Favoreggiamento Nei guai il medico salito sulla torre per l’immigrato
Saranno denunciati per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina «il medico curante e persone esterne» all'ospedale San Paolo di Milano, da dove è stato dimesso ieri l'immigrato che sabato pomeriggio è sceso dalla torre della ex «Carlo Erba» di via Imbonati a causa delle sue gravi condizioni di salute. Lo rende noto la Questura di Milano, la quale aggiunge che l'immigrato è stato dimesso nella prima mattinata da parte di personale medico di quell'ospedale. Nel comunicato non è spiegato quali sia il medico che sarà denunciato: se quello appartenente a Emergency che l'ha curato sulla torre oppure un medico che l'abbia curato in seguito. «In merito ai fatti sono in corso indagini da parte della Questura di Milano spiega la Questura per accertare la correttezza delle procedure adottate, essendo emersi da parte del medico curante e di altre persone estranee alla struttura sanitaria comportamenti che configurano l'ipotesi di reato di favoreggiamento all'immigrazione clandestina». «I fatti costituenti reato spiega la Questura saranno oggetto di denuncia all'autorità giudiziaria». Emergency ha fornito due medici per il soccorso a uno degli immigrati sulla torre in via Imbonati. Uno dei due è stato portato dai Vigili del fuoco fino a 45 metri d'altezza, dove si trova la balconata ad anello sulla quale si erano accampati i tre immigrati. L'altro a terra coordinava i soccorsi con la Questura e i Vigili del Fuoco. Il giovane egiziano ha cominciato a sentirsi male l’altra mattina, quando ha manifestato difficoltà a svegliarsi e a muoversi. Nel pomeriggio è peggiorato e questo ha convinto gli altri due suoi compagni a chiedere aiuto.
Repubblica 29.11.10
Aveva soccorso uno degli immigrati in protesta sulla torre di una fabbrica. Nel mirino le procedure di dimissione
Milano, medico cura un clandestino rischia l´accusa di favoreggiamento
di Tiziana De Giorgio e Massimo Pisa
MILANO - Lo avevano lasciato su un letto dell´ospedale San Paolo, viola di freddo e con dolori al petto, con in tasca un invito a comparire in questura a metà settimana e il tacito accordo che non lo avrebbero piantonato, ma solo «vigilato». Ieri mattina, quando gli agenti della digos sono andati in ospedale a verificare le sue condizioni, hanno trovato la sorpresa. Mahmoud, l´immigrato egiziano 23enne sceso da una ciminiera di via Imbonati dopo 23 giorni di protesta per ottenere il permesso di soggiorno, non c´era più. Dimesso alle 7.42 dal dottor Andrea Crosignani, lo stesso che lo aveva convinto a venire giù dalla torre, abbandonando gli altri due compagni di lotta perché il freddo e la fame avevano presentato il conto. Ricoverato in codice giallo, con l´assicurazione verbale alla polizia che il ragazzo sarebbe rimasto in corsia per tutto il giorno, Mahmoud si è invece volatilizzato. E la questura non l´ha presa bene, annunciando provvedimenti attraverso un inusuale comunicato: «Sono in corso indagini per accertare la correttezza delle procedure adottate, essendo emersi da parte del medico curante e di altre persone estranee alla struttura sanitaria comportamenti che configurano l´ipotesi di reato di favoreggiamento all´immigrazione clandestina».
Nel mirino non ci sono tanto Crosignani («Ho semplicemente fatto il mio lavoro», spiega) e nemmeno la direzione sanitaria del San Paolo, che ha ribadito nel pomeriggio in una nota («Non c´erano motivi per trattenerlo») la correttezza delle procedure, quanto «altre persone - aggiungono da via Fatebenefratelli - non appartenenti alla struttura sanitaria, che avrebbero aiutato lo straniero a lasciare l´ospedale, al momento della sua dimissione, eludendo anche la sorveglianza degli organi di polizia». La vivono come una beffa in questura, dov´erano ancora in corso accertamenti sull´identità di Mahmoud, sui suoi eventuali precedenti, alias e istanza di permesso, essendo il ragazzo privo di passaporto al momento del ricovero. «Denuncia sconcertante, violenza senza precedenti», lamenta il presidente dei Verdi, Angelo Bonelli, che annuncia esposto in procura e alla Corte Europea: «Evidentemente l´immigrato curato non era il nipote di Mubarak». Sulla torre, in via Imbonati, restano un argentino e un marocchino a protestare.
Repubblica 29.11.10
La giornata dei malati in coma nell’anniversario di Eluana Marino e i radicali: provocazione
ROMA - Polemiche sulla decisione del Consiglio dei ministri d´istituire il 9 febbraio la «giornata degli stati vegetativi», per celebrare tutti i malati terminali e i loro familiari. «Giusta la giornata, sbagliata la data perché è quella della morte di Eluana Englaro», dice il direttore di Bioetica della Cattolica, Adriano Pessina. Il senatore Pd Ignazio Marino, per motivi diversi, parla invece «d´inutile provocazione». Contro la scelta della data anche Maria Antonietta Farina Coscioni secondo la quale «aver indicato questa data è una vergogna». La sottosegretaria alla Salute, Eugenia Roccella, difende invece il governo: «Con questa giornata il ricordo di Eluana non sarà più una memoria che divide».
l’Unità 29.11.10
Ma il racconto laico non è «contro»
di Francesco Piccolo
T utti hanno detto agli autori di Vieni via con me (di cui faccio parte), con molta facilità: cosa vi costa dare voce a un punto di vista in più esibendo con questa affermazione una presunta e più ampia laicità. La questione però è mal posta, ed è mal posta in modo tendenzioso. La questione non è quella di ospitare un punto di vista in più; ma che, facendolo, accetteremmo la tesi che abbiamo parlato contro qualcuno. La domanda quindi dovrebbe essere non: perché non date la parola a un punto di vista in più? Ma: avete parlato contro qualcuno?
Quello che i movimenti pro-vita, e molti cattolici poco generosi non capiscono, è che non abbiamo parlato contro nessuno per un motivo semplice: noi siamo totalmente d’accordo con le loro te-
si. Abbiamo già accettato le loro ragioni, a priori. Sono loro a non ammettere le ragioni degli altri. Un laico vero ritiene che bisogna accettare tutt’e due le possibilità di scelta davanti a una tragedia umana così incomprensibile per chi la vive, figuriamoci per chi non la vive. Un cattolico invece ritiene che ci sia solo una possibilità, e l'altra è sacrilega. In uno stato laico, però, dovrebbe prevalere il pensiero laico che, ripeto, comprende quello cattolico. Se prevale il pensiero cattolico che non comprende quello laico c’è qualcosa che non va. E questo va raccontato. E a questo racconto non si può affiancare un altro che si definisce opposto, perché nel racconto laico sono già compresi tutti e due i punti di vista; quindi un raccon-
to opposto non c’è.
