l’Unità 6.11.10
La manifestazione I vertici Pd ragionano sulla data. La più probabile è sabato 11 dicembre a Roma
«In piazza contro il governo» Oggi l’annuncio di Bersani
di Simone Collini
L’appuntamento sarà il culmine della campagna di mobilitazione che parte il prossimo fine settimana e che prosegue il 20 e 27 novembre. Un vademecum sarà distribuito oggi ai segretari di circolo.
Il Pd scenderà in piazza contro il governo Berlusconi. Bersani lo annuncerà oggi parlando ai duemila segretari di circolo riuniti a Roma. I vertici dei Democratici stanno ragionando sulla data più opportuna e al momento l’ipotesi più accreditata è di organizzare la manifestazione a Roma sabato 11 dicembre. L’appuntamento sarà il culmine della campagna di mobilitazione che parte il prossimo fine settimana e che prosegue il 20 e il 27 novembre (più l’Assemblea nazionale di Napoli del 4 dicembre). Il “porta a porta” sarà lo strumento per dare ampio respiro a un’operazione di contrasto al governo che finora si è giocata soprattutto a livello parlamentare. Bersani sa bene che i numeri alla Camera e al Senato sono dalla parte di Berlusconi. E dopo che ha visto cadere nel vuoto gli appelli a Fini a «staccare la spina», il leader del Pd ha deciso di non aspettare neanche il discorso di domani a Perugia del presidente della Camera e di dare un segnale di accelerazione.
Così oggi, chiudendo l’Assemblea nazionale dei segretari di circolo, farà un discorso d’attacco, difendendo «la politica» da chi la vuole far finire nel più totale discredito e anche l’azione di pressione su Fini: «Se si apre una crepa nella maggioranza è giusto che l’opposizione cerchi di allargarla». Ma ora, dirà incitando i segretari di circolo a lavorare nelle loro città e nei loro quartieri per allargare il consenso (verrà anche distribuito un vademecum su come impostare le operazioni di propaganda), è anche il tempo della mobilitazione.
l’Unità 6.11.10
«Scelte coraggiose per darci un’identità»
L’intervento di apertura dei lavori: «Sicuramente ci lasceremo alle spalle qualche pezzo, ma ne aggregheremo molti di più»
di Zoè Monterubbiano
Sono Zoè. Sono il Segretario del Circolo di San Marco–San Tommaso, il circolo più piccolo dell’Unione Comunale di Fermo, e forse anche d’Italia e sono stata appena riconfermata. Io, come tanti altri Segretari di Circolo che sono venuti oggi qui a Roma, ho creduto fin dal primo momento nel progetto del Partito Democratico. Sono stati tre anni di intenso lavoro, tante le cose che sono successe, tante le fasi difficili che abbiamo attraversato e superato, ma una cosa è certa: quell’entusiasmo di allora è rimasto invariato, anzi, oggi è ancora maggiore. (...) Il Partito che io vivo ha saputo superare ogni tipo di divisione interna, renden-
do vero e concreto quel tessuto unitario e consolidato che ci ha permesso di lavorare con grande impegno, di mantenere vivo il dialogo con le altre forze di sinistra che condividono i nostri ideali di uguaglianza, di solidarietà.
Inoltre, stiamo lavorando per una politica che abbia le mani libere e per un’Amministrazione comunale che possa ben governare e che non sia mai ricattabile. E questo si ottiene anche con una campagna elettorale finanziata in maniera trasparente. (...) Di fronte a tutto questo impegno, sommato alla concretezza delle proposte e alla freschezza delle idee che di sicuro non mancano, si registra comunque un malcontento. E non mi riferisco solo ai sondaggi che ci bombardano ormai quotidianamente. Mi riferisco al contatto diretto che ogni segretario di circolo ha con gli iscritti, con i simpatizzanti e i cittadini più indecisi del proprio quartiere. Contatto che mi fa capire che c’è bisogno di uno sforzo in più. Qual è allora l’anello mancante, tra il nostro buon operare e la “risposta elettorale” non adeguata ai nostri sforzi? Capire questo rappresenta secondo me lo snodo, la chiave di volta. Io credo, infatti, che se è vero che non ci sono più gli operai di una volta, probabilmente non ci sono più neanche i politici di una volta. Possiamo ancora accettare che per parlare di lavoro sia necessario salire su un carro-ponte? E su quale isola dovranno barricarsi ancora le partite iva strozzate, i giovani liberi professionisti, i precari dei call center, le mamme in cerca di asilo nido, e tanti tanti altri ancora? È poi possibile che per far avere figure femminili nei luoghi decisionali sia stato necessario imporre l’alternanza di genere? Io credo fermamente che, a partire dal gruppo dirigente, sia arrivato il momento di cominciare con chiarezza a costruire una identità ben definita del Partito Democratico. E questo si può fare solo scrollandoci di dosso i troppi freni e le troppe discriminazioni, lavorando in maniera libera e laica. E soprattutto serve il coraggio. Il coraggio di prendere una strada, con determinazione e in maniera dirompente. Sicuramente ci lasceremo qualche pezzo dietro alle spalle, ma sono altrettanto convinta che saranno molti di più i pezzi che riusciremo ad aggregare.
