l’editoria a tutela del pluralismo e quanto è prescritto dal comma 3 dell’articolo 29 della «manovra» Monti: la sua cancellazione, il cui effetto sarà la morte dell’editoria cooperativa, politica e di idee.
In queste ore il destino di oltre cento testate è appeso al filo dei possibili emendamenti al testo. Senza un’immediata inversione di rotta quattromila lavoratori rischiano di trovarsi per strada. Quali aziende arriveranno sino al 2014 senza il finanziamento pubblico e a cosa servirà un Fondo senza risorse? È a rischio il pluralismo del nostro Paese. Lo denunciano «Il manifesto» e «Liberazione», i periodici diocesani, le altre testate «vere», come l’Unità e Avvenire, che hanno potuto usufruire del finanziamento «diretto» a compensazione delle distorsioni del mercato pubblicitario. Se è un settore «debole» dal punto di vista finanziario che ha già vissuto stati di crisi e tagli, costituisce un patrimonio essenziale per la ricchezza culturale e dell’informazione nel nostro Paese. Lo ha riconosciuto anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano che rispondendo alla lettera dei direttori di cento testate, aveva sollecitato il governo Berlusconi a tutelare questa realtà. Ora il governo Monti terrà conto di questa raccomandazione? Farlo significa definire da subito criteri rigorosi per l’assegnazione dei fondi da predisporre per gli esercizi 2011 e 2012: meno di cento milioni di euro. Su dove reperirli insistono il portavoce di Articolo 21, Beppe Giulietti e il senatore Vincenzo Vita (Pd): «Attuando una vera asta competitiva per le frequenze digitali».
La Stampa 9.12.11
La crisi. Le ricette del Pd
Intervista a D’Alema: “Questa volta pagano pure i ricchi Non era mai successo”
“Le pensioni? Il governo ascolti le richieste dei sindacati”
di Riccardo Barenghi
ROMA. Leader democratico Massimo D’Alema è stato segretario del partito, premier e più volte ministro Ultimo incarico: presidente del Comitato di controllo sui servizi segreti
Il governo Monti e la sua manovra, i sacrifici per gli italiani e i sindacati che scioperano, i rischi per il Pd che deve convincere la sua base sociale insoddisfatta, le elezioni tra sei mesi o tra un anno e mezzo, le prospettive di un'Europa a rischio. Ne parliamo con Massimo D'Alema.
Molte tasse, pochi tagli, poca equità, poca crescita, pensioni sotto tiro, assenza di una vera patrimoniale... Soddisfatto D'Alema?
«Mi pare francamente una sintesi totalmente inappropriata, non è questa la manovra. Innanzitutto, vorrei ricordare le parole del presidente Napolitano: " Eravamo sull'orlo di una catastrofe". Il rischio era che andasse deserta l'asta sui titoli di Stato e ciò avrebbe significato non pagare le pensioni e gli stipendi dei lavoratori pubblici. Se non teniamo conto di questa situazione reale, le dissertazioni appaiono non adeguate alla gravità del momento».
Però la manovra del governo non è stata accolta da cori di giubilo, soprattutto a sinistra.
«Difficile gioire quando bisogna sacrificarsi. Ma bisogna rendersi conto che eravamo arrivati a un punto di non ritorno grazie a Berlusconi. Oggi sembra che Berlusconi sia un fenomeno di cent'anni fa, invece è stato capo del governo fino all'altro ieri. E per tre anni ha fatto finta che la crisi non esistesse».
Nessuna responsabilità del centrosinistra che pure ha governato per sette anni negli ultimi quindici?
«Chi dice che la colpa è di tutta la politica, dice una colossale balla. Nel 2008 noi abbiamo lasciato il debito pubblico al 103,2, la percentuale più bassa degli ultimi vent'anni. Lo Spread era a quota 32. E queste sono cifre, non opinioni. Certo, c'è stata la crisi, ma questo non basta a giustificare i dati di oggi. Se la crisi fosse stata affrontata e non negata, saremmo in una situazione diversa dall'attuale. Ma noi non ci limitiamo a recriminare sulle responsabilità di Berlusconi. Non abbiamo chiesto le elezioni, nonostante i sondaggi a noi favorevoli, e abbiamo votato la fiducia al governo Monti assumendoci una grande responsabilità nell'interesse del Paese. D'altra parte, due mesi di campagna elettorale avrebbero fatto precipitare l'Italia nella condizione della Grecia o peggio. Una classe dirigente seria sa sfidare anche l'impopolarità per riparare i guasti provocati dalla destra».
Ora c'è il tecnico a riparare questi guasti, secondo lei ha fatto un buon lavoro finora?
«Il professor Monti si è trovato ad operare in una situazione di drammatica emergenza e con pochissimo tempo a disposizione. Anche per questo non era facile improvvisare innovazioni, che richiedono tempo e analisi approfondite. Oggi, però, possiamo partecipare al Consiglio europeo con le carte in regola. E magari cominciare a far sentire la nostra voce affinché ci sia una svolta nella politica europea, altrimenti le manovre nazionali serviranno a poco».
Una svolta di quale genere?
