mercoledì 27 ottobre 2010

Repubblica 24.10.10
Ed, il compagno loda Nichi su Facebook


FIRENZE - Su facebook mette la frase che forse più lo ha emozionato della relazione di Nichi ad apertura del congresso di "Sel": «Torniamo alla bellezza delle relazioni, a quell´accogliersi tra generi, tra generazioni, la bellezza dell´incontrarsi tra il mondo vivente e quello non vivente...». Ed, il compagno di Nichi Vendola, ne fa una frase-dedica. Presente ma riservato. Nichi di lui ha parlato in qualche intervista ma qui, al congresso - camicia, jeans e scarpe da ginnastica - Ed sfugge i riflettori e i cronisti. Per lui, italo-canadese, 33 anni, un master in progettazione e una carriera di creativo, tra pubblicità e media, la privacy è un bene supremo. La storia con Vendola è consolidata da qualche anno e con un patto: quello della discrezione. Ma ora che Vendola e Sel «vanno di moda» - come ironizza lo stesso Nichi - gli tocca fare i conti con la popolarità e la curiosità mediatica. (g. c.)

l’Unità 24.10.10
Il compagno di Nichi
Ed c’è ma non si fa vedere
di Andrea Carugati


Non è la prima volta che Ed, 33enne fidanzato italocanadese di Nichi Vendola, scorta il suo compagno ad un congresso. C’era già a Chianciano, quando Nichi perse a sorpresa il congresso del Prc contro Paolo Ferrero. Andò con la mamma, pugliese trapiantata in Canada tanti anni fa, dove il ragazzo è nato e ha studiato marketing alle università di Ottawa e Montreal.
Qui a Firenze, al congresso di Sel, c’è una novità perché da poco Nichi ha parlato di lui, in un'intervista al settimanale Chi. Ha raccontato che vivono insieme da anni a Terlizzi, vicino Bari, la città natale del governatore. «Siamo una coppia morigerata e tranquilla. Ci piace ricevere amici a cena», ha spiegato. Stanno insieme dal 2004, Ed ora ha anche un ruolo nello staff del candidato: art director della sue fabbriche. È un creativo, dopo il ritorno in Italia ha preso un’altra laurea in progettazione visiva e design della comunicazione. Sta dietro le quinte, è superpresente ma nell'ombra. Quando spuntano le telecamere lui si dissolve. Ieri, riuscire a raggiungere Nichi per pranzo è stata un’impresa: telefonate, sms con le ragazze dello staff, che lo coccolano come un fratello minore. «Ed, raggiungici dove siamo scesi stamattina». Lui, capelli corti e scuri, un filo di barba, camicia bianca, jeans e sneakers grigie, è spuntato da dietro il palco. La macchina di Vendola era già arrivata, lui ha fatto per avvicinarsi, uno sguardo, una parola sussurrata, un braccio sfiorato. Poi il governatore è salito in macchina, lui no. È salito dietro l'angolo, lontano da occhi indiscreti. Un'abitudine complicata ma ormai consolidata. «L'amore che non osa definire il proprio nome», aveva detto Vendola nella sua relazione, citando Oscar Wilde, per descrivere «il dolore del silenzio di tanti omosessuali, lesbiche, trans». E aveva citato anche la gioia «quando si rompe quella barriera del silenzio». Vendola è stato tra i primi politici italiani a fare coming out. Non ha mai nascosto la sua biografia, anzi ne ha fatto un punto di forza. Anche stavolta è così: il suo privato si disvela poco a poco, senza forzature. Si protegge, anche.

Corriere della Sera 24.10.10
Eddy scatta foto in platea Il compagno del leader da Montreal a Terlizzi
Il creativo italo-canadese preferisce evitare la notorietà


FIRENZE — È venuto anche Ed, il compagno di Nichi Vendola, al congresso. Fa le foto agli ospiti importanti, Epifani, Landini, con la piccola automatica e con la reflex. Alla fine del lungo discorso di apertura, Nichi, nel retropalco, sudato e contento, cercava anche lo sguardo di Ed, che prima di cominciare gli aveva dato i suoi consigli. Eddy ha superato la trentina, ha i capelli neri corti, lo sguardo curioso e appassionato. Maglione blu, camicia bianca, jeans, sneakers. Tutta la corte degli amici e dei collaboratori di Nichi lo protegge, gli crea attorno uno schermo invisibile, e respinge le domande perché Nichi, come si è detto da solo, «va un po’ di moda», ma Ed che c’entra? Coccolato, anche, come fosse il figlioccio di tutta la prima linea della sinistra, qui risorta. «Voglio una mia foto scattata da te, foto di Eddy», gli dice Ciccio Ferrara, grande organizzatore del nuovo partito Sinistra ecologia e libertà. Lui si muove veloce, sfuggente, vuole esserci, però senza farsi riconoscere.
All’ora di pranzo Eddy e Nichi si parlano rapidi, si separano, si rivedranno.
Ha detto Vendola: «Confessare che ero omosessuale non è stato facile. Da quel momento ho dovuto lavorare il doppio. Per fare in modo che la gente dicesse: vedi, è gay, ma è bravo». Nichi ha confessato a Chi, il settimanale rosa che fa capo a Berlusconi, di aver ricevuto un nuovo orecchino di brillanti dal «suo amore», per i suoi 50 anni, ha aggiunto che vivono a Terlizzi (Bari), da anni, che sono una coppia morigerata e tranquilla, ricevono amici a cena: «Che altro potremmo fare con la vita che conduco?». Adesso Vendola dice che quella cosa è stata un po’ estorta, che i cronisti hanno battuto il paese alla ricerca di pettegolezzi, ma è pur vero che l’operazione di farsi fotografare e intervistare sul privato da un giornale «ostile» era densa d’insidie.
Eddy qui al congresso di Sel è inserito nell’organizzazione, lui lavora nelle «Fabbriche di Nichi», che cercano di realizzare in tutta Italia interventi civici, per migliorare l’esistenza quotidiana. È quel che si dice un «creativo»: freelance graphic designer and creative consultant, si definisce, visto che è italo-canadese. Ha studiato presso la Concordia university di Montreal, alla Ottawa university e poi a Urbino, design e comunicazione. Ha seguito con affetto la vicenda di Vincenzo Deluci, trombettista e compositore jazz pugliese, trentenne, distrutto da un incidente stradale, che riesce ancora a suonare con un puntatore ottico e ha realizzato uno spettacolo «VianDante, viaggio dal Paradiso all’Inferno, andata e ritorno».
È impaurito da una possibile notorietà, Ed, perché i passi avanti, in Italia, sulle coppie omosessuali sono stati enormi, ma non siamo ancora alla pari dignità con la famiglia tradizionale. Vendola venerdì, dal palco, ha lanciato più di un messaggio. Ha citato Oscar Wilde: «L’amore che non osa definire il suo nome». Ha parlato della condizione «atopica», di chi è «senza luogo», gay, trans, travestiti. Ha detto che «la bellezza è anche questo, rompere il silenzio, ritrovare le parole...». Vendola gioca da sempre la sua partita politica rivendicando ogni contraddizione della sua vita. Il rosario in tasca, l’orgoglio della diversità. Ma Ed? Ieri pomeriggio è andato via dal teatro Saschhall, sede del congresso, a riflettere sul peso della fama, quand’anche sia di riflesso.

