domenica 3 ottobre 2010

l’Unità oggi è in sciopero

il Fatto 3.10.10
Scene del Fascismo che torna
di Furio Colombo


Le parole di Ciarrapico, il pestaggio ai danni di Blanchaert, le freddure del premier sugli ebrei, il determinismo razziale del sindaco di Tradate: fotografie del Ventennio a colori

Sembrava toccato un fondo umiliante con la scuola di Adro, edificio dello Stato vandalizzato dalla Lega. E con il voto di fiducia ottenuto da Berlusconi per forzare a un atto di sottomissione chi ha già detto ad alta voce e in pubblico ciò che pensa di lui.
Ma nelle stesse ore due fatti ci hanno ricordato che, se il presente è squallido, il peggior passato italiano si sta facendo largo tra le rovine di Berlusconi e non ha più vergogna di ciò che è stato.
Fenomenologia dei tempi correnti
ECCO il primo fatto. È mercoledì 29 settembre, siamo a Milano, siamo in via Bagutta, siamo di fronte a una manifestazione di studenti, quasi tutti di scuola media e alcuni universitari che per comodità e per giustificare alcuni eventi, verranno descritti come “centri sociali”. La manifestazione è piccola ma la ragione che porta i ragazzi in strada, di fronte alla sede dell’Unione Ufficiali in congedo, è grande. Il ministro della Difesa La Russa, il sindaco di Milano Moratti e il ministro dell’Istruzione Gelmini hanno deciso che d’ora in poi mille ragazzi delle scuole milanesi parteciperanno ogni anno a un corso che si chiama “allenati per la vita”. Vuol dire armi, esercitazioni, sfide fra pattuglie, esercizio alla “frequentazione di luoghi ostili”. Vuol dire cultura di guerra a scuola. L’affermazione non è eccessiva perché un simile training non è affatto un modo di accostarsi alla vita dei soldati veri. Facile provarlo.
È evidente l’equivoco: gli metti l’arma in mano, lo fai agire come una persona armata, creando una presunzione di razza a parte, di razza superiore. Ed è evidente il pericolo: Impari i gesti ma non il senso, come insegnare a qualcuno ad usare il bisturi, col pretesto che non si sa mai, ma senza la scuola di Medicina.
Ho detto che un simile folle progetto non si ritrova mai nelle scuole del mondo democratico. Ma occorre aggiungere che era tipico del fascismo, che esercitava i ragazzi anche con armi finte (che diventavano vere dopo i 15 anni) su scala di massa. Dunque, senza alcun dubbio, l’iniziativa è fascista, nel senso classico e antico della parola. È il fascismo di Mussolini che voleva indurire gli italiani “molli e pacifisti”.
Tutto ciò per spiegare l’evento di Milano. Questo giornale ne ha parlato accuratamente il primo ottobre. A me preme far notare qualcosa di strano e di pericoloso nella sequenza dei fatti.
Primo, non era una grande manifestazione, i partecipanti erano pochi (pensando all’irresponsabilità di adulti come La Russa, Moratti, Gelmini, titolari del potere, viene voglia di dire “peccato”). Saranno stati rumorosi ma certo non pericolosi. Non risulta che vi siano stati contatti fisici di alcun genere.
Il modello ‘Genova’ per le vie di Milano
SECONDO, i ragazzi hanno avuto l’impressione che vi fosse, oltre alle normali forze dell’ordine (carabinieri) un gruppo di militari diverso e speciale. Non diversa la divisa, ma il comportamento. O (direbbero gli specialisti) la missione.
Qui occorre sentire la voce di Leon Blanchaert, anni 23, corso di laurea in Scienze politiche, Uni-
versità Statale, uno dei pochi adulti nella dimostrazione contro la cultura della guerra degli studenti di scuola media il 29 settembre a Milano.
“Tutto era finito in modo pacifico ma all’improvviso due di noi, io e una ragazza, evidentemente identificati come i capi della dimostrazione, siamo stati bloccati da un gruppo di militari che ci seguiva. Alla ragazza hanno storto il braccio come per romperlo. Io sono stato tenuto fermo mentre uno di loro mi picchiava sulla faccia fino a staccarmi il setto nasale. Sono in ospedale e nei prossimi giorni sarò operato. L’evento è stato terrorizzante per i ragazzi e le ragazze più piccoli (alcuni di 13 e 14 anni). Anche a nome loro chiediamo un intervento parlamentare. Vogliamo sapere chi ha ordinato una simile azione, lungo quale catena di comando, visto che il ministro della Difesa è il promotore dell’iniziativa che noi chiamiamo “la guerra a scuola” e, allo stesso tempo, il comandante in capo di coloro che ci hanno aggredito come per darci una lezione esemplare, benché nessuna misura di ordine pubblico giustificasse una simile spedizione punitiva”.
La mattina del primo ottobre mi sono assunto il compito di intervenire in aula. Era in corso la discussione generale sull’aumento ed estensione dei pedaggi sulle autostrade. Ma proprio in quel momento in Senato era accaduto qualcosa di insolito e grave. L’evento ha indotto la presidente di turno Rosy Bindi a permettere al deputato Fiano (poi a Nirenstein e poi a me) di intervenire. Ecco che cosa era accaduto. Il Senatore Giuseppe Ciarrapico, che si è sempre vantato di essere stato e di essere tuttora fascista, ha detto: “ Vedremo quanti voti prenderà il transfuga Fini. Ma mi domando: i finiani hanno già ordinato la kippah? Perché di questo si tratta. Chi ha tradito una volta tradisce sempre”.
La kippah è il tradizionale copricapo degli ebrei, avvertono le agenzie che hanno diffuso la notizia.
Intervenendo con forza e passione sul senso che hanno quelle parole nell’Italia che stiamo vivendo, Fiano ha aperto la strada che mi ha consentito di raccontare subito all’Assemblea il pestaggio organizzato a Milano contro ragazzi estranei ad ogni azione o organizzazione pericolosa, colpevoli di essersi opposti alla “scuola di guerra”, da parte di un gruppo che forse è un’unità speciale con una missione speciale, qualcosa di separato dalle normali forze dell’ordine. Insomma, assieme alle parole di Ciarrapico si intravede l’altra faccia del fascismo, che si sente libero e anzi voglioso di esserci e di farsi notare, si sente autorizzato di venire sfacciatamente allo scoperto.
Niente scorre, tutto torna
CON IL comportamento del sindaco leghista di Tradate che vieta il pagamento del premio di natalità se i genitori del nuovo nato non sono tutti e due italiani. E spiega senza ritegno che la sua iniziativa ha lo scopo di proteggere “ la nostra cultura”, torna, nella sua tipica forma odiosa, la difesa della razza. Quando il docente del conservatorio di Milano Johanne Maria Pini non esita a raccomandare l’eliminazione dei disabili, il nazismo torna ad insediarsi in Italia senza esitazione e senza pudore. Ecco la nuova Italia di cui ci ha parlato a lungo Berlusconi, prima di addormentarsi in Senato, placato e confortato da se stesso dopo aver annunciato che tutto va bene, dopo essere stato il protagonista di un “fuori onda” in cui ripete di voler dare la caccia ai giudici e racconta le sue umilianti barzellette sugli ebrei.