l’Unità 6.11.10
Forza donne: mandiamo a casa il sultano
di Susanna Cenni
Proprio bello il volto sorridente, gli occhi luminosi di Dilma Rousselff, neopresidente del Brasile, che nel suo primo discorso ha spesso ripetuto la frase «le donne possono»: possono studiare, lavorare, diventare Presidente. Difficile non pensare all’Italia, dove le donne che occupano le prime pagine dei giornali hanno spesso gli occhi nascosti da una pecetta nera, con il corpo, invece, ben esposto.
Il tema è, ancora una volta, il sollazzo del Premier, stavolta rivendicato con arroganza: l'arroganza del capo che si spende così tanto per tutti noi da meritarsi poi di rilassarsi come meglio crede.
Intanto dai media scompaiono le donne vere: quelle che non passano le loro giornate con tacchi vertiginosi o improbabili mise sadomaso; che non sono rappresentabili come l’anziana vittima del terremoto, che in diretta tv esprime gratitudine al Premier per la nuova dentiera; né come le ministre o sottosegretarie scelte dal capo, e a lui fedeli sempre e comunque.
Le donne italiane, quelle vere, hanno visto in questi anni la loro vita peggiorare, i loro diritti affievolirsi, la precarietà diventare permanente fino a trasformarsi in assenza di lavoro e futuro. Fino ai tagli contenuti nell’ultima Finanziaria, che minacciano gli asili nido,il tempo pieno nelle scuole, i servizi sanitari di prevenzione, la possibilità di accedere al part time.
Anche se forse, per le donne, il taglio più grave è quello alla loro dignità : il tentativo quotidiano di cancellare la loro identità per ridurle a un corpo, possibilmente bello da vedere e da fruire nei momenti di relax. E se fossero proprio loro a sfiduciare il Premier?
Noi parlamentari, per prime, dobbiamo tutte assieme renderci più riconoscibili. E le giovani, con la loro fantasia e creatività ;i talenti femminili di questo Paese, che lavorano o che hanno perso il lavoro,le studentesse: vorrei che tutte assieme dicessimo «Caro Presidente, le donne Italiane non ti vogliono a capo del governo».
Vorrei che un tam tam partisse ovunque, dai consigli comunali, dai mercati rionali, dalle scuole e dai luoghi di lavoro.
Vorrei che nei condomini si spengesse per una volta la Tv e che le donne si trovassero, si chiedessero come reagire e magari sacrificassero qualche lenzuolo da appendere alla finestra con una scritta.
Non possiamo delegare a nessuno la difesa della nostra stessa dignità. Non indugiamo oltre:le donne possono, ce lo ricorda la presidente brasiliana. E allora, care amiche, mandiamolo a casa.
l’Unità 6.11.10
«Pane e cultura» La mobilitazione Pd parte da lunedì
IN MOVIMENTO Da lunedì 8 novembre, il partito Democratico si mobilita «in difesa del sistema culturale del nostro paese, in questi anni mortificato dal governo di centrodestra con continui e indiscriminati tagli, parole sprezzanti, battute che non fanno ridere e tanta propaganda». «La cultura sottolinea il partito di Bersani è un sistema che in Italia produce 40 miliardi di euro di pil e occupa circa 550 mila persone. nonostante ciò, troppo spesso chi vi lavora è un precario e la sua professionalità non è riconosciuta». «Per questo saremo presenti in tutto il territorio nazionale con “pane e cultura”, una mobilitazione per presentare le proposte del partito».
l’Unità 6.11.10
Disturbo narcisistico e leadership patologica
Il metodo diagnostico
Luigi Cancrini espone i nove criteri riconosciuti per l’individuazione dell’NPD dal «senso grandioso di importanza» alle «fantasie di illimitati successi» Il difficile rapporto con le donne e le responsabilità delle persone amiche
di Luigi Cancrini
Potenti ma fragili. Il successo predispone allo sviluppo del disturbo in età adulta
Proporre una diagnosi psichiatrica a proposito di una persona che non si conosce direttamente è possibile? È lecito? Belpietro e i suoi amici di Panorama hanno reagito con durezza alle cose che avevo scritto facendolo. Quella che vorrei presentare loro, molto semplicemente, è la lista dei criteri indicati dal DSM IV, il più importante e riconosciuto dei manuali psichiatrici per la diagnosi di “disturbo narcisistico di personalità” (NPD). Chiedendo loro se, dopo averli letti (meditati), non sono d’accordo anche loro con me nel porre questo tipo di diagnosi per un uomo come il nostro premier. I criteri, dunque, sono nove.
