lunedì 14 febbraio 2011

l'Unità 14.2.11
Un milione in piazza, è l'inizio di un tempo nuovo
di Concita De Gregorio


«Le donne per strada danno alla luce un tempo nuovo. Voglio essere anche io con voi, credo di doverlo a Josè. Voglio firmare come Pilar Del Rio, come presidente della Fondazione Saramago».
La lettera di Pilar Saramago arriva da Lanzarote che è già notte. Arriva insieme alla telefonata di Oscar Luigi Scalfaro che è con sua figlia Marianna e dice «grazie, le donne oggi in Italia si sono fatte onore. Vi ammiriamo tanto, vi mandiamo un saluto affettuoso». Arriva mentre i telefoni in redazione non smettono di squillare e migliaia di foto e di messaggi giungono sul sito, mentre da Berlino e da New York le radio chiedono un commento, mentre i bambini che hanno disegnato in piazza del Popolo con Lorenzo e Susanna Terranera, oggi, tutto il giorno, già sono a dormire.
La piazza disegnata dai bambini resterà una delle immagini più belle: centinaia di metri di cartone che ora sono lì appoggiati alle pareti della piazza, un murale con mille occhi e mille sorrisi. C'erano due suore tedesche che volevano assolutamente la borsa con Piccoletta di Beatrice Alemagna per portarla alle sorelle. C'erano i violoncellisti che provavano il Dies Irae perché il giorno del giudizio arriverà, e sarà in vita. C'erano ragazzine che chiedevano autografi alla cantante famosa e lei che rispondeva “brave che siete venute”. Uomini, moltissimi, padri coi bambini, giornalisti di tutto il mondo che intervistavano anziane scese da casa in ciabatte, «perché le manifestazioni sono una cosa faticosa e non sono più abituata».
C'era così tanta gente, a Roma, che nella piazza non si poteva entrare più già dalle tre del pomeriggio e allora i cortei spontanei sono andati altrove, verso Montecitorio e verso palazzo Chigi, coi palloncini e con gli adesivi che dicevano “L'amore è gratis”, “Sono nipote di mio zio”. Dalle città d'Italia e del mondo, mentre Maria Stella Gelmini diceva cose tipo «una piazza radical chic», arrivavano centinaia e centinaia di messaggi e quando tutti insieme abbiamo fatto silenzio per un minuto e mezzo, che è lunghissimo, e dopo alla domanda se non ora quando abbiamo risposto “Adesso” c'è stato qualcuno che ha riso e qualcun altro che ha pianto, molti si sono abbracciati, sconosciuti grati ad altri sconosciuti, e abbiamo saputo con certezza che sì, il vento si sta alzando, che non basterà mai più dire sono quattro femministe sono post sessantottini, sono moralisti, che le bugie e la propaganda non possono vincere la vita vera, che non importa se il Tg1 proprio stasera ha deciso di spiegare agli italiani come vive un egiziano tipo pur di mandare in onda il servizio sull'Italia che respira in coda al tg. Non importa, davvero.
Non potranno far nulla perché la forza delle cose è qui, così evidente così potente: è quella – come dice Pilar Saramago – della gente che esce per strada e celebra il trionfo dei cittadini, delle donne che danno alla luce un tempo nuovo. Adesso fanno silenzio, i dipendenti del Padrone chiamati in forze a suonare la grancassa. Fanno silenzio perché altro non possono fare.
Dal palco, dai palchi in tutta Italia si sono sentite le voci di uomini e donne, suore e ragazze, si è sentita Susanna Camusso dire «Si può cambiare perché il futuro è nostro e dovranno capirlo», sì dovranno capirlo. Veniva alla fine di una lunga serie di “vorrei”, il suo “si può cambiare”: tutti i nostri vorrei, sguardi limpidi una sola morale la giustizia per tutti la forza di dire no. Non sarà più la stessa, l’Italia, da oggi.
Perché le donne, che in ogni luogo e in ogni epoca hanno dettato il tempo delle rivoluzioni, sono state capaci ancora una volta di rispondere all'appello sebbene esauste, deluse da questa politica, sfiduciate e mortificate. Ancora una volta hanno preso il soprabito per uscire, per camminare in piazze sgombre di insegne, di esibire i loro volti autentici, così diversi da quelli che vediamo in tv e di essere le protagoniste.
Hanno preso la parola, chi ha spesso tribuna ha fatto un passo indietro per lasciarla a chi non può parlare mai. Ma da oggi, davvero, sarà un po’ più difficile per tutti raccontare la favola che gli stipendiati del sovrano si affannano a diffondere con tutti i mezzi – e sono molti – che hanno. Da oggi sappiamo con certezza che l’altra Italia si è rimessa in moto e non starà in silenzio. Ci hanno chiesto in tanti, ci hanno chiesto tutti: e adesso? E adesso bisognerà che tutta questa forza trovi casa, che si senta e sia rappresentata da chi può farlo, nei luoghi che servono.
Un giornale, un movimento, un gruppo di persone, un luogo in internet, un passa parola di casa in casa, un progetto di rinascita che sia capace di diventare progetto politico, perché la politica è qui, è nelle cose: la politica è dove i cittadini chiedono rispetto per il loro futuro. Le donne italiane sono state capaci di fare quello che da anni, da molti anni non avevamo visto accadere. È vero, dunque: hanno battuto un colpo. Adesso. Che sia la prima battuta di una nuova musica. Noi ci saremo, c'eravamo e resteremo. Grazie a tutte e tutti voi, che ci indicate il futuro.

l’Unità 14.2.11
Colloquio con Pier Luigi Bersani
«È la parte migliore
del Paese a guidare la riscossa etica e civile»
Il segretario Pd tra la folla di piazza del Popolo: «Questa voglia straordinaria di partecipazione e protagonismo ci aiuterà ad andare oltre Berlusconi»
di Simone Collini


Attenti ai colpi di coda
«Non aspettiamoci giorni facili, l’ultima fase del berlusconismo può dare una stretta micidiale ai temi della convivenza»

