l’Unità 13.10.10
Patto di consultazione permanente sul programma, il candidato premier scelto dagli elettori
Beppe Fioroni: «L’incontro sancisce il principio delle primarie per scegliere il candidato premier e pone la centralità di Vendola sul piano progettuale»
Vincenzo Vita: «È di grande importanza l`incontro, andato positivamente tra Bersani e Vendola. E`un passo importante, non sia una ventata effimera»
Riccardo Nencini: «Bene la consultazione con Vendola, ora però bisogna accelerare i tempi e convocare subito un tavolo del nuovo Ulivo per mettere a punto un programma»
Walter Verini: «L’incontro è utile soprattutto dopo le polemiche dei giorni scorsi e l'impressione di una certa incomunicabilità»
Paolo Ferrero: «Il colloquio tra Vendola e Bersani ha superato lo scoglio delle primarie che ha sin'ora reso impossibile il confronto politico»
Bersani-Vendola, pranzo con primarie e alleanze
Al ristorante romano San Teodoro, Bersani e Vendola concordano su un patto di consultazione sul programma e sulle primarie. «Salviamo il Paese dai danni del berlusconismo». A Novembre la mobilitazione Pd.
di Simone Collini
Il «patto» prevede una consultazione permanente sul programma, le primarie per scegliere il candidato premier e un governo di transizione per cambiare la legge elettorale. Pier Luigi Bersani e Nichi Vendola lo siglano durante un pranzo al ristorante San Teodoro, nel cuore di Roma. L’incontro doveva rimanere riservato, anche per non rendere più complicato un avvicinamento con l’Udc che è già tutto in salita. E invece i due dopo aver fatto fuori panzanella all’astice, insalata di polipo, alici marinate e ricciola al forno, si trovano di fronte a un gruppetto di giornalisti. Non gli resta che fare buon viso a cattivo gioco, e spendersi mediaticamente il faccia a faccia ormai reso noto per dare il senso di una ritrovata unità, dopo le polemiche a mezzo stampa delle ultime settimane: «Il Pd vuole mettere in sicurezza la democrazia con tutti quelli che ci stanno e costruire un’alternativa di governo a partire dalle forze del centrosinistra che sono pronte a stringere un patto di governo per il cambiamento», spiega Bersani guardando al possibile voto in primavera e definendo il colloquio con Vendola «molto positivo, bello e utile».
VIA AL CANTIERE DEL CENTROSINSITRA
Messaggi lanciati all’elettorato sia del Pd che di Sinistra e libertà, che stando ai sondaggi che settimanalmente arrivano al Nazareno mal sopportavano il clima generato da alcuni scambi polemici. Dice ora Bersani: «Siamo intenzionati a costruire insieme un cantiere per l’alternativa, un patto di consultazione su un progetto per il Paese». E Vendola: «Abbiamo il dovere di incontrarci, parlarci, mettere in campo una strategia per salvare il Paese dai danni del berlusconismo».
Bersani durante il pranzo difende le ragioni del Nuovo Ulivo, e Vendola pur dicendo che c’è un problema nominalistico perché giudica un errore richiamarsi a «formule del passato» non chiude del tutto all’ipotesi di Bersani di dare anche una struttura e un’organizzazione al «cantiere»: «Possiamo chiamarlo in tanti modi dice il governatore pugliese conta la sostanza».
SÌ ALLE PRIMARIE E NIENTE VETI
L’incontro serve ai due anche a darsi reciproche rassicurazioni su questioni che stanno loro a cuore. Bersani e Vendola concordano che il candidato premier del centrosinistra verrà scelto attraverso primarie di coalizione. «Saranno i cittadini a decidere chi meglio può sconfiggere Berlusconi», dice Bersani. Per il segretario del Pd si tratta di un modo per rendere chiaro che tutti quelli che intendono candidarsi, aspiranti “papi stranieri” compresi, dovranno sottoporsi al meccanismo delle primarie. Bersani ottiene anche da Vendola non solo un’apertura nei confronti dell’Udc «io non metto veti ad altri, chi vuole portare valore aggiunto al cantiere del centrosinistra è benvenuto», dice il leader di Sel ma anche la rassicurazione sul fatto che la sinistra radicale non griderà allo scandalo se il Pd riuscirà a dar vita a un governo tecnico o «di scopo», come dice Vendola insieme a finiani, centristi ed altri interessati a cambiare la legge elettorale.