(1) Ha un senso grandioso d'importanza (per esempio esagera risultati e talenti, si aspetta di essere notato come superiore anche senza un’adeguata motivazione); (2) è assorbito da fantasie di illimitati successi, potere, fascino, bellezza, e di amore ideale; (3) crede di essere “speciale” e unico; (4) richiede eccessiva ammirazione; (5) ha la sensazione che tutto gli sia dovuto: cioè, la irragionevole aspettativa di trattamenti di favore o di soddisfazione immediata delle proprie aspettative; (6) sfruttamento interpersonale: cioè, si approfitta degli altri per i propri scopi; (7) manca di empatia: è incapace di riconoscere o di identificarsi con i sentimenti e le necessità degli altri; (8) è spesso invidioso degli altri, o crede che gli altri lo invidino; (9) mostra comportamenti e atteggiamenti arroganti o presuntuosi.
Nel caso, poi, in cui loro non siano d’accordo con me, potrebbero spiegarmene il perché? Evitando, se possibile, gli insulti?
Le esperienze infantili che preparano l’hardware del disturbo narcisistico sono collegate regolarmente ad un clima familiare in cui il bambino ha ricevuto una adorazione e un amore disinteressati ma fuori misura in quanto non accompagnati da una sufficiente empatia e da una genuina presentazione dei fatti. Il futuro narcisista non è informato circa i sentimenti e i bisogni distinti dei propri genitori.
La lezione è che i genitori vogliono solo apparentemente bearsi dello splendore del soggetto: una lezione che interferisce con il processo di apprendimento del soggetto circa il fatto che gli altri hanno bisogni, punti di vista e desideri loro propri. Il modo in cui questa predisposizione si sviluppa nell’età adulta intorno al “successo” viene bene illustrata, d’altra parte, da una delle studiose più importanti dei disturbi di personalità, Lorna Smith Benjamin: la psicoanalisi sostiene che lo sviluppo del carattere viene fissato in tenera età, in genere nella prima infanzia ma Sullivan già nel 1953 osservò che le prime esperienze interpersonali non sono le uniche a formare il carattere.
L’aspetto programmabile (il “software”) dell’NPD si può acquistare anche più avanti.
Le persone ricche e famose sono particolarmente soggette a sviluppare l’NPD da adulte. Quanti ricevono gratificazioni per il successo raggiunto nell’ambito professionale cominciano a pronunciarsi su questioni ben lontane dalla loro sfera particolare! Stelle del cinema e imprenditori di successo si sentono improvvisamente adatti a concorrere per cariche politiche, che dovrebbero, invece, richiedere particolari capacità nell’unire, mobilitare e adempiere le volontà di persone molto diverse fra loro. Le capacità organizzative richieste per il buon governo sembrano non aver nulla a che fare con l’abilità di recitare o di guidare un’impresa.
Si badi, tuttavia. Non sono episodi sporadici di successo (e di consenso entusiasta) a far nascere il disturbo, ma è il loro ripetersi. La gente comune può offrire e offrirà adorazione incondizionata, come pure affetto deferente, ai ricchi e famosi. Se si verificano le condizioni adatte, non è mai troppo tardi per sviluppare l’NPD.
Una delle domande più comuni è quella che riguarda il modo in cui le persone che hanno un disturbo di questo tipo ottengono l’ammirazione incondizionata di tante persone. Scriveva in proposito Freud nel 1914: «Appare molto chiaro che il narcisismo di una persona esercita un certo fascino su quanti hanno rinunciato a parte del loro stesso narcisismo e che sono alla ricerca dell’oggetto d’amore; il fascino del bambino si basa in larga parte sul suo narcisismo, sulla sua autosufficienza e sulla sua inaccessibilità, proprio come il fascino di certi animali che sembrano non curarsi affatto di noi, come i gatti e i grandi predatori.
È come se invidiassimo loro la capacità di serbare uno stato di beatitudine, un’inattaccabile posizione di libido, alla quale noi abbiamo da tempo rinunciato». Carisma, nel tempo dei media, è sempre più questo e non richiede competenze reali sui problemi. È telegenico?, ci chiediamo, invece di chiederci: è davvero preparato e capace? E il più narcisista spesso vince.