«È una piazza straordinaria. Questa voglia di partecipazione, di protagonismo, è una forza positiva che ci aiuterà ad andare oltre Berlusconi. Ma ora non aspettiamoci giorni facili. Ci saranno pericolosi colpi di coda e noi dobbiamo farci trovare preparati». Pier Luigi Bersani arriva in Piazza del Popolo insieme alla moglie Daniela. Gli uomini della sicurezza gli indicano in lontananza il punto in cui c’è l’apertura tra le transenne per accedere alla zona del palco. Il segretario del Pd scuote la testa e va invece verso il centro della piazza, rovinando i piani di giornalisti, fotografi e cameramen. «Ma è giusto che stia qui», dice mentre avanza a fatica tra persone che sventolano cartelli fatti in casa e nessuna bandiera di partito.
Qualcuno gli urla «tieni duro», in molti vogliono stringergli la mano e c’è anche la giovane segretaria di un circolo Pd di Roma che lo accoglie con un perentorio «fatti baciare, segretario». Bersani sorride col mezzo Toscano che gli balla tra le labbra, anche quando gli viene chiesto perché stia in mezzo a questa calca e non nel più agibile retropalco: «Perché sto accompagnando mia moglie no?».
Ma anche se vuole muoversi in punta di piedi in questa piazza in cui protagoniste sono le donne e la società civile, sottolinea l’importanza che può avere una «saldatura» tra questa mobilitazione femminile e «la buona politica». «Se riflettiamo sulla storia d’Italia, spesso sono state le donne a interpretare il risveglio delle coscienze civili, a guidare una riscossa civica prima ancora che politica. Oggi la parte migliore del Paese non si sente rispettata da questo governo. C’è un popolo che vuole esse-
re serio, sobrio, che rispetta le donne come persone e che vorrebbe che anche chi lo rappresenta facesse lo stesso».
Dal palco comunicano quante persone stanno manifestando in questo momento nelle altre città italiane ma anche a Parigi, Atene, Berlino, Tokyo. La piazza applaude entusiasta, Bersani si rabbuia pensando ai nostri «ambasciatori in lacrime» e alle «barzellette che raccontano in giro per il mondo su di noi»: «Berlusconi si sarebbe dovuto fare da parte già da tempo. Tutte queste piazze glielo stanno ribadendo. Oltre al fatto che non sta governando, che costringe tutti a discutere dei problemi suoi e non di quelli degli italiani, ora si sono aggiunte le altre questioni. Non si tratta di essere puritani o moralisti, come dice qualcuno. È scritto nella Costituzione che chi ricopre incarichi istituzionali deve svolgerli con disciplina e onore. Altrimenti il danno provocato al volto dell’Italia nel mondo è enorme».
Bersani trae ragioni di ottimismo da questa mobilitazione, ma confessa di essere anche preoccupato per quel che potrà succedere nelle prossime settimane. Perché se in queste piazze ha trovato sfogo una «rabbia repressa» che se correttamente incanalata può far compiere «un passo avanti» verso l’apertura di una «nuova fase», per il segretario del Pd ora «la situazione si radicalizzerà ancora di più». Un segnale sono gli «attacchi vergognosi al Presidente della Repubblica» portati ieri dai quotidiani vicini al premier. Ma sono gli stessi «colpi di coda» di cui sarà capace Berlusconi a preoccuparlo. «Non aspettiamoci giorni facili. L’ultima fase del berlusconismo porterà a una stretta micidiale su temi di fondo della convivenza democratica. E questa non sarà l’ultima manifestazione di piazza per chiedere dignità e rispetto, per le persone e per le istituzioni, per i problemi degli italiani che devono trovare soluzioni e per le regole democratiche che non possono essere calpestate per risolvere i problemi di uno solo».
Un discorso che chiama in causa le forze oggi all’opposizione. «Già un anno fa dicemmo che saremmo arrivati a un punto d’allarme, e che sarebbe stato necessario dar vita a un largo schieramento in grado di guidare una stagione di ricostruzione democratica. Allora non ci fu tanta comprensione, neanche nel nostro partito, mentre adesso è stato capito che non ci sono alternative. Non si tratta di antiberlusconismo. Il punto è come andiamo oltre Berlusconi, come evitiamo il rischio di un vuoto democratico e come contribuiamo tutti insieme alla ricostruzione».
Un lavoro che per Bersani devono compiere tutte le forze politiche («fuori da gelosie personalistiche o di partito») e sociali che oggi combattono questo governo. Insieme, partiti e società civile. «Queste espressioni di civismo diffuso e la buona politica devono darsi la mano. Se c’è una saldatura è più facile giungere a una svolta. Se c’è una spaccatura si aprono spazi perché il berlusconismo vada avanti». Sicuro che questa piazza non sia percorsa anche da un sentimento di antipolitica? «Non direi. Rispetto a qualche anno fa c’è una maggiore consapevolezza che la politica costituisce un elemento di unificazione. Sta poi alla politica avere l’orecchio attento e non chiudersi nel Palazzo. Se tutti hanno senso di responsabilità, si potrà aprire una nuova stagione».

l’Unità 14.2.11
Ora e sempre, basta
di Loretta Napoleoni


Da due giorni il telefono squilla in continuazione, televisioni e radio straniere cercano commenti su Berlusconi e sulla manifestazione del 13 febbraio. Che succede? Domandano i giornalisti. Sembra loro strano che le donne italiane abbiano improvvisamente deciso di scendere in massa in piazza. All’estero l’indifferenza del nostro paese rispetto al susseguirsi degli scandali sessuali del moderno Satyricon romano è stata infatti interpretata come un tacito consenso da parte della popolazione, inclusa quella femminile. Oltr’Alpe molti ci vedono come ‘escort’ o casalinghe frustrate. Noi che viviamo all’estero e che quotidianamente affrontiamo le risatine di chi comprensibilmente ormai considera l’Italia un sultanato; noi che difendiamo a spada tratta le donne italiane dalle casalinghe alle professioniste dalle accuse di essere deboli; noi che quotidianamente ci arrampichiamo sugli specchi per spiegare il perché, nonostante il premier ed il suo governo siamo ormai diventati la barzelletta del mondo, la popolazione non scende in piazza come in Egitto per gridare “Silvio Vattene”; noi che il 13 febbraio lo abbiamo condiviso con gli stranieri spiegando loro il significato di questa manifestazione, noi emigrate ringraziamo le donne italiane per aver finalmente detto basta.
Che questa manifestazione sia la risposta dell’Italia vera, quella fondata sul lavoro e non sugli scambi sessuali, un paese emancipato e moderno, non il bordello del dittatore né l’harem del sultano. E che il suo eco si faccia sentire nel mondo dove noi donne italiane da anni non facciamo che difenderci dal fango che questa classe politica butta costantemente su di noi. Che ‘BASTA’ diventi la nostra parola d’ordine e che la si gridi sempre nelle piazze del paese finché l’ultimo partecipante al moderno Satyricon avrà lasciato la scena politica. Solo allora potremo tornarcene a casa ed alla nostra vita privata.

Corriere della Sera 14.2.11
Le femmine alfa ritrovano la voce «Non saremo state troppo educate?»
di Maria Laura Rodotà


