L’Unità 24.11.2011
L’ANALISI
Il governo di Todi? Il pluralismo dei credenti ormai è irriducibile
Nell’esecutivo guidato da Monti ci sono tre relatori del convegno ispirato dalla Cei e un ministro cattolico al Welfare. Tuttavia, pur condividendo la stessa fede, sono espressione di diverse culture politiche
La Chiesa e la cultura nazionale- La stagione del cardinal Bagnasco ha rotto il collateralismo con il Pdl
Il “processo” di Todi resta aperto: alcuni puntano sull’ipotesi centrista, ma è irrealistico un partito neoguelfo
di Cristoforo Boni
Si è molto discusso, spesso a vanvera, del peso dei ministri cattolici nell’esecutivo guidato da Mario Monti. Qualcuno l’ha persino definito il “governo di Todi” alludendo al recente convegno, ispirato dalla Cei, sul ruolo dei credenti nella politica. Il dato empirico su cui si fonda la suggestione sta nel fatto che tre neo ministri - Corrado Passera, Lorenzo Ornaghi, Andrea Riccardi - di quel convegno sono stati relatori. E a questa terna viene di solito aggiunto an-che il nome di Renato Balduzzi, titolare del Welfare. Ma messi insieme quattro nomi, indubbiamente di valore, si fatica molto a costruire congetture convincenti su una presunta ipoteca nel governo.
Sia chiaro: il convegno di Todi ha avuto un’in- dubbia influenza sulla politica, perché ha marca- to l’atto di sfiducia della Chiesa italiana e dell’associazionismo cattolico nei confronti di Berlusconi. Non era stato così nel dicembre scorso, quando le mozioni di sfiducia presentate dal Pd e dal Terzo Polo vennero accolte con freddezza dai vertici del- la Cei, preoccupati per un’alternativa che ancora non vedevano matura. Nel tempo però anche da parte ecclesiale è maturata la convinzione che Berlusconi fosse ormai una zavorra insostenibile per l’Italia. L’auspicio del Papa per una «nuova generazione di politici credenti e competenti» ave- va preceduto di un paio d’anni il cambio di rotta della Cei, tuttavia a Todi proprio quel tema posto dal Papa è diventato oggetto di una riflessione approfondita sul ruolo nazionale della Chiesa, sull’apporto culturale dei credenti, sui grandi te- mi antropologici che oggi interpellano la politica.
Il punto più problematico riguarda la schema politico con il quale i “nuovi” cattolici dovrebbero giocare nel dopo-Berlusconi. E qui cadono le congetture sul “governo di Todi”. Perché i quattro ministri, a ben guardare, non sono proprio della stessa squadra. Ornaghi, già rettore dell’uni-versità Cattolica, è un sostenitore della ricomposizione dei moderati, sul modello dei partiti popolari europei. Riccardi, fondatore e leader di Sant’Egidio, è un cattolico che sfugge agli schemi: condivide con i centristi l’analisi più critica sul bipolarismo italiano, tuttavia sui temi sociali è sempre stato vicino a posizioni progressiste. Passera, in realtà, non è neppure espressione del mondo cattolico organizzato: sarà probabilmente un credente, ma al convegno di Todi fu invitato come interlocutore attivo, visto che la sua banca è stata in prima fila nel sostegno al Terzo settore e alle imprese sociali. Balduzzi invece, ex presidente del Meic (i Laureati cattolici), è stato il capo dell’ufficio legislativo di Rosy Bindi ed è insieme a Stefano Ceccanti l’ideatore dei Dico, la proposta di legge sulle con- vivenze che segnò il punto di massimo contrasto tra la Cei del cardinal Ruini e il governo Prodi. Non è un caso che in alcuni ambienti ecclesiali oggi sia molto maggiore la diffidenza verso il nuovo ministro cattolico del Welfare che non la soddi-sfazione per il resto. Peraltro Balduzzi non ha esitato a dichiarare che il governo sarà neutrale sulla legge sul fine vita, e ciò rappresenta un cambia- mento consistente rispetto alla linea del governo Berlusconi (sul punto sostenuto senza riserve dai vertici Cei).
Insomma, misurare il grado di cattolicità di un governo sulla base di una dubbia contabilità numerica è discutibile. Il governo Prodi, del resto, aveva almeno otto ministri cresciuti in movimenti o partiti di ispirazione cattolica, ma ciò non gli guadagnò il favore della Cei. Ora molta acqua è passata sotto i ponti. Nonostante la continuità che Bagnasco esprime su tanti contenuti del suo predecessore, la Cei ha via via maturato un rap- porto più sfidante con i partiti e ha spezzato il collateralismo di fatto con il Pdl.