«Bisogna dare alla Bce un ruolo più attivo in modo che possa intervenire direttamente sui mercati. E’ molto opportuna l'iniziativa di Draghi sul taglio dei tassi di interesse, ma qui servono decisioni politiche. Bisogna puntare sugli Eurobond e convincere la Merkel, che non ne vuol sentir parlare. Bisogna attivare un piano europeo di sviluppo e di investimenti sulle infrastrutture. Bisogna mettere in campo e armonizzare politiche sociali e fiscali. L'Europa è a un bivio: o fa questo salto di qualità oppure non reggeranno neanche le conquiste fin qui realizzate».
Torniamo alla manovra, lei la giudica tutta positiva?
«E' positivo che non siano state aumentate le aliquote Irpef, imposta che pagano gli italiani onesti. Ed è positivo che si siano cominciati a tassare i patrimoni, soprattutto le seconde case e quelle di lusso».
E le case del vaticano vanno tassate?
«Certo, bisogna studiare una soluzione, esentando gli edifici adibiti al culto e quelli utilizzati per fini sociali».
A proposito di patrimoni, non si può dire che anche i ricchi piangono.
«Non so se piangano, ma so che per la prima volta si introduce un prelievo sui patrimoni e si fanno pagare di più coloro che hanno riportato in Italia i capitali dall'estero. Si tratta ancora di prelievi bassi. Si possono alzare anche per venire incontro alle richieste comprensibili dei sindacati sul tema delle pensioni».
Questo è proprio il capitolo più doloroso, tanto che i sindacati per la prima volta da sei anni hanno indetto uno sciopero unitario: era proprio necessario colpirle così duramente?
«E' vero, si tratta del capitolo socialmente più pesante. Per questo abbiamo presentato proposte in Parlamento per mantenere l'indicizzazione sulle pensioni che arrivano al triplo di quelle minime e vedo che si sta andando in questa direzione. E sarebbe giusto anche lasciare liberi di andare in pensione coloro che hanno svolto lavori usuranti. C'è poi la questione importante della detrazione Ici sulla prima casa. E infine si possono recuperare risorse sull'assegnazione delle frequenze radiotelevisive, altra richiesta del mio partito».
Ma lei aderisce allo sciopero di lunedì come hanno già fatto altri del Pd?
«Noi lavoriamo in Parlamento per cercare di migliorare la manovra e renderla più equa, per rispondere con i fatti alla protesta. E consiglio caldamente il governo di accogliere alcune richieste dei sindacati, che sono anche le nostre».
Lei che ha sempre rivendicato il primato della politica non pensa che in questo caso la politica abbia abdicato al proprio ruolo rifugiandosi dietro un governo tecnico? Non sarebbe stato meglio andare alle elezioni?
«Guardi che l'alternativa non era tra governo tecnico o elezioni, ma tra governo tecnico o permanenza di Berlusconi. Se non si fosse concretizzata l'ipotesi di Monti, la maggioranza di centrodestra non si sarebbe sfarinata e noi avremmo ancora il Cavaliere a palazzo Chigi. Altro che politica morta… Si è trattato, al contrario, di una positiva operazione politica».
Se il governo Monti durasse un anno e mezzo, cos'altro si dovrebbe fare oltre al risanamento finanziario?
«Una nuova legge elettorale e una riforma istituzionale che modifichi il bicameralismo perfetto e riduca drasticamente il numero dei parlamentari. Soprattutto così si tagliano i costi della politica».
Ma tra un anno e mezzo sarà ancora in piedi quell'alleanza con Vendola e Di Pietro che tutti i sondaggi consideravano vincente?
«Le alleanze non sono prodotti alimentari che scadono, non vanno a male se passa il tempo. Non mi spaventa che ci possano essere, in certi passaggi, opinioni diverse, ma occorrono correttezza e serietà nella discussione. In questo periodo non si devono scatenare polemiche assurde, perché questo sì, sarebbe lacerante. Dopo una settimana che si è votata la fiducia, dire che questo governo è un inciucio tra destra e Pd è inammissibile. E vorrei che si guardasse al di là dell'emergenza per realizzare una prospettiva di governo per il Paese. Si tratta di ricostruire l'Italia su basi più giuste e assicurare un futuro di progresso. Questo richiede un'alleanza che vada oltre il centrosinistra e punti a una collaborazione con il Terzo polo. Guai ad assumere oggi comportamenti che compromettano questa prospettiva».
l’Unità 9.12.11
Vendola
«No a misure inique, ma è sbagliato dividere il centrosinistra»
Il leader di Sel: «Attenti a non uccidere l’orizzonte di un’alternativa Abbiamo il compito di piegare l’agenda di governo nel segno dell’equità»
intervista di Andrea Carugati
Nichi Vendola non cede alle sirene che arrivano dalla sua sinistra, e anche dall’Idv. Non strappa col Pd, nonostante un giudizio fortemente critico sulla manovra del governo dei professori, definita «iniqua e per questo anche inefficace». «I nostri maestri di politica ci hanno insegnato che in strettoie drammatiche come queste servono “calma e gesso”. Non si può pensare di dividere la sinistra. Ho un giudizio più critico del Pd rispetto alle scelte di Monti, credo che Bersani dovrebbe avere toni meno ultimativi verso l’Idv, ma a Di Pietro dico: non è giusto accusare il Pd di tradimento o di inciucio. Abbiamo tutti il dovere comune di non uccidere l’orizzonte di una alternativa, perché sarà il centrosinistra a dover completare la de-berlusconizzazione dell’Italia». Non sembra un compito facile tenere unita la coalizione...