«E tiratelo giù questo c. di striscione!» . I giovani piddini intimoriti obbediscono e arrotolano la scritta «Sono una donna che ha sempre lottato» . La signora prima impedita nella visuale ribadisce «e che c.» . Sembra la scena di Animal House in cui John Belushi spacca la chitarra in testa al ragazzo romantico che strimpellava. È una delle tante scene impreviste e significative della piazza romana, ieri. Piena di donne più o meno garbatamente assertive. Anzi: mai viste così assertive, toste e protagoniste in una manifestazione. È stata la giornata delle femmine alfa, in Italia non ce n’era mai stata una così. Donne insieme alle amiche che fanno commentacci, ragazze che applaudono e urlano «daje!» , signore arrivate da sole senza le usuali timidezze da manifestanti single che attaccano discorso con tutti. Più agguerrite delle oratrici, spesso. «E piantala col corpo delle donne, e parlaci di Berlusconi!» , è la lamentela più frequente durante i discorsi. Le lamentele poi dilagano per la poesia (bella, troppo lunga) di Patrizia Cavalli e il monologo sulla vagina in pugliese di Lunetta Savino; divertente, ma nessuna riesce a concentrarsi su questioni vaginali, la piazza è civile ma arrabbiata. Aspetta un’oratrice che la infiammi. Per un po’ l’oratrice non arriva, alla terza-quarta che si dilunga sulle bambine che non devono fare le escort una cinquantenne perde la pazienza: «Ma una che sappia parlare no? Una che sappia fare un comizio? Se non ce l’avevano potevano mettere una parrucca a Maurizio Landini, tipo» . Tipo. Assente il segretario della Fiom, arriva Susanna Camusso. Sa fare un comizio; si lancia in un monologo su «se non ora quando» ; viene molto applaudita. Ma è donna stringata, lascia il palco a signore più logorroiche. Le femmine alfa di piazza del Popolo resistono stoicamente. Acclamano suor Eugenia Bonetti e zittiscono le amiche più laiciste. Si entusiasmano per Alessandra Bocchetti che quando viene presentata suscita reazioni morettian-fantozziane («Noo, l’università Virginia Woolf noo» ) ma poi, unica tra le intervenute, parla dello stato dell’economia. Sperano in un discorso conclusivo che porti, come dicono le ragazze, «al fomento» , agli slogan ritmati, all’urlo collettivo. Non arriva. Pazienza. E andando via si chiedono «ma non sarà stata una manifestazione troppo educata?» e si rassicurano leggendo le notizie sui telefonini, guardando le strade intorno ancora strapiene. Certo, «il problema di questo momento storico è la nostra infinita pazienza» , come donne e come opposizione, dice Claudia Tombini, architetto. Sulle piazze dell’opposizione la trentenne Marta è più cattiva. Cita gli 883: «Ti ricordi quella canzone? È la dura legge del gol/gli altri segneranno però/che spettacolo quando giochiamo noi? Questo è stato il più grande spettacolo degli ultimi anni, per me, ma spero non sia solo questo» . Forse no. Forse le italiane rompiballe (la maggioranza) stanno trovando la loro voce. Forse più in piazza che sul palco. Forse era ora.

Corriere della Sera 14.2.11
«La mia generazione senza riti scopre che manifestare ha senso»
di Silvia Avallone


S ono le 15.30 e sono un minuscolo puntino in una folla immensa. Il ritrovo a Bologna era fissato un’ora fa, ma il corteo stenta a partire: siamo in troppi. Ci sono tantissime donne di tutte le età, ma anche moltissimi uomini. Ci guardiamo in volto l’un l’altro, ci sorridiamo. Non ce lo aspettavamo, non potevamo immaginare un fiume simile di persone. Una provincia che di solito la domenica è semideserta, oggi assomiglia alla notte in cui l’Italia ha vinto i Mondiali. Solo che la folla questa volta non grida e non scalcia. Quel che davvero sorprende è la sua compostezza. Fatichiamo a dirigerci verso via Indipendenza, accorrono persone da ogni strada laterale. «Siamo la forza sana di oggi e di domani» recita uno slogan. Ma gli slogan sono meno delle persone, le parole sono difficili da trovare: quello che stiamo vivendo è un’esperienza inedita, fisica prima che verbale. Quando il corteo comincia a muoversi, gli organizzatori hanno già deciso la deviazione: non è possibile far passare questo fiume nell’imbuto stretto di via dei Falegnami. Ci vuole Piazza Maggiore. Dalla terrazza del Pincio tutti vogliono immortalare questo momento. L’aria è satura di allegria, di una semplicità disarmante. Il rapporto Censis del 2007 ci aveva definiti «mucillagine sociale» ; ci avevano descritti fino all’altro ieri come una società sfibrata, disabituata a riti collettivi. Eppure quel che vedo adesso dimostra il contrario. Mi trovo al centro di una marea di famiglie, bambini, coppie che si tengono per mano e sento la misura larga di questo evento, l'emozione di vivere finalmente qualcosa che non ho mai vissuto prima. Sventola solo qualche tricolore, nessun’altra bandiera. Siamo tutte persone normali, nella nostra nuda normalità. I negozi del centro sono vuoti. Non siamo consumatori oggi, siamo cittadini. Un’intera società civile si è ritrovata insieme, spontaneamente. Siamo in piazza perché un piccolo gruppo di donne da principio, e poi un tam tam sempre più vasto, ha intercettato un bisogno profondo. Dalla finestre si affacciano gruppi di ragazzi, battono pentole e mestoli, gridano di gioia, come tifosi dopo una vittoria, e dalla strada i manifestanti rispondo con applausi. Si leva qualche coro, si sente la parola «dimettiti» intonata più volte. Ma prevalgono i sorrisi e gli applausi, questa è una folla contenta. Contenta di riconoscersi, di condividere uno stato d’animo troppo ampio per poter essere rubricato soltanto come protesta. È qualcosa di più. Vogliamo mostrarci per quello che siamo: il Paese reale non è quello che si vede in tv; la nostra esistenza civile non si esaurisce negli scandali e nelle compravendite; la cultura dominante delle donne ridotte a oggetto e degli uomini ridotti a consumatori non ci rappresenta. Le scaramucce sul moralismo— lo scontro tra ipotetiche donne per bene e donne per male — sono rimaste allo stadio di pregiudizio della vigilia. Qui l’aria che si respira è di unità e condivisione, non intorno a un nostalgico passato bensì intorno a un’idea di futuro che si sta formando davanti ai nostri occhi. Quando raggiungiamo piazza Maggiore, il silenzio è assordante. La voce diffusa dagli altoparlanti di un furgoncino improvvisato è forte e chiara, elenca le discriminazioni e le violenze che le donne italiane continuano a subire ancora oggi nei luoghi di lavoro e nelle loro case. È un elenco secco che denuncia senza aggettivi né ideologie la realtà della condizione femminile in Italia, quella che si fa fatica ad accettare e ad ammettere. «Il Paese in cui le donne vivono bene è quello che ha una testa più larga e una cultura più grande» questa è l’ultima frase che risuona nel megafono. Scatta l’applauso, il più alto. Alle 18 le vie del centro sono ancora gremite e la gente non accenna a disperdersi. Telefono alle amiche di Roma e di Milano: la loro voce è entusiasta. «Sono contenta — mi dice una — perché finalmente ho condiviso quello che provo con tante persone. Spero solo sia l’inizio di qualcosa di nuovo» .

Repubblica 14.2.11
Il centrosinistra ringrazia le donne Bersani: il paese licenzia Berlusconi
di Giovanna Casadio


La Carfagna: protesta da ascoltare, un errore attaccare il governo
Angela Finocchiaro al ministro della Istruzione: "Perché non è venuto a dirlo a noi in piazza?"