Repubblica 3.10.10
Il popolo under 20 "Ridateci il futuro"
Il popolo Viola ha meno di vent´anni e sa che il futuro gli è stato rubato. Nel giorno del NoB-Day 2 il corteo è pieno di giovanissimi.
L’onda viola ha meno di vent´anni "Siamo i partigiani del terzo millennio"
"Che ci frega di Montecarlo, a noi interessa chi la casa non ce l´ha"
di Maria Novella De Luca


Gli applausi per Rodotà e il "libretto rosso" di Borsellino sventolato da centi-naia di persone
Tanti gli studenti medi che sfilano, mescolando slogan contro Berlusconi, techno, pop e rock

Quelli che ti aspetti ad un corteo di studenti medi, quelli che hanno fatto forte l´Onda, e invece eccoli che arrivano ballando in piazza San Giovanni, mescolando slogan, techno, pop e rock, tutti dietro due ragazzi di Reggio Emilia che in mancanza di camion e sound system si sono messi le casse sulle spalle, e avanzano eroici e sudati tra gli applausi del corteo. Alla fine piazza San Giovanni è piena a tre quarti, con le bandiere dell´Idv che quasi sovrastano le sciarpe e gli striscioni viola.
Di Pietro in testa alla manifestazione con accanto la moglie e la figlia incamera applausi, si concede, stringe mani su mani e attacca Berlusconi "corruttore e violentatore della democrazia". Anche per Vendola, che appare per un breve saluto, è grande festa, ma l´anima della manifestazione è altrove, è tra i centomila che seduti sul prato davanti al maxi-palco applaudono Stefano Rodotà e Paul Ginsborg, Salvatore Borsellino e Ilaria Cucchi, i partigiani dell´Anpi, i cassintegrati e i parenti dei morti sul lavoro. E ricordano insieme ai martiri di mafia anche Federico Aldrovandi, Stefano Cucchi, Gabriele Sandri, tutti giovani e tutti scomparsi in modo violento mentre erano "sotto la tutela dello Stato". "Mio fratello è morto un anno fa - ricorda con la voce incrinata Ilaria Cucchi - ma la verità è sempre più lontana". Oltre le bandiere l´eterogenea folla del No B-Day 2 resta più "liquida" di quanto si pensi, il nemico è lui, Berlusconi, che i Viola vogliono licenziare, dimettere, cacciare, e allora, dicono gli striscioni "svegliati Italia", perché "l´Italia è nostra e non di Cosa Nostra", e dunque, scandisce il movimento delle "Agende rosse", "fuori la mafia dallo Stato", e "Berlusconi a San Vittore". Colpisce sentire docenti universitari, giuristi, giornalisti che parlano di legalità, legge elettorale, senso dello Stato, concetti né semplici né semplificati, applauditi con calore da una folla trasversale alle generazioni. Che punta il dito contro l´assenza il Pd, come ricordano decine di cartelli satirici con Bersani addormentato e la scritta "Non facciamo rumore altrimenti il Pd si sveglia". E in serata Ignazio Marino dice con amarezza: "E´ un errore che il Pd non sia qui".
Dopo qualche goccia di pioggia la serata diventa bella, il cielo senza nubi. Guglielmo e i suoi amici frequentano il terzo anno del liceo "Mamiani" a Roma: "Siamo qui contro Berlusconi che ci toglie il diritto allo studio, che ci toglie il futuro, siamo qui perché il popolo Viola comunica su Internet e la rete è l´unica voce libera rimasta". Parola di adolescenti che tra pochi giorni torneranno a sfilare in una grande manifestazione contro la riforma Gelmini. E infatti tanti e numerosi sono i precari della scuola, molti hanno i capelli bianchi, mentre il Coordinamento Viola di Milano porta uno striscione con una frase di Montanelli: "Il berlusconismo è veramente la feccia che risale dal pozzo".
I gruppi emergenti portano sul palco rock e canzoni di lotta, tammorre e rap napoletani. Ci sono i Rein, c´è Zona Rossa Crew, Le Formiche, Effetti Collaterali, la piazza assomiglia a quella del concerto del Primo maggio, ma esplode in un applauso quando il rappresentante dei partigiani dell´Anpi grida: "Politici, basta, ma che ci frega a noi della casa di Montercarlo, a noi interessa chi la casa non ce l´ha, chi non ha un tetto sulla testa...". Vanno a ruba le magliette con la scritta: "Partigiani del terzo millennio". In uno spicchio dell´immenso sagrato ci sono i comitati dei senzacasa, i coordinamenti dei senza tetto, arrivano da Roma, da Napoli, "da vent´anni siamo in lista - dice Salvatore Augelli, 50 anni, disoccupato - ma l´assessore ha venduto gli elenchi alla Camorra, chi ha pagato il pizzo è entrato, gli altri via, in fondo alla graduatoria, e non importa se avevamo il punteggio per arrivare primi".
E´ la disperazione del paese reale, che chiede soprattutto legalità. "La società italiana si sta decomponendo - dice Stefano Rodotà dal palco - c´è stata una pianificazione legislativa del degrado, una regressione culturale, c´è un attacco alla scuola, al futuro dei ragazzi, restiamo uniti, non dividiamoci, questo è il momento del tutti con tutti". "Grazie professore", gridano dal prato. Le divisioni tra l´ala dura dei Viola che contesta l´irruzione dei simboli politici, e chi invece allarga le maglie, sembra distante da qui, roba sterile. E tocca poi a Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, assassinato dalla mafia, accendere il pathos del popolo delle "Agende Rosse". Centinaia di giovani che sventolano un libretto rosso a ricordo della famoso diario da cui il giudice Borsellino non si separava mai, agenda scomparsa (o fatta scomparire) dopo l´attentato. "Siamo nel fondo del baratro, la corruzione è la regola, Berlusconi che offende la Costituzione non può citare il nome di Calamandrei, stanno vincendo la mafia, la n´drangheta, il Premier si è alleato con Gheddafi per lasciar morire centinaia di disperati nel canale di Sicilia...". Un´invettiva durissima, che finisce con il grido, "Resistenza", moltiplicato per centomila voci. Molti hanno gli occhi lucidi. Per fortuna la musica ricomincia, ed è festa fino a notte.

il Riformista 3.10.10
No B-Day 2 Vendola fa show Il corteo fa flop
Opposizione. Pesano le divisioni nel popolo viola: insuccesso di partecipazione alla manifestazione anti-Silvio. Nichi si prende la scena. E tesse la tela dei rapporti con la Cgil in vista delle primarie.
di Ettore Colmbo

qui
http://www.scribd.com/doc/38620536

Corriere della Sera 3.10.10
Urne anticipate, un elettore su tre verso l’astensione
di Renato Mannheimer


Il 56% ha un’opinione negativa della politica, il 28 prova addirittura «disgusto»