«Eppure tutti insieme abbiamo il compito di piegare l’agenda politica e di governo nel segno della giustizia sociale. Tra noi forze del centrosinistra vedo una convergenza nell’idea che non si possa affrontare la crisi devastando il welfare e impoverendo il ceto medio. Dobbiamo fare tutti insieme una grande battaglia per la patrimoniale. A salvi invariati, bisogna battersi per spostare i pesi dai pensionati e dal ceto medio verso i forzieri della ricchezza. E trovo stucchevoli le parole del ministro Giarda, che ha detto di non poter fare quelle intese con la Svizzera sulla tassazione delle ricchezze che pure hanno fatto Germania e Gran Bretagna. Non è una questione tecnica, ma di volontà politica».
La Commissione Ue esprime perplessità su quelle intese con la Svizzera... «Se la Commissione pensa a una procedura di infrazione, allora bisogna alzare la voce contro il cinismo di questa Europa. Vorrei che quelle procedura si aprissero quando la disoccupazione supera certe soglie. E invece sembra che si possano toccare tutti i diritti tranne le ricchezze».
Se fosse in Parlamento voterebbe no alla manovra?
«Il problema non sono io. Di fronte a critiche così larghe e fondate, dalla Chiesa ai sindacati, il Parlamento non può restare indifferente. E man mano che i cittadini si renderanno conto del danno subito crescerà il disagio sociale, la protesta».
Lei è stato critico sulla nascita del governo tecnico. Dopo le prime mosse è cambiato il suo giudizio?
«Il congedo dal circo mediatico della politica ridotta ad avanspettacolo ha prodotto una discontinuità che consente di riabilitare l’immagine del Paese. E tuttavia si tratta di un’operazione tecnocratica costruita con spirito giacobino, senza un elemento strutturale di consenso con i grandi attori della società, e per questo ad alto rischio. C’è un’impostazione ideologica che acceca, impedisce di vedere le alternative, spinge l’Europa in un angolo buio dove rischia di squagliarsi. E per fortuna che c’è Prodi che ci aiuta a decifrare le miserie di questa Europa franco-tedesca».
La sua è una bocciatura totale?
«Le cose sono ancora peggiori di come appaiono. C’è qualcosa di feroce nel mutamento della qualità della vita che colpirà milioni di persone che già arrancavano. La manovra avrà anche effetti collaterali finora non considerati, come la fuga verso la pensione negli ospedali. Rischiamo di perdere centinaia di medici senza neppure poterli sostituire per il blocco del turn over».
Eppure lei non strappa col Pd...
«Nel passato in fasi come queste di crisi e recessione è dilagato il populismo reazionario, e la sinistra si è divisa, con i risultati tragici che tutti ricordiamo. Per questo, e per il ruolo di lampara che il popolo ha affidato al Quirinale, mi sono sentito in dovere di non rompere un patto di coalizione, di non sconnettermi da un sentimento popolare così diffuso».
Ferrero e Di Pietro la incalzano...
«Deve prevalere uno sforzo comune di pressione per guadagnare cambiamenti, discutere della patrimoniale, dell’asta delle frequenze tv, delle spese militari. Se i tre principali sindacati scioperano insieme, i “migliori” al governo non sono esentati dal dovere della condivisione. Altrimenti, se un governo presentabile fa le stesse cose di quello impresentabile, nasce una domanda. Ma la nostra critica al berlusconismo era solo estetica? Io non voglio fare giochi tattici per guadagnare qualcosa sulla pelle del Pd, che ha fatto una scelta difficile. E tuttavia, se tra i democratici non ci fossero così tante voci più realiste del re nei confronti del governo, avremmo più forza per pretendere maggiore equità».
Eppure i sondaggi sembrano premiare questo Pd “governista”...
«Ai miei compagni di partito ho detto di non leggere i sondaggi per i prossimi 3-4 mesi. Gli effetti, e vale per tutti, li vedremo dopo che si saranno dispiegati gli effetti della manovra. Nel momento in cui si conclude il carnevale berlusconiano e si dice al Paese che erano a rischio gli stipendi, è chiaro che il governo Monti, e con esso anche il Pd, vengono percepiti come un’alternativa al baratro. Il problema è che la violenza della crisi produrrà populismo e noi dovremo fronteggiarlo, per evitare che la salvezza venga individuata fuori dalla politica».
Lei coltiva ancora la prospettiva del voto nel 2012?
«Oggi la priorità è salvare il Paese, cambiare la manovra, e far pesare di più nei vertici internazionali un vero progetto europeista. Monti ha le carte in regola, ma deve avere più coraggio nel sostenere gli Stati Uniti d’Europa. Servono un fisco e un welfare comune, e soprattutto una legittimazione democratica reale di chi prende le decisioni».
il Fatto 9.12.11
Breivick
Delitto e castigo
risponde Furio Colombo
Caro Furio Colombo, propongo il caso della pena detentiva da applicare ad Anders Breivik, il massacratore norvegese di 77 persone. Il procuratore Inga Bejer Engh ha dichiarato: “Una persona psicotica non può essere condannata alla prigione. Può solo essere chiusa in un ospedale psichiatrico. Anche a vita”. L'avvocato di Breivik si è unito agli avvocati delle vittime per affermare: “L'importante è che non possa camminare per strada”. Ma in questo modo si dà per scontato che sia inutile curare uno come Breivik perché non potrà mai guarire. Mi sembra che vinca la vendetta sulla razionalità.