Repubblica 29.11.10
Gelmini: sì a riforma entro l´anno atenei in fermento, domani il corteo
Settimana decisiva, studenti sui tetti in 19 città
di Corrado Zunino
Il decreto arriva alla Camera, potrebbe approdare al Senato il 9 dicembre. Il ministro: sarà la fine della cultura egualitaria del ‘68
ROMA - Rinfrancata dalle parole di Gianfranco Fini, che ha assicurato il voto favorevole alla riforma dell´università, domani mattina alla Camera, dei 36 deputati di Futuro e Libertà, il ministro dell´Istruzione Mariastella Gelmini ritrova il coraggio e assicura: «Prima della metà di dicembre la riforma sarà legge». La Gelmini, convinta dell´approvazione alla Camera già domani sera, chiederà infatti di mettere il decreto legge in calendario al Senato il 9 dicembre, certa di un passaggio definitivo rapido. «È una riforma epocale sul piano culturale: spazza via la cultura egualitaria del ‘68», dice il ministro. «I ragazzi li hanno convinti che il governo gli ruba il futuro, ma illuderli che mettendo più soldi si risolve tutto è demagogia». Il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, si mostra critico sulla politica dei tagli: «La riforma può essere discussa e migliorata. I tagli devono essere annullati. Sono stati commessi alcuni errori: ci volevano più risorse per dare il segno dell´intenzione di investire sull´università».
In un video rintracciabile sul sito della rete dei ricercatori 29 Aprile, che giovedì hanno filmato la salita sui tetti romani di Architettura di quattro deputati finiani, si ascoltano Fabio Granata e Benedetto Della Vedova dire: «Abbiamo detto sì alla riforma perché ci sono state forti pressioni del capo dello Stato». E poi, visto che «intendiamo votare la sfiducia a Berlusconi, vogliamo arrivare al 14 dicembre compatti». Fughe in avanti - come il "no" al decreto Gelmini -potrebbero mettere a rischio il gruppo parlamentare.
La protesta degli studenti, però, non si ferma. Fin qui sono state coinvolte 38 città, mentre 51 facoltà e rettorati sono occupati e in 19 università studenti e ricercatori sono sui tetti. Oggi in tutta Italia sono previste assemblee per preparare il presidio a Montecitorio di domani mattina e nuove iniziative. Sulle terrazze di Architettura, ormai luogo simbolo della rivolta giovanile, sono attesi il musicista Nicola Piovani e l´attore Ascanio Celestini. E i superstiti di Architettura - due piccole tende americane in queste notti li hanno difesi dalla pioggia - hanno ottenuto che il Manifesto trasferisse in Fontanella Borghese la riunione di redazione. All´Aquila sit-in in piazza Duomo, zona agibile nel cuore del centro storico devastato. E da piazza della Costituzione a Cagliari, oggi pomeriggio, partirà una fiaccolata. Dopo la contestata partecipazione a "L´ultima parola" di Gianluigi Paragone, questa sera i ricercatori di Architettura si collegheranno dal tetto di Architettura con l´"Infedele" di Gad Lerner (La7) e la ricercatrice Francesca Coin sarà ospite dell´ultima puntata di "Vieni via con me" di Fabio Fazio e Roberto Saviano (RaiTre).
Al ministero, in viale Trastevere a Roma, è previsto l´arrivo di quattro pullman: scaricheranno centinaia di bambini del VII circolo Montessori di Roma. Con loro un asino alto quattro metri costruito con bottiglie di plastica: "Taglia e ritaglia alla fine l´alunno raglia".
Repubblica 29.11.10
La ricercatrice Francesca Coin questa sera a "Vieni via con me"
"No, non torno negli Usa è il momento di lottare"
ROMA - Con una lettera a "Repubblica" Francesca Coin, 34 anni, illustrò lo shock del rientro in un´università italiana dopo otto anni di vita accademica in America: «Negli Usa era venuto a prendermi all´aeroporto il capo dipartimento dell´ateneo, come ricercatrice guadagnavo il triplo, essere giovani là è una risorsa non un problema». Ora è sui tetti di Architettura, a Roma, e questa sera leggerà nello studio di Fazio e Saviano un elenco di cose per lei necessarie all´università italiana.
Sono passati 45 giorni da quella lettera, che è successo nel frattempo?
«Il ministro Gelmini non mi ha mai risposto e io, da ricercatrice, ho dichiarato l´indisponibilità a insegnare alla Ca´ Foscari. E con l´avvicinarsi del voto parlamentare è cresciuta la necessità di bloccare una riforma sbagliata».
Perché sbagliata?
«Per tre motivi, fra i tanti. Non trova un posto per i ricercatori precari, saranno precari per sempre. L´autonomia di pensiero che da secoli nutre le università viene compromessa dall´arrivo di un cda con poteri vincolanti. E poi hanno tagliato del 90% le borse di studio: il diritto a studiare sarà solo dei ricchi».
Nonostante l´Italia bloccata, è probabile che la riforma passi.
«Lo temiamo. C´è stato uno scambio: la sfiducia al governo ha prevalso sull´università».
Che fa, torna in America?
«Là sarei comunque straniera. In Italia posso dare tutto quello che ho imparato negli Usa per un fine più grande. Oggi nel mio paese c´è l´humus per creare qualcosa di nuovo».
(c.z.)
Corriere della Sera 29.11.10
Su Latorre il gelo di Bersani Vendola incassa l’apertura
Il leader: solo un contributo personale. Veltroni: partito-babele
di Maria Teresa Meli
ROMA — Brutto risveglio domenicale per il segretario del Partito Democratico Pier Luigi Bersani. Sul Corriere della Sera il vice capogruppo del Senato Nicola Latorre propone di rifondare il Pd, invita Nichi Vendola a partecipare a questa nuova avventura politica e propone a Matteo Renzi e a Nicola Zingaretti di correre per la leadership del nuovo partito.