Come ogni settimana, abbiamo effettuato nei giorni scorsi un sondaggio sulle intenzioni di voto degli italiani. La distribuzione delle preferenze non differisce molto dalle ricerche precedenti, salvo la conferma della tendenza ad abbandonare il consenso per i due partiti maggiori (sia il Pdl, sia il Pd) per dirigerlo verso le forze più piccole. Ma l’esito più significativo non riguarda tanto il voto, quanto il non voto. Rispetto al passato, infatti, si sono di molto accresciute le risposte «non so cosa votare», «non so se andare a votare» e similari. L’insieme di queste espressioni di indecisione, se non di rifiuto dell’intera offerta elettorale attuale, si avvicina oggi al 33% (era il 25% prima dell’estate). Insomma, più di un italiano su tre non vuole o non riesce a prendere posizione sul partito da votare.
È un altro indicatore del processo di sfiducia verso la politica e le sue istituzioni che, di nuovo, si sta manifestando nel nostro Paese. Gli avvenimenti che hanno connotato lo scenario politico di questi ultimi mesi hanno rafforzato questo andamento. I litigi interni, sia nel centrodestra, sia nel centrosinistra, l’attenzione talvolta esagerata a tematiche che poco riguardano gli interessi reali dei cittadini (ad esempio, la vicenda della casa di Montecarlo) hanno favorito l’allargarsi degli atteggiamenti di disaffezione.
Se ne ha conferma anche dai dati di molte altre ricerche di questo periodo. Ad esempio, dai risultati dell’osservatorio trimestrale che Ispo conduce per Confesercenti, si rileva come la percentuale di chi ritiene che le principali istituzioni (il governo, l’opposizione, ma anche i sindacati) «abbiano promosso misure concrete per aiutare le famiglie italiane in questi mesi di crisi economica» sia assai poco elevata e, per di più, in forte diminuzione. Oggi, solo il 23% (era il 31 l’anno scorso) pensa che l’esecutivo abbia agito in tal senso. E solo l’11% (era il 21 sei mesi fa) attribuisce questi comportamenti all’opposizione.
Tutto ciò si traduce in un ancor più accentuato distacco dalla politica nel suo insieme e dalle sue vicende quotidiane. Interrogata sulla «prima espressione che viene in mente pensando alla politica», la maggioranza relativa degli italiani (27,8%) dice, senza esitazione, «disgusto». Una quota sostanzial menteanaloga (27,6%) dichiara «noia» o «indifferenza». Tra gli altri, prevalgono le risposte «rabbia» (20,7%) o «diffidenza» (8,1%). Solo il 6,3% esprime «interesse» e una percentuale ancora inferiore (2,4%) manifesta «passione». Nel loro insieme, gli atteggiamenti positivi verso la politica coinvolgono il 16% del campione, quelli negativi il 56%, quelli di indifferenza il 28%.
Ma il risultato più interessante si rileva dal confronto col passato. Rispetto al 2007, quando fu posta agli italiani la stessa domanda, infatti, calano significativamente le risposte che mostrano un qualche coinvolgimento, positivo o negativo, e si accrescono notevolmente le manifestazioni di noia e di indifferenza. Insomma, si accentua, in misura ancora maggiore del passato, il distacco dalla politica, specie nell’elettorato di centrosinistra. «Affari loro», sembrano dire gli italiani, di fronte al penoso scenario offerto dai partiti in questi mesi.
In questa situazione, se permane l’attuale offerta da parte delle forze politiche, è ragionevole pensare, in caso di nuove elezioni, ad un ulteriore aumento delle astensioni, accompagnato forse da un incremento dei voti per le forze che più si lanciano sui temi dell’antipolitica (dalla Lega a Grillo, a Di Pietro). Tutti indicatori della crescente distanza del dibattito politico attuale dalla vita e dai problemi più sentiti del Paese.




il Fatto 3.10.10
Germania Anno Venti, quel divario così difficile da cancellare
A due decenni dalla riunificazione torna la “nostalgia dell’Est”
di Paolo Carlo Soldini