Franco
COMINCIAMO con il ricordare che il fatto è enorme e raro. Le vittime, come ricorda il nostro interlocutore, sono più o meno come quelle di un kamikaze. Ma il kamikaze è un suicida che intende compiere un atto di guerra. Quasi sempre però (vedi il caso della Columbine, scuola americana resa celebre dal documentario di Michael Moore) il vero problema, in tempo di pace, è la mancata identificazione di un pericolo che altri (insegnanti, medici, amici) avrebbero dovuto notare in tempo. Un solo caso ricorda Breivik. È quello del giovane soldato Timothy Mc Veight, che sarebbe stato l'autore solitario della strage di Oklahoma City (1995, esplosione nel palazzo degli uffici federali, con 150 morti fra cui 48 bambini) , che è stato processato subito, condannato a morte in pochi giorni, sentenza eseguita entro una settimana. Su quel gravissimo evento restano dubbi (era solo? con altri? mandante? vere ragioni?) che gravano tuttora sull'America. Intorno a Breivik c'è, come per Mc Veight, il caso raro dell'attentatore da processare. Ma a differenza che a Oklahoma, è stato studiato, accertato, accolto il principio della malattia mentale come causa. A questo punto non resta che la reclusione in una istituzione medica. Se gli ospedali giudiziari norvegesi non sono come gli orrendi luoghi italiani documentati dal senatore e medico Ignazio Marino, non c'è dubbio che l'impegno della cura prevarrà su quello della vendetta.
il Fatto 9.12.11
La trinità della Repubblica italiana
di Nicola Tranfaglia
Un gruppo, formato da Giuseppe Casarrubea e Mario Cereghino e da chi scrive, ha ricostruito, attraverso ricerche negli archivi inglesi e americani aperti dopo il decreto del presidente Clinton nel 2000 e liberati dal segreto di Stato che invece in Italia domina ancora. La ricerca storica ha dimostrato che nel nostro Paese le resistenze alla democrazia repubblicana sono state più forti dei partiti politici e delle correnti culturali che volevano fondare un nuovo Stato, democratico e repubblicano. Leggendo con attenzione i documenti che vengono dagli archivi del Terzo Reich, ma anche da quelli del Regno britannico e degli Stati Uniti del presidente Roosevelt, ci si rende conto di alcuni elementi che gran parte degli storici, nel primo cinquantennio di lavoro ricostruttivo dopo la Seconda guerra mondiale, hanno senza dubbio trascurato. Il primo è l’atteggiamento filotedesco che il pontefice Pio XII (ossessionato dal timore di una vittoria comunista in Italia) tiene negli ultimi due anni di guerra, 1943-‘45, sperando fino all’ultimo nella vittoria finale della Germania nazionalsocialista.
SULLA POLITICA del Papa cattolico si rivela perfetto il giudizio storico, emesso alcuni anni fa da Giovanni Miccoli che ha messo in luce nel suo libro su Pio XII del 2007, l’eccezionalità della crisi vissuta dal pontificato e l’indubbia incapacità di papa Pacelli di cogliere la difficoltà, insuperabile per la Chiesa cattolica, di difendere la causa nazista e fascista, pur di fronte alla difficile e contraddittoria alleanza politica tra le potenze democratiche e l’impero sovietico. Il secondo elemento importante è la grande rinascita della mafia siciliana, segnalata più volte dagli agenti inglesi e americani (in particolare dell’Office of Stategic Services degli Stati Uniti), che sottolineano nello stesso tempo, il tentativo di riorganizzare il fascismo in Sicilia e nell’Italia meridionale, secondo un progetto che era stato a suo tempo del segretario del Pnf Alessandro Pavolini e che vuole mettere insieme le disperse forze contrarie al bolscevismo e al pericolo comunista. La logica diventerà, dopo il 1947 e per molti anni, quella non di De Gasperi (in quanto autonomo dalla Santa Sede) ma della destra democristiana, a cominciare da Giulio Andreotti.
Emerge con chiarezza dai documenti anglo-americani e tedeschi come le istituzioni dominanti della società italiana siano schierate contro i partiti storici della sinistra (comunisti, socialisti e azionisti) e che abbiano già stabilito un legame forte con la rinata organizzazione mafiosa siciliana che esercita nell’isola un indubbio potere di cui si sentiranno presto gli effetti. Il 2 giugno 1946 la Repubblica ha vinto, ma troppo forti sono gli ostacoli e i condizionamenti che vengono dalle istituzioni che hanno resistito, la mafia siciliana e il papato antibolscevico. Di qui la persistenza, nei 70 anni dell’Italia repubblicana, di colpi ricorrenti contro l’ordinamento costituzionale e la democrazia, di un potere invisibile più forte di quello pubblico e controllabile dagli italiani. Lo denunciò Norberto Bobbio più di vent’anni fa.