Il problema è che le stesse aspettative cattoliche sul processo di Todi sono diverse, per di più in contrasto tra loro. C’è chi spera in un nuovo centrodestra a guida cattolica: la tesi di fondo è che Berlusconi lascerà una “scatola vuota” e che i cattolici sono i più attrezzati a occupare quello spazio, come accade in altri Paesi europei. L’Italia però è diversa dalla Germania o dalla Spagna: e una delle maggiori diversità sta nel fatto che un terzo dei cattolici praticanti votano stabilmente per il centrosinistra. Non è un caso che in Italia sia nato il Pd. E la Chiesa italiana, nel momento in cui attualizza le proprie radici nella cultura nazionale, ha davvero interesse a ingaggiare una lotta per ridurre la “presenza” cattolica nel Pd? E se anche lo facesse, chi assicura il risultato oggi che il pluralismo delle opzioni politiche dei credenti trova fondamento negli stessi documenti del Concilio?
Su Todi insiste anche un’altra opzione: investi- re politicamente sull’area di centro. Non per fare un piccolo partito neo-guelfo invece di uno più grande. Il pluralismo politico appare davvero irriducibile. Tuttavia un centro più forte può dialoga- re con i due Poli maggiori esercitando una ma giore influenza. Non è escluso che questo possa diventare il seguito del processo di Todi (sperando di attrarre sconti nel Pdl e pure nel Pd). Non è di poco conto però che l’altra sera Pier Ferdinando Casini abbia sentito il bisogno di dire che la legge sul fine vita merita un’ulteriore riflessione, con l’obiettivo di raggiungere un compromesso accettabile da tutti. Se il pluralismo delle opzioni, animato da una rinnovata cultura cattolica, è ineliminabile, ancor più lo è il compito di mediazione affidato ai laici. Il che non vuol dire spingere la Chiesa all’irrilevanza. Tutt’altro: vuol dire che il suo peso si rafforzerà nella società tanto più riuscirà a portare nella pluralità la sua verità sull’uomo.
L’Unità 24.11.2011
Egitto, ancora scontri - Il grido di El Baradei: «Ormai è un massacro»
Battaglia nelle strade intorno a Piazza Tahrir. Tre o quattro morti tra i civili. Forse tra le vittime un bambino di dieci anni. Si alza ancora la tensione al Cairo. La piazza esige dai militari che lascino il potere: subito.
Il Cairo L’Onu chiede un’immediata inchiesta indipendente: «Uso sproporzionato della forza»
L’allarme Il premio Nobel su Twitter: «Stanno usando i gas nervini contro la popolazione civile»
di Umberto De Giovannangeli
La tregua è durata poche ore. Poi, la Piazza è tornata ad essere un campo di battaglia. E la cronaca si fa cronaca di guerra. «Contro i civili in piazza Tahrir si stanno usando gas lacrimogeni contenenti agenti nervini e munizioni vere. Si sta consumando un massacro»: a scriverlo su Twitter è il premio Nobel per la pace egiziano Mohamed ElBar dei, che da più parti viene indicato come un possibile primo ministro «di garanzia». L’ex Direttore dell’Aiea denuncia l’uso di armi improprie sui civili inermi che stanno manifestando al Cairo. «Ci vuole un’indagine immediata, imparziale e indipendente e le responsabilità dei colpevoli degli abusi che so- no avvenuti devono essere accertate», gli fa eco Navi Pillay, Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, parlando a proposito delle violenze sui manifestanti in Egitto.
CAMPO DI BATTAGLIA
Secondo l’Alto commissario, i militari e la polizia stanno infiammando la situazione, spingendo più persone a unirsi alle proteste. «Più vedranno i loro compagni dimostranti portati via in ambulanza, più diventeranno determinati e forti», rimarca la Pillay. «Chiedo con urgenza alle autorità egiziane di porre fine all`uso sproporzionato della forza contro i protestanti, in piazza Tahrir e ovunque nel paese; in particolare deve cessare l`improprio uso di lacrimogeni, proiettili di gomma e munizioni», incalza l’Alto commissario Onu. « Alcune del- le immagini provenienti da piazza Tahrir, compreso il brutale pestaggio di manifestanti già in stato di fermo, sono sconvolgenti, come lo è l’uccisione di manifestanti disarmati», denuncia ancora la Pillay. «La tensione è altissima. La polizia smetta di «sparare sul petto degli egiziani» e le due parti cessino le violenze: è il drammatico appello lanciato in serata in un discorso alla nazione dal gran Imam di al Azhar, Ahmed el Tayeb. La fragile tregua fra manifestanti e forze dell’ordine raggiunta nel pomeriggio e garantita da «scudi umani» costituiti da una fila di volontari per tenere divisi manifestanti da forze dell’ordine è crollata quando la poli- zia è nuovamente intervenuta per impedire ad un gruppo di manifestanti di avvicinarsi al ministero dell’Interno. I disordini si concentrano soprattutto nella via Mohamed Mahmud, contigua a Piazza Tahrir, dove almeno quattro civili sono stati uccisi; uno di questi, riferisce un me- dico, aveva il cranio schiacciato. È in fin di vita - ma secondo voci sarebbe già morto - anche un bimbo di 10 anni, colpito alla testa da un «proiettile vero», secondo il racconto di un sacerdote, padre Fawzi Abdel Wahib. «Viva la rivoluzione», «abbasso il ministero dell’Interno, «il popolo vuole la caduta del maresciallo», sono gli slogan scanditi da molti giovani che non arretrano di fronte alle cariche della polizia.
