l'Unità 6.6.11
Intervista a Anna Finocchiaro
«Ottimisti sul quorum. E questa volta il governo dovrà dimettersi»
di Simone Collini
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l'Unità 6.6.11
Le elezioni sono la strada maestra
di Francesco Piccolo
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l'Unità 6.6.11
La lezione del voto
di Concita de Gregorio
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l'Unità 6.6.11
E il popolino disse: «Caro Re, alle tue balle non ci crediamo più!»
di Dario Fo,
premio Nobel per la Letteratura
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Repubblica 6.6.11
Facebook, appelli e catene umane "Ognuno di noi deve convincerne dieci"
In campo dal Pd a Greenpeace. Stop agli esami all'università
Si diffonde lo sconto referendario Ballerini di tango nella metropolitana a Roma
ROMA - Pier Luigi Bersani si è ricordato del vecchio Pci. E ha scritto, ieri: «Invitiamo tutti quattro amici a votare quattro sì». Non ha usato la vecchia Unità come organo di mobilitazione, per chiamare gli elettori al nuovo referendum ha lanciato la campagna online del Partito democratico. Sul sito dei "mobili-tanti" del Pd si trovano le istruzioni per aderire alla causa attraverso Facebook e Twitter. La Rete viola è abituata da più tempo al mezzo. E ha alzato il tiro: portane cinque alle urne. I cavalieri di Greenpeace hanno osato: «Ognuno di noi deve convincerne dieci, arrivare agli anziani, ai cittadini che si informano solo attraverso la tv». Greenpeace può contare su 250 mila cyberattivisti e 160 mila iscritti Facebook.
È partita l´ultima settimana per il "sì" e cresce la tensione dei comitati referendari e dei cento movimenti che si sono nel tempo avvicinati per mobilitare l´Italia sull´acqua pubblica, lo stop al nucleare e al legittimo impedimento. Si diffonde, dopo l´iniziativa "San Tommaso is back", lo strumento dello "sconto referendario". I Verdi di Napoli si stanno assicurando l´adesione di ristoranti, pizzerie, caffetterie, parchi giochi, negozi di gadget, lidi balneari: chi da domenica mostrerà la tessera elettorale timbrata avrà prezzi calmierati, in alcuni casi ingressi gratuiti. «Dobbiamo adoperare qualsiasi mezzo lecito per ottenere il raggiungimento del quorum», dice il commissario regionale dei Verdi Francesco Emilio Borrelli. Ingresso a cinque euro, invece, per una piscina romana comunale nel quartiere Bravetta. E a Roma ieri decine di ballerini di tango hanno invaso la metropolitana: esibizione prima alla fermata della Garbatella, poi a Piramide e così via, in un ballo itinerante amplificato dalle casse portatili.
I promotori del doppio "sì" all´acqua pubblica hanno fin qui assicurato una presenza in tutti gli ottomila comuni italiani e un´attività di diffusione del verbo sul posto di lavoro, sugli autobus, alle riunioni di condominio. Alcuni rettori iniziano a concedere lo stop agli esami per gli universitari fuorisede nei giorni di lunedì 13 e martedì 14, immediatamente successivi alla consultazione. A San Giovanni Gemini, montagna a 50 chilometri da Agrigento, l´arciprete ha deciso invece di rinviare di una settimana la festa del patrono: vuole permettere ai fedeli di andare alle urne. E l´arciprete di Favara, stessa provincia, sull´ultimo numero del foglio parrocchiale "Madre informa" ha messo la spiegazione del significato delle quattro schede referendarie.
Solo a Repubblica.it, ieri, erano stati segnalati cento eventi pro-referendum. Otto biciclettate, per dire, cinque catene umane, tre proiezioni del documentario tedesco "Water makes money" che spiega il meccanismo di guadagno delle multinazionali dell´acqua. Le biciclette viaggianti per le frazioni di Cividale in provincia di Udine sono state precedute da un´auto munita di altoparlante che ha invitato, stile "donne è arrivato l´arrotino", la cittadinanza a votare. Tour delle fontane ancora a Roma e, più breve, a Calimera (Lecce). In nove località dell´Adriatico è partita la passeggiata "spiagge referendarie". Quindi, happy hour denuclearizzato a Napoli, documentario sullo smaltimento delle scorie in una sala parrocchiale di Santa Domitilla e marcia-staffetta per il quorum da Gaeta a Sessa Aurunca (dove c´è ancora la centrale nucleare dismessa nel 1982).
Sul fronte acqua pubblica c´è chi si è già ribellato al passaggio della gestione della rete ai privati e ha contribuito con capillarità alla raccolta delle firme per il referendum. Ad Aprilia, provincia di Roma, in settemila continuano «a pagare il giusto» al Comune nonostante da anni la Provincia abbia passato il servizio idrico alla spa Acqualatina. Ad Arezzo molti cittadini rifiutano da anni gli aumenti della società Nuove acque e a Frosinone diecimila reclami contro l´Acea hanno portato la Procura ad aprire un´inchiesta.
(c. z.)
Repubblica 6.6.11
La maschera del cavaliere
di Adriano Prosperi
La settimana che si apre è quella del referendum. Non è un appuntamento pacifico. Si leggono ogni giorno interventi appassionati e opinioni molto diverse. Non è l´acqua il vero problema del referendum: e non lo è nemmeno il fuoco della fissione nucleare anche se proprio intorno al nucleare il governo ha ingaggiato una sorda battaglia: non sul merito, visto che il Pdl ha dichiarato di lasciare liberi i suoi seguaci, ma sulla questione preliminare se il quesito debba o no essere sottoposto al voto.
Domani la Corte Costituzionale dovrà rispondere al ricorso presentato dal governo attraverso l´Avvocatura di Stato, con l´argomento che la sospensione per dodici mesi del programma nucleare italiano varata dopo la tragedia giapponese del reattore di Fukushima avrebbe modificato sostanzialmente la situazione rendendo improponibile il referendum.
La matassa apparentemente complessa del ricorso si dipana facilmente. Il fatto è che nel contesto della tragedia di Fukushima, la domanda relativa al nucleare posta dai promotori del referendum si profila chiaramente come quella più capace di realizzare le due condizioni indicate dall´articolo 75 della Costituzione: che partecipi la maggioranza degli aventi diritto al voto e che la proposta soggetta a referendum ottenga la maggioranza dei voti validi. Ora, una cosa deve essere chiara. Che si realizzino o meno le centrali nucleari in Italia al nostro premier non potrebbe importare di meno. L´unico futuro che gli importa è il suo. Non le scorie nucleari ma quelle penali dei reati comuni di cui è accusato nei processi pendenti a suo carico sono i problemi che occupano il suo orizzonte. E il tentativo che ancora una volta lo impegna allo spasimo è quello di mascherare il fine dell´interesse suo privato dietro le nebbie di una confusa discussione sui problemi del paese. Il punto è che tra i quesiti del prossimo referendum ce n´è uno, il quarto e ultimo, che riguarda il "legittimo impedimento a comparire in udienza" fissato dall´art. 2 della legge 7 aprile 2010: grazie a questa legge, che più "ad personam" di così si muore, Berlusconi è stato autorizzato da una maggioranza asservita ai suoi bisogni a infischiarsene degli inviti a comparire in udienza nei processi nei quali figura come imputato. Se il referendum passasse, Berlusconi sarebbe riportato alla condizione di cittadino di un paese dove la legge vale per tutti. Dunque è necessario che la questione del nucleare esca dai quesiti del referendum se si vuole esorcizzare il rischio che venga abrogato anche il "legittimo impedimento". A questo scopo il premier ha giocato la carta della sospensiva.