La Stampa 9.12.11
Fame di diamanti per l’India e la Cina
La produzione mondiale non regge la loro richiesta
di Ilaria Maria Sala
PECHINO. I diamanti, si sa, dovrebbero essere «per sempre», ma sembra che la fame di gemme dei nuovi ricchi cinesi e indiani stia mettendo a dura prova le riserve, che potrebbero non durare poi così a lungo: secondo l’ultimo documento prodotto dalla Bain & Co (un gruppo di consulenze che si occupa del settore del lusso), la richiesta di diamanti aumenta del 6% l’anno, in particolare grazie all’allargarsi del mercato in Cina e in India. L’offerta, invece, aumenta solo del 2,6% annuo, e la prospettiva è dunque di un incremento prossimo dei prezzi, in particolare per le gemme più grosse. L’investimento in diamanti è più delicato che quello nell’oro o nell’argento (anche questi preziosi molto richiesti sia in Cina sia in India), dal momento che il mercato è meno trasparente e la valutazione delle pietre meno precisa che per i classici metalli-rifugio. Ma questo non scoraggia chi può permettersi di puntare grosso. Così, in India, ecco che Amitabh Chandel, stilista e discendente di una famiglia aristocratica, ha deciso di lanciare una nuova linea di camicie che hanno diamanti al posto dei bottoni e che sono cucite con discreti fili d’oro vero – «per l’uomo reale contemporaneo», dice Chandel, che trova che aggiungere diamanti all’abbigliamento maschile sia un modo per ricondurre lo stile degli indiani contemporanei a quello opulento dei rajah del passato. Per il rajah moderno, basteranno circa 80.000 euro per concedersi una camicia degna di questo nome. Per il momento almeno i cinesi non hanno ancora pensato a cucirsi addosso dei diamanti, ma la loro passione per i preziosi non è da meno. La più grande gioielleria del mondo si trova ad Hong Kong, si chiama Chow Tai Fook e sta per entrare in Borsa in quella che tutti gli osservatori prevedono sarà la più importante quotazione iniziale dell’anno: si ipotizza che ottenga più di 2 miliardi di euro, e il multimiliardario americano George Soros ha già reso noto che acquisterà azioni per circa 40 milioni di dollari Usa.
La Chow Tai Fook ha più di 1400 negozi in Cina, e progetta di aprirne molti di più nei prossimi anni per posizionarsi ancora meglio fra i consumatori di «lusso di massa»: la Cina, infatti, dovrebbe diventare il primo mercato per la gioielleria di qui al 2015, sorpassando gli Usa, anche per una tradizionale preferenza cinese per i beni di valore facilmente trasportabili, che è andata radicandosi in più di un secolo e mezzo di frequenti sconvolgimenti politici. Hong Kong, con i suoi innumerevoli banchi pegni dalle grandi insegne al neon pronti a servire i nuovi immigrati dal continente cinese, lo testimonia, tanto quanto il successo della Chow Tai Fook. Fondata nel 1929 a Canton, l’azienda è ora controllata da Cheng Yu-tung, tycoon dell’immobiliare, e da suo figlio Henry Cheng. Per i suoi diamanti, la Chow Tai Fook si serve direttamente dal distributore di De Beers, la Diamond Trading Co, e da Rio Tinto Plc, il colosso australiano delle miniere. Tanto entusiasmo per le gemme, però, non è senza problemi. Il gruppo Global Witness, la principale Ong di monitoraggio del modo in cui sono utilizzate le risorse naturali, ha appena abbandonato il Piano Kimberley creato dopo anni di pressioni per cercare di arginare il fenomeno dei «diamanti di sangue» – ovvero, proventi dalle miniere di diamanti, in particolare in Africa, utilizzati da regimi violenti e repressivi per finanziarieguerre e abusi, come venne divulgato dal popolare film «Blood Diamond» del 2006, con Leonardo DiCaprio. «I consumatori ancora non hanno modo di verificare da dove vengono i loro diamanti», ha dichiarato Charmian Gooch, uno dei fondatori di Global Witness, «né se servono a finanziare la violenza armata e i regimi repressivi».
Repubblica 9.12.11
Quel massone di Mosè
L´origine misteriosa dell´ebraismo
di Adriano Prosperi
Finalmente tradotto in Italia il fondamentale studio di Reinhold gesuita, poi protestante e "libero muratore"
Il relativismo che propone confronti e analizza le relazioni è il motore che fa avanzare la conoscenza
Il profeta è visto come un capo politico che ha fatto della sapienza egizia la religione del suo popolo
Il relativismo è la bestia nera di tutti i fondamentalismi religiosi. Chi propone una verità esclusiva non tollera che la sua merce sia messa sullo stesso banco delle altre, paragonata e soppesata e magari individuata come un prodotto storico, con tanto di data di nascita e rapporti di parentela con quelli della concorrenza. E tuttavia non c´è dubbio sul fatto che la cultura occidentale è impastata di relativismo: lo scopriamo ogni volta che ci confrontiamo con l´alterità culturale di paesi dove – è storia di questi giorni – i meccanismi elettorali democratici portano al potere partiti religiosi. Naturalmente, qui si impone una distinzione necessaria: c´è un relativismo banalizzante, quello che si esprime nella considerazione che non c´è niente di nuovo sotto il sole; e c´è un relativismo stimolante, quello che confronta, analizza e cerca di cogliere le relazioni. Quando Niccolò Machiavelli confrontò Mosé con Numa Pompilio e la religione antica di Roma con quella della Roma cattolica, fece il salto di qualità che distingue il relativismo banalizzante dal distacco intellettuale di chi si pone come osservatore al di fuori e davanti all´oggetto osservato. In termini di storia della cultura, la conquista del punto di vista dell´osservatore occupò la cultura europea su di un lungo arco di tempo, dal ´400 italiano fino all´Illuminismo, passando attraverso la scoperta dell´America e le tragedie delle guerre di religione e del colonialismo benedetto dai missionari cristiani.