L’intervista fa arrabbiare il leader, che in questo periodo si sente minacciato non solo dalla minoranza interna. Non è sfuggito a nessuno il fatto che ultimamente alcuni autorevoli dirigenti del Pd abbiano assunto posizioni non perfettamente collimanti con quelle del leader. Il suo vice Enrico Letta non nasconde di non vedere di buon occhio la rincorsa a sinistra di Bersani, che sembra essersi gettato all’inseguimento di Vendola. Massimo D’Alema è apparso alquanto freddo nei confronti del segretario che scala i tetti per manifestare insieme agli studenti. Filippo Penati ha preferito dimettersi e allontanarsi dal suo staff. Marco Follini si sta addirittura avvicinando a Walter Veltroni. E Sergio Chiamparino non nasconde più la sua insofferenza verso l’attuale gestione del Pd: «È paradossale che non sia il primo partito dell’opposizione a chiedere di andare alle urne, in una situazione di ingovernabilità del Paese. Questa situazione è dovuta alla mancanza di una leadership forte e credibile: utilizziamo tutte le risorse che abbiamo per identificare un vero leader». Gli unici che in questa fase sembrano condividere in tutto e per tutto le posizioni di Bersani sono Rosy Bindi e Dario Franceschini.
La sortita del vice capogruppo del Pd a palazzo Madama non ha quindi fatto piacere al numero uno del partito. Che ha chiesto al fedele Maurizio Migliavacca, coordinatore della sua segreteria, di diramare una nota in cui cerca di limitare la portata delle affermazioni del braccio destro di D’Alema: «Il Pd è un partito aperto in cui ciascuno porta liberamente il proprio contributo personale. È in questo contesto che va inquadrata anche la proposta odierna del senatore Latorre». Tace, per ora, Vendola. Nel senso che non rilascia dichiarazioni ufficiali. Ma il governatore della Puglia ha deciso di incassare la «parte positiva» dell’intervista di Latorre: «E’ un’apertura». Walter Veltroni, ieri, con gli amici con cui ha parlato è stato invece abbastanza critico: «E’ la prova della Babele che c’è nella maggioranza del Pd». Prende le distanze anche Enrico Letta, che ha il dente avvelenato contro Vendola: «Quella di Latorre è una forzatura». E poi: «Il presidente della regione Puglia deve comunque capire che senza il Partito Democratico non va da nessuna parte».
Ma al di là dei commenti, c’è un punto su cui ieri si interrogavano il segretario e i suoi uomini. Per quale ragione Latorre e D’Alema abbiano deciso di uscire nello stesso giorno con due interviste diverse. Sì, perché se Latorre apre a Vendola, il presidente del Copasir, invece, gli sbatte la porta in faccia — o poco ci manca — e propone una Santa Alleanza con l’Udc e Futuro e libertà. Il fatto è che dietro le ricette politiche diverse c’è una preoccupazione comune, una preoccupazione che unisce la maggior parte dei dirigenti del Pd. Cioè che alla fine Bersani voglia andare veramente al duello con Vendola alle primarie, con tutto il rischio che questo comporta. Già, perché anche se il segretario riuscisse a sconfiggere il presidente della regione Puglia, la sua sarebbe comunque una vittoria di misura, il che condizionerebbe inevitabilmente la linea del Pd.
Per questa ragione Latorre tenta di trovare un accordo con Vendola. Mentre D’Alema spera ancora che alla fine Pier Ferdinando Casini accetti di guidare una coalizione di centrosinistra, con buona pace delle primarie e dei suoi sostenitori. L’intento è lo stesso: neutralizzare la forza di Vendola che per il Pd può essere dirompente. Per questo motivo alcuni ambasciatori delle diverse aree in cui ormai è diviso il Partito Democratico hanno provato a capire se personaggi nuovi per quel che riguarda la ribalta della politica nazionale siano disposti a scendere in campo. Matteo Renzi e Nicola Zingaretti, tanto per fare dei nomi, non si sono mostrati affatto interessati. Ma Chiamparino ha fatto sapere di essere pronto al grande passo.
Corriere della Sera 29.11.10
«Vogliono sfrattare noi ex popolari»
Fioroni: con Sel ci rinchiudiamo in un recinto di sinistra, ma così salta tutto
di M.T.M.
“Se la gente non ci vota, alle primarie e alle elezioni, non si può far finta che non sia colpa nostra”
ROMA — «Non ho parole: nella nostra manifestazione dell’Eliseo, venerdì, abbiamo lanciato il Pd pride, e invece quello che pensano di fare alcuni nostri compagni di partito, a cominciare da Nicola Latorre, è esattamente il contrario: vogliono archiviare il Pd». Beppe Fioroni, uno dei leader, insieme a Walter Veltroni e Paolo Gentiloni, della minoranza del Partito Democratico, è su tutte le furie.
Onorevole, Latorre non dice archiviare, ma rifondare. Perché è così ostile all’ipotesi avanzata dal vice capogruppo del Pd al Senato?
«La sua è una soluzione da azzeccagarbugli: vuole allargare il Pd a Nichi Vendola per farlo diventare un partito solo di sinistra, e magari vuole cacciare anche noi cattolici che non veniamo dal Pci».
Non lo ha detto. In compenso Massimo D’Alema ha dichiarato al Messaggero che si può fare una Santa Alleanza elettorale con Pier Ferdinando Casini e Gianfranco Fini, su questo almeno sarà d’accordo.
«Il combinato disposto dell’intervista di Latorre e di quella di D’Alema è devastante per il Partito Democratico. Partono entrambi dal presupposto che il Pd deve delegare la "copertura" dei moderati ad altri soggetti politici, rinchiudendosi in un recinto di sinistra. E’ incredibile, si preferisce regalare voti agli altri partiti. Ciò detto, non sono contrario ad andare alle elezioni con un’alleanza con Casini. E se la maggioranza del mio partito sarà favorevole, accetto anche l’accordo elettorale con Fini. Però voglio fare una precisazione: noi possiamo pure allearci con altri soggetti politici, senza però svenderci».
Quindi lei non accetta l’idea che il Pd si sposti a sinistra. Eppure negli ultimi tempi anche il segretario Bersani sembra propenso ad andare verso quella direzione.
«Latorre abbraccia Vendola ed espelle noi ex popolari. Non credo che questo faccia piacere a Bersani. Anzi».
Non le sembra di esagerare, onorevole Fioroni?
«Nient’affatto, Latorre sostiene che il Pd non può più essere fondato sull’unione tra gli eredi del Pci e gli eredi del cattolicesimo moderato e lancia anche un amo a Vendola: che cosa significa tutto ciò? Significa una sola cosa: che si mira a sfrattare noi e a fare un’aggregazione tra tutti gli ex pci. Ma se dovesse veramente accadere una cosa del genere, allora salterebbe tutto».