Corriere della Sera 24.10.10
L’alleato del Pd? Il 60% vuole Nichi


Entrambi i partiti maggiori, Pd e Pdl, si trovano in questo momento in difficoltà. Tutti e due hanno visto, nelle ultime settimane, un calo dei consensi espressi dagli elettori nei sondaggi. Questo stato di cose è particolarmente sorprendente per il Pd, in quanto l’opposizione trae normalmente vantaggio dalla crisi che, quasi sempre, connota la maggioranza dopo qualche anno di governo.
Ciò che, secondo gli elettori, manca oggi al Pd e lo rende relativamente poco attraente per il voto è principalmente l’assenza di chiarezza sulla proposta politica, sulle alleanze ipotizzate in vista di eventuali elezioni e, in una certa misura, anche sulla leadership. Bersani, l’attuale segretario, è molto stimato dagli elettori del suo partito. Il suo livello di gradimento supera, tra i votanti per il Pd, il 90% e raggiunge uno dei livelli massimi (44%) anche considerando la popolazione nel suo complesso. È particolarmente stimato anche dagli elettori dell’Idv, sua attuale alleata, ma trova larghi consensi perfino nella base dell’Udc (44% di giudizi positivi) e di Fli (50%). Negli ultimi mesi, tuttavia, la leadership del segretario è minata dalla ascesa di popolarità di Nichi Vendola, che ha di recente ribadito di volersi presentare alle primarie del partito. Anche Vendola gode di un largo seguito tra gli elettori del Pd (78%), seppure inferiore a quello di Bersani. Ma è molto significativo che eguagli addirittura la popolarità di quest’ultimo nell’insieme dell’elettorato, con un forte incremento (3%) proprio nelle ultime settimane. Questa sovrapposizione dei consensi rende difficile dire oggi chi vincerebbe in caso di primarie. Ma nuoce in una certa misura all’immagine complessiva del partito.
A questo stato di disunità si sovrappone la questione delle alleanze. Sulla quale si registrano una molteplicità di posizioni assai differenziate e, spesso, contraddittorie. Alla richiesta «con chi sarebbe opportuno che si alleasse il Pd alle prossime elezioni politiche?», solo una quota minoritaria, pari a quasi un quinto (18%) dei votanti per il Pd propone, come suggeriscono alcuni dirigenti del partito, di correre da soli. Tutti i restanti indicano, invece, una forza politica con cui accordarsi. Una quota molto minoritaria (4%) auspica addirittura di allearsi con chiunque lo voglia. Ma più della maggioranza assoluta (60%) dei votanti per la formazione di Bersani preferisce proprio Sinistra ecologia e libertà di Nichi Vendola. Questa opzione raccoglie più consensi di quanti (56%) ne conquisti l’ipotesi della prosecuzione dell’accordo con l’Idv di Di Pietro. Assai meno attrattiva pare, per l’elettorato del Pd, l’idea di una apertura verso il centro, alleandosi con l’Udc di Casini (la auspica il 39%) e, meno ancora, quella di un accordo con Alleanza per l’Italia di Rutelli (indicata dal 30%) o con l’Fli di Fini (suggerita dal 25% dei votanti per il Pd).
Molte di queste indicazioni di alleanza si sovrappongono tra loro, poiché gli intervistati potevano suggerire anche più di un’opzione e risultano le combinazioni più diverse e disparate. Ciononostante, dall’insieme delle risposte, si rileva come l’orientamento, esclusivo o non, verso la sinistra superi quello verso il centro (anche se quasi un terzo propone di allearsi con entrambi).
Naturalmente, è fisiologico che in un partito convivano una pluralità di opinioni, anche diverse tra loro. Ma il quadro che emerge dal complesso delle dichiarazioni dei votanti attuali per il Pd sembra talvolta mostrare la prevalenza sulla stessa coesione del partito di componenti anche fortemente contrapposte. Ciò che finisce col ledere l’immagine complessiva, allontanando molti dei numerosi elettori oggi indecisi o tentati dall’astensione. La cui conquista, come si sa, costituisce il fattore principale per vincere le elezioni.