ROMA - Se ne vanno alla spicciolata i politici del centrosinistra, come sono arrivati, senza insegne di partito né inviti speciali. Pier Luigi Bersani, il leader del Pd, è pressato nella calca di piazza del Popolo a Roma, insieme con la moglie Daniela. Prima di allontanarsi dice: «Oggi il paese ha parlato, la manifestazione è stata imponente, spontanea, il segno di un moto civico». Una cosa che nasce dal basso e che, secondo il segretario democratico, «dovrebbe indurre Berlusconi e chi gli sta attorno a uscire dal delirio e a guardare in faccia l´esplosione del sentimento popolare». In piazza, commenta, c´è «il paese normale, né elite, né puritani e la destra dice disperate stupidaggini». Nichi Vendola, il leader di Sel manifesta a Milano e giudica le manifestazioni delle donne «il colpo mortale al berlusconismo». Ottimista pure Di Pietro, anche lui nella piazza milanese: «Siamo in un regime ridicolo, ma la primavera è in arrivo». Per il centrosinistra insomma è una giornata esaltante. Rosy Bindi ne è così convinta che, nel retropalco romano, fa una specie di schemino per il futuro: «Primo, mandare a casa Berlusconi. Ma questo movimento non finirà, e poi si passa al secondo punto all´ordine del giorno cioè il cambiamento della politica italiana».
Ma nel centrodestra cercano di minimizzare l´impatto di quel milione di donne (e di uomini) in tutta Italia che hanno chiesto «dignità e rispetto» per sé e «dimissioni» per il premier. La controffensiva è affidata soprattutto alle donne del governo e del Pdl. A condurla è Mariastella Gelmini, ministro dell´Istruzione, che commenta prima dell´inizio della mobilitazione, e infatti sbaglia in pieno pronostico: «Le donne che scendono oggi in piazza sono solo poche radical chic». Ironica, Angela Finocchiaro, l´attrice che ha condotto la kermesse romana, la invita a venire a vedere e a dirlo lì: «Fa il paio - scherza - con chi dice che c´erano tanti uomini perché volevano cuccare tante donne». Contro le donne in piazza che si riprendono la parola, la protesta e - come qualcuna commenta, sessantacinque anni dopo avere conquistato il diritto di voto, anche l´incarico di difendere le istituzioni svillaneggiate dal Rubygate - partono gli attacchi delle pidielline. Le donne in piazza sono «fiancheggiatrici delle procure rosse» (Laura Bianconi); «spiace che sia stata carpita la buonafede delle donne» (Laura Ravetto); «è una indignazione a orologeria» (Anna Maria Bernini). Osvaldo Napoli conia la definizione: «Donne usate come scudi umani dalle opposizioni».
Un po´ più di misura tenta di trovarla Mara Carfagna, che è ministra delle Pari Opportunità e in un comunicato a chiusura delle kermesse ammette: «Chi ha responsabilità di governo ha sempre il dovere di ascoltare la piazza. Certo l´occasione è stata sprecata trasformando questa iniziativa nell´ennesimo corteo contro il governo». Le donne nelle piazze però non ne possono davvero più. Un´ovazione a Giulia Bongiorno, donna di destra che parla a Roma. Una giovanissima chiede a Anna Finocchiaro quand´è che la politica cambia e dà più spazio alle donne e la capogruppo pd: «Però c´è da essere orgogliose della manifestazione». Tra la folla romana Veltroni con moglie e una figlia; Franceschini; Fassina.

Repubblica 14.2.11
Il grido delle donne al Paese umiliato
di Natalia Aspesi


Duecentomila a Roma, centomila a Milano e Torino, 50mila a Napoli, 30mila a Firenze, 20mila a Palermo, persino a Bergamo 2000. In tutte le 230 piazze italiane, più una trentina straniere, almeno un milione, forse di più, non ha importanza. Importa l´immenso, forse inaspettato successo, il risveglio improvviso di chi sembrava rassegnato al silenzio, a subire, ad adeguarsi.
Invece il messaggio delle donne, ‘se non ora quando?´, è corso veloce ovunque, e ha riempito le piazze come un richiamo ineludibile, finalmente sorridente, entusiasta, liberatorio.
Basta, basta, basta! il basta delle donne al di là di bandiere e partiti, il basta contro questo governo e questo premier, il basta contro la mercificazione delle donne ma anche contro l´avvilimento di tutto il paese. Il basta gridato da tutte, le giovani e meno giovani, le attrici e le disoccupate, le studentesse e le sindacaliste, le suore e le immigrate, le casalinghe e le donne delle istituzioni, facce note ma soprattutto ignote, donne tutte belle finalmente, non per tacchi a spillo o scollature o sguardi seduttivi, ma per la passione, e l´indignazione, e l´irruenza, e la coscienza di sé, dei propri diritti espropriati e derisi: e uomini, tanti, finalmente non intimiditi o infastiditi dal protagonismo femminile, consci che il basta delle donne poteva avere, ha avuto, un suono più alto, più felice, più coraggioso, cui affiancarsi, da cui ripartire per cambiare finalmente lo stato del paese. In mano alle donne, ieri, la politica si è fatta più radicale e credibile, perché ha usato le parole, le voci, i gesti, non per le solite invettive e ironie e slogan e promesse che intorbidiscono e raggelano, ma per raccontare il disagio, la paura, la fatica, la rabbia, l´umiliazione, che le donne vere sopportano ogni giorno, come lavoratrici senza lavoro, e madri senza sostegno pubblico, e professioniste la cui eccellenza non le esime dalla precarietà, e giovani donne che non possono fare figli perché senza sicurezze per il futuro, e donne che nessuno protegge dallo sfruttamento, dai maltrattamenti, dall´amore assassino dei loro uomini.
Si sa che l´armata mediatica del berlusconismo che deve il suo imperio alla menzogna e alla capacità di confondere, aveva stabilito che la manifestazione di oggi sarebbe stata dettata dal bigottismo di donne così sfortunate da non poter fare le escort, e da una superba rivalsa contro le vittoriose ragazze di Arcore e altrove. Che delusione! Nessuna, delle tante donne che si sono alternate sul palco, emozionate eppure decise, forti, ha avuto parole arroganti di separazione tra le buone e le cattive. Al massimo è stato detto quello che anche le belle signore del Pdl dovrebbero condividere: che cioè i letti dei potenti più o meno ossessionati dal sesso non dovrebbero essere istantanee scorciatoie per entrare in ruoli pubblici di massima responsabilità. E per esempio la sempre improvvida Gelmini, prima ancora che le piazze cominciassero a riempirsi, annunciò che ci sarebbe stato solo un gruppetto di desolate radical chic, termine così stantio e irreale che forse gli esperti di slogan del governo dovrebbero modificare. Povera ministra da poco mamma e scrittrice di libri per l´infanzia, oltre che falciatrice dell´istruzione pubblica italiana. Davanti a quelle migliaia di persone in ogni piazza, a quel milione accorso al richiamo di un piccolo gruppo di donne arcistufe e finalmente decise a ribellarsi, cosa avrà pensato?
Se persino le donne scese in piazza, persino i partiti dell´opposizione, non si aspettavano un simile successo, figuriamoci gli altri: hanno cominciato a perdere la testa, e prima ancora che vengano dettate dal politburo governativo gli slogan denigratori per negare la realtà, han fatto la loro brutta figura, accusando curiosamente la manifestazione di essere antiberlusconiana: come infatti vistosamente, fortemente, appassionatamente, voleva essere. I cervelloni berlusconisti da poco tornati a galla come ultima trincea, terrorizzati da quelle piazze gremite, hanno parlato di "odioso sfruttamento delle donne per abbattere il premier" non avendo capito niente dell´autentica civile autonoma rabbia femminile; c´è chi ha vaneggiato di una contro-manifestazione da parte delle ministre in carica, "di orgoglio e di amore anche nelle sue perversioni", e la solita sottosegretaria cattivissima, lei devota ad ogni sospiro del suo idolo e fan delle sue movimentate serate, ha accusato le centinaia di migliaia di donne in piazza "di essere solo strumenti degli uomini", non si sa quali, ma di sicuro non dell´ormai pericolante premier.
Chissà se le tante donne intelligenti e libere che hanno trovato mille colte ragioni per disertare una manifestazione che non risultava loro sufficientemente femminile o femminista, si sono alla fine commosse nel vedere tante altre donne, più sbrigative e meno sofisticate, gridare insieme, senza divisioni, senza distinzioni, il loro bisogno di dignità e di cambiamento. Che poi la differenza è anche questa: le donne non berlusconiane sono in grado di scelte differenti, libere di agire secondo i loro principi in contrapposizione con altre anche se le divergenze sono capillari: nessuna delle signore berlusconiane, dai loro scranni di ministre, sottosegretarie, rappresentanti di partito, osano esprimere non si dice un dissenso, ma un lievissimo, simpatico dubbio. Loro sì, pare, sono al servizio del maschio padrone.
Però una domenica come quella di ieri, così bella, e appassionata, e corale, dovrebbe mettere in guardia anche l´opposizione. Le donne hanno detto basta a questo governo e al suo leader, ma resteranno vigili: dalle piazze ieri è venuta allo scoperto una riserva di energia, di intelligenza, di bellezza, di potere, di senso del futuro femminile, che parevano dispersi o rassegnati. Le donne promettono obiettivi ambiziosi, assicurano che non torneranno indietro, soprattutto che dopo una così straordinaria, spontanea prova di forza, niente, ma proprio niente, sarà più come prima.