Ma questo stesso percorso si propose e continua a riproporsi nella vita delle persone e può essere compiuto nello spazio di una vita individuale. Lo dimostra il caso di Carl Leonhard Reinhold, un autore importante nella cultura di lingua tedesca che solo oggi trova per la prima volta un editore italiano. Sulle sue qualità di scrittore basti dire che senza la sua opera la filosofia di Kant non avrebbe conquistato il mondo della scuola e dell´università nel secolo d´oro dell´idealismo filosofico. Ma la ragione che riporta tra noi questo scritto va cercata nella biografia intellettuale di uno dei più noti e letti studiosi del fenomeno religioso e della teologia politica. Senza questo scritto forse Jan Assmann non avrebbe avuto l´idea di fondo del suo Mosé l´egizio. Perché questo è precisamente il tema del piccolo libro di Reinhold, I misteri ebraici ovvero la più antica massoneria religiosa, edito da Quodlibet (pagg. 258, 18 euro), a cura e con un saggio di Gianluca Paolucci e con una introduzione scritta appositamente da Jan Assmann. Davanti a un titolo che parla dell´ebraismo come la più antica massoneria forse qualche lettore si chiederà se non si tratta per caso dell´accusa di complotto giudaico-massonico scagliato contro i rivoluzionari francesi a fine ´700 dall´abate Barruel e diventato la fissazione dei gesuiti della Civiltà cattolica negli anni di quella feroce battaglia antigiudaica e antimassonica che li vide condividere l´antisemitismo del "socialismo degli imbecilli". Il fatto è che Reinhold fu gesuita e massone. Un fatto solo apparentemente singolare, che ci aiuta a capire come la storia cambi continuamente i colori delle cose e i significati delle parole. Nel suo tempo tra Compagnia di Gesù e Massoneria ci fu un´intensa simpatia; i gesuiti frequentavano le logge stimolati dall´idea che presiedeva all´origine del loro Ordine, quella della fiducia nel potenziale rivoluzionario dell´intelligenza come strumento d´azione di una piccola élite illuminata da Dio.
Carl Leonhard Reinhold (nato in Austria nel 1758, morto a Weimar nel 1823) cominciò la sua carriera come gesuita e lo rimase fino allo scioglimento della Compagnia, un evento traumatico per un Ordine religioso che si sentì mal protetto dal papato e che vide la dispersione degli ex membri. La storia dei gesuiti nell´impero asburgico e dei loro percorsi massonici, come ha mostrato un ottimo libro di Antonio Trampus, vide i membri del disciolto Ordine religioso confluire nelle logge massoniche per dividersi poi tra un versante illuministico aperto a idee rousseauiane e un versante reazionario di appoggio all´assolutismo. Reinhold non seguì né l´uno né l´altro filone: convertitosi al protestantesimo per l´influsso di Herder, trovò in Kant il maestro della sua vita, colui al quale dedicò la sua straordinaria capacità di divulgatore e di docente universitario nella fase matura della sua attività. Da questo rapido curriculum si può già intuire come i percorsi della sua vita lo avessero predisposto al relativismo e stimolato alla comparazione. La Compagnia di Gesù aveva portato un suo straordinario contributo in tal senso quando, sul fondamento di un impulso mistico all´azione salvifica, aveva innestato il suo metodo che fu detto dell´accomodamento: porsi dalla parte dell´altro, imparare la lingua di giapponesi, cinesi, indios d´America, abituarsi a vedere le cose coi loro occhi come mezzo per poter meglio conquistare neofiti al cristianesimo. Ma il mezzo era rischioso, come intuirono i rivali domenicani. Comportava da un lato l´abitudine a ricercare analogie e parentele, e dall´altro la semplificazione delle dottrine, col risultato di spogliare il cristianesimo della lussureggiante vegetazione di culture europee cresciuta sul suo tronco. Quanto al lavoro della comparazione, i punti obbligati di riferimento erano sempre quelli: la religione ebraica, madre che resisteva all´abbraccio e alle vessazioni dei figli cristiani; e la misteriosa religione egizia, con quelle piramidi e quei tipi umani così simili ai reperti archeologici delle culture dell´America centrale da suggerire l´ipotesi di una lontanissima migrazione di popoli mediterranei oltre Oceano.
L´idea di Reinhold fu semplicissima: mentre altri sviluppavano comparazioni superficiali cercando analogie formali fra miti pagani antichi e racconti biblici, egli propose l´idea di un nesso diretto, un anello storico di trasmissione tra i misteri egizi e la religione mosaica. L´anello sarebbe stato Mosé, una specie di massone ante litteram, un capo politico che avrebbe fatto della sapienza segreta degli egizi la religione del popolo ebraico. Era un passo ulteriore rispetto all´intuizione di Machiavelli. Si poteva così ritrovare il nucleo della religione di Mosé in quei misteri egizi così familiari ai frequentatori delle logge massoniche e prima che a loro all´erudizione curiosa e raffinata della cultura gesuitica del ´600. Dalla comparazione nasceva un´ipotesi di derivazione e di sviluppo. È su questa base che si doveva sviluppare ai nostri giorni la ricerca di Jan Assman. Ma anche, prima e più in generale, doveva partire da qui l´impulso a porre la comparazione come metodo al centro della moderna scienza storica delle religioni in un assetto statale del sapere.