Nell’ex Ddr stipendi più bassi, molta disoccupazione e 4 milioni di “transfughi” verso l’Ovest
C’era un vecchio signore, vent’anni fa, che seguiva come un’ombra Helmut Kohl ogni volta che il Cancelliere si presentava in pubblico in una città dell’Est. Il vecchio signore indossava una specie di pettorale, in cui polemizzava con uno slogan che il cancelliere dell’unità tedesca amava molto ripetere. I nuovi Länder – diceva Kohl – saranno in breve tempo “blühende Landschaften”: panorami fiorenti, ricchi e belli come quelli dell’Ovest. Il vecchio signore probabilmente non c’è più, ma l’ex Cancelliere, diventato vecchio com’era all’epoca il suo contestatore, deve aver pensato proprio a quell’antica sfida quando nell’aprile scorso, compiendo 80 anni, ha voluto dire ai tedeschi che dopo tutto aveva avuto ragione lui: quello che fu il triste “primo Stato degli operai e dei contadini sul suolo tedesco”, la Germania in bianco e nero delle Trabant e delle fabbriche puzzolenti, del Muro e della Stasi, è diventata un pezzo della Germania a colori, quella che macina successi economici, condiziona più d’ogni altro paese l’Unione europea e rivendica un posto e un voto permanente nel Consiglio di sicurezza dell’Onu.
MA SON FIORITI davvero, i Länder dell’ex Rdt? Bella domanda: ognuno, in Germania, ha la sua personale risposta. Che dipende dalla condizione sociale, dall’età, dalle esperienze di vita e, soprattutto, dalla provenienza regionale: gli Ossis, quelli dell’Est, tendono in generale ad essere molto più pessimisti dei Wessis, quelli dell’Ovest. Insomma, vent’anni dopo il Grande Abbraccio tra i fratelli separati, è ancora in piedi quel “Muro nelle teste” che – si disse subito – aveva preso il posto del Muro di cemento appena abbattuto. I dati delle analisi economiche e dei sondaggi nel ventennale della proclamazione dell’unità tedesca (avvenuta il 3 ottobre 1990), non aiutano molto. Certo, le regioni orientali hanno conosciuto un certo sviluppo, ma il gap resta. Il contributo medio dell’est al Pil della Repubblica federale è cresciuto molto dal 43% del ’91, ma è ancora sotto i tre quarti di quello dell’Ovest. Nei Länder orientali sono fluiti più di 30 miliardi di euro di investimenti e più di 25 di aiuti diretti, ma accanto a isole di benessere ai livelli dell’ovest c’è anche una penosa arretratezza con redditi del 20% più bassi, più disoccupati – soprattutto tra i giovani – mancanza di infrastrutture moderne. Le retribuzioni medie dei lavoratori all’Est sono ancora all’83% di quelle all’Ovest. Così continua l’esodo verso l’eldorado occidentale: al momento dell’unificazione i tedeschi Germania orientale erano 17 milioni, oggi sono 13 milioni; nel 2020 potrebbero scendere a 11 milioni.
CERTO, IL DIVARIO è spiegabile alla luce delle condizioni di partenza. Ma ciò non toglie che sia pesante per chi lo vive sulla propria pelle e non ha più vivida nella memoria la dura realtà di vent’anni fa. O la memoria non l’ha affatto perché, magari, è nato o cresciuto dopo il 3 ottobre del 1990. Ecco allora che nelle difficoltà dell’oggi molti tendono a mitizzare un passato dei cui aspetti bui si stempera il ricordo. Dice l’ufficialissimo “Sozialreport” del 2010 che il 49% dei tedeschi orientali ritengono che la Rdt abbia avuto “più aspetti positivi che negativi”. Via la memoria del Muro, delle proibizioni ad espatriare, della repressione della libertà di opinione, della Stasi, l’apparato spionistico che controllava tutto e tutti, delle vessazioni imposte da un regime autoritario fino al grottesco. Ciò che viene conservata è l’immaginedi un paese in cui era più “facile” vivere, in cui non c’erano disoccupazione e durezze sociali, in cui la cultura (se non era dissidente) veniva rispettata, in cui i rapporti umani erano meno alienati. Da un altro sondaggio si ricava addirittura che un 10% degli Ossis, se potesse, ricostruirebbe il Muro. Per nascondercisi dietro, evidentemente, con le proprie debolezze e le proprie insicurezze.