Repubblica 14.2.11
Nell´opposizione il 25% per una mobilitazione continua
"Come in Egitto" a sinistra cresce la voglia di piazza
In campo un movimento più vasto di quanto furono i girotondi. Quasi quattro italiani su dieci sostengono le ragioni della protesta
di Roberto Biorcio, Fabio Bordignon


Anche in Italia come in Egitto? Berlusconi come Mubarak? Il solo accostamento appare ardito, quantomeno improprio. Ma una componente non trascurabile del fronte anti-berlusconiano non esclude, esplicitamente, una soluzione "all´egiziana". La nuova ondata di protesta contro il Governo e contro il premier sta assumendo proporzioni ogni giorno più rilevanti: coinvolge una costellazione di soggetti diversi, sul piano sociale; attraversa le forze di opposizione e in particolare il centro-sinistra. Soprattutto, taglia a metà il Pd, il cui elettorato si presenta diviso sulla strategia per "battere" Berlusconi.
Quasi quattro italiani su dieci ne sostengono le ragioni (38%), uno su quattro si dice pronto a manifestare (e circa il 4% dice di averlo già fatto). Sono queste le misure dell´Onda 2011, raccolte dall´Atlante Politico di Demos. Il profilo sociale e culturale della protesta ricorda quello di altre mobilitazioni, in particolare i girotondi del 2002. Con due importanti novità: le dimensioni del fenomeno, testimoniate dalla vasta partecipazione alle iniziative e dal consenso raccolto presso l´opinione pubblica; il ruolo assunto dai giovani e dalle donne. In particolare, la partecipazione femminile, nelle generazioni sotto i 45 anni, ha superato nettamente quella maschile, rovesciando luoghi comuni e tendenze tradizionali. E l´ampia manifestazione di ieri ha sicuramente accentuato questo carattere.
Come già avvenuto in passato, l´onda di protesta nasce da un deficit di rappresentanza dei partiti di opposizione, ma il suo perimetro appare oggi meno sovrapponibile a quello del centro-sinistra. L´accordo con i manifestanti è massimo tra gli elettori di Sel (84%) e dell´IdV (77%), ma rimane maggioritario anche tra quelli del Pd (71%) e del movimento 5 Stelle (53%). Anche nell´area delle formazioni centriste, come Fli e Udc, tradizionalmente critiche verso il protagonismo della "piazza", più di un terzo degli intervistati simpatizza con la protesta. Se consideriamo, poi, la disponibilità ad attivarsi, essa coinvolge circa i due terzi di chi sceglie i partiti di Vendola e Di Pietro, mentre democratici e grillini si fermano poco sotto la soglia del 50%.
Questa articolazione interna alle diverse anime dell´opposizione richiama, in ampia misura, le divisioni su come contrastare il governo e togliere il potere a Berlusconi. In questa porzione di elettorato prevale l´idea di ricorrere al voto (47%), ma in molti ritengono più efficace il sostegno alla magistratura (30%) o il ricorso alla piazza (19%). Quasi una persona su quattro, inoltre, si dice favorevole a una mobilitazione ampia e continuativa, che costringa il premier alle dimissioni, così come è avvenuto in Egitto per Mubarak. Un dato interessante, e in parte sorprendente, che emerge dalla componente più radicale del fronte anti-berlusconiano, attenta (anche in prospettiva interna) al fermento politico che investe il Mediterraneo. L´elettorato del Pd appare in bilico tra queste diverse prospettive. Una divaricazione che aiuta a spiegare le esitazioni del partito di Bersani nella costruzione delle alleanze (ma anche, probabilmente, le difficoltà nell´intercettare il malcontento verso il governo).

La Stampa 14.2.11
“Non siamo radical chic e neanche bacchettone”
L’organizzatrice Francesca Izzo: “Il premier è solo la punta dell’iceberg”
La studentessa: Coetanea di Ruby, le ha scritto una lettera: «Corpo e mente devono stare assieme»
di Flavia Amabile