Corriere della Sera 9.12.11
Quei ratti che sono altruisti e solidali
L'altruismo non è solo umano
La solidarietà fra i ratti ha fondamenti biologici molto simili ai nostri
di Massimo Piattelli Palmarini
L'altruismo non è una qualità soltanto umana. Secondo gli esperimenti condotti dal neurobiologo Jean Decety dell'Università di Chicago la solidarietà fra ratti esiste, ha fondamenti biologici molto simili ai nostri: i roditori sono capaci di empatia. La ricerca apre nuove prospettive sull'evoluzione e sul mondo animale.
T ra ricevere una tavoletta di cioccolata e liberare un compagno ingiustamente imprigionato, cosa sceglieremmo? Penso proprio che apriremmo quella cella. Molti di noi, potendo fare entrambe le cose, sceglierebbero di liberare il compagno e poi dividere con lui la cioccolata. Normalissimo. Era assai poco prevedibile, però, fino ad oggi, che anche un roditore, un ratto, posto di fronte a una simile scelta, preferisce liberare il suo compagno e rinunciare al saporito pasto, oppure condividerlo con lui.
Il neurobiologo Jean Decety, dell'Università di Chicago, pubblica oggi su «Science» questo risultato. Con i suoi collaboratori Inbal Ben-Ami Bartal e Peggy Mason, Decety ha messo ripetutamente in una curiosa nuova situazione due ratti che avevano a lungo condiviso la stessa gabbietta. La nuova situazione consiste nel porre uno dei due, ben visibilmente, intrappolato in uno stretto tubo trasparente. Il piccolo prigioniero mostra palesi segni di malessere, agitandosi nella sua prigione. L'altro, che è invece libero di circolare nella solita gabbia, osserva la situazione e presto impara che, toccando con il muso una porticina, può liberare il compagno. E lo fa. In una variante di questo esperimento, oltre al tubo di plexiglass con dentro lo sventurato altro ratto, c'è anche un simile tubo che contiene cioccolata. Il ratto fuori dal tubo è libero di mangiarsi tutta la cioccolata. Invece, in molti casi, prima libera l'altro ratto e poi divide la cioccolata con lui. Oppure prima mangia una parte della cioccolata, poi libera il compagno e gli lascia divorare il resto.
In sostanza, questi roditori mostrano che il piacere di liberare il compagno è pari a quello di mangiare la cioccolata (cibo ambitissimo anche dai roditori, superato solo dalla massima loro golosità per la polpa di avocado). Come questi autori ragionevolmente concludono, si verifica in tal modo che i roditori sono capaci di empatia e di altruismo. Provare empatia significa soffrire quando si osserva soffrire un altro e gioire quando si vede gioire un altro (ma la gioia sarebbe arduo mostrarla in un animale). Il mondo degli esseri umani è pieno di empatia e alcuni dati, ancora non solidissimi, avevano rivelato che l'empatia esiste anche nelle scimmie. La sua esistenza nei roditori, ora dimostrata, fa girare indietro il filmato dell'evoluzione di decine di milioni di anni. Le radici neurobiologiche e neurochimiche dei comportamenti sociali altruisti sono, quindi, non solo molto più antiche di quanto si sarebbe supposto, ma sono rimaste proprio le stesse, dai roditori a noi.
«L'empatia», mi dice Decety, «si basa su processi neuronali e ormonali coinvolti anche negli scambi affettivi e nel nostro profondo legame con i figli, specie quando sono piccolissimi. I circuiti cerebrali sono gli stessi in noi e nei roditori: i nuclei del tronco cerebrale, l'amigdala, l'ipotalamo, l'insula e la corteccia orbito-frontale. Anche gli ormoni responsabili dell'attivazione di questi centri cerebrali sono gli stessi: l'ossitocina, la prolattina e la vasopressina». Mi spiega che questi esperimenti sono stati effettuati sia sulle femmine che sui maschi, con risultati identici. Ma si trattava di ratto femmina con ratto femmina o maschio con maschio. Come mai non avete provato anche con femmine che liberano un maschio o viceversa? «Abbiamo impiegato due anni a mettere a punto questi esperimenti e ad analizzare i dati, compresi i correlati neurobiologici e ormonali, che pubblicheremo tra breve. Osservare empatia e altruismo tra i due sessi aggiunge una complicazione. Lo faremo in futuro».
Negli esseri umani, empatia e altruismo variano tra un individuo e un altro. Anche nei ratti si hanno queste variazioni individuali? «Sì», risponde Decety, «alcuni ratti sono più lenti di altri nel liberare il compagno e alcuni, circa un 30 per cento, non lo liberano affatto. Questo potrebbe anche essere un problema cognitivo, per esempio alcuni animali potrebbero non capire bene la situazione o non accorgersi che esiste la possibilità di aprire la porticina».