Non è un fenomeno nuovo. La Ostalgie (la nostalgia dell’Est) è una componente ormai consolidata nella cultura della Repubblica federale e non è solo passatismo, ma anche ricerca, sincera, di stili di vita meno alienati di quelli imposti dal capitalismo rampante. Il successo della Linke – il partito della sinistra radicale
nato dal matrimonio tra gli ex comunisti dell’Est e i socialdemocratici dissidenti dell’Ovest – è largamente (anche se non del tutto) spiegabile in questa chiave. A vent’anni dalla sua formalizzazione istituzionale, mentre alla guida del governo c’è una cancelliera nata e cresciuta all’Est, l’unificazione tedesca è ancora incompleta. Una incompletezza dovuta certo ai tempi lunghi con cui la storia macina la realtà, ma anche alle debolezze della classe dirigente tedesca ed europea.
In ogni caso, ieri sono iniziati i festeggiamenti ufficiali per il ventennale della riunificazione, quest’anno ospitati a Brema, dove oggi interverranno il presidente federale Christian Wulff e il Cancelliere Angela Merkel.

Corriere della Sera 3.10.10
Ricerca, farmaci, medici
Ricette e business
di Giuseppe Remuzzi


Di questi tempi la gente si chiede se quelli che scelgono di fare il medico lo facciano davvero per essere di aiuto agli ammalati. Per la maggior parte dei nostri medici è certamente così tanto che il nostro servizio sanitario è uno dei primi al mondo per qualità delle cure e risultati. Ma c’è anche la medicina degli affari: quella di appalti e nomine per esempio, ma anche quella dei medici che prescrivono un farmaco in cambio di regali o di soldi e quella di chi produce i farmaci e vuole soprattutto venderli. L’industria del farmaco ha grandi meriti — i vaccini, i farmaci per il cuore e per certi tumori e per il diabete e tanti altri hanno salvato milioni di vite —, ma deve fare profitto, non può essere altrimenti.
Ogni giorno in Italia 25.000 «informatori» incontrano ciascuno diversi medici e devono fare di tutto per convincerli della bontà dei propri farmaci (e qualcuno è pagato tanto di più quanto più i medici che incontra prescrivono). Ça va sans dire che più il farmaco è nuovo e più costa, più i collaboratori dell’industria hanno margini per essere convincenti. C’è niente che si possa fare dato che gli interessi in gioco sono davvero rilevanti? Come minimo intensificare i controlli e assicurarsi che non ci siano deviazioni in numero e tipologia di prescrizioni rispetto a quelle che ci si può aspettare in una certa zona in base agli ammalati che si curano. Ma i controlli non bastano, meglio darsi delle regole e sarebbe bello che lo facessero i medici come hanno fatto negli Stati Uniti. Basta attenersi all’evidenza scientifica, si dà un farmaco solo se è efficace e fra due farmaci uguali si sceglie quello che costa meno (e se c’è il generico si usa il generico); lo stesso si dovrebbe poter fare per i diagnostici e per tutto ciò che ruota intorno alla medicina.
Anche noi possiamo contribuire con tante piccole cose in occasioni diverse che aiuteranno certamente i medici a essere più accorti. C’è il caso che il dottore vi dica «ecco un farmaco nuovo, proprio quello che fa per lei». Chiedetegli «dottore, lei come lo sa?». Se la risposta vi convince prendete la medicina nuova, se no meglio quella vecchia, costa meno ed è quasi sempre più sicura.