Sono scese in piazza con i «se» e i «ma». Anche con molti «però». Perché le donne sono fatte così: partecipano, ma precisano.
Soltanto una piccola parte del milione che erano e che hanno inondato le strade d’Italia condividevano in tutto e per tutto le parole delle organizzatrici della manifestazione. La stragrande maggioranza nei giorni precedenti aveva discusso e precisato fino a concludere: però vado lo stesso. Così è stato, e ora provare a appiccicare a questi centinaia di migliaia di «però» un’etichetta unica è un po’ riduttivo. Ci prova il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini a metà mattinata, definendole «poche radical chic». Ci prova anche il capogruppo Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto secondo cui si trattava di «ex teoriche e pratiche della trasgressione tramutate in bigotte». Le donne in piazza però raccontano una storia diversa. La stratega della piazza. Si chiama Francesca Izzo. E’ docente di Storia delle Dottrine Politiche all’Università di Napoli, scrive saggi sulla «Morfologia del moderno» o «Il cosmopolitismo di Gramsci». «Radical-chic? Definire così noi che siamo scese in piazza è il segno di un distacco abissale che ormai c’è tra questo governo rispetto al Paese. In piazza c’erano donne e uomini diversissimi fra loro. Lo stesso sul palco: abbiamo raccolto adesione di donne che sono espressione di vari orientamenti politici, culturali, religiosi. Di radical-chic ieri non c’era nulla, è stata una grande manifestazione di popolo, la prima della storia italiana di queste dimensioni guidata da donne». Sono le donne di un’associazione nata due anni fa, si chiama «Di nuovo». «Vogliamo creare una grande associazione nazionale di donne, cercando di superare le diffidenze, le gelosie dei gruppi che già esistono. Un mese fa, con tutto quello che stava emergendo ci siamo dette: se non ora, quando? Perché tutto il nostro lavoro sarebbe rimasto qualcosa di accademico senza un atto politico come una grande mobilitazione delle donne in questo momento così delicato». Una mobilitazione contro Berlusconi? «Le vicende poco private di Berlusconi sono soltanto la punta dell’iceberg - risponde Francesca Izzo - L’Italia è un Paese vecchio e maschilista: la disastrosa condizione delle donne è il segno più evidente della nostra arretratezza». La suora delle «ultime» . Suor Eugenia Bonetti, 71 anni, fa parte delle missionarie della Consolata. Da anni si occupa di recuperare e aiutare donne e ragazze che si prostituiscono o che vivono in condizioni di disagio e marginalità. Responsabile dell’Ufficio anti-tratta dell’Usmi (Unione superiori maggiori d’Italia), ha trascorso 24 anni in Africa, è impegnata con la Caritas di Torino. Radical-chic anche lei? «Posso solo dire che non si può rimanere indifferenti di fronte a quanto oggi accade in Italia nei confronti del mondo femminile. Siamo tutti responsabili del disagio umano e sociale che lacera il Paese». Di qui la decisione di scendere in piazza? «Ci hanno chiamato. Noi abbiamo provocato tutto questo con una riflessione che ha fatto il giro di blog e mass media. Essere qui oggi non è stata una decisione sofferta: come suore missionarie della Consolata siamo state le prime a credere che c’era bisogno di fare qualche cosa, bisogno di dare risposte, stimolare, perché le donne sembravano un pò appiattite, assenti o rassegnate di fronte a quello che sta succedendo. Quindi aver partecipato a questa iniziativa è stato un modo molto bello per riattivare la volontà delle donne. Stiamo dando troppo valore all’apparenza, bisogna dire basta a questo stereotipi che non corrispondono alle donne. La donna è la grande costruttrice della società ma deve tornare ad esserne cosciente». La coetanea di Ruby. Sofia Sabatino è portavoce della Rete nazionale degli Studenti, ha deciso di salire anche lei sul palco e leggere una lettera indirizzata a Ruby. «O meglio a Karima, ti voglio chiamare così». «Tu hai la nostra stessa età - ha detto Sofia - ma sembra tu stia dall’altra parte della barricata. Io studio e faccio politica, di te invece leggiamo sui giornali». Le «cose che ci accomunano», è che «siamo donne e giovanissime». La televisione e la società ci «hanno obbligato a scegliere tra corpo e mente. Ma la libertà è solo se corpo e mente stanno insieme».
La pluri-mamma cattolica. Rita Andreani, 39 anni, Si fa strada in mezzo alla folla con un bebè in passeggino e altri due aggrappati al papà. Era proprio il caso di scendere in piazza? «Confesso di non aver letto la lettera che chiedeva alle donne di mobilitarsi. So però che viviamo in un Paese che sta perdendo il senso di ogni cosa. L’amore viene trasformato in sesso, i corpi in merce da comprare, e le emozioni chissà dove sono finite. Abbiamo tre figli, li abbiamo desiderati e voluti, ringraziamo il Signore che ce li ha mandati, ma non vogliamo che crescano in un Paese che sostituisce il denaro ai sentimenti. Questo mi sembra il posto per dirlo». La precaria-tata a ore. Moira Cassetti, 29 anni, ha un adesivo rosso appiccicato al giubbotto: «L’amore è gratis». Sorride: «Fra un po’ anch’io sarò gratis. Lavorerò per la gloria, perché in Italia gli unici lavori per donne pagati seriamente sembrano le prestazioni sessuali. Il resto, boh! Sarei una maestra, ogni tanto ottengo una supplenza. Ma mi mantengo facendo la tata. Guadagno di più pulendo i sederini dei bambini a domicilio che nelle scuole. Nessuno però mi fa firmare un contratto, nessuno mi dà la possibilità di avere il diritto di prender e un’influenza senza perdere metà del mio stipendio perché quando hai un’influenza chi ti chiama più a lavorare con dei bambini? Ed è un paese per donne, questo?».

La Stampa 14.2.11
I nuovi confini della moralità
di Gian Enrico Rusconi


Le donne che ieri sono scese in piazza hanno dato una clamorosa risposta alla questione esplosa nei giorni scorsi, su come si debba intendere la moralità pubblica e politica, quando entra in gioco il comportamento privato dell’uomo politico.
I cittadini, almeno quelli che si suppone siano rappresentati dal sistema mediatico e dalle manifestazioni di piazza o di teatro, sono in contrasto su come giudicare il presidente del Consiglio.
Su come giudicarlo dal punto di vista dell’etica privata, che l’uomo politico deve rispettare quando riveste alti ruoli istituzionali. Ma che cosa ne pensa quella che una volta si chiamava «maggioranza silenziosa»? Esiste ancora? Per molti aspetti è confluita nel berlusconismo del 1994 - quello che Giuliano Ferrara sogna ora di poter resuscitare. Ma quel ciclo si è compiuto, si è consumato finendo nell’impotenza politica. La tragedia è che questa impotenza rischia di trasmettersi all’intera classe politica. Alla nazione. Uso intenzionalmente, con tristezza, il concetto di «nazione», che il 17 marzo celebrerà in absentia anche la fine della finzione della sua esistenza. La nazione intesa appunto come condivisione solidale di valori morali prima ancora che politici.
Si sta ora ricostituendo una nuova maggioranza (un tempo «silenziosa») che interagisce con il sistema mediatico? E’ difficile dirlo. Intanto Berlusconi da aspirante «presidente del popolo» diventa tenace parlamentarista e punta sul numero degli scranni parlamentari occupati dai suoi seguaci per sopravvivere e andare avanti. Per contrapporsi all’azione «eversiva dei pubblici ministeri». La giustizia anziché sede della chiarificazione e della restaurazione dell’etica pubblica è additata come luogo di oscure trame.
Come siamo arrivati a questo punto? Perché si è prodotta una divisione di valutazione tra i cittadini? Perché è diventato inevitabile ricorrere alle grandi manifestazioni pubbliche? Rispondere a queste domande significa fare i conti con l’impronta che il berlusconismo ha dato alla vita civile e politica italiana - e alla sua moralità. Qualunque cosa succeda, siamo davanti ad una transizione al post-berlusconismo già pregiudicata.
Che lo scontro avvenga ora esplicitamente sul confine tra moralità privata e moralità pubblica non sorprende. Il successo iniziale di Berlusconi puntava espressamente a ridisegnare i confini tra questi due termini, inizialmente declinati in termini esclusivamente sociali ed economici. Liberalismo, anti-burocratismo, anti-statalismo, anti-moralismo, anti-comunismo. Di nuovo è il sogno evocato al Teatro dal Verme di Milano. Ma questa volta l’esibizione delle «mutande» segna un salto di qualità: il diritto alla trasgressione privata viene presentato come segno di emancipazione dalla presunta oppressione giudiziaria.
Chi trae beneficio dal berlusconismo - non importa se effettivo o ancora in prospettiva (ma intanto il «vecchio sistema» si è sfasciato irreversibilmente...) è convinto che esiste un nesso positivo tra il comportamento privato del Cavaliere e il suo successo politico. Dopotutto Berlusconi ha vinto la prima e più grande della sue battaglie - quella del conflitto di interessi tra il suo enorme potere economico privato e il suo ruolo pubblico. Questo conflitto infatti è stato praticamente archiviato. Chissà quanti sostenitori del Cavaliere (forse anche qualcuno tornato silenzioso) si augurano che vinca anche questa battaglia che in un primo tempo appariva meno seria della prima, invece è più insidiosa.
Ma allora - molti si chiedono - perché Berlusconi non si presenta davanti al giudice per chiarire le sue buone ragioni? Il solito Ferrara giorni fa, prima delle sue ultime esibizioni, ha ripetuto la tesi liberale che «il peccato non è reato». In realtà nel caso Ruby, questo argomento non regge perché l’oggetto della controversia consiste proprio nel configurarsi di un reato previsto dalla legge liberale. Allora si preferisce eludere l’oggetto e sparare in generale contro il puritanesimo bacchettone.
Il resto lo fa il deragliamento del linguaggio pubblico verso lo scurrile, esibito come emancipatorio. E’ un modo volgare per ribadire la pretesa di ridefinire i confini tra moralità privata e moralità pubblica, nella convinzione che la presunta maggioranza degli italiani sia pronta per questo passaggio. Verso dove? Che non sia affatto così lo dimostrano le manifestazioni di donne e di uomini di ieri e i forti dibattiti da esse innescati.
A questo punto vorrei aggiungere un’osservazione sul mondo cattolico che, al di là delle nette dichiarazioni di principio, reagisce con imbarazzo a quanto sta accadendo. E’ diviso, ancora una volta. Di fronte all’annunciata protesta delle donne qualcuno non si è trattenuto dal rinfacciare loro: «Che cosa pretendevate voi donne laiche, dopo quello che avete fatto della vostra riconquistata libertà?». E’ un maldestro tentativo di rovesciare il quadro delle responsabilità.
Uno dei «capolavori» politici del berlusconismo è stata la frattura creata nel mondo cattolico. Ad esso si è presentato e si presenta come la diga anti-laicista, semplicemente garantendo il pacchetto dei «valori non negoziabili». Il resto dovrebbe rimanere il peccato personale del Cavaliere, stigmatizzabile solo come tale.
Gli ultimi attacchi di Berlusconi alla magistratura avrebbero dovuto modificare l’atteggiamento politico della consistente componente cattolica che lo sostiene. Se il comportamento pratico di quest’ultima continua a rimanere elusivo, il mondo cattolico italiano non sarà più in grado di offrire una classe politica capace di guidare il Paese in nome dell’etica pubblica e nella pluralità delle sue componenti.