CARICHE «TOSSICHE».
In Egitto è polemica sul presunto uso di agenti tossici da parte delle forze di sicurezza: oltre al «j’accuse» di El Baradei, anche alcuni esperti hanno sollevato dubbi: secondo Ramez Reda Moustafa, neurologo all’Università di Ain Shams, il gas utilizzato in questi giorni «è molto acido e non è del tipo regolare usato a gennaio». Il dubbio, come scrivono molti attivisti, è che si tratti di gas Cr, lacrimogeno a fortissimo impatto e dagli effetti cancerogeni. Certo è che moltissimi manifestanti hanno accusato pesanti sintomi di intossicazione. Sono decine i messaggi su Twitter con appelli a fornire maschere antigas e medicinali per gli intossicati negli scontri al ministero dell’In- terno. Un messaggio chiede maschere antigas caschi e occhiali per i ragazzi in moto che fanno la spola fra via Mohamed Mahmoud, teatro degli scontri più violenti e gli ospedali da campo a Tahrir per evacuare i feriti. «Per favore servono al più presto. Questi ragazzi vanno in prima linea». Al crepuscolo migliaia di perso- ne, anno nuovamente affollato piazza Tahrir. Fatihia Abdul Ezz, una donna di 60 anni, dice di essere giunta a piazza Tahrir per la prima volta dopo aver visto le immagini degli episodi di violenza. «Loro (la giunta militare) erano con Mubarak fin dall’inizio» - afferma -. Sono venuta quando ho visto i nostri figli uccisi». I contestatori hanno srotolato uno striscione di denuncia contro il capo della giunta militare, il feldmaresciallo Mohamed Hussein Tantawi. «Abbasso il governo militare. Noi, il popolo, siamo la linea rossa. Il popolo vuole deporre il maresciallo e la giunta militare», si legge sullo striscione
L’Unità 24.11.2011
Libia, Monti telefona al premier
Il Presidente del Consiglio, Mario Monti, ha chiamato al telefono il Primo ministro del governo transitorio libico, Abdul Al Raheem Al Kiib e congratulandosi per la formazione del governo «ha assicurato da parte del governo italiano tutto il sostegno nel percorso verso la ricostruzione e la democrazia».
L’Unità 24.11.2011
Intervista a Nawal El Saadawi
«Questa piazza non si è consegnata ai fondamentalisti»
La scrittrice «Qui si è respirata una libertà che i militari cercano di schiacciare. Il voto? Non ha senso se continua questa brutale repressione»
di Umberto De Giovannangeli
In quei giorni indimenticabili ero in quella Piazza a respirare un’aria nuova, un’aria di libertà. Ora, quell’aria è di nuovo ammorbata dai gas lacrimogeni, e la Piazza è di nuovo insanguinata. Ieri come oggi sono a fianco dei giovani eroi di Piazza Tahrir che continuano a battersi contro una nomenklatura disposta a tutto pur di mantenersi al potere». A parlare è Nawal El Saadawi, l’autrice egiziana femminista più conosciuta e premiata. I suoi scritti sono tradotti in più di trenta lingue in tutto il mondo. Per le sue battaglie in difesa dei diritti delle donne e per la democrazia nel mondo arabo, la scrittrice egiziana, compare su una lista di condannati a morte emanata da al- cune organizzazioni integraliste. «Sono angosciata per ciò che sta accadendo nel mio Paese - dice la scrittrice a l’Unità - Angosciata e indignata. Non può esistere una democrazia degna di questo nome che sia sotto il tallone di una gerontocrazia in divisa».
Da Piazza Tahir continuano a giungere notizie angoscianti: morti e feriti, l’incertezza è totale...
«Sono angosciata per ciò che sta accadendo. Angosciata e indignata: stanno cercando di uccidere la rivoluzione. Ogni spirito libero sa da che parte schierarsi: la parte giusta, quella dei ragazzi di Piazza Tahrir».
C’è chi accusa quei ragazzi di «infantilismo» politico e di volere tutto e subito.
«Sono accuse assurde, ignobili, strumentali. Quei ragazzi chiedono verità, giustizia, e non hanno mai creduto alla favola che tutto si sarebbe aggiustato con l’uscita di scena di Mubarak: il “faraone” non c’è più, ma il rischio che a un regime corrotto si sostituisca una dittatura militare, è un rischio reale. Il fatto è che la g rontocrazia in uniforme è incapace di comprendere cosa sta succedendo nella società egiziana».