C’è chi sostiene che in realtà l’obiettivo dei dalemiani sia quello di evitare le primarie. Latorre dice che non devono essere fatte quelle di coalizione. D’Alema lascia capire che se fosse per lui non andrebbero fatte punto e basta.
«Vogliono esorcizzare le primarie. Questo mi sembra chiaro. Ma non funziona così. Il problema non sono quelle consultazioni, il problema è il Pd che non riesce a vincerle. E non è che per questo dobbiamo affossarle. Se la gente non ci vota, alle primarie come alle elezioni, ci sarà un motivo, smettiamola di far finta di niente, di far finta che non sia colpa nostra».
Latorre sostiene anche che il Partito democratico, dalla vicenda di Pomigliano d’Arco non ha riflettuto abbastanza sulla vicenda Fiat e sull’atteggiamento di Sergio Marchionne.
«Sì, secondo lui Marchionne è un capitalista autoritario. E questa è una critica, neanche tanto implicita al leader della Cisl Raffaele Bonanni».
Che nella vicenda Fiat si è schierato con Marchionne.
Repubblica 29.11.10
Nel Pd bufera su Latorre che vuole Vendola "socio fondatore"
"Al voto con Udc e Fli" stop dei finiani a D´Alema
Bocchino apre invece al governo di transizione proposto dal presidente Copasir
di Antonio Fraschilla
ROMA - Governo di transizione, ma se si va al voto occorre varare una grande coalizione «con Fli, Udc e Pd e, perché no, anche Sel di Vendola». La proposta arriva da Massimo D´Alema in un´intervista al Messaggero e trova i finiani favorevoli a un esecutivo di transizione ma contrari a «sante alleanze elettorali». Tra i democratici, invece, il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, chiede a D´Alema «di non fare proposte da ridere».
Sul governo di transizione sono però tutti d´accordo. «Berlusconi dovrà convincersi della necessità di un governo di responsabilità nazionale», dice il capogruppo alla Camera di Fli, Italo Bocchino. Un altro colonnello finiano, Adolfo Urso, distingue invece tra le due proposte di D´Alema: «Sì a un governo di responsabilità nazionale, ma non c´interessa una santa alleanza in caso di elezioni». L´unico tra i finiani che apre ad andare al voto con i democratici è Carmelo Briguglio: «Ma patto che sia Gianfranco Fini il candidato premier», dice.
La proposta di D´Alema scuote anche i democratici: «Con uno schieramento che vede insieme Vendola, Casini e persino Fini, non si va da nessuna parte», dice Renzi. A tenere banco nel Pd è comunque anche la proposta del dalemiano Nicola Latorre, che vorrebbe far fondere i democratici con Sel: «Sarebbe uno snaturamento del partito», dice il democratico Marco Meloni. «Aprire a Sel? È una forzatura», aggiunge Enrico Letta. «È una ricetta ridicola» la stronca il deputato Giorgio Merlo.
l’Unità 29.11.10
Quasi il 53% approva la legge per l’espulsione automatica degli immigrati condannati
Negato il diritto all’esame individuale dei casi. Un anno fa passò il divieto a costruire minareti
Referendum anti-stranieri In Svizzera vince il sì
Gli svizzeri dicono sì (quasi il 53%) nel referendum sulla legge di iniziativa popolare che prevede l’immediata espulsione senza diritto di appello per gli stranieri che commettono reati.
di Gabriel Bertinetto
Una legge per cacciare gli stranieri che commettono i reati in Svizzera già c’era. Non contenti, gli xenofobi del Partito popolare ne hanno proposta un’altra ancora più dura, che nega alla persona espulsa il diritto a far valere le
proprie ragioni davanti ad un giudice. La maggioranza dei cittadini (52,9%), chiamata ad esprimersi con un referendum, ha approvato. Da ieri la Svizzera, dal punto di vista dei diritti umani e civili, è molto meno europea di quanto appaia sulle mappe.
SQUILIBRIO PERCENTUALE
La campagna del Partito popolare ha battuto sul tasto dello squilibrio fra due percentuali, entrambe riguardanti gli immigrati: rispetto al totale dei residenti in Svizzera e rispetto alla popolazione carceraria complessiva.
Statistiche alla mano, i suoi mili-
tanti hanno ripetuto sino alla noia che gli stranieri sono solo il 23% nel primo caso, ma arrivano al 70% nel secondo. Conclusione suggerita implicitamente o esplici-
Distribuzione del voto
Nei cantoni di lingua romanda hanno prevalso i contrari
tamente all’elettore: attento, è evidente la propensione dell’immigrato a delinquere. Quando certe considerazioni li esponevano all’inevitabile accusa di razzismo, i
promotori del referendum replicavano con gli argomenti di tal Patrick Freudiger, membro dell’ala giovanile del partito: «Ci sono due tipi di stranieri da noi. Quelli che vogliono lavorare e rispettare le nostre leggi sono benvenuti».
Fin troppo ovvio. Assai meno ovvio, negare a chiunque il diritto all’autodifesa, come prevede la legge che entrerà in vigore grazie alla vittoria dei sì.
Se sarà applicata alla lettera, l’allontanamento degli stranieri colpevoli di reati che vanno dall’assassinio allo stupro, dal narcotraffico alla truffa, sino al semplice ingresso clandestino nel Paese, scatterà automaticamente. Si vedranno costretti a varcare la frontiera anche individui nati e cresciuti in Svizzera, che spesso hanno reciso ogni legame con il Paese da cui vennero i loro genitori o nonni.
ASSURDITÀ GIURIDICHE
Un insieme di assurdita giuridiche che rischiano di mettere in grave imbarazzo le autorità federali. Palesi sono le violazioni della Convenzione europea sui diritti umani. Per questa ragione il governo aveva esortato i concittadini a votare no.
Ma gli appelli alla ragione ed alla civiltà non hanno fatto sufficientemente presa, così come già accadde un anno fa, quando la stessa formazione politica propose una legge per vietare la costruzione di minareti.
Anche allora, seppure con un tasso di affluenza alle urne inferiore al solito, gli svizzeri approvarono. La scarsa partecipazione del resto ridimensiona solo parzialmen-
te il significato del voto. Sull’altro piatto della bilancia infatti pesa il fatto che tante persone potenzialmente ostili a certi provvedimenti non sentano il bisogno di mobilitarsi per impedirne l’approvazione. D’ora in poi chiunque sia espulso dalla Svizzera non potrà ritornarvi per un periodo che varia dai cinque ai quindici anni a seconda del reato commesso. I tempi si allungano sino a venti anni per i recidivi.