L´esito delle recenti elezioni amministrative ha mandato un messaggio di estrema chiarezza. Per Berlusconi l´unico rimedio possibile davanti al disastro è "guadagnare il beneficio del tempo", come suggerivano i consiglieri dei sovrani degli staterelli italiani preunitari quando incombeva la minaccia di confronti militari con le grandi potenze europee. Il tempo, appunto: bisogna che per un po´ di tempo il popolo italiano sia tenuto lontano dalle urne, ora che ha dimostrato di essersi riscosso dall´incantesimo e di non essere più disposto a farsi trascinare dalle emergenze personali del premier. E il referendum imminente minaccia una grandinata che questo governo molto traballante non può sostenere. Da qui la necessità di ostacolare in ogni modo la regolarità della consultazione ricorrendo al tentativo disperato del bluff. Parliamo di disperazione e di bluff a ragion veduta. La sospensione del programma nucleare è stato il bluff di un giocatore disperato. E anche impudente. Nella conferenza stampa col presidente francese Sarkozy del 16 aprile scorso Berlusconi ha dichiarato apertamente che il governo italiano, cioè lui stesso, resta convinto che "l´energia nucleare sia il futuro del mondo". Dunque nella sostanza niente cambia negli orientamenti del governo. Ora, una sentenza della Corte Costituzionale (la n. 68 del 1978) ha affermato chiaramente che "se l´intenzione del legislatore rimane fondamentalmente identica, malgrado le innovazioni formali o di dettaglio che siano state apportate dalle Camere, la corrispondente richiesta /referendaria/ non può essere bloccata, perchè diversamente la sovranità del popolo (attivata da quella iniziativa) verrebbe ridotta ad una mera apparenza". Ecco il punto decisivo: la sovranità del popolo, il cuore della democrazia, ha nell´istituto del referendum la sua manifestazione più alta, proprio per questo regolata in maniera particolarmente attenta dai padri costituenti. L´idea di democrazia implica l´assenza di capi, come ha scritto Kelsen e come ci ha ricordato di recente Luigi Ferrajoli. Implica anche che sia cancellato lo strappo al principio dell´uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge (art.3): proprio di tutti, nessuno escluso.
La Stampa 6.6.11
Napolitano sui naufraghi “Reagire all’indifferenza”
Il Capo dello Stato: occorre dare una risposta morale e politica
di Laura Anello
ROMA «Reagire all'indifferenza». Mentre le autorità tunisine ripescano i primi 26 corpi del naufragio di giovedì, mentre la conta dei morti nel Canale di Sicilia aumenta ogni giorno come su un pallottoliere impazzito, il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, lancia un appello per evitare l'assuefazione a quella che è diventata «cronaca consueta». «Se è vero - dice il Presidente - che la democrazia è tale in quanto sappia mettersi nella pelle degli altri, pure in quella di quei naufraghi in fondo al mare, occorre allora scongiurare il rischio di ogni scivolamento nell'indifferenza, occorre reagire con forza, moralmente e politicamente». Per Napolitano, serve una risposta concreta «all'odissea dei profughi africani in Libia, o di quella parte di essi che cerca di raggiungere le coste siciliane come porta della ricca, e - domanda - accogliente?, Europa».
Difficile sottrarsi all'effetto abitudine, difficile riuscire a non considerare solo numeri quei capifamiglia che vendono anche l'anima pur di far salire la famiglia su un barcone, quelle donne con il pancione che affrontano il mare senza potersi muovere per giorni, quei bambini con il vestito migliore. Difficile non farlo anche perché è più meno doloroso dimenticarsene, appiattire tutto nella logica della tragedia inevitabile, dell'eterno ritorno del sempre uguale.
Eppure dietro ciascuno di loro, portato qui dalla due spinte che da sempre governano la storia dell'umanità la fame e i figli - c'è una storia, una speranza, una tragedia alle spalle. Evitare l'indifferenza, quindi, «una soglia che non può essere varcata», dice Napolitano. E per farlo ci vogliono risposte individuali ma anche collettive. Per il Presidente, chi quotidianamente organizza la partenza dalla Libia, «su vecchie imbarcazioni ad alto rischio di naufragio, di folle disperate di uomini, donne, bambini compie un crimine di fronte al quale la comunità internazionale e innanzitutto l'Unione europea, non possono restare inerti». Stroncare questo «traffico» di esseri umani, prevenire nuove, continue partenze per viaggi della morte, ben più che «viaggi della speranza», e aprirsi, regolandola, all'accoglienza è, sottolinea Napolitano, «il dovere delle nazioni civili e della comunità europea e internazionale, è questo il dovere della democrazia».
Già, viaggi della morte. Come quello compiuto dai più di duecento migranti che giovedì, con il motore in panne e la carretta semi-arenata in un fondale di sabbia al largo dell' isola tunisina di Kerkennah, si sono buttati in acqua. Sabato il tam tam di notizie e di smentite sul ritrovamento dei corpi. Ieri sono stati trovati davvero i primi 26, affiancati ora sulle lastre di pietra candida che pavimentano la banchina della sezione del porto riservata alla Finanza, prima di essere portati negli obitori degli ospedali. Galleggiavano alla deriva.
«Non ci sono più cadaveri dentro il relitto», dice il tenente colonnello Landounsi Tahar - comandante della Guardia costiera di Sfax e responsabile delle ricerche partite all'alba di ieri a vento calato - smentendo così le voci che la chiglia rimasta adagiata sul fondale fosse piena di cadaveri. I corpi potrebbero ormai essere lontani, anche a trenta miglia di distanza.
Di sicuro, i 577 che ce l'hanno fatta giovedì, nel marasma, erano quelli che capivano gli ordini degli uomini del soccorso tunisino. A soccombere i più ignoranti, i più deboli, i più spaventati. La storia di sempre.
La Stampa 6.6.11
La nuova strategia già sperimentata il 15 maggio
Golan, i soldati israeliani sparano sui palestinesi
Folla di dimostranti cerca di forzare il confine dalla Siria Fuoco dopo gli avvertimenti. La tv di Damasco: 20 morti
di Aldo Baquis
TEL AVIV Nel 44mo anniversario della «Naksa» - la sconfitta degli eserciti arabi nella Guerra dei Sei Giorni del 1967 Israele si è trovato costretto a misurarsi con la nuova «arma segreta» del mondo arabo: le masse di dimostranti, per lo più disarmati, determinati a travolgere (come al Cairo, a Tunisi e a Sanaa) quanto si pari loro davanti. Ieri l’obiettivo da abbattere erano i reticolati di frontiera sulle alture occupate del Golan.
Per tutta la giornata, a ondate, centinaia di dimostranti palestinesi e siriani si sono lanciati a testa bassa verso le postazioni israeliane. Una manifestazione assecondata dal regime di Assad, che ha ordinato alla tv di Stato di seguirla in diretta. Non c’è dubbio, dice Israele, che pilotando la protesta palestinese Assad cerca di distogliere l’attenzione internazionale dalla cruenta repressione della rivolta che da mesi sconvolge il suo Paese. L’amara previsione in Israele è che sul Golan le manifestazioni proseguiranno.
Come richiesto dal premier Benjamin Netanyahu, i soldati israeliani hanno prima dato prova di «autocontrollo» (avvertimenti in arabo con megafoni; spari di intimidazione in aria; spari di tiratori scelti alle gambe), poi hanno mostrato «determinazione». In nessun caso, era stato detto loro, si doveva permettere ai dimostranti di aprire una breccia, come già avvenuto il 15 maggio scorso.
In serata, dopo ore di aspri scontri, la televisione siriana ha fornito un bilancio ufficioso drammatico: oltre 20 morti e circa 200 tra feriti, contusi e intossicati da gas lacrimogeni. A quanto pare, parte delle vittime sono state provocate dall’esplosione di mine anticarro nella zona di Quneitra (il settore del Golan controllato dalla Siria), dovuta a incendi provocati dal lancio di bottiglie incendiarie da parte dei dimostranti.
In occasione della giornata della «Naksa» l’esercito israeliano era stato costretto a elevare lo stato di allerta anche su altri fronti. Ma a Gaza Hamas ha provveduto a tenere a distanza di sicurezza un corteo di dimostranti, mentre in Libano l’esercito nazionale ha dichiarato «zona militare chiusa» il confine con Israele. In Cisgiordania si sono avuti incidenti limitati.
Eppure a tutti è chiaro che dopo la giornata della «Nakba» (la «catastrofe» del 1948 celebrata ogni 15 maggio) e dopo quella della «Naksa» (ieri) le masse palestinesi torneranno a ripresentarsi lungo le frontiere. Il bollettino degli impegni include già il 7 giugno (anniversario dell’occupazione militare israeliana di Gerusalemme Est nel 1967); il 20 giugno (partenza di una flottiglia filo-palestinese diretta a Gaza); il mese di luglio (anniversario di una condanna internazionale della barriera di difesa in Cisgiordania) e, a settembre, l’attesa proclamazione dello Stato palestinese indipendente alle Nazioni Unite.