Il Sole 24 Ore 24.10.10
L’obiettivo primarie. Difficile ma non impossibile la vittoria su Bersani, altro discorso è la possibilità di successo alle elezioni
Un leader ambizioso per un partito fermo al 3%


Una democrazia competitiva per funzionare bene ha bisogno che tutti i partiti rilevanti del sistema politico abbiano voglia di governare. Sembra una banalità ma ieri Vendola lo ha ricordato a suo modo alla sinistra italiana che per anni non si è veramente posta il problema di vincere le elezioni per andare al governo. Quello che ha detto il leader Sel non è una novità. E proprio su questo punto che si è consumata dopo l'esperienza negativa del governo Prodi l'ennesima scissione della sinistra italiana. E stato al congresso di Rifondazione comunista a Chianciano nei 2008 che è nato il movimento di Vendola dopo uno scontro molto aspro con la sinistra antagonista di Ferrero. A Firenze questa scelta è stata confermata con forza e rappresenta un'altra tappa di un processo storico che va avanti da più di un secolo. Passo dopo passo, scissione dopo scissione, la sinistra italiana si è progressivamente inserita a pieno titolo tra le forze di governo del Paese. A questo punto ne restano fuori Rifondazione Comunisti ltaliani, e le formazioni della sinistra più radicale.
Posto che l'obiettivo è quello di "vincere bene" si tratta di vedere come raggiungerlo. La ricetta di Vendola è coerente con la strategia di fondo. Servono alleanze, le più larghe possibili. Da questo punto di vista il leader Sel è l'erede di Prodi. La sua proposta in pratica è quella di una Unione di tutte quelle formazioni "orientate al governo" che in questo momento stanno all'opposizione. Quindi tutti dentro tranne chi ‑ come la Federazione della sinistra ‑ si è per ora dichiarata fuori. Con quale programma? Basta come denominatore il comune desiderio di mettere fine al berlusconismo? In che modo la sinistra moderna di Vendola si può sposare con il moderatismo di centro di Casini? Non si sa. Ma il programma è una cosa e la leadership un'altra. Fino ad oggi non si era mai visto a sinistra un leader con la personalità di Vendola. Un mix di linguaggio, caratteristiche personali, capacità  di coniugare valori di sinistra e pragmatismo politico. Vendola ha tutte le caratteristiche del grande leader tranne una: il suo è un piccolo partito.
Nelle elezioni europee del 2009 Sel non è arrivata ad un milione di voti, il 3,1%. Se raffrontato ai 1.124.428 voti presi nelle politiche del 2008 dalla Sinistra arcobaleno (Rifondazione, Comunisti italiani e Verdi) è un buon risultato ma si tratta comunque di una cifra modesta. Più o meno la stessa percentuale è stata ottenuta nelle regionali di questo anno. Ma in questo caso facendo il confronto sulle tredici regioni in cui si è votato anche alle europee si vede ci alla stessa percentuale di voti fl( corrisponde lo stesso numero elettori (830.636 contro 679.084 Solo in Puglia Sel ha fatto meglio nel 2010 rispetto al 2009. ma anche in questa regione dove Vendola  gode di grande visibilità il suo partito non ha superato il 10% dei voti. Né i sondaggi più recenti ci dicono che le cose sono cambiate te di molto a livello nazionale. I comportamenti elettorali hanno la loro vischiosità.
Sel è ancora il piccolo partito di un grande leader. E questo spiega il resto della strategia di Vendola. Più del partito contano le primarie SeI è un "partito a termine", destinato a confluire in un'altra formazione. Vendola lo ha detto chiaramente a Firenze. La prima tappa di questo processo saranno le primarie del centrosinistra poi la designazione del candidato premier. Per Vendola sono una necessità e una grande opportunità. Nello stato di disorientamento in cui si trova oggi il popolo di centrosinistra tutto è possibile. Anche che si ripeta l'esito delle primarie pugliesi con Bersani al posto di Boccia. E difficile ma non impossibile, soprattutto se in corsa ci sarà più di un candidato Pd. In ogni caso per Vendoia rappresentano un grande palcoscenico e un trampolino per costruire la sua leadership a livello nazionale. Comunque vadano a finire, per lui saranno una vittoria. Che con lui come candidato premier possa vincere il centrosinistra è tutta un'altra storia.

Il Sole 24 Ore 24.10.10
L'agenda economica. L'obiettivo di guardare oltre la fabbrica ai listini di Borsa
Lavoro ma anche finanza Il «salto» tra Nichi e Fausto
La ricetta. Introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie, separazione tra banche di risparmio e d'affari, freno alle stock option dei manager
di Lina Palmerini


La ricetta. Introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie, separazione tra banche di risparmio e d'affari, freno alle stock option dei manager