Kernberg (1984) parla di come i narcisisti tendono ad essere promiscui in quanto entrano in relazione solo con delle parti del corpo. I problemi sessuali del maschio con NPD possono essere attribuiti, secondo lui, ad un’invidia inconscia e ad una smania di possesso per le donne. Questo genere di maschio desidera sciupare e svalutare le donne. L’autonomia che così spesso lo caratterizza, non è altro che una difesa. Rappresenta una via d’uscita dalla proiezione della propria smania di possesso nei confronti delle donne.
Il narcisista di successo reagisce alle contrarietà con la collera, con la denigrazione dell’altro o con la teoria del complotto. Entra davvero in crisi solo quando quello che accade è irreparabile, come nel caso della morte di una persona cara, della perdita di un legame importante o dall’incontro, inevitabile, con la vecchiaia del corpo. Il movimento depressivo può debordare, in questi casi, dando luogo ad una esasperazione caricaturale dei suoi comportamenti meno riusciti. Il disprezzo per gli altri (le altre), l’aggressività e la rabbia vengono allora in primo piano insieme ad un bisogno maniacale di rifugiarsi nel proprio mondo personale: un mondo in cui trovano posto solo i complici e gli adulatori, quelli che hanno bisogno di lui e che più o meno autenticamente lo ammirano. Quando le vicende della vita lo portano ad una terapia, invece, quello che si può tentare di fare è di aiutarlo a diventare consapevole della sua potenza distruttiva. La nuova consapevolezza di nutrire dei sentimenti ostili darà luogo a sensi di colpa e ad una depressione costruttiva. Via via che la terapia continua, verrà, poi, fuori una matura considerazione degli altri e dei loro sentimenti.
Voler bene a chi sta male vuol dire stargli vicino, sostenerlo, ascoltarlo ma, anche e a tratti soprattutto, confrontarlo sulle cose sbagliate e autodistruttive che fa. Amico del tossicodipendente da eroina è chi lo confronta per farlo smettere, non chi gli dà i soldi per comprarla. Amico di una persona che ha problemi di dipendenza dal sesso non è chi gli porta in casa le escort e le ragazzine: silenziosamente suggerendogli che lui è il Capo e può fare quello che vuole. Amico è chi, come fanno a volte le mogli, gli dice che sta sbagliando. Che deve smettere.
I guasti che un leader patologico può produrre nella struttura o nelle strutture di cui ha il comando o la responsabilità consistono essenzialmente nell’aumento della conflittualità all’interno di tali strutture, nella diminuzione brutale della loro efficienza e nel peggioramento forte della qualità della vita nelle persone che in esse operano.
Si tratta di conseguenza ampiamente descritte nella letteratura specialistica. Nelle organizzazioni in cui il potere è distribuito fra diverse persone o gruppi quello cui si va incontro in questi casi è una mobilitazione delle parti sane del gruppo che spinge per la deposizione e la sostituzione del leader. L’unificazione nelle sue mani di tutti i poteri può diventare in questa fase l’obiettivo primario del leader patologico.
L’esito di questa battaglia può arrivare ad essere, in alcuni casi di cui la storia del ventesimo secolo ci ha dato varie dimostrazioni (in Italia e in Germania, in Spagna e in Unione Sovietica) la scelta fra la tirannide o la democrazia.
l’Unità 6.11.10
Il «folle narcissico» di Gadda, ritratto immortale del “duke”
Da «Eros e Priapo», (Garzanti), ecco gli ultimi paragrafi del «saggio sulla psicologia e la fisiologia che permise vent'anni di dittatura fascista»
di Carlo Emilio Gadda
I tacchi tripli da far eccellere la su’ naneria: e nient’altro
Uno si crede Cesare perché fa inscrivere il nome Caesar sui sassi
Erezione perpetua. In lui tutto è relato alla prurigine erubescente dell’Io minchia
Lo jus è turibolo. L’ethos si ha da ridurre alla salvaguardia della sua persona
Qualunque si affacci alla vita presumendo occupare di sé solo la scena turpissima dell' agorà e istrioneggiarvi per lungo e per largo da gran ciuco, e di pelosissima orecchia, a tanta burbanza sospinto da ismodata autoerotia, quello, da ultimo, tornerà di danno a' suoi e talora a sé medesimo. Il folle narcissico è incapace di analisi psicologiche, non arriva mai a conoscere gli altri: né i suoi, né i nemici, né gli alleati. Perché ? Perché in lui tutto viene relato alla erezione perpetua e alla prurigine erubescente dell'Io-minchia, invaghito, affocato, affogato di sé medesimo. E allora gli adulatori sono tenuti per genii: e per commilitoni pronti a morire col padrone, anzi prima di lui