Repubblica 14.2.11
Il cavaliere dimezzato
Indagine Demos per Repubblica: ai minimi la credibilità del governo
di Ilvo Diamanti


Silvio Berlusconi resiste. Nonostante le inchieste, gli scandali e le proteste. Anzi, reagisce con violenza. Contro i nemici. La Magistratura, i giornali e i giornalisti della Repubblica Giudiziaria. Perfino – anche se in modo meno esplicito – contro il Presidente della Repubblica. Ma la sua posizione e la sua immagine ne hanno risentito sensibilmente.

Berlusconi, fiducia a picco è tornato ai livelli del 2005 metà degli italiani crede ai pm
Pdl e Pd poco sopra il 50%, è la fine del bipartitismo
Scende al 30% l´apprezzamento per il Cavaliere sul caso Ruby per la maggioranza resterà impunito
Premier a parte, i leader aumentano i consensi, Tremonti il più gettonato nel centrodestra
Gli elettori spaesati guardano a Napolitano, l´80% è con lui: Lega e Pdl compresi

Come mostra il sondaggio condotto nei giorni scorsi dall´Atlante Politico di Demos per la Repubblica. Oggi, infatti, la fiducia dei cittadini nei confronti di Silvio Berlusconi ha toccato il fondo. La quota di italiani che ne valuta positivamente l´operato (con un voto almeno sufficiente) è ridotta al 30%. Meno che nel settembre 2005, quando il Cavaliere sembrava avviato a una sconfitta pesante alle elezioni politiche dell´anno seguente. Il che suggerisce di usare cautela, prima di darlo per finito, visto come sono andate le cose in seguito. Tuttavia, gli avvenimenti recenti fanno sentire i loro effetti. Quasi metà degli italiani ritiene vere le accuse rivolte dagli inquirenti a Berlusconi. E pensa che il Premier si dovrebbe dimettere. Meno del 20% considera, invece, falsi i fatti che gli sono addebitati. Anche se oltre metà degli italiani ritiene che, per quanto colpevole, il Premier resterà "impunito". Come sempre. Anche per questo la fiducia in Berlusconi, oltre che limitata, appare in declino costante e precipitoso. È, infatti, calata di 5 punti percentuali negli ultimi due mesi, ma di 12 rispetto allo scorso giugno e addirittura di 18 rispetto a un anno fa. I motivi di insoddisfazione degli elettori, d´altronde, vanno al di là delle feste e dei festini a casa del Premier. Solo un italiano su quattro, infatti, pensa che il governo Berlusconi abbia «mantenuto le promesse». Quasi metà rispetto a due anni fa. Neppure gli elettori leghisti sembrano disposti ad ammetterlo. Da ciò la crescente in-credibilità di Berlusconi. Sempre più indebolito sul piano del consenso personale. Mentre tutti gli altri leader politici hanno migliorato la propria immagine presso gli elettori, negli ultimi due mesi. Nella maggioranza (e non solo), Tremonti resta il più apprezzato. Nel Terzo Polo, non solo Casini - di gran lunga il più stimato – ma anche Fini ha recuperato (un po´ di) credibilità, dopo la battuta d´arresto subìta il 14 dicembre. Nel Centro-Sinistra, infine, Vendola si conferma il «più amato», per quanto anche Bersani abbia allargato la propria base di consensi. È significativo il seguito di una outsider come Emma Bonino. Nonostante il peso elettorale, limitato, del suo partito. A conferma del disorientamento di quest´epoca, senza riferimenti fissi. Senza baricentri. Come emerge, con chiarezza, dalle intenzioni di voto. Contrassegnate, anzitutto e soprattutto, dal calo sensibile dei due partiti principali. Il PDL, infatti, scende al 27%, il PD al 24%. Insieme: poco più del 50%. Alle elezioni politiche del 2008 superavano il 70%. Segno definitivo che l´illusione bipartitica è finita. Compromessa – se non finita – insieme alla capacità di Berlusconi di unire e dividere il mondo (politico) italiano. Con la conseguente frammentazione, che, più degli altri, premia la Lega, a destra, e SEL, a sinistra. È interessante osservare come il quadro cambi sensibilmente di fronte a scenari di coalizioni possibili. In primo luogo, si assiste a una riduzione consistente degli indecisi. I quali, praticamente, si dimezzano con effetti evidenti sugli equilibri politici.
Secondo le stime dell´Atlante Politico, infatti, l´attuale coalizione di governo, allargata alla Destra di Storace, perderebbe nettamente il confronto (57% a 43%) con una – ipotetica – "Grande Alleanza" di opposizione, che dal Terzo Polo arrivasse fino a SEL, passando per il PD e l´IdV. Ma appare sfavorita anche in una competizione tripolare. Il Centrosinistra (PD e IdV insieme a SEL) vincerebbe, infatti, in misura più larga rispetto a due mesi fa (6 punti percentuali in più). Aiutato, per un verso, dal voto di elettori incerti di centrosinistra; per altro verso, dalla crescita del Terzo Polo a spese del Centrodestra.
Si spiega così la resistenza del Premier di fronte a ogni ipotesi di voto anticipato. Assecondato, con malcelato disagio, dalla Lega. Si spiegano, allo stesso modo, le telefonate del Premier durante le trasmissioni "nemiche", la crescente pressione esercitata sui media. Ma anche la guerriglia condotta dagli uomini della maggioranza contro ogni sondaggio sfavorevole. Il Premier, il PdL, il centrodestra sono impegnati a modificare il clima d´opinione loro sfavorevole. Con ogni mezzo. E ad allontanare le elezioni anticipate. Visto che oggi il Centrodestra ha la maggioranza – ipotetica e incerta – in Parlamento, ma è minoranza nel Paese, fra gli elettori.
In questo Paese spaesato non può sorprendere la crescita costante e vertiginosa dei consensi nei confronti del Presidente, Giorgio Napolitano. Verso cui esprime fiducia oltre l´80% degli italiani. Lo "stimano" quasi tutti gli elettori del PD, ma anche l´80% (circa) di quelli del PdL e oltre due terzi dei leghisti. È che il Presidente offre una sponda nel vuoto politico e nella crisi che scuote le istituzioni. D´altronde, le mobilitazioni e le proteste sociali delle ultime settimane, al di là delle specifiche rivendicazioni (ieri le donne hanno riempito le piazze in nome della propria "dignità), denunciano anch´esse un "vuoto" politico. Un deficit di alternativa. Il PD, d´altronde, non è più in grado, da tempo, di "fare opposizione", da solo. Ma neppure di stabilire i confini e le condizioni di un´alleanza. Se promuovesse un´intesa esclusiva con il Centro, ad esempio, perderebbe, come mostra l´Atlante Politico. Il PD resta, comunque, determinante per costruire l´alternativa. Ma deve farlo in fretta. Oggi, un´alleanza tra le forze di opposizione avrebbe grandi possibilità di rappresentare la "maggioranza" – dei cittadini ma anche degli elettori. È ciò che teme Berlusconi. È il motivo per cui non vuole interpellare il "popolo sovrano". Almeno in questa fase. Ma - per lo stesso motivo - il PD e gli altri partiti di opposizione dovrebbero rivendicare il ritorno alle urne. Al più presto. Indicando, fin d´ora, quale coalizione. Il programma è obbligato: ri-formare e ri-fondare questa Repubblica straordinaria, questa democrazia indefinita. In modo, per quanto possibile, condiviso. Anche se ci attenderebbe una campagna elettorale dura, durissima. In tempi duri, durissimi. Ma, come ha ammonito il Presidente della Repubblica, è meglio una battaglia a termine, per quanto aspra, di questa guerra quotidiana - senza fine e senza quartiere - fra Berlusconi e le istituzioni dello Stato. Da cui io, personalmente, mi sento ogni giorno di più, sconfitto.