Lavoro e finanza: un luogo tradizionale e uno inedito per la sinistra ma comunque il terreno dove Nichi Vendola traccia la sua rotta alternativa. E proprio su queste due strade, dove i cambiamenti sono stati più forti e gli eventi imprevedibili, che si consuma anche il salto generazionale tra Nichi e Fausto.
C'era una volta Fausto Bertinotti, leader carismatico di Rlfondazione comunista e presidente della Camera, che riceveva nel suo studio a Montecitorio Sergio Marchionne. E sempre in quei giorni di quegli anni, si sentì anche dire dallo stesso: «Sì, stimo Marchionne perché una delle prime cose che ha detto è che il valore di un manager non si misura dalla capacità di licenziare ma nel difendere la compagine lavorativa». E, in effetti, una delle cose che l'ad di Fiat non metteva in discussione all'epoca era la chiusura degli stabilimenti in Italia. Era il 2007, sono passati poco più di tre anni, un soffio nella vita di chiunque, un'era geologica per l'economia e la politica.
Oggi la sinistra di Nichi Vendola riparte ancora dalla Fiat. Ancora da Marchionne che nel frattempo ha chiuso Termini Imerese e ha ingaggiato un braccio di ferro con la Fiom sul contratto. «Melfi e Pomigliano diventano cartelli stradali che segnano la via per capovolgere la destra in Italia. Marchionne ‑ diceva Vendola nel suo intervento di venerdì ‑ ha un'idea di modernità regressiva nel sociale». Un attacco perfetto per delineare la nuova rotta della sinistra che si fonda e si fonde con il lavoro. Sono due i pilastri della proposta di Sinistra e libertà: superare la legge 30 quella sulla flessibilità e limitare drasticamente il ricorso ai contratti a tempo rendendo davvero normale la pratica dell'assunzione indeterminata. Dunque, la norma prima ancora che i costi.
Un approccio che certo scavalca il Pd e anzi separa le due strategie. Quella di Pierluigi Bersani che intende colpire la convenienza economica dei contratti flessibili ‑ parificandone il costo a quelli stabili ‑ mentre quella di Vendola somma via legislativa.e svantaggio economico per marginalizzare la precarietà dal mercato. Questo è l'approdo ma l'avvio è quella che Vendola ha chiamato «la bellissima piazza della Fiom». E dunque la battaglia della Cgil contro la Fiat a difesa dei diritti e del contratto nazionale. E la pressione sul sindacato per farlo tornare al suo ruolo antico del conflitto diversamente da Cisl e Uil «sussunto a parastato», come li ha definiti Vendola.
Ma la fabbrica non è più l'unico luogo della sinistra. E qui sta ancora H salto generazionale tra Bertinotti e Vendola. Oggi la sinistra guarda oltre i cancelli, guarda alla Borsa, ai listini. Non solo contratti e sciopero ma pure hedge fund e short selling entrano nel lessico. E qui l'agenda di Nichi parte dall'introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie per passare a una nuova «separazione tra banche di risparmio e banche di affari» e poi tornare a «limitare stock option per manager» e, infine, chiedere di «frenare hedge fund e i credit default swap» e vietare lo short selling.
Il lavoro è il "cuore", la finanza è il "nuovo luogo" ma il fìsco è il cervello, la razionalità che deve portare a una nuova distribuzione della ricchezza contro un «capitalismo predatore», come si legge nel Manifesto di Sinistra e Libertà. E sulle tasse si ricompatta il mondo di Nichi con quello del Pd. Il fisco è da sempre la koinè ‑ come direbbe Vendola del centro‑sinistra tant'è che qui le distanze quasi si annullanno. E infatti oltre la proposta di una tobin tax, c'è l'aumento della tassazione sulle rendite finanziarie ad avvicinarli: entrambi vogliono aumentarla dal 12,5 al 20% per alleggerire l'Irpef a partire dai ceti più bassi. Una tassa che, nelle idee di Alfonso Gianni, responsabile economico di Sel e tra gli estensori del Manifesto, dovrebbe colpire anche i Bot dando però una franchigia al piccolo risparmio. Ma già una volta, nel 2006, questo fu l'inciampo dell'Unione.

I GIORNALI DI MERCOLEDI 27 OTTOBRE 

l’Unità 27.10.10
Le proposte del centrosinistra
Immigrazione: l’obbiettivo è la cittadinanza
di Andrea Sarubbi

Alla presentazione    dell’ultimo dossier della Caritas, ieri mattina, i relatori hanno subito charito un punto: sull’immigrazione mettiamo da parte le ideologie e lavoriamo seriamente, perché «siamo persone serie». Che l’invito venga dalla Caritas mi pare significativo, perché il suo impegno nel campo la pone al di sopra di ogni sospetto: nessuno la accuserebbe mai, ad esempio, di scivolare a destra, neppure se rilevasse come fa, a pagina 19 del rapporto che «un grande fenomeno sociale come l’immigrazione non comporta solo vantaggi, soprattutto nel caso in cui non vengano sviluppate le necessarie pre-condizioni».
La scelta di campo fra immigrazione-problema e immigrazione-risorsa, insomma, non regge più nemmeno tra gli addetti ai lavori: gli slogan da campagna elettorale e le semplificazioni dei salotti sono lontanissimi dal vissuto di chi spesso in silenzio, e nonostante la latitanza di un governo che vivacchia sulle paure della gente si sporca le mani ogni giorno. Perché l’immigrazione è certamente una risorsa, ma può diventare in fretta un problema se non viene governata: la mano invisibile qui non c’è, dunque occorre che la politica faccia il proprio mestiere. Come? Investendo soldi sull’integrazione, innanzitutto, e poi verificando che questo investimento vada a buon fine: ecco perché, senza mettere in discussione l’accoglienza umanitaria per chi ne ha diritto, un Paese ha il dovere di occuparsi non solo di quanti immigrati ospitare, ma anche di chi. Cito ancora dal dossier Caritas, pagina 16: «L’alternativa alla chiusura delle frontiere – che crea clandestinità – è la programmazione dei flussi, perché la disponibilità di manodopera regolare è funzionale ad uno sviluppo del sistema economico trasparente e tutelato, che non metta in conflitto i lavoratori già presenti con i nuovi arrivati».
Qualcuno (lo hanno fatto dalle colonne di questo giornale lunedì scorso due esponenti di «A buon diritto») istintivamente si ritrae, di fronte al fantasma della selezione: non è una parola di sinistra, si fa notare, nonostante sia presente nelle riflessioni di illustri studiosi a noi culturalmente vicini ed addirittura nel documento preparato dal Forum immigrazione del Partito democratico e votato all’unanimità dai delegati di Varese.
Se può servire a sbloccare il dibattito, mettiamo allora da parte la parola “selezione” e parliamo invece di merito; facciamolo davvero, però, e chiediamoci se sia più credibile per un Centrosinistra che voglia governare l’Italia il tradizionale modello buffet del primo-arrivato-primo-servito o piuttosto un meccanismo che – pur con pesi e contropesi, e sempre al netto dell’accoglienza umanitaria – si prenda carico di ogni storia che incrocia sul suo cammino, fino ad accompagnarla all’obiettivo finale della cittadinanza.