IL GELO DELL’UDC
Bersani vedrà la prossima settimana anche il leader dell’Idv Di Pietro, quello dei socialisti Nencini e quello dei Verdi Bonelli. Il segretario del Pd intende dar vita insieme a queste forze al Nuovo Ulivo, per cercare poi di stringere l’alleanza anche con l’Udc. «Allargare e aggregare» è l’obiettivo che si è messo in testa Bersani. Che per ora incassa il silenzio di Casini e le battute ironiche di Buttiglione («la ricostituzione del Pci non è il nostro cammino»), ma punta sulle proposte programmatiche del Pd che verranno veicolate col porta a porta di novembre (week-end del 13, 20 e 27) per convincere i centristi quantomeno ad avviare un confronto che parta dal merito dei problemi del paese. Anche perché, dice Bersani, da Berlusconi potrebbero arrivare «colpi bassi» di qualunque tipo e sarebbe un errore concedergli il vantaggio di avere contro un fronte diviso.
Corriere della Sera 13.10.10
Il segretario e il governatore a confronto
Smarcarsi da D’Alema «fare pace» con il Pd Gli obiettivi incrociati
di Maria Teresa Meli
Il giudizio di Casini «È naturale che Bersani guardi in quella direzione. Le nostre strade nel breve periodo non s’incontrano. In futuro chissà»
ROMA — Loro — Pier Luigi Bersani e Nichi Vendola — sostengono che l’incontro doveva rimanere segreto. Ma allora perché fissarlo a pranzo in un ristorante del centro della Capitale frequentato dalla politica e dall’imprenditoria? La verità è che non era la riservatezza l’assillo dei due. Sono altri i problemi del segretario del Pd e del governatore della Puglia: possono risolverli dandosi una mano l’un l’altro.
E il fatto che quel confronto conviviale sia stato «miracolosamente» scoperto, in realtà, giova ad entrambi. A Bersani, che vuole dimostrare di muoversi come un leader che intesse alleanze e rapporti in prima persona e in perfetta autonomia, senza bisogno del «padrinaggio» politico di Massimo D’Alema. A Vendola perché per avere successo alle primarie deve conquistare una fetta del popolo del Partito democratico e, quindi, meglio per lui riappacificarsi con il segretario del Pd, dopo averlo definito un’anima morta non più tardi di qualche giorno fa.
A tavola, mentre il Sauvignon scorreva con moderazione, i due hanno affrontato gli argomenti che più premevano a entrambi. Il leader del Pd, con un partito che negli ultimi sondaggi oscilla intorno al 26 per cento, ha alla sua sinistra una galassia attestata tra il 18 e il 20 per cento, per la maggior parte composta da personaggi ingestibili. Tale non è Vendola, con il suo 5 per cento. In fondo, il numero uno della Sel viene dallo stesso partito di Bersani ed è uno che si è fatto le ossa amministrando una regione, non scendendo in piazza o cavalcando l’anti-politica. Con lui si può discutere senza temere brutti scherzi.
Ecco uno dei motivi — non il solo, ovviamente — che hanno spinto Bersani ad accettare l’incontro chiestogli da Vendola. L’altro è la legge elettorale. Il segretario, a tavola, mentre affrontava l’ennesima portata di pesce, ha lasciato intendere al suo interlocutore di non essere troppo ottimista circa la possibilità di metter su un governo d’emergenza con Udc e Fli nel caso in cui Berlusconi cada. Ma ha spiegato che è intenzione del Partito democratico provare a tutti i costi e in ogni modo a riformare la legge elettorale. Con chiunque, finiani inclusi, ovviamente. E ha chiesto a Vendola, che aveva contestato nei giorni scorsi questa prospettiva, di non attaccarlo più su questo tema, insomma di non mettergli i bastoni tra le ruote.