MONOTEMATICI
Georg Lutz, politologo dell’Università di Losanna, afferma che «il Partito popolare negli ultimi 20 anni non ha fatto sostanzialmente che parlare di un solo argomento, schierandosi contro tutto ciò che è estero: qualche volta le Nazioni Unite, altre l’Unione europea, stavolta gli stranieri. È un pò difficile pensare che una legge così possa ridurre in qualche modo il livello della criminalità».
La distribuzione geografica del voto mostra una netta prevalenza dei sì nei cantoni di lingua tedesca, mentre il no prevale nella Svizzera romanda.
Repubblica 29.11.10
Militante Fli aggredita soccorsa dalla Cgil
ROMA - Insultata e spintonata in metropolitana a Roma da tre ragazzi perché sulla giacca aveva appuntata una spilletta di Futuro e Libertà, è stata soccorsa da alcuni manifestanti di ritorno dalla sciopero della Cgil. L´episodio, accaduto sabato a una militante di Fli, è stato denunciato ieri dal magazine on line di Farefuturo, la fondazione vicina al presidente della Camera: «Ma quali traditori, qui sta tornando il fanatismo», scrive Ffwebmagazine. «Ecco dove porta la propaganda, l´esasperazione dei toni. Ecco il partito dell´amore, della solidarietà, dell´accoglienza», conclude l´articolo.
Repubblica 29.11.10
La strategia “complotto e tradimento”
di Carlo Galli
Complotto e tradimento. Con questa ultima accoppiata - coronamento del pensiero politico megalomane e paranoide - l´identificazione dell´Io col Tutto, del privato col pubblico, con la conseguente negazione della consistenza oggettiva di ciò che nella realtà non si piega alla "grande visione" del Soggetto, trova il suo prevedibile compimento. Sarà anche propaganda - come sostiene Fini, che dall´infamia del tradimento dovrebbe rimanere macchiato per sempre. Ma lo stile di questa propaganda rivela tutto il personaggio-Berlusconi, e ne fa un "tipo" politico che raggiunge quasi una perfezione da manuale.
Per un´analisi politica radicata nella storia delle idee tutto ciò è una vera ghiottoneria, e anche un´autentica emergenza (come su queste colonne è già stato autorevolmente spiegato). Questa ultima teoria del complotto - come sempre derubricata, dopo il primo impatto comunicativo, che è appunto quello che conta, a un meno impresentabile ‘disegno´, a un accumularsi sospetto di coincidenze - è infatti una vecchia conoscenza della letteratura e della pratica politica.
Questo collaudatissimo stratagemma consiste nello spiegare col ricorso a un´unica causa semplice, soggettiva e malvagia (falsa, inventata), un insieme oggettivo di processi (reali, veri), dalle origini diverse e complesse. Che la rivoluzione francese sia parsa all´abate Barruel, e poi ai controrivoluzionari cattolici, un complotto massonico e protestante; che la rivoluzione russa sia stata interpretata come l´esito di una congiura ebraica già "smascherata" in un falso della polizia segreta zarista, i Protocolli dei Savi anziani di Sion; che fascismo e nazismo si siano trovati di fronte, a sentire le rispettive propagande, le potenze demo-plutocratiche e bolsceviche, sobillate dal giudaismo internazionale; che insomma vi sia sempre una Spektre a manovrare nell´ombra, dietro le quinte della storia; significa che la personalizzazione del Nemico come un soggetto (o un´ideologia, o una razza) ben individuato è una mossa logica e retorica a cui spesso si ricorre proprio perché, grazie alla sua forza semplificatoria, assicura in un primo tempo un grande vantaggio all´Io narrante, soprattutto se ha il monopolio dell´informazione e dell´interpretazione.
E´ chiaro che al nemico esterno deve corrispondere il nemico interno, la Quinta Colonna, il traditore; colui che sta fra noi, che si finge uno di noi, ma non lo è, e va quindi smascherato e liquidato senza pietà dagli organi di vigilanza.
Ma quella del complotto e del tradimento è una strategia che non è esente da gravi controindicazioni. La prima delle quali è che la suggestione delle masse spesso si accompagna all´autosuggestione; che l´ipnotizzatore ipnotizza anche se stesso e finisce in preda alla "pseudologia fantastica", all´allucinazione paranoica di credere alle proprie fandonie. Il che comporta esiti rovinosissimi per gli stessi ‘narratori´ - oltre che per chi ha loro prestato fede - i quali, chiusi nei loro bunker (reali o mentali) vedono i propri sogni di grandezza e di gloria frustrati da forze esterne che di fatto non sono più in grado neppure di comprendere e di analizzare correttamente.
Nel caso italiano l´Io smisurato che da privato si è fatto pubblico, che ha preteso di cancellare la complessa dimensione dialettica della realtà, e dell´azione politica che la modifica, che si è vantato di risolvere da solo tutti i problemi (ghe pensi mi), ora che la realtà, nella sua complessità ignorata prima ancora che mal governata, si vendica con un susseguirsi di crisi - dal crollo di Paestum al crollo della credibilità internazionale dell´Italia, da uno scandalo con minorenni allo scandalo di una condanna per mafia che coinvolge un suo collaboratore, dalla sollevazione degli studenti disperati a quella dei terremotati ingannati, dai rifiuti di Napoli alla necessità di acquistare i voti in Parlamento per riavere la maggioranza - ricorre all´ultima manipolazione. Cioè alla spiegazione dei nostri problemi - che per lui sono sempre solo i suoi: ‘vogliono farmi fuori´ è il suo timore, proclamato ai quattro venti - in chiave di complotto. Naturalmente internazionale, con tanto di Quinta Colonna al nostro interno (i traditori e sabotatori che godono dei guai della nazione).
Tutti i conti tornano: l´allucinazione non è totalitaria - ci mancherebbe! - ma il meccanismo è lo stesso: fare cose - negare la realtà - con le parole, o meglio con il loro uso a dir poco creativo. L´elemento pericoloso di tutto ciò sta da una parte nell´evidenza che con questi presupposti mai nessun problema verrà compreso e tantomeno risolto; e dall´altra nel fatto che moltissimi saranno disposti a credere a questa fantasia piuttosto che convincersi dell´inadeguatezza non solo di Berlusconi e del suo governo, ma anche della cultura politica (si fa per dire) che l´ha mandato già per tre volte a palazzo Chigi. Dato poi che il complotto è declinato in termini pseudo-patriottici, lo scivolamento nel populismo nazionalistico "sudamericano" è quasi garantito.