l’Unità 27.10.10
I numeri del ventesimo Dossier Caritas
La carica dei regolari che produce l’11% del Pil
Al fisco regalano un miliardo di euro perché pagano di più di quanto ricevono in servizi
Falso allarme criminalità. Delinquono meno degli italiani, non esiste nessuna emergenza
I quattro milioni di immigrati fanno l’Italia più giovane e ricca
Oltre ai dati economici, il Rapporto sfata luoghi comuni e analizza le ragioni di un clima spesso ostile nei confronti degli immigrati. «Si fanno sentire gli effetti della crisi economica».
di Roberto Monteforte

Troppa ostilità e troppi preconcetti negativi sull’immigrazione in Italia. Eppure sono quasi cinque milioni gli stranieri regolari in Italia, il 7% dei residenti. Vent’anni fa, erano meno di 500 mila. Lo mettono in chiaro facendo parlare i numeri
la Caritas italiana e la Fondazione Migrantes, che ieri hanno presentato il 20 ̊ Dossier statistico sull’Immigrazione, quello relativo al 2010. Sono tante le verità che emergono e i luoghi comuni che vengono sfatati. Ce ne è sicuramente bisogno, visto il perdurante atteggiamento di «ostilità», quando non di «atti di discriminazione ed anche di razzismo» compiuti da Italiani denunciano gli autori del rapporto dal titolo «Per una cultura dell’altro», dedicato a monsignor Luigi Di Liegro, un «indimenticabile amico degli immigrati». Si analizzano le ragioni di questo clima ostile. Si fanno sentire gli effetti della crisi economica. Ma se si guarda più affondo si scoprono dati che dicono cose diverse. Intanto gli immigrati producono l’11% del Pil, sono il 10% dei lavoratori dipendenti e ben il 3,5% degli imprenditori. Senza il loro apporto, 7 miliardi l’anno incassati dall’Inps, cosa sarebbero le nostre pensioni? Un altro dato significativo: regalano al fisco un miliardo perché pagano di più (circa 11 miliardi di euro) di quanto ricevono in servizi (meno di 10 miliardi). Dal dossier si riscontra la crescita dei matrimoni misti: ogni giorno 70 italiani si sposano con cittadini stranieri; 173 immigrati prendono la cittadinanza italiana; 211 neonati nascono da genitori non italiani. Ogni 14 persone che si incontrano per strada uno è straniero. Senza l’apporto degli «stranieri» (13% delle nascite) sarebbe ancora più grave l’emergenza demografica e più difficile «consentire all’Italia uscire dalla fase di stanchezza in cui si trova».
L’altra parte del dossier richiama ciò che è necessario fare. A partire dalle politiche per l’integrazione ed investimenti. Viene indicato l’esempio della Germania.
VEDIAMO CHI SONO
Vediamo cosa c’è dentro quei cinque milioni circa di immigrati in Italia. Uno su 4 vive in Lombardia. Il 21% sono romeni, l’11% albanese, il 10,2% marocchini. La maggior parte degli stranieri sono europei (53,6%) e africani (22%). Emilia Romagna, Lombardia e Umbria superano il 10% di presenza straniera. Dieci matrimoni su 100 sono misti. Quindi il 13% degli stranieri, circa 600mila, sono di «seconda generazione», quindi nati in Italia. I minori sono il 22%. Cala il numero degli «irregolari», se ne stimano 500-700 mila contro il milione dello scorso anno. Le entrate illegali sono per lo più via terra e non sulle coste; il record di sbarchi è avuto nel 2008 quando giunsero 37 mila persone. Nel 2009 ci sono stati 4.298 respingimenti e 14.063 rimpatri forzati. Gli irregolari che non hanno rispettato l’ordine di espatrio sono stati 34.462. Le persone nei Cie sono state 10.913. Il Dossier, poi, nega una particolare «emergenza criminalità». Una conclusione: l’Italia non può fare a meno degli immigrati e non servono politiche ostili o di repressione,ma come chiedono i sindacati di accoglienza e integrazione».

il Fatto 27.10.10
Gli immigrati in Italia, 5 milioni e fondamentali
di Corrado Giustiniani

La sindrome da invasione è così acuta da alterare completamente la nostra percezione. Secondo la ricerca Transatlantic Trends, gli italiani sono convinti che gli immigrati del nostro paese siano ben 15 milioni. Tre volte di più rispetto ai 4 milioni 919 mila stimati dalla Caritas, che ieri ha presentato il suo ventesimo Dossier statistico sull'immigrazione. Una sindrome da invasione che ha colpito anche il presidente della Camera Gianfranco Fini il quale, parlando a Rovigo, ha rassicurato gli studenti del Nord Est: “Io non cambierei una virgola alla legge che va sotto il mio nome e quello di Bossi”. Il 15 aprile del 2009 invece, a Mazara del Vallo, aveva sostenuto che “dei correttivi si rendono necessari”, rilevando l'assurdità che l'immigrato prima si trovi un posto in Italia, poi alla chetichella debba tornare nel suo paese per ripresentarsi infine da noi in veste ufficiale e con tanto di visto.
Nel 1990, l'anno di esordio del Dossier Caritas, gli immigrati erano soltanto 500 mila. In venti anni sono cresciuti di dieci volte, un trend che non ha eguali in Europa. “Ma nello stesso tempo sono cresciute la paura, la diffidenza, la chiusura da parte della politica e della gente” ha constatato con molta amarezza Franco Pittau, lo storico curatore dei dati Caritas. E proprio ieri il Papa è intervenuto a favore dei rifugiati, criticando indirettamente la politica indiscriminata dei respingimenti attuata dal governo, dal momento che oltre la metà degli occupanti dei barconi è richiedente asilo politico. “Nei confronti di queste persone che fuggono da violenze e persecuzioni – ha detto Benedetto XVI – la comunità internazionale ha assunto degli impegni precisi“ e i loro diritti vanno rispettati.
Certo che la crisi economica, con la perdita di 500 mila posti di lavoro certificata dall'Istat, ha favorito l'atteggiamento di chiusura. Ma gli immigrati – ribadisce il Dossier Caritas – sono venuti a fare mestieri che gli italiani oggi rifiutano: nell'edilizia, in agricoltura, nella ristorazione (a Milano i pizzaioli egiziani sono più dei napoletani) nell'assistenza alle famiglie. In quest'ultimo settore la loro presenza sarà sempre più determi-
nante. Basti soltanto un dato regionale sull'invecchiamento rapido della nostra popolazione: in Lombardia le persone con più di 65 anni d'età sono oggi 2 milioni, ma nel 2015 saranno già un milione in più. Gli stranieri sono il 7 per cento della popolazione e il 10 per cento dei lavoratori dipendenti, mentre i titolari di impresa, con amministratori e soci, hanno raggiunto quota 400 mila: gente che non soltanto lavora, ma fa lavorare. Gli immigrati guadagnano in media 972 euro netti al mese, il 23 per cento in meno degli italiani, e per primi restano disoccupati: assurdo che la Bossi-Fini conceda loro appena sei mesi di tempo, con una crisi come questa, per trovare un altro impiego.
Gli stranieri contribuiscono all'11 per cento del prodotto lordo italiano e pagano 11 miliardi di euro fra tasse e contributi previdenziali (sono loro che hanno risanato l'Inps) mentre percepiscono 10 miliardi di servizi sociali, calcolati dalla Caritas per eccesso. E poi i 25 mila matrimoni misti all'anno, i 77 mila bimbi che nascono da entrambi i genitori stranieri, gli oltre 900 mila minori. Tanti numeri per farci capire che l'immigrazione è irreversibile e che dobbiamo riacquistare “la cultura dell'altro” per favorire la convivenza e l'integrazione, capitolo per il quale un tempo c'era un fondo da 100 milioni di euro, oggi sparito.