Gli assalti ai reticolati del Golan, secondo il dirigente politico palestinese Mustafa Barghuti, sono solo il primo atto di una campagna ben coordinata, che sempre più spesso vedrà i soldati israeliani confrontarsi con le masse arabe.
Repubblica 6.6.11
Israele “costretto” al negoziato?
di Vincenzo Nigro
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l'Unità 6.6.11
«Il Medio Oriente cambia
Tel Aviv farebbe bene a non remare controvento»
intervista a Lapo Pistelli di Umberto De Giovannangeli
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Repubblica 6.6.11
Barack Obama:
"Spazzato via chi massacra il suo popolo"
"Vincerà la Primavera araba i dittatori saranno spazzati via"
intervista di Christoph Von Marschall
Il nostro rapporto con l´Europa è la pietra angolare del nostro impegno e un catalizzatore di azione globale. La nostra cooperazione è centrale per tutto quanto speriamo di fare nel mondo
La richiesta di riforme che viene da quei popoli è legittima, va ascoltata. La violenza contro pacifiche proteste è inaccettabile, deve finire. Mai più leader che usano la forza contro i loro popoli
Sia noi che i Paesi europei abbiamo dovuto fare scelte dure sulla spesa e tagli al bilancio. Cerchiamo tutti il giusto equilibrio tra la necessità di una forte ripresa e la sostenibilità fiscale
WASHINGTON - Unito e appoggiando sempre valori e bisogno di democrazia, il mondo occidentale ce la farà: contro le sfide della crisi economica e contro le minacce all´ambiente, in Afghanistan e nella democratizzazione del Nordafrica. Deve sapere che le sfide sono comuni, affrontarle insieme. E per Washington, su questi temi, la Germania è definita per la prima volta da Washington alleato chiave globale a pari dignità, e modello di crescita e giustizia sociale. È quanto dice il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama alla vigilia del viaggio di due giorni a Washington della cancelliera Angela Merkel.
Signor presidente, lei premierà la cancelliera Merkel con l medal of freedom, la massima onorificenza civile americana. Quali qualità apprezza in lei, quali qualità le sembrano distinguerla da altri leader europei?
«La cancelliera Merkel è stata la scelta giusta perl a Medal of freedom, perché incarna la premessa di libertà e le possibilità aperte dalla democrazia. Dopo la caduta del Muro di Berlino e la riunificazione, lei ha abbattuto barriere, diventando la prima tedesca dell´est e la prima donna eletta cancelliera federale. Per me, per i miei compatrioti e per la gente nel mondo, la storia di Angela Merkel è un´ispirazione».
In passato le recessioni andavano e venivano, ed era prevedibile: la ripresa cominciava prima negli Usa e i tassi di crescita usa erano più alti di quelli europei. Stavolta è diverso: la Germania ha affrontato l´ultima recessione meglio degli Usa. Perché? L´America può imparare qualcosa dall´esempio tedesco?
«Sono felice che le economie dei nostri due paesi crescano, sebbene il nostro tasso di crescita non sia sempre stato lo stesso. Storie diverse, passati diversi segnano le nostre politiche. L´America ha profonde memorie dell´alta disoccupazione nella Depressione, la Germania ebbe esperienze da lasciar cicatrici con l´inflazione. Ma i nostri obiettivi fondamentali sono gli stessi: riteniamo necessario che i mercati funzionino bene, e che Germania e Usa debbano essere al centro degli sforzi per garantire che la crescita mondiale sia sostenibile ed equilibrata. La Germania, e altri paesi europei, hanno dovuto fare scelte dure sulla spesa e i tagli al bilancio, e anche noi affrontiamo questi problemi. Tutti cerchiamo il giusto equilibrio tra la necessità di una forte ripresa e i passi necessari per garantire la nostra sostenibilità fiscale a lungo termine».
Ma la Germania non potrebbe fare di più quanto a responsabilità politica globale? La non partecipazione all´azione in Libia non indica gravi limiti nella volontà tedesca di assumersi responsabilità militari?
«La Germania è già un leader globale, e siamo in contatto costante per coordinarci. Ha circa 7000 soldati schierati in operazioni in tutto il mondo, dà un significativo contributo alla pace e alla sicurezza internazionali. Apprezzo particolarmente la sua partecipazione alla Isaf in Afghanistan: fornisce 5000 soldati, il terzo contingente per importanza, ha il comando dell´intera regione nord, guida due team di ricostruzione, dà supporto logistico a tutte le forze Isaf nell´area, inclusi migliaia di soldati americani. Quanto alla Libia, non c´è decisione più difficile che scegliere se inviare i propri uomini e donne in armi in un conflitto armato. Ma noi apprezziamo il contributo tedesco alle operazioni Nato su tutti i fronti, dai Balcani all´Afghanistan, fino al corno d´Africa e alla Libia. E voglio sottolineare che la Germania ha un ruolo importante rispetto alle transizioni democratiche in atto in Nordafrica. Parleremo con la cancelliera di come collaborare ancora meglio sui cambiamenti nella regione, inclusa la Libia».
Ma quanti cambiamenti democratici possiamo realmente aspettarci in una regione come il Nordafrica, praticamente priva di esperienze democratiche?
«Affrontiamo molte sfide in Medio Oriente e in Nordafrica. Non sono transizioni facili, richiederanno tempo. Ma esistono anche i momenti delle opportunità storiche. La richiesta di riforme politiche ed economiche che viene dai popoli della regione è legittima, va ascoltata. La violenza contro pacifiche proteste è inaccettabile, deve finire. Leader che usano la violenza contro i loro popoli devono capire che non riusciranno a soffocare la voglia di cambiamento con l´oppressione. Alcuni cambiamenti già avvenuti sono epocali, come per esempio in Egitto. Vogliamo aiutare gli sforzi di libertà in Medio Oriente e Nordafrica. La mancanza di esperienza democratica nella regione non rende meno valido o meno meritevole di aiuto il desiderio di libertà di quei popoli».
L´America è una potenza globale, Germania, Regno Unito o Francia sono potenze medie. Ricorda esempi in cui lei ha cambiato idee su un tema strategico globale, dopo aver parlato con un leader europeo?
«Con la cancelliera mi consulto su ogni tema importante della mia agenda internazionale, apprezzo molto il suo pragmatismo e il suo parlar chiaro. Non siamo sempre d´accordo su tutto, non accade mai tra alleati. Ma ci parliamo onestamente e apertamente, come devono fare buoni amici, e credo che ciò abbia rafforzato la nostra consapevolezza che le sfide sono condivise. I grandi temi del mondo d´oggi esigono che lavoriamo insieme. Il nostro rapporto con l´Europa è la pietra angolare del nostro impegno nel mondo, e un catalizzatore di azione globale. La Germania è al centro dell´Europa, e la nostra cooperazione è centrale per tutto quanto speriamo di fare nel mondo».
©Der Tagesspiegel - La Repubblica
l'Unità 6.6.11
L'enigma Netanyahu
Quelle domande sulla pace che vorrei fare a Netanyhau
di Michael Walzer
Il premier vede il ritiro dai Territori come una concessione troppo importante
Così porta Israele verso la condizione di "parìa" della comunità internazionale
Da circa trent´anni vado regolarmente in Israele, e ogni volta mi ritrovo a parlare quasi sempre di politica. Eppure ho difficoltà a capire la proposta lanciata da Barack Obama. La novità introdotta dal presidente degli Stati Uniti non è il riferimento ai confini del 1967 bensì affrontare subito la questione dei confini e della sicurezza e rimandare quella dei rifugiati palestinesi e dello status di Gerusalemme.
Per gli israeliani di sinistra (i miei amici), convinti che Israele abbia tutto da guadagnare da un ritiro dai Territori e che tale strategia risponda a una necessità impellente più per gli ebrei che per gli arabi, è un discorso sensato. Non lo è affatto, invece, per Netanyahu e i suoi alleati, che vedono il ritiro come una concessione troppo importante, per la quale probabilmente non sono ancora pronti (né lo saranno mai, a meno che non serva a chiudere definitivamente il conflitto con i palestinesi). Questi ultimi, in altre parole, dovrebbero rinunciare al diritto al ritorno in cambio del ritiro israeliano dalla Cisgiordania. Ma questa eventualità è altamente improbabile e, purtroppo, Obama ha come interlocutore la destra israeliana, non la sinistra. La reazione alle sue proposte, dunque, era prevedibile.