facendo scudo del loro petto. (In realtà, appena sentono odor di bruciato se la squagliano). I non adulatori sono ripudiati come persone sospette ed equivoche. I contraddittori sono delinquenti punibili con decine di anni di carcere. I derisori e gli sbeffeggiatori sono da appendere pel collo. Seconda caratterizzaione aberrante e analoga alla prima, è la loro incapacità alla costruzione etica e giuridica: poiché tutto l'ethos si ha da ridurre alla salvaguardia della loro persona, chè è persona scenica e non persona gnostica ed etica, e alla titillazione dei loro caporelli, in italiano capezzoli: e all'augumento delle loro prerogative, per quanto arbitrarie o dispotiche, o tutt'e due. Lo jus , per loro, è il turibolo: religio è l'adorazione della loro persona scenica; atto lecito è unicamente l'idolatria patita ed esercitata nei loro confronti; crimine è la mancata idolatria. Altra modalità dell'aberrazione narcisistica è la morbosa tendenza a 'innalzarsi', ad eccellere in forma scenica e talora delittuosa, senza discriminazione etica: senza subordinare l'Io a Dio. L'autofoja, che è l'ismodato culto della propria facciazza, gli induce a credere d'esser davvero necessari e predestinati da Dio alla costruzione e preservazione della società, e che senza loro la palla del mondo l'abbi rotolare in abisso, nella Abyssos primigenia mentre è vero esattamente il contrario: e cioè senza loro la palla de i'mondo la rotola come al biliardo e che Dio esprime in loro il male dialetticamente residuato dalla non-soluzione dei problemi collettivi: essi sono il residuo mal defecato dalla storia, lo sterco del mondo.
Il contenuto del pragma narcissico è limitato a quel groppo di portamenti e di gesti che ponno attuare la relazione (ottica, acustica) con la desiderata platea, che soli possono procurargli l'applauso. Groppo che diviene persona: la è tutta lì la "persona". Il Golgota non è scena, non è disonor del Golgota degno di lui. Per lui non il legno della croce, ma il cesso di lapislazzuli o il bidet di onice. Esibisce voci e canti da magnificar l'Io nella voce, nel frastorno. La voce è richiamo sessuale potente e gravita, per così dire, sull'ovaio alle genti. Il folle narcissico è desidera e brama le carte stampate, per quanto coartate e vane, i giornali magnificanti le su' glorie, e de' sua. Gli stessi annunci funebri, i soffietti pubblicitari se gli è privato uomo titillano la sua lubido narcissica. Morirebbe, "per andà in sul giornàal". Ma la nota dominante del pensiero, della parola e dell'atto è la menzogna narcissica. La menzogna narcissica è, nel procedere della storia, quel che è la dissipazione nella vita privata. Consiste nel negare una serie di fatti reali che non tornano graditi a messer "Io". La menzogna esce di getto dalla sua anima come dogma irruente, come uno spillo d'acqua da una manichetta de' pompieri sotto pressione. Si sente che nessuna remora, nessuna obiezione potrà fermarla. Lo stesso vediamo fare con resultati pressoché identici, alla isterica o all'ipocondriaco e in genere a quelli che sono smagati da un "delirio interpretativo" dei fatti reali. (Questo termine è dello psicologo francese Capgras).
Il dato ormone Se la isterica menta consapevole o no, è una delle questioni classiche dibattute dalla psicopatologia: e io non ho né dottrina né forze né tempo né carte da istruirne a questi anni per la millesima volta il dibattito. La menzogna narcissica, la reticenza narcissica, la calunnia narcissica direi, un po' a lume di naso, che pertengono alle zone conscie dell'Io: e pure comportano un che di ineluttabile, di "fatale", di teso: di biologicamente predeterminato quasi dall'eccessivo esondare di un dato ormone: esse rasentano certi stati di sogno, di utopia folle e felice che da non so quali stupefacenti si procacciano. Uno si crede Cesare perché fa inscrivere il nome Caesar su alcuni sassi. Sogna. Le genti sensate gli ridono in faccia. Allora il malato li fa prendere e li fa carcerare per decine di anni. Sul palco, sul podio, la maschera dell’ultra istrione e del mimo, la falsa drammaticità de' ragli in scena. I tacchi tripli da far eccellere la su’ naneria: e nient’altro.
l’Unità 6.11.10
«Percorso a punti» Idea bocciata senza appelli: «Lasciate perdere parole come “selezione”»
Immigrazione, Pd all’esame delle seconde generazioni
Ventenni, figli di immigrati. Chiedono al Pd parole chiare sull’immigrazione. Qualcuna c’è già. Livia Turco: «Dobbiamo fargli ritirare il decreto che prevede il test d’italiano con espulsione per chi non lo supera».