«Convergenze. Con un gruppo di intellettuali legati a Futuro e Libertà.... il Manifesto riecheggia pure Vendola»
il Fatto 27.10.10
“Il Manifesto di ottobre”: un po’ futurista, un po’ neo-marxista
Marramao, tra i firmatari: “L’idea è tornare a una politica con al centro l’impegno civile e l’etica pubblica”
di Wanda Marra

Che c’entra Marx con i neonati componenti di Futuro e Libertà, che si preparano a dar vita a un partito, con tutti i crismi di organismi dirigenti, organizzazione, atti fondativi e pure Pantheon di riferimento? “Niente”, risponde d’istinto Giacomo Marramao. Eppure proprio lui, filosofo e intellettuale di sinistra, è tra i cento firmatari del “Manifesto di ottobre” per “una rinascita della res publica e per un nuovo impegno politico-culturale”, presentato ieri a Milano. Certo, di manifesti nella storia ce ne sono stati tanti. E ‘Il Manifesto del Partito comunista’ non è certo l’unico. Però, lo stesso Marramao ammette che “tanti di coloro che l’hanno redatto Marx lo conoscono bene”. Il testo, che inizia sottolineando la necessità di “un patto per la rinascita della res publica”, che sia non “una litania di valori”, ma “un progetto per l’Italia contemporanea, una concreta costruzione di rigore e di impegno civile” è stato dunque steso da un gruppo di intellettuali legati a Futuro e Libertà, come la grecista Monica Centanni, l’intellettuale milanese Peppe Nanni, Carmelo Palma, direttore della Fondazione Libertiamo, legata a Benedetto Della Vedova. Spiega Marramao: “Si tratta di un percorso vero, fatto da persone della destra finiana, e molto nella tradizione repubblicana. L’idea è quella di tornare a una politica fondata sulle regole, che rimetta al centro l’impegno civile, l’etica pubblica, e che sia in grado di rivitalizzare l’intera sfera politico-democratica”.
TRA I ‘REDATTORI’ anche personaggi come Fiorello Cortiana, tra i fondatori dei verdi italiani ed europei. Ma tra i firmatari, oltre a personalità che gravitano intorno alla destra finiana, come Alessandro Campi, Sofia Ventura, Filippo Rossi e Angelo Mellone, o personaggi come Franco Cardini, si trovano nomi noti del mondo post marxista, o meglio definiti come intellettuali di sinistra, da Giulio Giorello a Nadia Fusini, da Maurizio Calvesi a Giuseppe Leonelli a Franco La Cecla. C’è anche il direttore della Mostra internazionale d’arte cinematografica Marco Müller. E spiccano i nomi di Beppe Giulietti, deputato Idv, da sempre in prima linea per la libertà di informazione e del deputato Pd Ermete Realacci o quello d’una regista ‘impegnata’ come Roberta Torre o dello scrittore Sergio Claudio Perrone. Ci doveva essere anche Massimo Cacciari, dato come sicuro aderente, che sarebbe comunque attento alla questione e disposto al dialogo.
SPIEGA MARRAMAO: “Non si tratta di un manifesto di uno schieramento politico, ma piuttosto di un progetto in cui convergono personaggi trasversali uniti dall’esigenza di rivitalizzare la politica italiana, uscire fuori dalle passioni tristi, reagire alla demotivazione culturale ed etico-politica del nostro tempo”. E infatti, gli autori citati sono un intellettuale-simbolo dell’antifascismo, come Piero Calamandrei e la filosofa dell’anti-totalitarismo, Hannah Arendt.
“La mia adesione al manifesto non è un’adesione politica afferma ancora Marramao ho sempre votato a sinistra, ma ritengo importante il lavoro che stanno facendo questi intellettuali”. Certo, è un elemento di novità che a coagulare nuove energie anche di pensiero siano degli intellettuali di destra, categoria minoritaria nel nostro paese. Mentre la sinistra tradizionale tace: “I segnali di fuoco si avvertono soprattutto da parte del gruppo legato a Fini”, ammette Marramao. E in qualche passaggio, il Manifesto riecheggia pure Vendola. Come quello in cui si dichiara l’esigenza di ritrovare il filo “d’una narrazione più vera e nobile della cultura e della storia repubblicana contro il degradante cliché di un’italietta furba e inconcludente”.
E intanto, mentre Fli aggrega energie ed esperienze in un mix inaspettato, il Pdl continua a perdere pezzi: ieri si è si è dimesso dalla direzione del partito Alfredo Biondi, forzista della prima ora e ministro della Giustizia nel primo governo Berlusconi. E anche il senatore Enrico Musso si è detto pronto a lasciare, esprimendo il suo disagio.