Eppure, Netanyahu avrebbe potuto rispondere diversamente alle dichiarazioni del presidente Usa. Avrebbe potuto accogliere con favore il rifiuto di una proclamazione unilaterale dello Stato palestinese, la promessa che Israele non resterà isolato nell´ambito delle Nazioni Unite, l´invito ad Hamas affinché accetti Israele e rinunci al terrorismo, l´obiettivo di una Palestina demilitarizzata e la richiesta del riconoscimento di Israele come Stato ebraico. Infine, avrebbe potuto semplicemente riconoscere che vi sono ancora dei punti di disaccordo da chiarire circa i confini, gli insediamenti e l´ordine nel quale affrontare le questioni più spinose.
Perché Netanyahu si è impuntato sul passaggio relativo ai confini del ´67 e ha acceso uno scontro? La risposta è molto semplice: il processo di pace non gli interessa (non crede neppure che esista) e pensa solo alla sua posizione politica in patria. Ma non c´è solo questo. Non ho grande stima di Netanyahu, ma un primo ministro israeliano dovrebbe avere un progetto per il futuro del suo paese (e non solo per la propria carriera). Che cosa ne pensa della deriva di Israele verso la condizione di parìa della comunità internazionale, della crescita in molti paesi dei movimenti di boicottaggio, dell´eventualità che l´Assemblea generale delle Nazioni Unite riconosca uno Stato palestinese (come ha fatto molti anni fa con quello israeliano), e della possibilità che i palestinesi organizzino proteste pacifiche su larga scala (qualcosa che Israele non ha mai dovuto affrontare in passato)? La mia impressione è che Netanyahu stia camminando a occhi chiusi verso la rovina. Dovrebbe sapere che le standing ovation a Washington non servono a proteggere il popolo che egli dice di rappresentare. Non capisco che cosa abbia in mente.
I leader palestinesi accoglierebbero con favore il ritiro di Israele dalla Cisgiordania, ma non sono assolutamente pronti a chiudere il conflitto. Nessuno di loro ha mai manifestato la disponibilità a rinunciare al diritto al ritorno dei profughi. Non sono abbastanza forti da poter compiere una scelta del genere, ma ho il sospetto che non ne abbiano neppure la volontà. Il loro obiettivo strategico è – temo – sempre lo stesso: la creazione di uno Stato palestinese accanto a uno Stato ebraico che non riconoscono e verso il quale nutrono ostilità. Sul piano tattico, tuttavia, sono state introdotte alcune novità. Seguendo un percorso a ritroso, hanno fatto ricorso prima alla violenza e al terrore, poi a proteste pacifiche. Se avessero proceduto nell´ordine inverso, oggi avrebbero già un loro Stato.
Il prossimo settembre, tuttavia, quando le Nazioni Unite avranno riconosciuto il loro Stato, marceranno in migliaia oltre i confini del 1967 – da Nablus, per esempio, fino ai vicini insediamenti e basi militari – per affermare la propria sovranità e integrità territoriale. E a quel punto che farà Israele? Gran parte della destra israeliana preferirebbe quasi sicuramente una nuova campagna terroristica, che farebbe passare i palestinesi ancora una volta dalla parte del torto. È un esito certamente possibile, ma – ecco la novità inattesa – meno probabile di una protesta pacifica.
Obama ha cercato di aiutare Netanyahu a evitare o posticipare il voto alle Nazioni Unite, per dare a Israele la possibilità di convertire la proclamazione dello Stato di Palestina in un progetto congiunto dei due popoli. Quali che siano le possibilità di successo, l´avvio di seri negoziati sui confini israeliani è un´esigenza fondamentale, e l´ostinato rifiuto di Netanyahu mi sembra una scelta folle. Non inaspettata, ma pur sempre folle. La speranza è che qualcuno alla Casa Bianca abbia un´idea sui prossimi passi da compiere.
L´articolo di Michael Walzer qui anticipato esce sul sito della rivista Reset (www.reset.it) e sul web magazine multilingue Reset-Dialogues on Civilizations (www.resetdoc.org) all´interno di un dossier sul medio oriente e l´Islam che cambia. (Traduzione di Enrico Del Sero)
La Stampa 6.6.11
Unioni di fatto: l'affondo del papa
“Solo dal matrimonio nascono vere famiglie”
Benedetto XVI si scaglia contro le convivenze: “Sono inutili”
Natalità in calo. 22,2 per cento i bambini nati fuori dal matrimonio
Senza servizi per le madri in Italia continuano a nascere meno figli che nel resto d’Europa
di R. Mas.
ROMA Sembrava che gli italiani avessero ripreso a fare figli, e soprattutto che le donne straniere sopperissero con il loro tasso di fecondità alla nostra astenia riproduttiva. Sembrava. Invece non è così. «Il numero dei nati nel 2010 - registra l’Istat nel suo bilanci demografico nazionale diffuso dieci giorni fa - è diminuito rispetto al 2009 (-6.913, pari all’1,2%), seguendo un andamento già registrato nel corso dell’anno precedente».
Negli ultimi dieci anni la tendenza al calo demografico costante sembrava arrestata, ma a leggere bene dentro il fenomeno si scopriva che l’incremento dei nati era dovuto all’apporto delle giovani straniere, tant’è che «l’incidenza delle nascite di bambini stranieri sul totale dei nati ha avuto un notevole incremento, passando dal 4,8% del 2000 al 13,9% del 2010; in valori assoluti da quasi 30 mila nati nel 2000 a quasi 80 mila nel 2010». Poi la grande raggelata: è arrivata la crisi e anche le donne straniere hanno smesso di fare figli. «Da un lato - spiega l’istituto di statistica - le donne italiane in età riproduttiva (15-49anni) fanno registrare una diminuzione della propensione alla procreazione, testimoniata dal tasso di fecondità stimato per il 2010, che passa da 1,33 a 1,29 nel giro di un solo anno; dall’altro si registra una progressiva riduzione delle potenziali madri, dovuto al prolungato calo delle nascite iniziato all’incirca a metà anni ’70». Ma una lettura attenta dei numeri ci consente di capire qualcosa in più: se oggi la media è di 1,42 figli per donna, questo dato cresce, e a volte s’impenna, in quelle regioni in cui i servizi alla maternità sono più diffusi ed efficienti (1,57 in Valle d’Aosta, 1,50 in Lombardia, 1,60 in Trentino Alto Adige, 1,47 in Friuli, 1,48 in Toscana) mentre scende dove i supporti sono inferiori (1,11 in Sardegna, 1,17 in Molise, 1,21 in Basilicata). La media europea dei figli per donna - solo per fare un raffronto internazionale - è di 1,6 e negli Usa di 1,9
Se, dunque, veramente si volesse seguire l’esortazione papale a fare più figli, la via maestra sembrerebbe una sola: dare più servizi alle donne. A riprova di questa tesi c’è il fatto che - se la natalità è diminuita in un anno dell’1,2% su base nazionale - il decremento è stato maggiore al Sud che al Nord: nelle due Isole -1,8%, nelle regioni del Sud -1,6% e del Nordovest -1,4%, mentre risulta più lieve nel Centro (-0,6%) e nel Nord-est (-0,8%). In questo quadro, però, giova riportare un altro dato emblematico del cambiamento del costume: il 22,2 dei bambini che vengono al mondo - quasi uno su quattro - nasce all’interno di una famiglia di fatto. Una percentuale cresciuta di 10 punti solo negli ultimi 5 anni.
La Stampa 6.6.11
Ci si sposa sempre meno
Conviventi, single, separati In sette milioni di case il “pezzo di carta” non serve
di R. Mas.
ROMA In realtà, in Italia la famiglia prospera. Il problema - semmai - è che il modello di famiglia in progressione non è quello canonico e raccomandato dalle autorità religiose: 3 milioni e 800 mila «nuclei» sono costituiti da una persona sola - i cosiddetti single «non vedovi» - che magari hanno un partner ma non intendono sposarsi. 900 mila sono, poi, le famiglie «ricostituite», cioè composte - senza matrimonio - da persone che hanno una separazione o un divorzio alle spalle. Infine ci sono le tanto condannate famiglie di fatto, che sono simili a quelle ricostituite ma senza che ci sia un matrimonio alle spalle, e sono 820 mila, con una crescita esponenziale, se si considera che sei anni fa erano 564 mila. A questo quadro di fuorilegge del matrimonio vanno aggiunte le famiglie monogenitoriali che sono 2 milioni e 214 mila. Sintesi: su 25 milioni di famiglie, oltre 7 milioni non hanno le carte in regola (almeno secondo il Papa).