di Mariagrazia Gerina
Si potrebbe chiamare la «sveglia» che viene dalla Seconda generazione. E sta già producendo i suoi frutti. «Sull’immigrazione il Pd deve trovare messaggi chiari, diretti, parole semplici, la Lega non ha fatto chissà che, è stata sul territorio, con un messaggio semplice, noi democratici a volte dal territorio sembriamo spariti», fa le prove da giovane leader Youness Elorch, ventitré anni, cresciuto a Imola ma nato in Marocco, vicino a Casablanca. Youness studia giurisprudenza a Bologna e vuole fare l’avvocato, «o anche il questore, ma prima mi devono dare la cittadinanza». E poi c’è la politica: iscritto al Pd dal 2008, milita nei Giovani democratici e in una serie di associazioni che si occupano di integrazione scolastica. Consigli ai maggiorenti del partito: «In politica non devi mai perdere la speranza, noi immigrati stiamo facendo crescere questo paese, questo deve dire il Pd. A volte però sembra che abbiano paura di perdere l’elettorato e allora fanno proposte che si capiscono poco, non è così che conquisti voti».
La sala di via Sant’Andrea delle Fratte, convocata da Livia Turco, Marco Paciotti e Khalid Chouaki per il Forum sull’Immigrazione, è piena di ragazzi come lui. Ventenni, figli di immigrati, ma anche imolesi, bolzanini, padovani. E iscritti al Pd. Le parole «chiare» che gli interventi provano a rimettere in fila, in realtà, sono parecchie. Voto agli immigrati, cittadinanza ai ragazzi cresciuti in Italia. Livia Turco ne indica una, in particolare.
«Non si può pensare di espellere una persona che non superi il test di lingua e cultura italiana», spiega indicando l’abrogazione del decreto che introduce il test o l’espulsione, ora all’esame della Conferenza Stato-Regioni, come prossima battaglia «da vincere».
ITALIANO PER DIRITTO, NON PER FORZA
L’alternativa è promuovere davvero la conoscenza dell’italiano. Magari mettendoci qualche soldo. Quello che suggerisce la proposta di legge di cui lei è prima firmataria. Ispirata alle 150 ore, prevede meccanismi premiali per chi impara l’italiano e un permesso di tre ore settimanali per frequentare i corsi che il governo dovrà promuovere. Perché altrimenti metti anche questo in mano ai privati. E infatti conferma Filippo Miraglia, dell’Arci Immigrazione la speculazione è già partita. All’ordine del giorno dell’assemblea, però, c’è soprattutto, il documento approvato a Varese durante l’assemblea nazionale. L’idea che il destino di chi vuole venire in Italia si decida con un percorso «a punti», in particolare, non trova gradimento. Critica l’Arci: «I leader politici del Pd devono cambiare linguaggio, certe parole come “selezione” le lascino perdere», suggerisce Miraglia (Arci Immigrazione). Perplesse le Acli. «La mia paura è che anche nel Pd alcuni non avendo la forza di affrontare il tema dell’integrazione spostino il dibattito su proposte che non hanno molto senso», spiega lo stesso Couauki, che della rete G2 è un po’ l’artefice. «Dobbiamo decidere se il punto sono i diritti o l’utilità degli immigrati», spiega Sergio Gaudio, del Forum romano. «Siamo riusciti a dare alla Lega la sponda per essere d’accordo con noi, ma noi è all’elettorato leghista che dobbiamo guardare, quello lo catturi se stai sui problemi», spiega Ramzi Ben Romdhane, impiegato in una ditta metalmeccanica, 25 anni e un marcato accento reggiano, anche se è nato in Tunisia. Lui, per dire, eletto consigliere comunale del Pd a Quattro Castelle (Reggio Emilia), ha affrontato il più concreto dei problemi. Quello delle «puzze» nei condomini con un porta a porta per spiegare le differenze culinarie. Più della Lega lo preoccupano i tagli al welfare. «L’integrazione si fa con i servizi sociali ma se li tagli anche dove funzionano è finita», dice pensando al Centro di Quattro Castelle («un ex garage») dove le mamme immigrate possono studiare l’italiano mentre un educatere segue i loro bambini.