Il governatore della Puglia ha acconsentito. Anche su un eventuale governo non solleverebbe obiezioni e non polemizzerebbe, a patto, però, che sia di «scopo», «cioè che serva solo per fare la legge elettorale», non «tecnico», «perché un esecutivo del genere finirebbe per occuparsi anche di politica economica». In cambio, Vendola ha strappato le primarie: «Voglio la garanzia che si tengano tre mesi prima delle data delle elezioni, che siano sul candidato premier e non sul programma, come qualcuno ha proposto. So che nel Pd c’è chi non le vorrebbe, ma secondo me sono una condizione essenziale». E Bersani ha dato il suo ok. In fondo le primarie sono un passaggio che serve anche a lui per dimostrare di essere l’unico vero leader del Partito democratico. Di gentilezza in gentilezza, Vendola ha assicurato che per lui «non ci sono veti nei confronti dell’Udc».
A quel pranzo con vista sui Fori c’era un convitato di pietra. Quel D’Alema che non ha ancora perdonato a Vendola le primarie pugliesi. Quel D’Alema che, ironizzando sul governatore, è solito dire: si crede di essere l’Obama bianco. Ma ci sono altri esponenti del Partito democratico a cui Bersani dovrà spiegare il perché di quel patto di san Teodoro (questo, il nome del ristorante) con il governatore pugliese. C’è il suo vice Enrico Letta, per esempio, che aveva promesso: mai con Vendola e Di Pietro. E c’è Marco Follini, ormai in procinto di andarsene.
Per quanto possa sembrare paradossale, i meno stupiti per questo pranzo sono quelli dell’Udc. Pier Ferdinando Casini se l’aspettava. E ai suoi ha spiegato: «Era naturale che Bersani facesse questo percorso, cercando alla sua sinistra. Del resto, le nostre strade nel breve e nel medio periodo non possono incontrarsi, e questo lo penso ancor prima di quell’incontro. Per intenderci, se ci sono elezioni a marzo ognuno andrà per conto proprio. Nel lungo periodo, invece, chissà...».
il Riformista 13.10.10
B&V, patto su governo tecnico e primarie
Il leader Pd incassa il disco verde sull’esecutivo «di scopo» per cambiare la legge elettorale e per trattare con Casini. «Nichi» lo sfiderà per la premiership
di T. L.
qui
http://www.scribd.com/doc/39233351
il Fatto 13.10.10
Bersani - Vendola. Primarie per pranzo
Faccia a faccia in un ristorante: “Patto per un’alleanza vera” E così il leader Pd stoppa il “Papa straniero” e mette all’angolo Veltroni e D’Alema
di Luca Telese
E dire che nulla era preventivato. Si incontrano al funerale degli alpini, quasi per caso, a un tratto si ritrovano fianco a fianco.
Non erano certo un idillio, fino a ieri i rapporti tra Nichi Vendola a Pier Luigi Bersani. Il governatore della Puglia si era candidato alle primarie, questa estate e il segretario del Pd aveva risposto gelido: “È una scelta prematura”. Da allora pochi confronti diretti, tanti scambi di fendenti a distanza, e persino qualche malinteso. Poi, ieri, quello scambio di sguardi severi, un sorriso che scappa a entrambi. E una battuta che rompe il ghiaccio: “Che dici, ci parliamo?”.
S. TEODORO A SORPRESA
All’ora di pranzo, finite le esequie, i due leader si ritrovano a tavola insieme. Con Vendola c’è Ciccio Ferrara, ex deputato di Rifondazione, organizzatore e demiurgo di Sinistra e libertà. La notizia viene battuta in tempo reale da Dagospia e i cronisti che accorrono davanti al locale non appena leggono: “In questo momento Nikita Vendola e Culatello Bersani sono attovagliati al ristorante San Teodoro...”. All’uscita, di fronte a un folla di taccuini i due improvvisano una conferenza stampa volante non programmata e il segretario del Pd conferma la notizia bomba: “Faremo le primarie”. Ma prima di sviscerare i tanti contenuti politici del pranzo, va raccontato qualcosa di più. La mossa di Bersani ha spiazzato, per primi, i maggiorenti del suo partito.