Se le famiglie di fatto aumentano, quelle di diritto - civile o canonico - diminuiscono: negli ultimi due anni i matrimoni sono scesi di 30 mila unità, sancendo un crollo sistematico che è iniziato dagli anni Settanta. Solo per fare un raffronto: nel 1972 i matrimoni furono 419 mila, lo scorso anno sono stati 217 mila. Il tasso di diminuzione è stato, in media, dell’1,2% nell’ultimo decennio, ma negli ultimi due anni è salito repentinamente al 6%. «La diminuzione delle nozze nel biennio 2009-2010 ha interessato tutte le aree del Paese - dice l’Istat - Tra le grandi regioni, quelle in cui il calo è stato più marcato sono Lazio (-9,4%), Lombardia (-8%), Toscana (-6,7%), Piemonte e Campania (-6,4% in entrambi i casi)». Anche negli altri Paesi europei il calo dei matrimoni è stato, in media, del 22% dal 1990 a oggi.
Solo cinque anni fa il 71 per cento dei matrimoni, su base nazionale, era religioso, ora siamo al 63 per cento, ma con fortissime differenze territoriali: se Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia (ma non la Campania) registrano quote tra l’82 e l’87 per cento di matrimoni religiosi, in altre regioni (Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia, Liguria, Friuli, Emilia) siamo a meno della metà, e il Lazio è a cavallo del 50%.
Aumentano anche separazioni e divorzi: le prime (circa 85 mila l’anno) sono cresciute del 3% in 5 anni, ma i secondi (55 mila l’anno) sono quasi quadruplicati (+23%) in cinque anni. Sul forte incremento delle separazioni hanno agito anche motivazioni fiscali, e cioè il tentativo di evitare il cumulo dei redditi.
La Stampa 6.6.11
La nuova legge rischia di trasformare i bambini da “condivisi” a “divisi”
In discussione al Senato le modifiche alla norma che regola l’affido dei minori
di Carlo Rimini *Ordinario di Diritto privato all’Università di Milano
Sei su dieci Le coppie che divorziano scelgono l’affido condiviso nel 60% dei casi
È iniziata in Commissione giustizia del Senato la discussione sul disegno di legge n. 957 - presentato da alcuni senatori della maggioranza - che mira a modificare le norme sull’affidamento condiviso dei figli nei giudizi di separazione e divorzio.
La legge sull’affidamento condiviso è stata approvata solo cinque anni fa dopo un lungo dibattito che ha prodotto un risultato tutto sommato equilibrato. Si è previsto che, in generale, dopo il fallimento del matrimonio, i figli debbano essere affidati ad entrambi i genitori. Ciò significa che entrambi hanno gli stessi diritti e le stesse responsabilità nell'assumere le decisioni relative ai figli, nel guidarne l’educazione e la crescita. Pur essendo condiviso l’affidamento, i figli non vengono ovviamente divisi a metà fra l’uno e l’altro genitore: la legge approvata nel 2006 lascia al giudice il potere di determinare i tempi e le modalità della presenza del bambino presso ciascun genitore e questo potere è stato interpretato dalla maggior parte dei tribunali individuando comunque il genitore con cui il bambino continuerà a vivere dopo la separazione, pur prevedendo ampi spazi di frequentazione per l’altro genitore. Generalmente, nella prassi nei nostri tribunali, si prevede che il figlio, su un ciclo di due settimane, passi circa 10 giorni con il genitore convivente e quattro con l’altro (con un’equa divisione dei fine settimana e del tempo libero). Questo perché un bambino non può avere due case, due camere, due scrivanie su cui fare i compiti, due armadi. Un bambino deve essere in grado di rispondere ad una domanda semplice: «dove abiti?». Se è costretto a rispondere «un po’ di qua e un po’ di là» non è un bambino «condiviso», ma diviso, dissociato. Un bambino, almeno in generale, non è in grado di reggere allo stress provocato dal dividere il proprio tempo a metà fra due mondi. Non ci riesce spesso neppure un adulto! Il disegno di legge in discussione al Senato mira invece espressamente a contrastare la prassi attuale che viene definita, nella relazione introduttiva, come una «insidiosa forma di non applicazione della legge del 2006». Se il disegno di legge sarà approvato, il giudice dovrà necessariamente stabilire che il bambino abbia il domicilio presso entrambi i genitori. Quindi, poiché i genitori vivono separati, il figlio avrà due case, due luoghi di residenza, e dividerà il suo tempo fra questi due luoghi «pariteticamente, salvi i casi di impossibilità materiale».
Non c’è alcun dubbio sul fatto che per un genitore possa essere una grande sofferenza perdere il rapporto quotidiano con suo figlio durante i giorni di scuola e recuperarlo solo durante il fine settimana, ma le regole devono tenere conto dell’interesse dei figli e non dell’interesse dei genitori. Se i genitori, nonostante la separazione, riescono ancora a condividere il loro ruolo di educatori, prendendo assieme le decisioni, consultandosi nei momenti difficili, mostrando solidarietà reciproca, il bambino non subirà conseguenze negative dalla separazione; se invece uno cerca di sovrastare l’altro e questo reagisce denigrando il primo, il bambino patirà un danno irreparabile. In questo contesto, dividere il tempo del bambino a metà, come una mela, non giova al figlio e serve solo a farlo soffrire. Non cambiate quella legge!
Repubblica 6.6.11
Un saggio di Davide Susanetti che attualizza Sofocle
Se vivere insieme diventa tragedia
Le ossessioni del nostro presente dietro i drammi di Edipo, Aiace, Oreste voluti dal fato
di Nadia Fusini
Accadono cose che ci commuovono. Ci meravigliano, ci spaventano, ci confondono. Restiamo stupiti, ammutoliti. Poi, come se il significato fosse qualcosa che viene dopo l´emozione, proviamo a ragionare. In altre parole, diventiamo responsabili, e cioè capaci di rispondere di ciò che accade - e ci offende, o ci contraria, o ci rincuora - spassionatamente raffreddando la passione. Addirittura, in un certo senso dimenticando il nostro interesse, anche nel senso puro e semplice di coinvolgimento personale, ideologico. La ragion pura è un sogno inattingibile, ma lo sforzo per raggiungere tal fine resta encomiabile.
Un modo magnifico di ragionare per comprendere un fatto accaduto nei nostri giorni s´è manifestato nell´articolo di Barbara Spinelli del 18 maggio scorso, dove rifletteva su quel che è accaduto nella suite dell´albergo Sofitel di Manhattan a una personalità di spicco, un "eroe" moderno, ricorrendo a Dostoevskij. Ecco, mi sono detta un bell´uso della letteratura! - che come tutti sanno è una forma di conoscenza, un patrimonio, di cui disponendo si può capire la realtà in cui viviamo.
E´ la stessa reazione che ho avuto leggendo il libro di Davide Susanetti, Catastrofi politiche (Carocci editore, pagg. 236, euro 18). Il sottotitolo spiega che Sofocle, sì, il grande drammaturgo - cui si debbono indimenticabili tragedie come Antigone, Filottete, Edipo Re, Edipo a Colono, Aiace, Elettra, le Trachinie - con le sue storie ci racconta "la tragedia di vivere insieme". E´ questo secondo Susanetti il vero dramma a tema nel teatro greco già con Sofocle, e ancora di più con Euripide: con loro si liquida un mito, e cioè che le istituzioni reggano l´urto della vita. Invece, più e più volte nelle loro tragedie "la casa va in frantumi, la città rischia di diventare un deserto inabitabile". Altro che catarsi, trionfa la catastrofe. Per catastrofe intendendo la devastazione della memoria, e con essa l´intransitabile passaggio da una generazione all´altra, e dunque alla fine l´impossibilità di vivere congiunti in uno stesso orizzonte condiviso.
Con garbo e sapienza Susanetti ri-racconta le vecchie storie. Non c´è nessuna compiaciuta e sterile esibizione, c´è semmai un gusto del sapere; si sente che conoscere i suoi testi dà allo studioso un´emozione autentica. Li indaga con amore, li parafrasa, li riassume, li assorbe nella sua lingua, nel nostro tempo. Ma non per questo si concede un´estemporanea attualizzazione, nessun troppo ovvio riferimento al presente. Eppure chi legge sente affiorare i fantasmi che aleggiano sulla scena politica nei secoli dei secoli fino ad oggi… Ed è qui l´incanto, dove si dimostra che la cultura serve all´intelligenza. Che la conoscenza della tradizione sostiene il presente e sorregge ogni vero atto di comprensione della nostra esistenza qui e ora.