Welfare potenziato e aperto a tutti come alternativa alla Lega, lo schema è condiviso. «La risposta al “prima gli italiani” è fare una battaglia comune per difendere i servizi sociali, la scuola, i diritti sul lavoro», suggerisce Livia Turco. Poi, però, ribadisce, «dobbiamo rispondere anche alla domanda centrale: come si entra in questo paese? Certo non bloccando i flussi come ha fatto il governo». La sua idea spiegacontinua ad essere un criterio per ancorare gli ingressi al lavoro. E accanto all’idea dell’accesso a punti, di cui si continuerà a discutere, nel documento di Varese ce ne sono altre che trovano già ampia condivisione: l’ingresso per la ricerca di lavoro e quello garantito dagli sponsor. Prossimo appuntamento a febbraio: Conferenza sull’immigrazione.
il Fatto 6.11.10
La Carta offesa a Predappio
Il raduno per celebrare la marcia su Roma realizza l’apologia del fascismo e offende gli italiani: la legge, sarebbe ora di capirlo, va difesa sempre, contro tutte le violazioni
di Maurizio Viroli
Domenica 31 ottobre, nella ridente cittadina di Predappio, qualche migliaio (ma i numeri hanno poca importanza) di individui hanno offeso pubblicamente la Costituzione rendendosi apertamente responsabili del reato di apologia del fascismo ai sensi della legge n. 645 del 1952, nota anche come legge Scelba (democristiano, è bene ricordarlo, non un fazioso comunista). Mi riferisco al raduno per celebrare la marcia su Roma che, a detta dei fascisti, portò Mussolini al governo (ma è una solenne cretinata perché Mussolini andò al governo chiamato da quel delinquente del re), e segnò l’inizio del regime che ha regalato all’Italia ventuno anni di totalitarismo, guerre coloniali combattute con crudeltà bestiale, una guerra mondiale e una guerra civile.
CHE UN EVENTO del genere insulti la coscienza di chiunque abbia ancora un minimo di intelligenza e di sensibilità morale non dovrebbe essere difficile da capire, visto che il fascismo è nato e vissuto per offendere in ogni modo la dignità della persona umana, imponendo il silenzio, uccidendo a freddo, torturando, imprigionando, condannando al confino. Ed è del pari facile capire perché oltraggia la Costituzione dato che tutta la nostra Carta fondamentale è antifascista e contiene una norma finale, la XII, dove si legge: “È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”. Che poi ci siano gli estremi di reato (con relative pene e multe, allora in lire) lo afferma la legge in questione. Art. 1: “Riorganizzazione del disciolto partito fascista. Ai fini della XII disposizione si ha riorganizzazione del disciolto partito fascista quando una associazione, un movimento o comunque un gruppo di persone non inferiore a cinque persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista”. Art. 4: “Chiunque fa propaganda per la costituzione di una associazione, di un movimento o di un gruppo avente le caratteristiche e perseguente le finalità transitoria e finale (comma primo) della Costituzione, indicate nell'articolo 1 è punito con la reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da lire 400.000 a lire 1.000.000. Alla stessa pena di cui al primo comma soggiace chi pubblicamente esalta esponenti, princìpi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche. Se il fatto riguarda idee o metodi razzisti, la pena è della reclusione da uno a tre anni e della multa da uno a due milioni”. Art. 5: “Manifestazioni fasciste. Chiunque, partecipando a pubbliche riunioni, compie manifestazioni usuali del disciolto partito fascista ovvero di organizzazioni naziste è punito con la pena della reclusione sino a tre anni e con la multa da 400.000 a 1.000.000 di lire”. Se, come è molto probabile, visti i precedenti, i partecipanti all’oscena parata di Predappio si sono resi responsabili dei reati così bene descritti mi pare evidente che devono essere perseguiti ai sensi della legge. E se la polizia e i carabinieri avessero ravvisato la volontà manifesta di delinquere non avrebbero dovuto vietare la manifestazione? Se non sbaglio, mi corregga Travaglio, vige in Italia l’obbligatorietà dell’azione penale (art. 112 della Costituzione). E dunque le autorità preposte non si assumono, tollerando, una pesante responsabilità?
MA PRIMA della responsabilità penale c’è quella morale e c’è quella politica. La prima impone ad ogni essere umano (cittadino o non cittadino) di alzare una ferma, civile, pacata voce di protesta (e i cattolici e la Chiesa, taceranno anche questa volta di fronte a gente che offende la coscienza cristiana?). La seconda impone alle autorità politiche, a cominciare dai sindaci di Romagna, dal presidente della Provincia e dal presidente della Regione di esprimere almeno la più severa condanna e di invitare la magistratura ad intervenire. La legge, sarebbe ora di capirlo, va difesa sempre, contro tutte le violazioni. Solo in questo modo la lotta per la legalità acquista forza e credibilità.