Contro questa eventualità si impone, eticamente e civilmente, prima ancora che politicamente, una battaglia di verità e di responsabilità, europea, moderna, realistica e illuministica. Una battaglia che sappia mostrare che non ci sono complotti né traditori, e che i nostri problemi non si spiegano col melodramma o con le favole, ma hanno cause oggettive, che stanno primariamente nelle colpe di chi non sa governare; e che sappia ricordare che, come diceva nel XVIII secolo il dottor Johnson, il patriottismo è, spesso, l´ultimo rifugio dei mascalzoni.
Repubblica 29.11.10
Farmaci, meno ricerca e niente concorrenza
di Mario Pirani
Qualche nostro lettore ricorderà la campagna condotta alcuni anni orsono, al fine di liberalizzare l´apertura delle farmacie a tutti i laureati nella disciplina abolendo il numero chiuso vigente. Trattandosi di un´aspirazione liberista, la lobby corporativa trasversale ebbe la meglio e ancora oggi vi sono 18.000 farmacisti titolari del proprio esercizio e 79.000 che, pur professionalmente abilitati, non hanno la possibilità di accedervi. L´inserzione di una minima pressione concorrenziale si è avuta con l´apertura di circa 3300 parafarmacie e punti vendita per prodotti da banco, sanitari senza obbligo di prescrizione e similari che hanno portato a 7000 posti di lavoro, una riduzione dei prezzi di vendita con un risparmio nel 2009 di 24 milioni a favore dei consumatori e nessun onere per lo Stato.
Il valore dell´esperienza induce a proseguire nella strada intrapresa. Se ne torna a parlare nell´ultimo rapporto di Antonio Catricalà rivolto alla Commissione Sanità del Senato, dove sono in discussione ben dieci disegni di legge sul riordino dell´esercizio farmaceutico. E´ sintomatico che questo "grand commis" non solo ribadisca gli argomenti a favore della liberalizzazione ma denunci come in molti disegni di legge presentati si tenda invece ad ampliare le esclusive, aumentando il potere di mercato delle farmacie, senza vantaggi per i consumatori. Per contro "consentire l´accesso alla titolarità di farmacia ai farmacisti abilitati, senza l´attuale limite numerico, aprirebbe spazi importanti per promuovere l´iniziativa economica".
Catricalà si sforza altresì di rispondere al principale degli argomenti del protezionismo corporativo secondo cui senza un numero chiuso e una rete obbligatoria di siti autorizzati, sussisterebbe il pericolo che le zone a scarso sviluppo economico o troppo isolate, finiscano senza copertura. La risposta è a un tempo storica ed economica: «All´origine il sistema era concepito - e si giustificava - per consentire, in un Paese essenzialmente agricolo e poco sviluppato, la presenza capillare sul territorio delle farmacie. La garanzia legale di una sicura fonte di reddito per il titolare era funzionale a che il servizio di distribuzione dei farmaci potesse essere effettivamente prestato. Oggi tutto ciò non appare giustificato con riferimento alla maggior parte del territorio «mentre nelle zone residuali il problema potrebbe essere risolto sussidiando le sedi periferiche con un fondo alimentato da risorse provenienti dalle imprese operanti in regime di concorrenza. Il rapporto di Catricalà affronta poi per la prima volta alcuni risvolti negativi che si stanno rivelando col ricorso troppo spinto a favore dei generici (i farmaci non più coperti da brevetto venduti a prezzo più basso di quelli «firmati» con un netto risparmio per il Ssn).
Se è vero che il sistema si sta estendendo nel mondo a causa dei deficit di bilancio del sistema sanitario, esso sta anche allontanando le grandi aziende dalla ricerca farmacologica soprattutto nelle patologie ad alta mortalità. In Italia già si assiste alla chiusura di centri di ricerca di grandi gruppi internazionali e alla contrazione delle ricerche nei gruppi minori. «Il tema della costituzione di un clima favorevole alla ricerca», sostiene Catricalà, impone, quindi, «una nuova regolazione dei margini di settore» (un prolungamento del periodo coperto da brevetto?) che permettano di remunerare gli ingenti costi della ricerca attuata dai produttori originari. Inoltre la cosiddetta «bioequivalenza» tra prodotti generici e originali, contenenti lo stesso principio attivo non significa affatto «equivalenza terapeutica». E´ infatti ammessa una soglia dall´80% in meno al 125% in più di «intervallo di equivalenza», il che può portare a seri inconvenienti terapeutici. Solo il medico dovrebbe, quindi, essere autorizzato alla prescrizione. Il protezionismo colpisce anche dove meno te lo aspetti.
Repubblica 29.11.10
Così i padri della Chiesa raccontano Dio
di Pietro Citati
Olivier Clément ha raccolto le voci più preziose della letteratura patristica Da Agostino ad Ambrogio, da Gregorio Magno a Origene e Tertulliano
L´edizione è patrocinata dalla Comunità di Bose e la prefazione è di Enzo Bianchi
I testi giungono dall´Occidente romano, dall´Africa dalla Siria e dalla Dalmazia
La loro scrittura si basa su sentenze e aforismi. Amano il bagliore e la violenza dello stile
In questi giorni la comunità di Bose pubblica la Nuova Filocalia: testi spirituali d´oriente e d´occidente a cura di Olivier Clément (edizioni Qiqajon, con prefazione di Enzo Bianchi, pagg. 514, euro 40). Filocalia significa amore del bello; e sotto questo termine Olivier Clément raccoglie le pagine più preziose dei Padri della Chiesa, occidentali ed orientali, fino al VI-VII secolo. Qui appaiono Agostino ed Ambrogio, Atanasio di Alessandria e Basilio di Cesarea, Benedetto, Cirillo di Gerusalemme, Clemente di Alessandria, Diadoco di Fotica, Dionigi l´Areopagita, Efrem il Siro, Erma, Evagrio Pontico, Giacomo di Sarug, Giovanni Cassiano, Giovanni Climaco, Giovanni Crisostomo, Girolamo, Gregorio di Nazianzo, Gregorio di Nissa, Gregorio Magno, Ilario di Poitiers, Ireneo di Lione, Isacco di Ninive, Massimo il Confessore, Origene, Pacomio, lo Pseudo-Macario, Sinerio di Cirene, Teodoro di Mopsuestia, Tertulliano.