Lo incalzo con una domanda inevitabile: al di fuori del mondo delle neuroscienze, cosa possono dire di interessante questi risultati al lettore non specialista?
«Innanzitutto, che il provare empatia per chi soffre e cercare intenzionalmente di venire in soccorso è qualcosa di radicato nell'evoluzione biologica da lungo tempo. Inoltre, nei roditori possiamo studiare il fenomeno alla base, osservando dei mutanti, modificando i centri cerebrali, somministrando o bloccando gli ormoni responsabili, variando la situazione sperimentale. Cose che, ovviamente, per ragioni etiche, sarebbe impossibile fare con gli esseri umani». Il che pone implicitamente un problema etico: è giusto far soffrire un animale che sente un po' come noi? Vien da rispondere con la scienza: è giusto, perché a noi sta più a cuore la nostra specie di quella dei ratti.
Decety ama molto il passaggio di un discorso di Barack Obama dell'agosto 2006, prima che diventasse presidente: «Si parla molto del deficit federale, ma dovremmo parlare di più del nostro deficit di empatia, dell'abilità di metterci nei panni altrui: il bimbo che ha fame, il metalmeccanico che è stato licenziato, la famiglia che ha perso la casa nell'uragano. Quando allarghiamo così l'orizzonte delle nostre preoccupazioni fino a includere degli estranei, diventa arduo non agire, non aiutare». Decety aggiunge che l'empatia non va confusa con il fenomeno più viscerale chiamato contagio emotivo: ridere quando gli altri ridono, essere tristi vedendo facce tristi intorno a noi. Questo processo istintivo, in genere, non produce alcuna azione. Invece l'empatia, quella vera, è un processo cognitivo più astratto, invita a fare qualcosa, a venire in soccorso. Ce lo insegnano Decety, Obama e, assai più umilmente, i roditori.
La Stampa 9.12.11
“Il mio Fidelio tra libertà e amore coniugale”
L’opera di Beethoven diretta da Noseda con la regia di Martone apre stasera la stagione del Regio di Torino
di Sandro Cappelletto
TORINO. Fidelio, o l’amore coniugale, l’opera di Beethoven che inaugura questa sera la nuova stagione del Teatro Regio, è un atto di fede, nella libertà di tutti e di ciascuno. Nella loro indissolubile relazione: posso essere libero e amare soltanto se sono cittadino di un mondo che pone questo valore come fondante la comunità degli uomini. C’è una «gioia senza nome» nel ritrovarsi di due sposi - ed è lei, con immenso coraggio, a liberare lui - alla fine di molte peripezie, c’è una felicità perfino indicibile nel sentire l’aria fresca che accarezza il volto dei prigionieri usciti dalla tenebre delle loro galere. Di questo soggetto illuminista e, ai tempi, rivoluzionario Beethoven si innamora, e con Fidelio compone l’unico suo titolo operistico.
Un soggetto eroico? «Da un lato il carcere, dall’altro l’aria, simbolo di libertà. In mezzo, uno spazio da scoprire. Sulla dialettica tra buio e luce verte la nostra messinscena», racconta Mario Martone. In Noi credevamo, il film dedicato al Risorgimento, il regista napoletano ha fatto emergere non l’entusiasmo, piuttosto le ambiguità del nostro cammino verso l’unità nazionale. Né con i Borboni, né con i Savoia, è sembrato dire, se gli umili rimangono comunque oppressi, schiacciati. Una visione che conferma anche in occasione di questa regia operistica: «Proprio guardando alle nostre tormentate vicende risorgimentali, si capisce quanto poco retta sia la linea che viene percorsa dalle lotte, individuali o collettive, per gli ideali di giustizia. Il viaggio è scandito da ambiguità e fallimenti non meno che da conquiste eroiche».
In un’opera che debutta a Vienna, occupata dalle truppe napoleoniche nel 1805 e che Beethoven, dopo l’iniziale insuccesso, rivede radicalmente fino alla versione definitiva del 1814 (scelta anche in questa occasione, e senza la celebre ouverture Leonore n. 3), Martone percepisce «intuizioni romantiche» e così spiega la scelta di un impianto scenico fisso: «La forza di Fidelio deriva dall’intreccio dei tanti caratteri che lo attraversano: c’è il lato comico e quello eroico, quello familiare e quello tragico. Il pubblico vedrà una serie di azioni sovrapporsi, simultaneamente».
Con Fidelio, Gianandrea Noseda prosegue un percorso beethoveniano che lo ha portato alla recente esecuzione integrale delle Nove Sinfonie: «Nelle sue partiture tutto è subordinato all’espressione, è questa la forza nuova che Beethoven imprime alla musica». Ma nell’opera, in particolare nelle scene iniziali, ambientate nel carcere dove è tenuto prigioniero Florestano, l’azione si sofferma anche su minuzie quotidiane, domestiche: «È proprio questa la caratteristica principale e Martone l’ha resa magistralmente. L’eroismo di Leonore, la moglie di Florestano che arriva in quel carcere vestita da uomo e facendosi chiamare Fidelio, nasce dal rapporto coniugale, ed è vivendo la normalità del quotidiano che si può arrivare a cambiare la storia». E così i sommersi potranno diventare i salvati. Inizio alle ore 20, collegamento in diretta di Rai-Radio Tre, repliche fino a domenica 18.