LA VICENDA di Predappio, offre, per fortuna, anche una bella occasione. La vedova di uno dei figli ha minacciato di far traslare le ceneri di Mussolini da Predappio a Roma. Se fossi di Predappio accoglierei la proposta con entusiasmo e farei di più e meglio. Mi attiverei affinché le ceneri di Mussolini siano disperse in mare, fuori dalle acque territoriali italiane, come hanno fatto in Israele con le ceneri di Eichmann. Questo sarebbe vero atto di pietà per chi ha perso la vita e ha sofferto per colpa di quel criminale di Benito Mussolini e un dovuto atto di rispetto per l’Italia, che per il fascismo e del fascismo dovrà sempre e solo vergognarsi.
il Fatto 6.11.10
«La scena cambiò quando sulla terrazza entrò la madre e vidi quest'uomo infantilizzarsi, sdilinquirsi in bacini e bacetti, in un puci-puci imbarazzante. Era lì, come sempre, l'origine della sua omosessualità.»
Le colpe di Pier Paolo
di Massimo Fini
H o incontrato per la prima volta, nel settembre del 1974, Pier Paolo Pasolini, di cui ricorre in questi giorni, mi pare senza particolari celebrazioni, il 35° anno dalla tragica morte, una morte molto pasoliniana. Lo andai a trovare nella sua casa romana, all'Eur, per intervistarlo sul "Fiore delle Mille e una notte" uscito da poco. Non c'era intorno a lui alcun odore di zolfo. Normale, piccolo borghese, era il quartiere dove abitava, così come la sua casa, con i centrini sotto i vasi di fiori, i ninnoli, i comodini e tutto quanto. Una casa piccolo borghese. Mentre parlavamo sulla terrazza, in un dolce mattino di fine estate, lo osservavo con attenzione. Non aveva, Pasolini, a differenza di tanti altri intellettuali italiani (parlo di quelli di allora, s'intende), la conversazione spumeggiante, il linguaggio pirotecnico, la citazione seducente, ma il modo di parlare piano, pacato, rettilineo, modesto di chi è profondamente consapevole della propria cultura e perciò non la esibisce. E in questa atmosfera anche le cose che diceva, le stesse che scritte suscitavano scandalo, irritavano o entusiasmavano, parevano cose normali, elementari e quasi banali. I gesti erano misurati, tranquilli. Solo il volto di Pasolini era un po' diverso, un volto profondamente segnato, un volto quasi da Cristo, ma un Cristo molto diverso dal terribile "Cristo putrefatto" di Matias Grünewald o, tanto meno, dal Cristo oleografico dell'iconografia cattolica. Insomma, anch'esso, un Cristo molto normale, un Cristo piccolo borghese.
Pasolini non aveva, nei gesti, nel parlare, nel modo di porgersi, nulla della "checca". Era anzi piuttosto virile. La scena cambiò quando sulla terrazza entrò la madre e vidi quest'uomo infantilizzarsi, sdilinquirsi in bacini e bacetti, in un puci-puci imbarazzante. Era lì, come sempre, l'origine della sua omosessualità. Mi invitò a pranzo. Per Pasolini infatti l'intervista non era, come di solito, una partita burocratica in cui l'intervistato cerca di stendere sul tappeto le proprie bellurie, disinteressandosi completamente dell'interlocutore. Era un incontro. Mi fece molte domande, su di me, sul mio lavoro, sulla mia vita. Nel pomeriggio arrivò Ninetto Davoli e cominciò a manifestarsi il Pasolini sulfureo. La sera mi caricò sulla sua Bmw e mi portò, come sarebbe accaduto un altro paio di volte, a cena in una bettola di un quartiere periferico, mi pare la Magliana. Ogni tanto si avvicinavano dei ragazzi, le classiche "marchette", e ci scambiava due chiacchiere. Uno di questi lo avrebbe ucciso. L'intellighentia di sinistra italiana, nella sua ipocrisia, non ha mai accettato che Pasolini fosse morto com'è morto. Come minimo doveva essere stato un complotto dei "fascisti", fantasticheria cui diede voce per prima la Fallaci che aveva orecchiato qualcosa dal parrucchiere. E invece andò proprio così. "Pino la rana" si ribellò a una richiesta sessuale particolarmente umiliante di Pier Paolo e contando sui suoi diciassette anni, nonostante Pasolini fosse ancora un uomo atletico (giocava a calcio, che gli piaceva moltissimo) lo ha ammazzato. Così come questa intellighenzia non ha mai capito che il fondo oscuro di Pasolini era proprio l'humus necessario al suo essere artista e, soprattutto, un grande, un grandissimo intellettuale. Non si può trattare qui, in poche righe, l'opera di Pier Paolo Pasolini, mi piace solo ricordarne una frase che scrisse nel 1962 inserita ne "Le belle bandiere": «Noi ci troviamo alle origini di quella che sarà probabilmente la più brutta epoca della storia dell'uomo: l'epoca dell'alienazione industriale».
il Riformista 6.11.10
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