Il metodo antologico della Filocalia offre un rischio: quello di avvicinare e di assimilare testi di tradizioni diverse o opposte; un allievo di Paolo e un teologo neoplatonico, Agostino e Dionigi l´Areopagita. Ma è solo un rischio? Chi conosca i Padri, si rende conto che queste voci, che giungono a noi dall´occidente romano, dall´Africa latina, dalla Cappadocia, dall´Egitto, dalla Siria, dal Ponto, dal Sinai, dalla Scizia, dalla Dalmazia, formano un immenso edificio musicale che obbedisce ad alcune armoniche fondamentali. Malgrado qualsiasi differenza, il Cristianesimo è uno. La scelta dei brani, l´incastro dei frammenti esalta il grandissimo dono letterario dei Padri. La loro scrittura si basa su sentenze e aforismi: sia i Vangeli che San Paolo si esprimono in forme rapidissime; e i loro eredi amano il bagliore, la violenza dello stile, la sintesi, lo scorcio, l´invenzione del paradosso.
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Leggendo il Pater Noster, apprendiamo che la nostra vita è fatta di assoluto presente: attimo effimero dopo attimo effimero, momento dopo momento, istante dopo istante, ora dopo ora, punto dopo punto, ognuno sufficiente a sé stesso e benedetto da Dio: «dacci oggi il nostro pane quotidiano». Qualche secolo dopo, in Agostino, questa idea è capovolta. L´effimero non è più una condizione beata ma negativa. I nostri anni, dice Agostino, si disfanno giorno dopo giorno. Quelli che erano non sono più, quelli che verranno non sono ancora. Gli uni sono passati, gli altri arrivano per passare a loro volta. L´oggi non esiste se non nell´istante in cui parliamo. Nessun uomo ha stabilità in sé stesso. Il corpo non possiede l´essere. Cambia con l´età, con il tempo e con i luoghi, con le malattie e gli incidenti. Neppure il cuore è stabile. Quanti pensieri, quanti slanci lo agitano: quanti piaceri lo traggono di qua e di là e lo lacerano. La mente vuole e non vuole, sa e ignora, ricorda e dimentica. Solo dopo la morte, dopo tante sofferenze e malattie, difficoltà e fatiche, torniamo umilmente all´Uno. Entriamo nella città i cui abitanti partecipano all´Essere.In primo luogo Dio ci appare sotto una grandiosa forma naturale. È la sorgente dell´acqua, che non può mai inaridire: noi la beviamo, e via via che la beviamo, la sete interiore non si placa ma diventa più ardente. Cristo è un ruscello che sgorga, un torrente che inonda l´universo, travolge ostacoli e dighe, invade tutta la superficie della terra. Il Dio-acqua, il Cristo-torrente è luce; e nel cuore di questa luce esiste una luce che nulla potrà mai oscurare. Noi la vediamo, la contempliamo: qualche volta essa ci oscura; ma mentre la fissiamo sempre più acutamente, il nostro occhio interiore si aguzza, finché la luce diventa un abisso di fuoco: una sorgente di fuoco, che cresce in eterno; e il nostro cuore si accende e sfavilla come un carbone.
Se nominiamo l´acqua, la luce e il fuoco, non possiamo nominare né esprimere il nome di Dio: ci avviciniamo al suo nome solo quando, vagamente e oscuramente, affermiamo che egli è "l´aldilà di tutto" oppure, come corregge Dionigi, è «tutto ciò che è e niente di ciò che è». Desideriamo infinitamente conoscerlo. Ma, se non lo nominiamo, non possiamo conoscerlo: egli resta al di là di ogni comprensione; e appena pensiamo di vedere Dio e di capire ciò che vediamo, non vediamo Dio, ma soltanto una delle cose conoscibili che egli ha creato. Dio non è anima né intelligenza: non ha numero, né ordine, né grandezza, né piccolezza, né uguaglianza, né diseguaglianza, né somiglianza, né dissomiglianza: non resta immobile e non si muove: non è potenza né luce: non è vita: non è sostanza, né eternità né tempo: non è scienza né verità, né legalità, né sapienza; né unità, né divinità, né bene; non appartiene al non-essere e nemmeno all´essere. Così egli sfugge ad ogni denominazione e ragionamento.
Forse dovremo accontentarci di questo rincorrersi vertiginoso di negazioni, e toccare ciò che Dionigi l´Areopagita chiamava la "perfetta inconoscenza", sorpassando ogni intelligenza, distaccandoci da tutti gli esseri, abbandonando noi stessi e unendoci ai raggi più luminosi della luce. Ma nemmeno l´inconoscenza ci basta. La Trinità sovrastanziale, di cui parla Dionigi, ci guida non solo al di là di ogni luce ma anche al di là dell´inconoscenza, fino alle cime più alte delle Scritture mistiche, là dove i misteri semplici, assoluti e incorruttibili si rivelano nell´oscurità luminosa del silenzio.
Come il Dio della Bibbia, quello di Plotino e dell´Islam, il Dio dei Padri è l´Uno. «Vedo una sola grande fiamma – dice Gregorio di Nazianzo - senza poter dividere o analizzare l´unica luce». Quest´Uno non sta fermo: la sua pienezza gli impone di mettersi in movimento; questo movimento non può arrestarsi nel Due, perché la divinità sta al di là di ogni opposizione; la perfezione di Dio si compie nel Tre. «Non ho ancora pensato a pensare all´Unità, che la Trinità mi immerge nel suo splendore. Non ho ancora cominciato a pensare alla Trinità, che già l´Unità mi riafferra». Le persone divine non si sommano: esistono l´una nell´altra: il Padre è nel Figlio e il Figlio nel Padre, lo Spirito si unisce al Padre insieme con il Figlio assicurando la circolazione dell´amore. L´Uno si specchia tre volte in sé stesso, diventando Padre, Figlio, Spirito; e le tre persone non sono confuse né separate tra loro. In nessun´altra religione (se non, in parte, nel Tao) l´Uno si esprime così nella molteplicità e nel movimento; e il movimento è la forma prediletta dell´Uno.
Infine, Dio si manifesta. L´immateriale si incarna, l´invisibile diventa visibile, l´intangibile si può toccare, l´intemporale ha un inizio, colui che è entra nel divenire, l´increato è messo al mondo, la ricchezza divina assume il volto della povertà umana, il Figlio di Dio diventa figlio dell´uomo. Cristo si umilia, si annichilisce, abita in noi: se non si umiliasse, la realtà si dissolverebbe al suo contatto. Soffre per le nostre sofferenze prima di salire sulla croce. Se si manifesta, dovrebbe essere visibile. Eppure il suo mistero continua ad essere nascosto, anche quando nasce nella grotta, vive la sua esistenza di bambino, predica, entra in Gerusalemme, viene appeso alla croce. «In qualunque modo lo si comprenda rimane inconoscibile», dice Dionigi. «Dio non si fa comprendere se non apparendo ancora più incomprensibile», ripete Massimo il Confessore, perché «Cristo è il mistero che avvolge tutte le cose».