Corriere della Sera 3.10.10
Calogero spiega il suo «teorema»: Toni Negri coperto dai Servizi
di Giovanni Bianconi


Dopo trent’anni parla il sostituto procuratore di Padova che nel 1979 legò il proprio nome all’operazione «7 aprile»

A più di trent’anni dall’operazione giudiziaria a cui ha legato il suo nome — il «7 aprile», inteso del 1979, quando fece arrestare Toni Negri con altri capi e gregari di Autonomia operaia, accusati di associazione sovversiva, banda armata e complicità con le Brigate rosse — il pubblico ministero Pietro Calogero difende ancora il suo «teorema», come venne definito. Mentre per lui fu solo un’indagine dagli alterni esiti processuali che riuscì a fermare l’ulteriore espansione di progetti eversivi, come rivendica ancora oggi. Aggiungendo un particolare: se il professor Negri non avesse goduto di qualche protezione o occhio di riguardo all’interno dei servizi segreti e degli organismi di polizia, la storia avrebbe potuto essere diversa.
Pietro Calogero, all’epoca sostituto procuratore a Padova e oggi procuratore generale di Venezia, lo confida in un’intervista pubblicata insieme ad altri contributi in Terrore rosso. Dall’Autonomia al partito armato, (Laterza, pp. 229, 16). A interpellare il magistrato è Silvia Giralucci, figlia del militante missino Graziano Giralucci, ucciso a Padova insieme a Giuseppe Mazzola nel giugno 1974, prime due vittime delle Brigate rosse. Gli chiede dei contatti con i servizi di sicurezza, e Calogero racconta di quando un colonnello del Sismi si presentò a casa sua un paio di mesi dopo l’arresto di Negri e compagni. Gli mostrò dei fogli le informazioni raccolte dagli infiltrati negli ambienti di Autonomia operaia, comprese quelle sugli incontri tra il professore e Renato Curcio, fondatore delle Br.
Gli appunti riservati riferivano «della collaborazione per il comune progetto di insurrezione armata», ricorda oggi Calogero. Il quale domandò all’ufficiale come mai non fossero stati trasmessi. Risposta: «Abbiamo sempre riferito agli organi di polizia giudiziaria». Ma il pubblico ministero che indagava su Negri non ne sapeva nulla, come i suoi colleghi che in passato avevano già inquisito e prosciolto il professore. «La mancata comunicazione delle notizie contenute in quelle carte non era stata solo una leggerezza, ma qualcosa di più grave: una copertura», dice oggi Calogero.
Quando il magistrato si interessò per acquisire i documenti del Sismi, il colonnello gli confidò che non li avrebbe trovati nemmeno con una perquisizione nell’archivio del Servizio: quelli che gli aveva mostrato erano «una raccolta informale che non le posso lasciare neppure in fotocopia, perché rischierei di essere scoperto». In sostanza, ricostruisce oggi Calogero, la Divisione antiterrorismo del servizio segreto militare aveva tenuto nascoste informazioni sui contatti eversivi di Negri che avrebbero potuto far fare un salto di qualità alle sue indagini (e a quelle che c’erano state in precedenza) sul teorico dell’Autonomia operaia. E continuava ufficialmente a negarle.
Calogero ricorda altri episodi di indagini arenatesi dopo aver sfiorato altri ambienti ritenuti vicini ad apparati di intelligence, come la scuola di lingue Hypérion di Parigi, dove s’erano radunati alcuni esponenti della sinistra extraparlamentare italiana vicini ai futuri brigatisti. Sostiene il magistrato che «ragionevolmente» la Cia utilizzò quella struttura per «esercitare un controllo non formale su personaggi e itinerari del terrorismo di sinistra in Italia».
Quando suo padre fu ucciso dalle Br, Silvia Giralucci era una bambina di 3 anni. Oggi cerca ancora eventuali verità nascoste dietro la sua storia di vittima. Vuole sapere da Calogero quale ruolo hanno avuto i servizi segreti nelle trame eversive, e l’intervistato risponde che il terrorismo italiano ha avuto cause e ragioni genuine.
Ma poi aggiunge: «Le indagini hanno messo in evidenza interventi di apparati pubblici che hanno cercato, con comportamenti ora ostruzionistici, ora omissivi, ora di aperto favoreggiamento e copertura, di orientare la lotta armata sia di destra che di sinistra in direzione di assetti politici diversi da quelli a cui miravano i terroristi. Precisamente in direzione non del sovvertimento, ma dello spostamento dell’asse della politica italiana dall’area di sinistra verso quella di centro o di centrodestra».