Una riflessione che comporta una riflessione sugli avvenimenti che hanno cambiato il corso della storia in Egitto. Come definirebbe ciò che ha scosso, il suo Paese?
«Non userei il passato. Perché Piazza Tahrir non ha smobilitato né si è consegnata ai fondamentalisti. Lei mi chiede cosa sia stata quella rivoluzione: nella sua essenza, è stata una rivoluzione di popolo. Un popolo che si è ribellato al despota, che ha trasformato la rabbia accumulata in trent’anni di regime autoritario in energia positiva, in volontà di cambiamento. Quell’energia non si è esaurita, né intende piegarsi al patto di potere stretto dai militari con i Fratelli Musulmani. Tutte le forze politiche di opposizione fanno fatto a gara per essere alla guida del movimento, ma la verità è che si è trattato di un movimento spontaneo, scaturito dalla ribellione della gente che si è unita insieme per chiedere la libertà, la giustizia sociale, la fine della corruzione, l’indipendenza e l’uguaglianza. Sono trascorsi nove mesi dalla caduta di Mubarak, ma quelle richieste sono rimaste larga- mente inevase. Da qui la protesta. Sacrosanta».
Ieri come oggi, le donne, in particolar modo le ragazze, sono tornate protagoniste della Piazza che non si arrende.
«È l’altro aspetto qualificante di quella che continuo a definire una rivoluzione. A loro e a me stessa dico di restare vigili e imparare la lezione del passato. Abbattere una tirannia è importante ma lo è altrettanto edificare sulle sue macerie qualcosa di diverso anche in termini di superamento di una società patriarcale. Il nuovo Egitto potrà definirsi compiutamente tale se realizzerà una vera parità tra i sessi. Ma siamo molto, molto lontani da questo traguardo».
In questo clima ha senso votare?
«Non ha senso se continua la brutale repressione in atto. Le elezioni dovrebbero essere un momento di coesione, segnare una svolta rispetto al passato. Ma il voto di per sé non è segno di una normalità conquistata. E non è un Paese “normale” quello in cui, come ha denunciato recentemente Amnesty International, si continua a torturare nelle carceri, ad arrestare blogger, a pestare i manifestanti, e c’è chi parla anche di esecuzioni sommarie».
Rinviare il voto sarebbe un segnale di sconfitta.
«Non so se a questo punto non sia un segnale di verità. Una verità amara».
È una via senza uscita?
«Fino a quando c’è chi continua a battersi per i diritti e non per il potere, la speranza del cambiamento continuerà a vivere. E quella speranza si chiama Piazza Tahrir»
Chi è L’icona del femminismo nei paesi arabi
NAWAL EL SAADAWI
NATA A KAFR TAHLA IL 27 OTTOBRE 1931
SCRITTRICE E ATTIVISTA EGIZIANA
Ha scritto numerosi libri sulla condizione della donna dell’Islam, con particolare attenzione alla pratica della mutilazione genitale. In Italia ha pubblicato, tra gli altri, «Dio muore sulle rive del Nilo» e «Una figlia di Iside».
Corriere della sera online 24.11.2011
L’esercito si «scusa» per le vittime degli scontri con un comunicato su facebook
Egitto: tregua in piazza Tahrir La giunta conferma la data delle elezioni: si comincia lunedì
Dopo scontri e feriti nella notte, all’alba è tregua tra polizia e manifestanti. L’esercito li «divide» con filo spinato e barricate
I militari al potere in Egitto hanno chiesto scusa pubblicamente per i morti durante gli scontri. Il Consiglio supremo delle forze armate ha diffuso un comunicato pubblicato sulla sua pagina di Facebook. «Il Consiglio supremo delle forze armate esprime il suo rammarico e le sue sentite scuse per la morte dei martiri tra i figli dei fedeli in Egitto durante i recenti eventi in piazza Tahrir», si legge nel comunicato, pubblicato su Facebook. Dopo cinque giorni di duri scontri e 35 morti, a piazza Tahrir polizia e manifestanti sono in tregua. L’esercito ha usato barre di metallo e filo spinato per costruire barricate per separare manifestanti e polizia nelle strade laterali che dalla piazza conducono al vicino ministero dell’Interno. La maggior parte dei combattimenti ha avuto luogo in queste vie laterali.
SCONTRI - Nella notte, migliaia di persone si sono radunate nella piazza simbolo della rivolta contro l’ex presidente Hosni Mubarak, dimessosi l’11 febbraio scorso. Si stima che solo mercoledì 290 persone siano rimaste ferite negli scontri, come spiega il ministero della Salute egiziano, un totale di oltre duemila da quando sono riesplose le violenze in Egitto. Il bilancio dei morti degli scontri, invece, è di 35 vittime in tutto il Paese, 31 sono al Cairo, 2 ad Alessandria, uno a Ismailia nel nord est e uno a Marsa Matrouh nel nord ovest. L’esercito ha quindi arrestato una ventina di uomini armati che avevano attaccato le forze della sicurezza e i manifestanti vicino a piazza Tahrir, come ha riferito l’agenzia di stampa Mena. La polizia ha anche sequestrato una certa quantità di armi.