Pian piano riconosciamo la "nostra" catastrofe politica: dietro Edipo, Aiace, Oreste si sollevano a specchio i tipi attuali, i contemporanei impacci intellettuali e pratici che ossessionano il nostro presente. Sofocle è un signore vissuto in un certo tempo e di quel certo tempo parla; risponde di ciò che accade nella sua epoca nel modo poetico. Ripeto: non vive nell´empireo, è un "poeta" e un "politico" che vive ad Atene e mai la lascia e la ama. Il potere lo conosce, la sua vita ne è toccata, di Atene e di Pericle e della democrazia è fervido sostenitore. Basta leggere l´orgoglio con cui descrive la sua terra nell´Edipo a Colono. Nelle sette tragedie che ci sono giunte per lo più al centro è un uomo di straordinarie capacità, che gli dei travolgono, come accade ad Aiace. E´ commovente oltre ogni dire seguire le dolorose vicende dell´eroe che la dea Atena trasforma in una cieca macchina di distruzione... E´ tremendo assistere alla fine atroce di Eracle, e non è colpa di Deianira la quale gli ha mandato in dono il mantello che gli divora la carne; è il fato che così si compie. Quanto a Elettra e a Oreste, anche loro sono perduti in un atto cui li trascina la legge androcratica della stirpe, che riconosce nella vendetta del padre l´inevitabile debito di obbedienza. Ma quale nuovo ordine seguirà?
Il modo della lettura del testo antico da parte di Davide Susanetti non ha niente a che fare con una certa critica marxista d´antan, che anche in revival foucaltiani, intende strappare alla sovrastruttura della costruzione artistica la maschera che nasconde il vero fondo. Niente di tutto ciò. Nessuno smascheramento, nessun violento strappo. Susanetti acconsente, si concede al testo, lo insegue nelle sue ambiguità, lo commenta intonandosi alle sue preoccupazioni. Perché un dramma è anche questo, un gomitolo di fili in cui si annodano le cure profonde di una cultura, una società, un paese; una cultura, una società, un paese, in questo caso, dove il potere comincia ad apparire in-fondato. Tanto che chi lo raggiunge è forse "solo un delinquente più fortunato di altri".
Vi ricordo che così Edipo giunge a Tebe: con le mani insanguinate. Edipo è tyrannos a Tebe, e quel termine, anche se non coincide con il significato che noi diamo alla parola "tiranno", però svela che Edipo non è re per diritto di nascita. E´ semmai un self-made re, che grazie alla sua intelligenza - ha risolto l´indovinello, ricordate? - si eleva il più in alto che può, finché non si ritrova il "più maledetto" tra gli uomini. Ma, allora, chi governa il mondo?
Corriere della Sera 6.6.11
Radicali contro Giovanardi «È anti gay, non vada all’Onu»
MILANO— I Radicali, prima firmataria la deputata Rita Bernardini, hanno
indirizzato al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e al ministro
della Salute Ferruccio Fazio un’interrogazione parlamentare urgente
rivolta al governo sul tema della lotta all’Aids e in particolare alla
presenza italiana nella prossima conferenza dell’Onu dall’ 8 al 10
giugno, dove andrà il sottosegretario Carlo Giovanardi.
Nell’interrogazione, infatti, i Radicali chiedono al presidente del
Consiglio Silvio Berlusconi e al ministro della Salute Ferruccio Fazio
se «il governo non ritenga troppo riduttivo inviare il sottosegretario
Carlo Giovanardi alla conferenza Onu che avrà come tema la lotta
mondiale all’Aids» . Giovanardi, infatti, secondo quanto denunciato dai
Radicali in questa lettera al premier, «solitamente esprime posizioni
politiche di evidente pregiudizio nei confronti delle persone
omosessuali. Dunque vorremmo sapere se le proposte da lui annunciate sul
proporre la cancellazione delle politiche sulla riduzione del danno
siano realmente rappresentative delle posizioni del governo e su quali
basi scientifiche, a questo punto, si basa tale decisione» .
La Stampa 6.6.11
Nella testa dell’assassino
Tutti i segreti del Rac, il reparto dei carabinieri specializzato nei profili psicologici dei criminali
di Francesco Grignetti
ROMA La «realtà immersiva» Ricostruisce il delitto dal punto di vista di chi l’ha commesso
Tecnologie e metodi all’avanguardia La comparazione I profiler lavorano spesso con i colleghi dei Ris
Il «profiling geografico» Individua l’area d’azione di un criminale seriale
Una squadra sceltissima I militari del Rac sono esperti di psicologia e sociologia laureati a pieni voti. Nel team molte le donne
Hanno contribuito a risolvere il delitto dell’Olgiata. Ora sono alle prese con l’omicidio di Carmela Melania Rea ad Ascoli Piceno. Quando i carabinieri affrontano casi particolarmente efferati, lo stalking, i raptus sessuali, la pedofilia, silenziosamente entrano in gioco anche gli specialisti del Rac-reparto analisi criminologiche. Sono i «profiler» dell’Arma, esperti di psicologia e di sociologia che hanno dedicato la vita a studiare le psicopatie umane. Come i cugini delle fiction tv alla «Criminal
Minds», anche questi carabinieri sono giovani, laureati a pieni voti, entusiasti, anticonformisti. E se l’Arma oggi festeggia a Roma il suo 197˚ compleanno in piazza di Siena alla presenza delle più alte cariche dello Stato, celebrazione a cui i carabinieri sono particolarmente affezionati perché ricorda le loro nobili origini pre-risorgimentali, sono i nuovi reparti come il Rac che la mantengono giovane.
La criminologia è una scienza consolidata negli Stati Uniti. È dal 1923 che gli psicologi solcano le aule di giustizia. Non così da noi, dove la cosiddetta «prova scientifica atipica» era tenuta fuori dai tribunali. Però le cose sono cambiate ed è merito proprio del Rac. Il battesimo del fuoco lo superano con un brutto delitto a Marsciano, Perugia: nell’estate 2007 un marito brutale uccide di botte la moglie, incinta all’ottavo mese. Lo arrestano quasi subito. Ma al processo se la sarebbe cavata con una pena minima se avesse convinto i giudici del delitto preterintenzionale. Gli esperti del Rac ribaltano la situazione delineando una «sindrome perinatale maschile»: il marito si vendica sulla moglie perché l’arrivo di un bebé gli sottrarrà attenzioni. Ed è ergastolo in primo e secondo grado; si vedrà presto che cosa decide la Cassazione.
A parlare con i «profiler» dell’Arma ci si addentra nei meandri dell’animo umano. «Ha presente - esordisce il comandante del reparto, il colonnello Giorgio Manzi - gli studi dello psicologo inglese David Canter»?. Beh, mi trova un tantino impreparato. «È un colosso della criminologia. Ha studiato la correlazione tra il modus operandi di un aggressore e il profilo di personalità. Ne è venuta fuori una legge scientifica: c’è costanza di relazione tra un autore di crimini efferati e le tracce che lascia sulla scena del crimine». E queste, ovvero le tracce, sono materia dei carabinieri del reparto accanto, l’ormai famoso Ris. Questi altri, i «profiler», incrociano i risultati di sangue, Dna, autopsia e quant’altro, con i manuali della psicologia. E ricostruendo le tracce di un delitto, specie quando è seriale, si può risalire al suo autore.
«Fondamentale - incalza il colonnello - è anche la teoria “del campo”: il comportamento umano è il risultato dell’interazione tra la personalità dell’individuo e l’ambiente che lo circonda». E perciò? «Perciò, studiando la geografia dei luoghi dove avvengono alcuni delitti, facendo il cosiddetto “geografic profiling”, siamo in grado di indicare con buona approssimazione il perimetro dove si muove il nostro soggetto. Un perimetro che è fisico, ma anche emotivo.