Repubblica 3.10.10
L’amore romantico e quello libertino
di Eugenio Scalfari


FINALMENTE un felice giorno di tregua politica. Il governo ha incassato un voto di fiducia sui cinque titoli del suo programma; i finiani sono determinanti alla Camera; Berlusconi continua a lanciare insulti alla magistratura, a collezionare barzellette sconce da ogni punto di vista e a magnificare il suo ruolo di demiurgo della politica mondiale; l´opposizione è unita e aggressiva.
Insomma, soddisfazione per tutti e avanti finché durerà. Durerà poco, penso io, ma forse mi sbaglio. Il solo legittimamente preoccupato è Belpietro, direttore di Libero, che ancora non conosce la verità sulla causa delle sue preoccupazioni. Gli invio la mia convinta e doverosa solidarietà.
Posso dunque dedicarmi oggi al tema dell´amore, come avevo promesso ai nostri lettori. Non è un tema peregrino. In una società agitata da guerre, terrorismo, crisi economica, egoismi feroci, l´amore sembra un sentimento quasi scomparso. Le donne, che dell´amore rappresentano l´elemento cardine, sono vilipese e usate come è sempre accaduto; la loro emancipazione che sembrava ormai conquistata anche se ancora parziale e imperfetta, sta regredendo e molte di loro non si oppongono più, anzi sembrano felici di collaborare a questo «richiamo all´ordine» che va tutto a loro detrimento. Perciò riflettere sull´amore è un tema di stretta attualità. Umberto Veronesi, in un bel libro uscito in questi giorni, è del mio stesso avviso ed arriva addirittura ad augurarsi una qualche forma di matriarcato.
Sostiene che la famiglia a direzione maschile diseduca le donne. Proprio perché sono l´elemento debole di fronte alla cultura maschile tuttora dominante, l´educazione che ricevono le sospinge a far propri i valori di competizione che sono tipici del maschio. Quelle che riescono ad emanciparsi e a raggiungere posizioni di spicco hanno introitato l´immagine della virago e fanno concorrenza agli uomini sul loro stesso terreno.
Bisognerebbe dunque – scrive Veronesi – che la loro educazione avvenisse in famiglie culturalmente orientate da valori femminili: l´amore – appunto – la pace, la solidarietà, la comprensione. Non ha torto, Veronesi, anche se l´attuale temperie in tutto il mondo sta procedendo nella direzione opposta.
L´amore però è una parola che esprime una quantità di sentimenti. Ha una sua mitologia, un suo approccio religioso, una sua poetica ed anche una sua storia. Di tempo in tempo e di luogo in luogo, quella parola ha avuto significati diversi e spesso opposti l´uno all´altro.
Questo è dunque il tema sul quale mi sembra opportuno fare chiarezza per poter meglio colmare un´evidente lacuna che affligge le nostre società, quelle ricche e quelle povere, ad Occidente e a Oriente del mondo.
* * *
Le civiltà antiche – e qui mi limito a parlare di quelle mediterranee che più da vicino ci riguardano – non conoscevano il «privato». Gli uomini si realizzavano nella «polis» della quale la famiglia e la tribù costituivano le cellule. L´amore faceva parte dei valori familiari, incoraggiati e protetti dagli dei del luogo. Si amavano i genitori, si amavano i fratelli e le sorelle, si amava la sposa, fonte di procreatività. Le tavole mosaiche contengono la normativa più antica dell´amore familiare: «Onora il padre e la madre. Non commettere atti impuri. Non desiderare la donna d´altri». Il destinatario di queste norme è il maschio, la donna resta in una zona d´ombra ma è anch´essa colpevole dell´eventuale trasgressione.
Naturalmente i sentimenti amorosi finivano, allora come oggi e come sempre, anche al di fuori del recettacolo familiare, ma era un fatto privato e quindi del tutto irrilevante. Se però diventavano una sfida contro la famiglia l´irrilevanza diventava colpevolezza e veniva repressa con la massima severità.
Non è un caso che la guerra delle guerre, quella di Troia, scoppia a causa del tradimento di Elena e della sua fuga con Paride. È un pretesto, si sa. Simboleggiò lo scontro tra la civiltà achea e quella medio-orientale. Ma il pretesto dello scontro è la violazione dell´amore familiare e il ritorno di Elena a casa con il marito Menelao sancisce che l´ordine violato è stato ripristinato.
Nello stesso ambito leggendario il teatro greco racconta la vendetta di Elettra e di Oreste contro l´uccisore del loro padre e contro la loro madre che ne era stata l´amante durante la sua assenza da Argo.
C´è, al fondo di questa tragedia, l´ombra d´un sentimento incestuoso che si coglie nell´amore quasi morboso tra il fratello e la sorella vendicatori. L´incesto del resto rappresenta un elemento spesso presente nell´amore familiare; Edipo e il suo destino ne costituiscono il fondamento, non a caso recuperato da Freud come uno degli elementi fondanti della psicologia del profondo.
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Il carattere «pubblico» e familiare dell´amore dura molto a lungo e scavalca i secoli. Neppure il Cristianesimo riesce ad intaccarlo.
La predicazione di Gesù tramandataci dai Vangeli è intrisa di amore e questa è la grande innovazione rispetto al monoteismo ebraico che descrive il dio biblico come il condottiero del suo popolo, ancorato alla severità della Legge.