PAUSA - La tregua è stata decisa intorno alle 6 ed è ancora in vigore nella tarda mattinata. I disordini che erano iniziati al Cairo e in molte altre città hanno provocato ufficialmente 35 morti, in grande maggioranza a piazza Tahrir, nel centro della capitale egiziana. Le forze dell’ordine sono state accusate da militanti e medici di colpire i dimostranti agli occhi con pallottole di gomma.
ELEZIONI - La giunta militare egiziana ha confermato che le elezioni legislative cominceranno lunedì, come da programma. Nonostante il ministro dell’Interno Mansour el-Essawy avesse presentato, secondo quanto riferito da Al Jazeera, una proposta al consiglio militare chiedendone il rinvio. In un conferenza stampa al Cairo il Consiglio Supremo delle Forze Armate ha sottolineato che «svolgere le elezioni ora è il modo migliore per aiutare il Paese in questi tempi difficili». Le elezioni, che dovrebbero prendere il via lunedì, sono state presentate come le prime libere, in Egitto, da decenni. L’esercito e i Fratelli Musulmani, accreditati di un buon risultato alle urne, vogliono andare avanti ma i contestatori non si fidano e temono che la giunta non garantisca un voto trasparente e non ceda poi il controllo del paese al vincitore. La popolarità dei generali è crollata nei nove mesi del post-Mubarak, mentre sono cresciuti i sospetti sulla volontà della giunta di mantenere il potere anche dopo le elezioni. Il capo del consiglio militare, il maresciallo Mohamed Hussein Tantawi, si è impegnato a procedere anche con le elezioni presidenziali e ha proposto un governo ad interim ma i manifestanti non sono convinti.
L’Unità 24.11.2011
PITTURA CINESE COME SOGNI FATTI CON L’INCHIOSTRO
Il libro - I rotoli di seta degli artisti dal Quattrocento al Milleottocento propongono un mondo evanescente ma compatto che ha avuto grande influenza sull’arte occidentale moderna e contemporanea
Edizione preziosa, Restituisce al lettore le monocromie e lo sfumato continuo
Il Taoismo, Umiltà verso la natura che si manifestava con la tensione al vuoto
Gli echi Da Van Gogh a Picasso da Monet a Rothko da Matisse a Pollock
di Giuseppe Montesano
Sommesso, quieto, sfumato, malinconico, felice, in ombra, in sonno, in sogno: è così che ci appare il mondo dipinto sui rotoli di seta dai pittori cinesi dal Quattrocento al Milleottocento dopo Cristo, un mondo evanescente ma compatto, divagante ma come racchiuso in se stesso alla maniera di un nocciolo in un frutto, nel quale si può entrare solo con la giusta dose di tatto e di esitante stupore: è quello che ci rivela un volume affascinante, dalla veste grafica innovativa e preziosa, pubblicato dall’Electa con un titolo essenziale: Pittura cinese dal V al XIX secolo.
QUALITÀ DELLE RIPRODUZIONI
Il libro dell’Electa è importante e nuovo per la qualità delle riproduzioni in esso contenute, che restituiscono in maniera molto soddisfacente il tono stesso di questa pittura, permettendo addirittura di leggere la grana delle sete sui cui i dipinti sono stati stesi, e lasciando intatto tutto il ton-sur-ton, le monocromie e lo sfumato continuo che la grafia-pittura cinese adoperava, quasi a indicare al primo sguardo che la pittura, come avrebbe detto poi Leonardo, era un’arte onirica che comincia a partire dalle macchie e dalle crepe su un muro e non dalla riproduzione del reale.
In questo universo cinese di quieti e solitudini senza fine le cascate scendono da monti a strapiombo con delicata e vorticosa abissalità, le foglie delle piante si animano ingrandite e vive di un’esistenza sovrannaturale, le rocce crescono simili a vegetazioni o a forme animali, acqua e pioggia e alberi si scambiano i ruoli in una placida metamorfosi, gli animali sono visti come se fossero ricostruiti attraverso la sbadata ma esatta precisione della memoria, e gli esseri umani nel paesaggio sono sempre minuscoli ed effimeri contemplatori.