Il Secolo d’Italia 27.10.10
Nasce la rivoluzione d'ottobre
qui
http://www.secoloditalia.it/stories/Cultura/863_nasce_la_rivoluzione_dottobre/

Il Secolo d’Italia 27.10.10
Al via il Manifesto d’ottobre per mobilitare gli intellettuali
di Valerio Goletti

Europa 27.10.10
Le firme che vorrei
di Franco Cardini
qui
http://www.europaquotidiano.it/dettaglio/122152/le_firme_che_vorrei

Repubblica 27.10.10
Cina. Il dissenso invisibile
Il Nobel a Liu Xiaobo ha fatto inasprire la repressione. Ma i dissidenti non si arrendono. E rilanciano una protesta destinata ad allargarsi
di Giampaolo Visetti
non disponibile sul web, nelle edicole

Repubblica 27.10.10
Fariz e i ribelli della banlieue "Qui non è mai cambiato niente"
di Anais Ginori

Cinque anni fa i giovani diseredati delle periferie tennero sotto scacco la Francia per tre settimane La pace è solo apparente. E sotto la calma di facciata cova l´ira per un´integrazione che resta un miraggio

Clichy-sous-Bois è il luogo simbolo del degrado: qui il 75% è indigente e uno su tre non ha lavoro
Il sindaco avverte: "Il vecchio patto sociale che reggeva il Paese è andato in frantumi"

CLICHY-SOUS-BOIS. «Eccoli, i bastardi, appena usciti dalla fortezza». Fariz dà un calcio alla lattina in terra mentre passa la volante. Alza il cappuccio, piove e soffia il solito vento micidiale di Clichy, un altipiano esposto alle intemperie, quasi fosse un´altra punizione divina. Fariz ha 14 anni, ripete il ginnasio con scarse probabilità di passare, l´anno prossimo è fuori. S´infila tra due Hlm, le grandi torri di case popolari. Un presente di spaccio e piccoli espedienti. «Sono in deal, in affari, e anche se i keufs, i poliziotti, mi mettono alla cage, in prigione, tanto sono minorenne. Un mio amico è già entrato e uscito cinque volte».
Racaille, feccia, cinque anni dopo. Ragazzini come Fariz avvampati di odio, uguali ad allora. «Se ci provocano, li sfondiamo» dice indicando il nuovo commissariato, avamposto della République in terra ostile. A Clichy-sous-Bois due abitanti su tre sono di origine straniera. Uno su tre è disoccupato, il 75% della popolazione è considerato indigente e vive di sussidi. Appena quindici chilometri da Parigi, un´ora e mezza di trasporti. Guardando la "fortezza" si capisce che la rivolta è solo in sonno. Da qualche giorno, centocinquanta poliziotti si sono stabiliti qui per presidiare la periferia che ha lanciato gli scontri del 2005 in tutto il paese: ventuno notti di assalti alle forze dell´ordine, diecimila auto incendiate, tremila fermati, finché è calato il coprifuoco. Da allora è tregua armata. E un lento ritorno alla normalità. Il commissario capo, Olivier Simon, manda via i giornalisti. «Non posso dire nulla». Una parola di troppo può diventare dinamite.
Anche Muhittin Altun è costretto al silenzio. Racaille, pure lui. Il 27 ottobre 2005 voleva sfuggire a un controllo della polizia. Insieme agli amici Zyed e Bouna si è nascosto in una centrale elettrica. Loro sono morti fulminati, lui è vivo per miracolo. Zyed e Bouna, 17 e 15 anni, sono diventati il simbolo della rivolta. Ancora oggi i loro nomi sono dentro ai rap, sui graffiti, negli slogan dei casseurs che manifestavano qualche giorno fa nei cortei contro le pensioni. Muhittin è caduto in grave depressione, è sotto psicofarmaci. Non sa se riuscirà ad andare alle commemorazioni di oggi. A Clichy, anche sopravvivere può diventare una colpa. «Cinque anni per avere giustizia sono un tempo interminabile» spiega Siaka Traoré, fratello maggiore di Bouna. Venerdì scorso i poliziotti coinvolti nell´incidente sono stati rinviati a giudizio per omissione di soccorso. Hanno visto entrare i ragazzini nella centrale ma non hanno dato l´allarme. Quel giorno, alle 18.52, il blackout a Clichy-sous-Bois ha annunciato la tragedia in corso. Gli avvocati chiederanno la diretta televisiva per il processo. Non è ancora detta l´ultima parola: la procura ha fatto ricorso sul rinvio a giudizio.
«La riconciliazione passa anche attraverso la verità sulla morte di Zyad e Bouna». Claude Dilain fino a quarant´anni ha fatto il pediatra poi, nel 1995, è diventato il sindaco socialista di Clichy-sous-Bois. All´epoca, le cose andavano già molto male. «L´odio», il film di Matthieu Kassovitz ambientato in una periferia-ghetto, è di quell´anno. Durante gli scontri, Dilain dormiva di giorno e vegliava di notte. «La rivolta può scoppiare di nuovo, in qualsiasi momento». Il 70% dei giovani non ha votato alle ultime elezioni, la criminalità organizzata è sempre più radicata nelle banlieues. «L´altro segnale preoccupante è il ripiego sull´identità religiosa e culturale». Giovani donne velate, famiglie poligame. «I figli o nipoti degli immigrati hanno preso atto del fallimento dell´integrazione nella società francese».
Arrivando in macchina da Parigi, l´orizzonte è puntellato da gru gialle e rosse. Clichy è diventata un enorme cantiere. Millecinquecento nuove case sono state costruite al posto di quelle vecchie e fatiscenti. I finanziamenti per il rinnovo urbano sono l´unica novità visibile del famoso "Piano Marshall" che Nicolas Sarkozy ha promesso. «Noi chiediamo educazione e lavoro. Il nostro futuro non è fatto solo di muri puliti». Samir Mihi, 33 anni, era amico di Zyad e Bouna e ha fondato l´associazione "Au delà des mots". Il tasso di disoccupazione tra i giovani supera il 40%, e non esiste un ufficio di collocamento. «Sul curriculum racconta Samir nessuno di noi scrive il vero indirizzo. Dal 2005 Clichy è sinonimo di racaille».
Quegli scontri sono una pesante eredità. «Ma almeno la Francia non ignora più la nostra situazione», commenta Claude Dilain. Il sindaco di Clichy guida l´associazione dei 120 comuni cosiddetti "sensibili". La banlieue è la vera frontiera. Ogni anno circa 200mila stranieri si stabiliscono in queste città satelliti. «Il patto sociale sul quale ci siamo costruiti negli ultimi due secoli è andato in frantumi. E nessuno ne vuole discutere davvero». È la storia di un tipo che cade da un palazzo di cinquanta metri, diceva il protagonista de «L´odio». Fino a qui tutto bene. Ma l´importante non è la caduta. È l´atterraggio.