«E poi non possiamo dimenticare Freud». Ecco, appunto, Freud. «È lui che ha teorizzato per primo il criminale “per senso di colpa”». Molto banalizzando, Freud sostiene che certi soggetti vivono con senso di colpa i loro impulsi violenti. Sanno che a seguirli commetteranno atti vietati. Da qui ne discende il loro senso di colpa e l’inconscia necessità di commettere un delitto per essere riconosciuti e puniti. Se aggrediranno una donna o un bambino, si può star sicuri che lasceranno tracce particolari perché l’inconscio gli ordina di farsi trovare. Tutto sta a riconoscerle, queste tracce. E qui entrano in gioco i «profiler», la loro capacità di mettere ordine nel caos, di fare luce nelle tenebre (come declamano, per l’appunto, gli spot della serie televisiva «Criminal Minds»). Quando l’assassino seriale Luigi Chiatti, a Foligno, scrive messaggi alle forze dell’ordine, e poi lascia tracce di sangue fino davanti alla porta di casa, è un tipico caso di criminale che si muove «per senso di colpa». Non vede l’ora di essere trovato e di confessare. Anche il filippino Winston Manuel si precipita a raccontare tutto quando gli dicono di avere capito che è stato lui a uccidere la contessa Filo della Torre. E che succede ad Avetrana? Quando Michele Misseri fa finta di avere ritrovato il cellulare di Sarah, gli psicologi del Rac capiscono: quell’uomo vuole liberarsi di un segreto troppo orribile per tenerlo dentro di sé.
La Stampa 6.6.11
“Siamo come gli agenti di Criminal Minds. Ma lì è tutto più facile”
di Fra. Gri.
ROMA Sono ormai milioni gli italiani che hanno familiarità con i team dei «profiler» dell’Fbi. Certi personaggi sono diventati celebri: gli agenti Gideon e Hotchner, il geniale professorino Spencer Reid, l’informatica Penelope Garcia, i terribili S. I. («soggetti ignoti») come chiamano rapitori e assassini. Come li vede, questi suoi «colleghi», uno che questo strano mestiere lo fa sul serio, come il colonnello Giorgio Manzi? «Con un pizzico di invidia. Nella realtà le cose non vanno così lisce... Un caso complicato non si risolve mai nel tempo di una puntata di telefilm. A volte non si risolve affatto. E invece alla tv tutto fila così liscio, sono sempre così carini e gentili, non gli si rompe mai una macchina...». E poi, si potrebbe aggiungere, nella realtà italiana i «profiler» non godono di un aereo privato per precipitarsi sulla scena del crimine, ma vanno in treno.
«Gli sceneggiatori hanno ottimi consulenti, però. I riferimenti sono seri. Ma quel che salta agli occhi è la differenza tra il sistema americano e quello italiano. Da noi sarebbe impensabile anche solo richiedere al magistrato una perquisizione o un’intercettazione telefonica sulla base di un profilo. Noi possiamo tutt’al più suggerire agli investigatori che c’è una data percentuale di probabilità per cui l’autore di un delitto efferato abbia una certa psicopatia di cui si conoscono i sintomi, e quindi occhio a certe stranezze, oppure che si muova in un perimetro definito».
Se in «Criminal Minds» abbiamo imparato a conoscere i metodi di lavoro dei team dell’Fbi, quello che fanno al Rac è ancora in buona parte misterioso. La ricostruzione virtuale della scena del crimine, ad esempio. «Noi consideriamo che l’autore di un delitto d’impulso, ma anche un testimone, ha una percezione della realtà differente da quella normale. I sensi sono concentrati sulla vittima con sensibili trasformazioni del campo visivo e di quello acustico. Con programmi di «realtà immersiva» siamo in grado di ricostruire la scena del delitto secondo punti di vista soggettivi». Sembra un gioco. È invece un metodo scientifico per «entrare» nella mente di un assassino.
Innovativo è anche il «profiling geografico». Si parte dal principio che un aggressore seriale si muove soltanto in un ambiente che ben conosce perché è lì dove abita o dove lavora, o dove è stato spesso. «Nel caso di uno stupratore a Genova, analizzando le tracce, abbiamo sbagliato di soli 600 metri».
Corriere della Sera 6.6.11
De Luna: cadute le utopie, è tempo di mitezza
di Frediano Sessi
D a anni il parco memoriale degli Stati europei e dell’Italia è cresciuto, dando voce a una molteplicità di vittime del XX secolo, spesso messe tra loro in concorrenza, come ricordava una quindicina d’anni fa un saggio del filosofo e sociologo francese Jean-Michel Chaumont (La concourrence des victimes, ed. La Découverte). Alle nuove date memoriali che si apprestano a scandire un rinnovato e più denso calendario della nostra religione civile e spesso si propongono di sostituire quelle attualmente condivise e riconosciute (anche se da qualche parte contestate, come il 25 aprile), corrispondono frequentemente conflitti, recriminazioni, proposte di riscritture radicali della storia, anche alla luce dell’uso che politica e mass media ne fanno, non tanto per scopi di conoscenza del passato, ma per giustificare scelte e posizioni del presente. Giovanni De Luna, ne La Repubblica del dolore, sottolinea come proprio «il paradigma vittimario si presenti oggi nello spazio pubblico con i tratti di una marcata egemonia culturale» , spesso a scapito della conoscenza storica. E sottolinea come il termine «vittima» ricorra con insistenza nelle leggi che dal 20 luglio del 2000 (data dell’istituzione del 27 gennaio come Giornata della memoria delle vittime della Shoah) sono state approvate dal parlamento italiano, tanto da considerarlo la «spia linguistica del tenere insieme — scrive De Luna — Resistenza e Ragazzi di Salò, foibe e lager, terrorismo delle Br e mafia, attraverso la costruzione, nel segno della compassione per le vittime, di una memoria avvinta dall’emozione e assorbita dalla sofferenza» . È indubbio che questo sguardo all’indietro sul nostro passato sia una caratteristica determinata anche dall’eclissi delle grandi utopie. Mutilato del suo orizzonte, il XX secolo al nostro sguardo— sottolinea il sociologo della politica Enzo Traverso— si mostra come un’epoca di guerre, totalitarismi e genocidi. Così, anche grazie alla voce dei testimoni dei lager nazisti e dei gulag, ormai accolta nell’universo della letteratura, le vittime sono diventate i «passatori «della storia... Il problema, sottolinea De Luna, riguarda l’Italia e l’Europa nel suo insieme, ma che affidamento oggi può essere concesso a una simile memoria «carica di contraddizioni e così esposta ai venti delle passioni e dei sentimenti?» . Prendere atto del fallimento della classe politica nel dare vita a un nuovo patto di memoria per rafforzare la comunità civile e la nazione non significa rinunciare a cercare, proprio a partire da questa crisi, una soluzione possibile. Così a conclusione del suo bel saggio, De Luna sceglie la «mitezza» come venne enunciata da Bobbio, una virtù sociale che «per rifulgere ha bisogno dell’altro, deve essere inserita nei legami sociali che tengono avvinta una comunità» . Forse, proprio la mitezza può essere il fondamento di una memoria immune dalle contese risarcitorie tra vittime ed eredi delle vittime.
Corriere della Sera 6.6.11
Aldous Huxley, così l’uomo perde l’anima
Lo spaesamento dell’Inghilterra degli anni Venti, simile a quello raccontato da Virginia Woolf
di Giorgio Montefoschi
Q uando Walter Bidlake, giornalista al «Literary World» , si avvia verso
la porta di casa, dopo essersi aggiustato il cravattino bianco dello
smoking per recarsi alla serata musicale di Lord e Lady Tantamount —
siamo all’inizio di Punto contro punto di Aldous Huxley (Adelphi,
traduzione di Maria Grazia Bellone, pp. 528, e 24)— la sua compagna
Marjorie, non invitata in quanto non è sua moglie, gli propone il volto
pallido e smunto e una insostenibile richiesta per chi ha i pensieri
altrove: «Non tornare più tardi di mezzanotte» lo supplica lacrimando.