In realtà Gesù, il mistero nascosto, si era già manifestato. La Scrittura era una forma di incarnazione: la lettura della Bibbia una specie di eucarestia. Mentre leggiamo i Vangeli, ci cibiamo di Dio e beviamo il sangue di Cristo. Così ci introduciamo nel midollo e nell´intimo delle parole celesti. Poi giunge l´eucarestia. Dio è il pane della vita, e chi mangia la vita non può morire. Dio è la sorgente della vita, e se beviamo dalla sorgente non avremo più sete o una sete eterna. In quel momento il nostro corpo diventa quello di Cristo e viene trasformato nel corpo divino. Se finora eravamo soltanto l´immagine di Dio, ora ne diventiamo la somiglianza, secondo le parole pronunciate nella Genesi. Come in un primo momento i pittori tracciano lo schizzo di una figura umana con un solo colore e poi, facendo fiorire a poco a poco un colore sull´altro, ripetono l´aspetto del modello sino alle sfumature dei capelli, così la grazia di Dio segna in ognuno di noi l´impronta della somiglianza. Il Cristo è tutto in tutti, come un centro nel quale tutte le linee convergono.
Allora veniamo divinizzati: abbiamo in noi soltanto energia divina; mentre scompare ogni differenza tra Dio e i fedeli. Come dice Gregorio Magno, «l´uomo è un animale che ha ricevuto la vocazione di diventare Dio». Mentre mangiamo il corpo di Dio e beviamo il sangue dello spirito, anticipiamo il ritorno di Cristo alla fine dei tempi. L´evento dell´eucarestia avviene ogni giorno e in ogni giorno è presente l´ultimo giorno.
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Giovanni Climaco pronuncia parole che hanno sconvolto qualcuno. «Beato colui il cui desiderio di Dio è divenuto simile alla passione dell´amante per la persona amata». L´uomo allontana i suoi pensieri, pota la loro esuberanza, non cede ai loro voleri, fugge ogni agitazione, abolisce ogni dispersione, chiude le porte della stanza della sua mente. Si rifugia nel deserto dove conosce una quiete profondissima. Soltanto allora, chiuso dietro la sua porta, l´uomo può pregare. Egli è solo con Dio. La preghiera è un rapporto personale col Dio vivente, una conversazione con lui, senza intermediari. Chi prega, non cerca di attirare Dio verso di lui, giacché, come dice Agostino, egli è più intimo a noi di noi stessi. Dobbiamo invece avvicinarci a lui, sebbene Dio doni la preghiera a chi prega pregando sé stesso nelle profondità del nostro cuore.La preghiera sale verso Dio dalle profondità del cuore: soltanto le preghiere radicate negli abissi dell´io ascendono al cielo. Ma lassù il cuore non trova il Dio inaccessibile; e si dispera apprendendo di essere innamorato di chi non ha nome. Malgrado la disperazione il cuore continua a progredire nella ricerca, senza smettere mai di salire, fino a quando viene colto dalla punta dell´amorosa freccia divina. Verso mezzanotte, il fedele si alza, si lava le mani con l´acqua e prega. In quel momento tutta la creazione si riposa un istante per lodare il Signore: le stelle, gli alberi e le acque si fermano; e insieme al coro degli angeli e delle anime cantano le lodi di Dio.
Quando preghiamo, a volte un versetto si ferma sulla nostra lingua, un salmo ci appare dolcissimo, lo ripetiamo, e questa ripetizione ci impedisce di passare a un altro versetto, tanto quelle prime righe sono inesauribili. La nostra anima si immobilizza nel silenzio ed entriamo nella pace. Se ci accorgiamo che le lacrime riempiono i nostri occhi e corrono senza sforzo lungo le guance, dobbiamo comprendere che il muro celeste si è aperto davanti a noi. E se sentiamo che le nostre membra sono prese da una grande debolezza, allora la nube di Dio ha cominciato a coprire con la sua ombra la nostra dimora.
Nel corso di quest´estasi esiste un punto ancora più alto: un luogo nel quale la preghiera ci abbandona e scompare. Entriamo nel Tesoro. Tace ogni bocca e ogni lingua, tace il cuore che raccoglie i pensieri, e la mente che governa i sensi e il lavoro scrupoloso della meditazione. Tutto si arresta. In noi, è entrato il Padrone di Casa. Tutti i moti del nostro cuore diventano un´unica ininterrotta preghiera, che non si allontana mai dalla nostra anima. Sia che mangiamo, beviamo, dormiamo, e persino se abitiamo il sonno più profondo, il profumo della preghiera si effonde senza fatica in noi. Non ci abbandona più. Come dice Origene: «Tutta l´esistenza cristiana può essere considerata un´unica grande preghiera, della quale ciò che siamo abituati a chiamare preghiera è solo una piccola parte».
Torniamo a guardare la natura creata, sia buona sia malvagia. Il nostro spirito arde per tutta la realtà, per gli uomini, per gli uccelli, per gli animali, per i dèmoni. Quando pensiamo a loro e li vediamo, gli occhi versano lacrime. La nostra compassione è così forte che il cuore si spezza quando vede il male e il dolore che torturano le creature. Eleviamo la preghiera versando lacrime per tutti i nemici della verità e per tutti quelli che ci fanno del male, affinché siano protetti e perdonati. Quando doniamo, doniamo generosamente con il viso rischiarato dalla gioia. Diamo più di quanto ci è chiesto. Non facciamo differenze tra il ricco e il povero. Non cerchiamo di sapere chi è degno e chi è indegno. Davanti a noi tutti gli uomini sono eguali. Ognuno è nostro fratello, sebbene, senza saperlo, qualcuno si sia smarrito lontano dalla strada della verità.
La natura del cristiano non è né la virtù, né la misura, né l´ascesi, né la pazienza, né la discrezione, sebbene possa assumere questi aspetti. Un giorno, Abba Lot venne a trovare Abba Giuseppe e gli disse: «Padre, secondo le mie possibilità io osservo la mia piccola regola, il mio modesto digiuno, il mio silenzio contemplativo. Faccio le mie preghiere e la mia meditazione, mi sforzo come posso di cacciare dal mio cuore i pensieri inutili. Cosa posso fare di più?» Abba Giuseppe si alzò per rispondere e levò le mani al cielo. Le sue dita sembravano dieci ceri accesi, e disse: «Perché non diventi tutto fuoco?».