Repubblica 27.10.10
L’ex calciatore Lilian Thuram
"Nuove rivolte? Basta poco perché esplodano"

PARIGI «Non credo che il presidente Sarkozy abbia cambiato idea sulle banlieues. Vuole dividere per imperare». Da quando non gioca più, Lilian Thuram è diventato una persona seria e impegnata. La sua fondazione contro il razzismo pubblica libri, organizza conferenze e progetti nelle scuole: 5 anni fa, l´ex calciatore aveva criticato l´allora ministro dell´Interno per aver definito i giovani di banlieue "racaille". Sarkozy aveva risposto che, «con il suo stipendio», Thuram non aveva diritto di parlare per la banlieue.
Dopo quella lite vi siete incontrati?
«Sarkozy mi ha voluto vedere. Ma le sue giustificazioni hanno peggiorato la situazione. Ha cercato di convincermi che i problemi della banlieue sono causati dai neri e dagli arabi. Io gli ho fatto notare che esistono delinquenti, e basta. Il colore della pelle non c´entra. Pensare che i ‘neri´ siano una categoria di individui tutti uguali è semplicemente un pregiudizio razzista».
Cinque anni dopo, alcune banlieues di Parigi sono ancora dei ghetti.
«Non mi piace parlare di ghetti perché è una situazione che riguarda la società francese nel suo insieme. Le persone che abitano in banlieue sono discriminate in quanto povere, non perché immigrate. Qualche decennio fa, venivano emarginati gli italiani, i cosiddetti ‘ritals´, anche se avevano lo stesso colore di pelle: in quel momento, erano gli immigrati più poveri».
La rivolta dei giovani potrebbe riesplodere?
«Basta mettere un po´ di olio sul fuoco, ed ecco la fiammata. Lo abbiamo visto nel 2005. Oggi le discriminazioni si stanno rafforzando con la crisi economica. E´ scattata la ricerca di un capro espiatorio, per distogliere l´attenzione dai problemi veri: l´accesso all´educazione, il diritto alla casa, l´occupazione. Siccome i governi sono incapaci di rispondere alla domanda di giustizia sociale nelle banlieues, parlano di problemi di sicurezza o dell´immigrazione».
Da quando Sarkozy è diventato presidente, è più pompiere o piromane?
«Ha tentato di dividere il paese con il suo dibattito sull´identità nazionale, anche se per fortuna ha avuto scarso successo. La sua proposta di decadenza della cittadinanza rafforza il razzismo di Stato. Ma attenzione: discriminazione e ingiustizia sociale vanno di pari passo. Quando venne approvato il ‘codice nero´ per gli schiavi delle colonie, venne istituita anche la servitù per i francesi». (a. g.)

Corriere della Sera 27.10.10
Diplomazia tedesca sotto accusa
Un ruolo attivo nella Shoah
di Danilo Taino
qui
http://www.scribd.com/doc/40213919

Corriere della Sera 27.10.10
Esce da Bompiani la raccolta degli articoli pubblicati tra il 1944 e il 1947. La lotta di liberazione e il dialogo tra i popoli
Camus vincere senza farsi odiare
La Resistenza, la Francia, l’Algeria, moniti di una voce profetica tra guerra e dopoguerra
di Albert Camus
http://www.scribd.com/doc/40213058/Corriere-Della-Sera-27-Ott-2010-Page-37

Corriere della Sera 27.10.10
Economia tra etica e cultura
Diritto e mercato, un dialogo dall’antica Grecia alla grande bolla
di Dino Messina
qui
http://www.scribd.com/doc/40213187/Corriere-Della-Sera-27-Ott-2010-Page-39

Corriere della Sera 27.10.10
Adamo primo illuminista
Il sapere è rivoluzionario
Libertà, tolleranza, democrazia: per una storia dell’umanità
di Mario Andrea Rigoni
qui
http://www.scribd.com/doc/40212888

Corriere della Sera 27.10.10
Cinismo disinteresse volgarità in questo Paese che non c’è
di Tullio Gregory
qui
http://www.scribd.com/doc/40212975

il Riformista
La condanna a morte di Tareq Aziz
Per Catherine Ashton è «inaccettabile» Pannella fa lo sciopero di fame e sete
di Anna Mazzone
qui
http://www.scribd.com/doc/40213538/il-Riformista-27-10-10-p3