Il dio dei Vangeli è giusto ma soprattutto misericordioso e non si identifica con un popolo. Si rivolge a tutte le persone, ne riscatta la dignità, esalta i deboli e i poveri che saranno i primi a varcare la soglia della beatitudine. Parifica tutte le persone quando entreranno nel regno dei cieli, le donne come gli uomini, gli schiavi come i loro padroni. Ma sulla terra le istituzioni restano quelle che sono. I cristiani sono animati dalla fede e dalla speranza; il male e l´odio vanno ripagati dall´amore. E l´amore è la «caritas», indirizzata verso tutti, verso il prossimo, verso i nemici.
L´amore tra uomo e donna dà luogo alla famiglia, viene santificato nel sacramento del matrimonio, indissolubile con i vincoli della fedeltà e l´obiettivo della procreazione.
Si tratta dunque d´un amore che sale dai coniugi verso Dio e si santifica attraverso i figli e la loro educazione cristiana. La «pubblicità» dell´amore rimane dunque intatta, con una differenza essenziale rispetto al politeismo pagano: la «caritas» diventa il fondamento della religione. Paolo e Agostino arrivano a farne un valore addirittura più importante della stessa fede.
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La cultura medievale inventa un altro tipo di amore: l´amore cortese, cantato dai trovatori nei castelli e portato in giro per l´Europa della lingua occitana e dell´italiano volgare.
Lo «stil novo» vagheggia amori immaginari e figure di amati e di amanti stereotipi. Di qui sorge la malinconia che occhieggia nei versi del Guinizelli e diventa sostanza poetica nel Cavalcanti, nel Dante della "Vita Nova" e nel Petrarca.
Ma accanto all´amore cortese si affaccia quello licenzioso del Boccaccio e più tardi di Machiavelli della "Mandragola" e dell´Aretino. Sono i primi segnali del "privato" ma ci vorranno ancora due secoli perché il "privato" si affermi nelle società dell´Europa moderna.
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Il «privato» nasce con l´Illuminismo con l´abolizione degli assoluti e dell´assoluto come concetto. Trasforma l´economia e la politica. Poteva il sentimento amoroso sottrarsi all´irruenza di questa rivoluzione?
Nasce infatti l´amore libertino, l´amore individuale, il «privato» dell´amore e nasce nei salotti gestiti da donne emancipate da una prima sembianza di femminismo. Diderot teorizza l´amore per l´amore che prevede la libertà di amori molteplici in nome, appunto, di amare l´amore.
Dura un secolo questa forma amorosa. Se si vuol chiedere alla letteratura, alla poesia e alla musica la chiave di un nuovo mutamento, la si trova nel Werther di Goethe, nelle "Affinità elettive", nella poesia di Leopardi e in quella di Baudelaire. L´amore romantico, la poesia e la musica romantiche.
L´Ottocento è intriso di amore romantico, dove si uniscono i sentimenti e i sensi ed è questo l´amore «privato» che diventa costume pubblico e che tuttora rappresenta uno dei cardini della società moderna.
Quell´amore tuttavia contiene le spore d´un mutamento ulteriore che emerge nella seconda metà del secolo scorso ed è ora nel pieno del suo svolgimento. Deriva proprio dal «privato», dalla sopravvenuta libertà sessuale, dall´accentuarsi dell´elemento sessuale e dalla liberazione della donna e del suo accesso al lavoro fuori casa.
L´amore romantico non è scomparso ma è divenuto mobile. Sempre più raramente dura per tutta la vita. Si realizza nella fase iniziale dell´innamoramento, si trasforma dopo qualche tempo in affetto e poi in amicizia. Infine la coppia si scompone e si ricompone con altri soggetti e altri innamoramenti. Sono segmenti di amore romantico al posto della linea retta dell´amore ottocentesco.
È a questo punto che l´amore verso l´amore riacquista peso e può – potrebbe – intrecciarsi alla solidarietà laica e alla «caritas» cristiana verso il prossimo, con uno spessore sociale in grado di soverchiare l´egoismo esasperato e l´amore egolatrico verso il proprio ombelico.
Questa è la scommessa affidata al futuro: un mondo dove l´essere assume una curvatura erotica capace di avere la meglio sull´istinto del potere.

Repubblica 3.10.10
Organizzazioni estremiste: provvedimenti più "morbidi"
Il nuovo codice militare salva le camicie verdi


VERONA - «Gli inquirenti che devono colpire organizzazioni estremiste ora hanno una freccia in meno nel loro arco». Così Guido Papalia, l´ex procuratore di Verona che nel 1996 avviò l´inchiesta sulle camicie verdi, commenta la notizia dell´imminente assoluzione di tutti i 36 imputati, tra i quali il sindaco di Treviso Giampaolo Gobbo e il deputato Matteo Bragantini, entrambi della Lega. A far "morire" il processo è una modifica al codice militare approvata a maggio che entra in vigore il 9 ottobre: non è più punibile, con una pena fino a dieci anni, «chiunque promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni di carattere militare, le quali perseguono, anche indirettamente, scopi politici». E così gli imputati saranno assolti: «perché il fatto non è più previsto come reato».
(da.c.)