Perché la natura è così animata e l’uomo scompare in essa? Forse si potrebbe contemplare uno dei capolavori dell’epoca Song, il Fiore di loto sull’acqua, dipinto da un Anonimo intorno all’anno 1100, e tutto apparirebbe chiaro: sul ventaglio di seta si apre nella sua piena fioritura un fiore rosa visto in un primo piano che abolisce ogni altra cosa, un fiore dove il rosa sfuma fino quasi al bianco e sembra respirare come una bocca che ali- ti; o da questo passare al Drago di Chen Rong, sempre in epoca Song, dipinto con il solo inchiostro nero, vertiginosamente fatto non di presenza ma di assenza, di vuoti e bianchi che danno alla figura serpentiforme una potenza e un movimento vertiginosi nella tranquillità; e poi osservare L’uccel- lo attirato dalla frutta matura di Lin Chun, non un uccello reale per quanto verissimo, ma un frammento di una felicità terrestre che è stata pensata in mezzo a guerre e distruzioni e per questo forse più teneramente rilucente.
NELLE EPOCHE CLASSICHE
Nella Cina delle epoche classiche il Taoismo spingeva gli artisti a un atteggiamento di profonda umiltà nei confronti della natura, un atteggiamento che si manifestava nell’arte di togliere: il Vuoto del Tao, che è la perfezione, non sarà mai raggiunto se non nella meditazione in cui l’uomo si trasforma: ma l’arte può fare spazio a quel Vuoto che è il vero potere della natura, allo stesso modo in cui il Non-Agire, il Wu-Wei, è il cuore di ogni crescita e di ogni moto.
In questo senso i maggiori artisti cinesi furono liberi dall’idea di imitazione delle superfici, e guadagnarono l’accesso a una realtà che non era basata sull’illusione ottica della tridimensionalità, ma sulla contemplazione che sgombra la mente e le permette di assorbire dentro di sé il mondo che appare: basterebbe confrontare la frutta dipinta da Caravaggio giovane, lussuosamente visibile e vistosamente imitata a partire dalla superficie, con la frutta di Lin Chun, archetipo fragile di una frutta spuntata nell’Eden dell’immaginazione.
LE TRACCE
Su questa via l’influenza della pittura cinese e giapponese sull’arte moderna e contemporanea, attraverso Van Gogh, Degas, Monet e fino a Wols e oltre, è stata incalcolabile. Ciò che anima la geometria dolente e illuminata di Paul Klee o le curve musicali di Kandinskij proviene in parte da lì; le tracce essenziali che Picasso imparò a fare intorno al vuoto e gli arabeschi puri di Matisse sono lontani eredi di quelle metamorfosi; e certe sospese atmosfere di Pollock e Rothko sono inspiegabili se alle spalle del loro senso afferrato sull’orlo del non-senso non si scorge lo sprezzo dell’imitazione disceso per vie extravaganti dalla grande pittura orientale, cinese e giapponese.
Ma l’artista cinese sa che la realtà del mondo naturale è inattingibile, e che a lui, come a un jazzista trascendente che faccia cadere l’in- chiostro al ritmo di una inudibile musica, resta solo il tocco di pennello ambiguamente oscillante tra scrittura e pittura, un movimento che non permette ripensamenti e vive nell’acme emotivo dell’improvvisazione, concentrato nell’attimo fragile e sognato che non torna: o torna solo in sogno.
Il Fatto Quotidiano 24.11.2011
Casini sogna la grande coalizione
E di Renzi dice: “Magari venisse da noi”
Il leader dell'Udc, intervistato da Panorama, parla del governo che vorrebbe: un asse Pdl, Pd, Udc anche per il dopo Monti. E del sindaco di Firenze dice: "Lo accoglierei a braccia aperte". Per il leader dell'Udc è il traguardo di una lunga marcia. Cinque anni fa il bigliettino scritto con Veltroni: "Via Lega e Rifondazione", con la speranza di un Senato "imballato"
E’ il grande ritorno di Pier Ferdinando Casini. Dopo qualche anno passato in un’opposizione apparentemente priva di prospettive, schiacciato tra i due poli e con risultati elettorali non entusiasmanti, il leader dell’Udc prova a raccogliere i frutti della sua lunga marcia. Ovvero il “grande centro”. O, per qualcun altro, il grande inciucio: Pdl, Pd e Udc insieme per governare l’Italia. Ma per volontà, non per forza, come accade oggi sotto la pressione dei mercati.
Il “manifesto” di Casini, uno degli architetti politici dell’operazione Monti, è illustrato in un’intervista su Panorama in edicola domani: “Abbiamo chiesto la supplenza dei tecnici anche perché, a un anno dalle elezioni, sarebbe stato molto difficile vedere Alfano e Bersani nello stesso governo: ma a me piacerebbe che stessero insieme per precisa volontà”. Proprio sulla testata berlusconiana, Casini si augura che dalle prossime elezioni “nasca una grande coalizione sul modello della Germania, e che le ali estreme, e cioè coloro che sono palesemente incapaci di partorire una politica non figlia della demagogia e del populismo, vengano emarginate”.
Far fuori le “ali estreme” è una strategia di lungo corso. Torna in mente il bigliettino (una costante della politica italiana) sul quale, il 10 febbraio 2006, Casini e Valter Veltroni misero nero su bianco il progetto. Uno scambio di idee confidenziale, ma poi il bigliettino fu dimenticato (o lasciato) su un tavolo e finì in prima pagina sul Corriere della Sera.