Lei è incinta di tre mesi e per Walter ha lasciato un marito afflitto da
scrupoli religiosi più di un chierichetto; Walter è innamorato perso
della ricchissima, capricciosissima erede dei Tantamount: Lucy. Il
palazzo dei Tantamount sorge all’estremità orientale di Pall Mall. È
sfarzoso: saloni, scalinate come in un edificio rinascimentale. Il
concerto è incentrato sulla «Suite in si minore per flauto e archi» di
Bach. C’è parecchia gente: nobili, intellettuali, pittori, rappresentati
di movimenti nazionalisti e superconservatori, ricchi che considerano
gli scioperi una semplice idiozia, ricchi annoiati dall’agiatezza che
naturalmente disprezzano il danaro: insomma, la crema della società
londinese degli anni Venti. Lord Edward Tantamount non siede fra gli
spettatori: coadiuvato da un suo assistente, tale Illidge (un tipo dai
capelli rossi, di umile origine, rancoroso) se ne sta all’ultimo piano
del palazzo, in biblioteca a consultare manuali scientifici per ricerche
sul fosforo magari, o altro, che non hanno mai fine e lo impegnano
notte e giorno. Altri interessi non ha: solo la scienza, che pratica chi
se la può pagare. E sentimentalmente è un disastro. Sua moglie Hilda,
la madre di Lucy, lo definisce un «bambino fossile» . Lei, Hilda, è da
molti anni legata a John Bidlake, il padre di Walter: un anziano pittore
piuttosto famoso, egoista al cubo, autore di quadri vagamente
preraffaelliti (tipo, «Le bagnanti» : una ghirlanda di donne nude) privi
di qualunque spiritualità. Con loro, Hilda e John, siamo di nuovo al
piano terra. La musica è finita. Si chiacchiera. Edward fa una capatina e
risale in biblioteca. John e Hilda si punzecchiano sull’amore: ormai
spento per entrambi. John, oltre a Walter, ha una figlia, Elinor,
sposata con Philip Quarles: scrittore. Attualmente, i due sono in India
(un’India ben lontana ancora dalla libertà, stretta nel torchio del
dominio coloniale). Hanno lasciato il piccolo Phil ai suoceri e stanno
per fare ritorno in Inghilterra. Elinor è una donna vitale, Philip è un
freddo: «La sua intelligenza gli permetteva di capire qualsiasi cosa,
compresi i sentimenti che l’intelligenza non sapeva provare o gli
istinti da cui si studiava di non farsi dirigere» . Ma ecco Lucy
Tantamount: ha trent’anni, la pelle bianca come la gardenia che adorna
la scollatura del vestito nero. Illidge, che è di casa, pensa che sia
una dannata, una sciagurata, una donna irrimediabilmente corrotta.
Walter la ama senza sapere perché. Ora, Lucy e Walter hanno abbandonato
la festa. In taxi, si stanno dirigendo verso un ristorante italiano di
Soho aperto fino a tardi, in cui troveranno di sicuro degli amici. La
luce giallastra dei lampioni illumina fugacemente il volto esangue di
lei: la maschera di una persona che ha già visto tutto ed esprime,
insieme, un divertito distacco e una stanchezza languida e indurita.
Walter la bacia (lui, da Lucy vorrebbe sesso e tenerezza: Lucy rifiuta
le tenerezze: «Perché devi sempre tirare in ballo l’amore?» gli dice
sempre); poi entrano nel ristorante. Dove trovano Mark e Mary Rampion e
Spandrell. Mark è pittore: fa quadri e disegni simbolici; viene da una
famiglia povera. Mary da una famiglia ricca. Spandrell è un
nullafacente, provocatore in ogni campo, con dichiarate simpatie
anarchiche. Adesso, sta dicendo: «Ho una tecnica sopraffina per sedurre
le giovinette. Bisogna sceglierle tristi e impressionarle. Si possono
portare al culmine della depravazione» . In realtà— commenteranno più
tardi Mark e Mary— Spandrell pensa continuamente ai peccati, cerca di
commetterli e ci rimane male perché non ci riesce. Altri argomenti della
tavola sono il sesso, l’ascetismo, l’arte. Mark se la prende con gli
artisti concettuali. Dice: «Dove va la presuntuosa creatività che
trascura il cuore e crede solo nella mente?» . Alla fine della cena,
fuori dal ristorante, si rivolge a Lucy, con la quale ha avuto a suo
tempo una relazione durata un mese: «Sarebbe ora che vedessi con i tuoi
occhi un comunista rivoluzionario. Tipi innocui quasi tutti e infantili.
Alcuni sinceramente convinti che la rivoluzione renderà la gente più
felice» . A casa, Lucy si guarda allo specchio: «Cosa farò quando sarò
vecchia? » . E le vengono in mente le parole di Spandrell: «Mai pensato
di morire?» . A palazzo Tantamount la festa è finita, nel frattempo.
Lord Edward e Illidge sono risaliti in biblioteca. Squilla il telefono. È
Lord Gattenden, fratello di Edward, paralizzato in carrozzella.
Annuncia: «Ho appena scoperto una straordinaria prova matematica
dell’esistenza di Dio» : Edwar non si scompone più di tanto e torna alle
sue ricerche. Denis Burlap, invece, direttore del «Literary World» ,
anche lui invitato dai Tantamount, vedovo, mistico con propensioni
francescane, torna dalla sua Beatrice e sentendosi oppresso nel petto si
fa preparare un infuso e massaggiare il petto. Beatrice prova brividi
di terrore a palpare quel corpo nudo (però tutti provano brividi di
orrore e si irrigidiscono, nel romanzo, anche soltanto quando le labbra
si incontrano). Quindi, passa del tempo. Philip Quarles ed Elinor sono
tornati dall’India. Elinor non si sente mamma. Philip si disinteressa
proprio del bambino. Vorrebbe scrivere un romanzo in cui è rappresentato
lo stupore nascosto nelle cose più ovvie. Londra è regale. Il Big Ben
segna le undici e ventisette ed è possibile che un marchese sia assopito
nella biblioteca della Camera dei Lord. Al circolo, dove in parecchi si
incontrano, camerieri in livrea color rubino, assistono con un servizio
impeccabile i partecipanti a discussioni interminabili sulla noia della
vita, l’inutilità del lavoro, l’arroganza delle classi inferiori,
l’arte, la letteratura, la scienza e il corpo, l’intelletto e i
sentimenti, l’istinto e la coscienza. Il vecchio Bidlake scopre di avere
un brutto male. Elinor è corteggiata da Everard, un gaglioffo, capo del
movimento a dir poco reazionario dei British Freemen, sempre in divisa
con lo spadino, e vorrebbe tradire Philip, per scuoterlo dalla sua
indifferenza e tuttavia non ce la fa. Lucy si trasferisce a Parigi,
facendo disperare Walter e, via lettera, lo informa che dopo aver
evitato noiosi locali equivoci per scambisti è andata a letto con un
italiano sconosciuto incontrato davanti a una vetrina. Il vecchio Sir
Sidney Quarles, padre di Philip, altro gaglioffo fallito in politica,
inventa ricerche al British Museum utili alla elaborazione di un suo
grosso tomo sulla democrazia, per incontrarsi con una segretaria
sciacquetta che mette pure incinta (poi la sciacquetta farà in modo di
vendicarsi con una terribile scenata e il gaglioffo avrà, di riflesso,
una emicrania massacrante). Phil, il bambino di Philip e Elinor, si
ammala di meningite proprio alla vigilia del tradimento di Elinor.
Everard, dopo un demenziale comizio in Hyde Park, viene ucciso da
Illidge e Spandrell con una mazzata in testa. Anche Spandrell va
incontro alla morte. Il bambino si riprende e poi di colpo muore. E
finalmente, nel grandioso romanzo di idee in cui con scarso amore e
notevole ferocia è descritta l’Inghilterra postvittoriana con le sue
grandiose contraddizioni, la ferocia dei ricchi e la disperazione dei
poveri, gli immensi privilegi e le immense distanze sociali — e nel
quale, come qualcuno ha scritto nei suoi appunti, «le idee non hanno
alcuna importanza» — irrompe il dolore. Punto contro punto apparve nel
1928. Nel 1925 Virginia Woolf aveva scritto La signora Dolloway; nel
1927, Gita al faro: il suo capolavoro. Da punti di vista completamente
opposti, questi tre romanzi, i due della Woolf e quello di Huxley,
affrontano il tema profondissimo dello spaesamento nel quale — al di là
di ogni contesto storico o sociale — può naufragare l’anima umana.
l'Unità 6.6.11
La curvatura erotica della vita
Scalfari e il filo dell’esistenza
Passioni.Il nuovo libro del grande giornalista, che racconta in prima persona le epifanie di Eros
Una sorta di meditazione filosofico-letteraria, della lotta tra istinto di sopravvivenza e morte
di Romano Màdera
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