Repubblica 14.2.11
La tragedia degli immigrati e il fallimento della politica
di Adriano Prosperi


Un barcone sovraccarico di profughi dalla Tunisia è affondato nel porto di Gabes. Un ragazzo è morto affogato: un altro corpo senza nome ingoiato dal cimitero marino.
In quel cimitero marino dove sono finite le vittime di una intera stagione politica: quella che ha visto la collaborazione italiana con Gheddafi e l´imbarbarimento del nostro costume civile. Oggi i tirannelli della costa africana del Mediterraneo crollano come birilli davanti ad un immenso sommovimento di masse umane. Gli effetti sono appena cominciati e già si annunciano di portata mondiale. Ma intanto è il nostro Paese che deve registrare i primi effetti del terremoto. E anche se il nuovo panorama è ancora nebbioso un fatto è certo: quella che sta cambiando è la geografia politica su cui ha galleggiato finora il governo italiano. Di questo bisogna tener conto per cogliere il significato dell´appello rivolto al paese e alle forze politiche dal ministro dell´Interno, il leghista Roberto Maroni.
Ci sono, dietro quell´appello, ragioni concrete che non si possono ignorare. È ricominciata la mai finita tragedia dei barconi. Migliaia di esseri umani con le loro tante storie si affollano in questi giorni sulla strada che porta al centro di accoglienza di Lampedusa. Altre migliaia arriveranno. «Un esodo biblico come mai se ne sono visti»: ecco che cosa sta arrivando dalle coste del Maghreb secondo il ministro Maroni. L´emergenza era prevedibile. E governare significa anche prevedere: non il futuro scritto negli astri, ma quello delle emergenze in atto nel mondo che ci circonda. Se vedi il fuoco a casa del vicino prepara l´acqua in casa tua, diceva un proverbio. Ora, è ormai da tempo che il fuoco divampa a casa dei nostri vicini sull´altra costa del Mediterraneo. E non ci voleva un indovino per immaginare che a Lampedusa sarebbero arrivate ondate di profughi.
Ma quella che oggi è entrata in crisi è la politica del nostro governo. Da questa constatazione bisogna partire per cogliere il significato dell´appello del ministro. Di quella politica resta un paesaggio cosparso di macerie civili e di vittime umane: tante vittime, dai morti delle traversate ai rimpatri indiscriminati di un gioco dell´oca con tappa finale nelle carceri libiche; e per i clandestini che ce l´hanno fatta, una vita alla mercè di sfruttatori e di mercanti di carne umana. Ma se alziamo lo sguardo dalla politica interna quello che vediamo in un solo colpo d´occhio è la somma di un allentarsi dei legami europei e di un abbraccio con Gheddafi, promosso a guardia delle nostre coste e per questo pagato e armato da noi.
Oggi un governo tutto assorbito dalla difesa del suo presidente del Consiglio e dal controllo dei teatrini mediatici si sveglia dal sonno della non-politica. È in affanno, in mezzo a una crisi istituzionale senza precedenti, privo di una prospettiva di durata che guardi al di là del mattino seguente, legato alle sorti del prossimo processo per reati comuni del suddetto presidente. Un altro ministro leghista, noto per aver definito «porcellum» la legge elettorale che ha gonfiato di seggi parlamentari la sua maggioranza, oggi ha descritto il quadro come lo sgretolarsi della torre di Babele. È in questa situazione che il ministro Maroni chiede soccorso a destra e a sinistra. Il suo non sembra un appello agli impulsi del volontariato solidale, che pure è un tasto sempre funzionante da noi, nella migliore tradizione di un paese che sa di non poter fare conto sulle sue istituzioni. Sembra piuttosto un invito all´unità delle forze politiche. Ora, non è mai troppo tardi perché i picconatori della festa dell´unità nazionale, i fanatici del sacro egoismo fiscale, i governatori arroccati tra il Po e le Alpi, si rendano conto che esiste un paese Italia. Oggi il ministro del decreto sicurezza, già responsabile di toni specialmente duri nella guerra ai rom dichiarata dal nuovo razzismo italiano, chiede l´apertura di una fase nuova nella politica generale del paese. Se la sua è una richiesta seria, dovrà essere presa seriamente in esame: e per esserlo bisognerà che sia integrata con qualche dettaglio ulteriore. Per esempio, dica Maroni come e con chi secondo lui un ipotetico governo di unità nazionale dovrebbe far fronte alle tante emergenze italiane.