Erano gli ultimi mesi del governo Berlusconi e si pensava al futuro. I sondaggi premiavano il centrosinistra ma, scriveva Veltroni, “comunque sono tutti matti. E il Paese non uscirà dai guai. Né con Caruso né con Borghezio”. Ovvero le ali estreme: Francesco Caruso, candidato “no global” di Rifondazione comunista, e Mario Borghezio, simbolo della Lega nord più ruspante. Risposta di Casini: fino alle elezioni “non può succedere nulla di diverso. Poi vedremo. Perché se il centrodestra migliorerà un poco ancora il Senato sarà imballato». Traduzione: Casini aspirava a un Senato immobilizzato dal “pareggio” tra i due principali contendenti, e addio bipolarismo.
Cinque anni dopo, l’ex presidente della Camera rispolvera esattamente la stessa formula. Fuori la sinistra, e fuori anche l’ala più estrema della Lega nord. Dialogo invece con “l’ala meno radicale”: “Noi dialoghiamo con Roberto Maroni e con Flavio Tosi, cioè con l’anima meno populista della Lega”. Quanto al senatur Umberto Bossi, ”vedremo che cosa farà, ma non credo che l’opposizione trinariciuta al governo di Mario Monti gli faccia bene per la campagna elettorale”.
In modo simmetrico, Casini apre al più moderato del Pd: “Matteo Renzi? Lo accoglierei a braccia aperte. Magari venisse da noi”. Quanto all’attuale presidente del Consiglio, Casini non nasconde l’entusiasmo per il suo centrismo: “Monti si sta dimostrando più politico di tanti politici, è furbo e raffinato, non ha nulla da invidiare a Giulio Andreotti”. Difficilmente il professore della Bocconi apprezzerà il paragone, ma Casini si spinge oltre. Alla domanda su chi possa occupare in futuro lo scranno di presidente della Repubblica, il leader dell’Udc risponde: “Mi auguro che Mario Monti tiri fuori l’Italia dalla crisi e poi sicuramente non rimarrà disoccupato”.
La Repubblica, 24.11.2011
Il Pd litiga sulle ricette contro la crisi
I liberal: "Via Fassina, è contrario al rigore". Bersani: "È la linea del partito"
Il responsabile economico sotto tiro per le critiche a Rehn e l´appoggio dato alla Fiom
di ANNALISA CUZZOCREA
ROMA - «Attaccano Fassina per colpire Bersani». Lo dice il deputato Andrea Lulli, lo scrive la storica "Velina rossa", e un brivido corre nel corpo del Pd. Ci risiamo, la questione economica apre nuove faglie, i liberal di Enzo Bianco - con la loro richiesta di dimissioni per il responsabile Economia e Lavoro del partito - rischiano di far deflagrare un conflitto finora sopito.
Stefano Fassina non è un comunista rosso. E´ laureato alla Bocconi, ha lavorato al Fmi. Negli ultimi tempi, però, ha attaccato il commissario europeo Olli Rehn: «Le sue indicazioni per la crescita sono deprimenti sul piano intellettuale prima che economico». Ha detto che il governo Monti può fare il suo lavoro in pochi mesi, e poi portare il Paese al voto. Ha litigato con il vicesegretario Enrico Letta sulle ricette proposte dalla Bce, che ritiene in continuità con le cause della crisi. Per questi ed altri motivi (come la vicinanza a Fiom e Cgil e le dissonanze con le ricette di Pietro Ichino) i senatori Enzo Bianco, Ludina Barzini, Andrea Marcucci e Luigi De Sena chiedono che faccia un passo indietro.
Che la questione economica fosse una bomba a orologeria, dentro il Pd, lo si era capito da mesi. E anche se adesso tutti si affrettano a tagliare i cavi giusti per non farla scoppiare, è forse arrivato il tempo della chiarezza. La chiede il senatore Ignazio Marino, che pur rifiutando l´idea delle dimissioni propone che delle risposte da dare alla crisi si discuta nella prossima direzione nazionale. La chiede - fra le righe - Enrico Letta: «Ci vuole saggezza da parte di tutti. In questo momento occupiamoci dei problemi dell´Italia, e le nostre vicende interne vediamocele tra di noi». Per il resto, molti si affannano a difendere (il pomeriggio è un continuo di comunicati a tripla firma) e tutti, compresi i "nemici interni", cercano di disinnescare. Walter Veltroni scrive su Twitter: «Il Paese ha ben altri problemi. Problemi drammatici. Che chiedono responsabilità». Il diretto interessato affida la sua risposta a Facebook: «A chi chiede le mie dimissioni regalerò un abbonamento al Financial Times, così possono leggere il dibattito internazionale di politica economica e ritrovare le posizioni, aggiornate e non ideologiche, della cultura liberale». Matteo Orfini - suo compagno di segreteria - dice a chi lo attacca: «Chiedano un congresso, se vogliono discutere».
Quanto a Bersani, non crede che l´attacco a Fassina sia rivolto a lui. E´ consapevole di certe asperità e di un carattere a dir poco spigoloso - spiega chi gli è vicino - e vorrebbe che in nome del lavoro fossero fatte battaglia meno ideologiche e più pragmatiche. Lo difende però: «Questa richiesta di dimissioni non l´ho capita, la sua è la linea del partito». La base - infine - almeno a guardare i social network, per la maggior parte boccia Bianco e compagni: «Ricordare ai liberal che le porte dell´Udc sono sempre aperte», scrive Elena su Twitter. I cavi della bomba sono ancora tutti scoperti.
Il Riformista 24.11.2011
Governo/Centrosinistra stacca ancora:12 punti sul centrodestra
Sondaggio Demopolis: Ma con misure Monti il quadro può cambiare
di Tor
Roma, 24 nov. (TMNews) - Se si fosse votato oggi il centrosinistra, avrebbe superato di dodici punti percentuali la coalizione di Centro Destra: un vantaggio mai registrato negli ultimi 17 anni. E' la fotografia sul peso dei partiti in Italia e sui rapporti di forza tra le coalizioni, scattata dall'Istituto Demopolis mentre il Governo Monti inizia il suo lavoro. Che appare però destinata a cambiare nei prossimi mesi Secondo l'inchiesta, se ci si fosse recati alle urne per le politiche, il centrosinistra avrebbe ottenuto, se unito, la maggioranza relativa nel Paese con il 47%, superando di circa 12 punti percentuali la coalizione PDL-Lega: un vantaggio mai registrato negli ultimi 17 anni, nel momento di maggiore debolezza del Centro Destra, scelto oggi da poco più di un elettore su tre. L'analisi segnala una crescita per il Terzo Polo, che sfiora il 15%: in particolare, l'UDC di Casini (che per la prima volta supera l'8%), sembra assumere un ruolo di maggiore centralità nello scenario politico, anche se il peso effettivo di Udc, Fli,Api, e Mpa dipenderà, ovviamente, dalla legge elettorale con cui si tornerà alle urne. La Lega Nord, oggi unico partito all'opposizione, riparte da un 8%, il valore più basso degli ultimi quattro anni, pagando l'incapacità di cogliere, negli ultimi mesi, il progressivo malcontento della propria base elettorale. Si attestano tra il 7% e l'8% Sel di Vendola e Italia dei Valori, ampia parte dei cui elettori avrebbe preferito la strada delle elezioni anticipate, nella certezza di una vittoria del "nuovo Ulivo", che corre invece il rischio - secondo molti osservatori - di essere archiviato nel nuovo scenario. Per ciò che riguarda i due schieramenti principali, secondo i dati del Barometro Politico dell'Istituto Demopolis, il PD di Bersani sarebbe oggi, con il 29%, il primo partito del Paese. Sul fronte opposto, il PDL si attesterebbe al 24%, con una emorragia di quasi 5 milioni di voti rispetto al 2008, sintomo di un chiaro disorientamento dell'elettorato: su 100 elettori che avevano scelto il partito di Berlusconi alle politiche, oltre un terzo non riconfermerebbe il voto. Secondo i dati del Barometro Politico Demopolis, è molto alto, intorno al 28%, il numero di quanti resterebbero probabilmente a casa: si tratta di cittadini delusi, disorientati ed indecisi sull'eventuale scelta da compiere nell'ipotesi di un ritorno alle urne: un bacino potenziale, per lo più di anziani e casalinghe, di estremo interesse elettorale nei nuovi scenari che si stanno ridisegnando in Italia mentre il Governo Monti inizia il suo lavoro" "L'indagine - afferma il direttore di Demopolis Pietro Vento - rivela un profondo cambiamento del clima d'opinione, determinato dalla gravissima crisi finanziaria ed istituzionale che ha investito l'Italia: in pochi mesi si è assistito ad un totale ribaltamento nei rapporti di forza tra le due principali coalizioni che hanno contraddistinto il dibattito politico della cosiddetta Seconda Repubblica. È una fotografia, quella scattata oggi sul peso dei partiti, destinata probabilmente a sfocarsi, a chiudere un'epoca, mentre inizia il lavoro, complesso e difficile, dell'Esecutivo di larghe intese guidato da Mario Monti. Saranno le prossime settimane a dire come si evolverà, negli scenari politici ed elettorali, la domanda prorompente di cambiamento espressa oggi dagli italiani. Determinante, con una diversa incidenza sul consenso dei partiti, sarà l'impatto sull'opinione pubblica - conclude Pietro Vento - dei primi concreti provvedimenti del Governo per far fronte alla crisi".