MAGGIORENTI SPIAZZATI
Alla Camera, quando Walter Veltroni incontra Vendola e viene informato del pranzo resta quasi di sale (forse non se lo aspettava). E Piero Fassino deve incassare la frasi durissime del segretario contro l’ipotesi dei bombardamenti in Afghanistan (così nette che sembrano una sconfessione). D’Alema dovrà mandare giù l’apertura di un rapporto preferenziale con la sua bestia nera. Insomma, mentre a prima vista è Vendola che incassa il successo politico delle consultazioni per la leadership che nessuno considerava possibili solo tre mesi fa (arriva al congresso del suo partito potendo vantare il trofeo delle primarie), anche il segretario del Pd mette a segno un colpo importante: ritorna dominus del Pd, principale candidato, fa sponda con il leader di Sinistra e libertà per tagliare le gambe all’ipotesi del “papa straniero” che secondo i suoi uomini è (da Roberto Saviano a Alessandro Profumo) il principale obiettivo dei veltroniani. Alla fine del pranzo di San Teodoro si annuncia addirittura un patto di “reciproca consultazione”, termini da vocabolario diplomatico nell’Europa della grandi potenze. Non a caso.
GOVERNISSIMO NO
Ma cosa c’è sul tavolo del possibile accordo tra Sel e Pd? “Se facciamo un governo non posso avere qualcuno che da sinistra mi spara contro tutti i giorni”, dice Bersani. “Se si fa un governo ribatte Vendola non può avere un obiettivo diverso e più largo dalla riforma della legge elettorale, altrimenti la gente si arrabbia. E, soprattutto, il governo non può avere una durata indefinita”. Come lo chiamiamo, allora? “Un governo di scopo”. Ovvero, come spiega Vendola, un “governo che fa la legge elettorale, solo quello e se ne va subito a casa”. Poi si passa al tema centrale, l’alleanza. Il segretario del Pd parte dall’analisi della situazione di difficoltà del governo Berlusconi: “È una crisi democratica convengono i due ma anche una crisi sociale”. Spiega Bersani: “È possibile che si voti già a marzo, bisogna mettere subito in campo un telaio intorno a cui costruire la coalizione”. Vendola annuisce: “Sono d’accordo, è la stessa cosa che voglio io”. Bersani: “Ma se è così non si possono mettere veti al centro”. Vendola: “Non si possono mettere veti, ma nemmeno subirli”. Si parla di Fini: il leader di Sinistra e libertà spiega che secondo lui non conviene né al centrosinistra, né a Futuro e libertà una alleanza elettorale. Bersani non dice un no drastico, ma fa capire che è d’accordo. Il che è un colpo per i “terzopolisti” come Enrico Letta, che non facevano mistero di avere in mente una strategia molto netta: allearsi con Udc e finiani e scaricare dipietristi e Sel. Vendola invece dice: “Non possiamo ripetere nulla che faccia pensare al passato, o ai riti di coalizione tradizionali. Dobbiamo inserire la società civile, le forze fresche che ci sono”. In serata, interrogato da Enrico Mentana, Bersani si sbilancia su questo nodo delicatissimo. “Quali sono chiede il direttore del Tg de La7 le colonne d’Ercole dell’alleanza che state per costruire? Vendola e Di Pietro a sinistra del Pd?”. Bersani sorride: “Sì, è così”. Il leader del Pd poi è più netto ancora: “Con Ferrero e Diliberto ci siamo già detti le cose in modo chiaro: dal punto di vista di governo dice Bersani abbiamo già dato”.
LA MOSSA DEL CAVALLO
Insomma, in un momento in cui i sondaggi davano il Pd in caduta libera, il partito parlava con mille voci, Bersani stupisce tutti con una mossa del cavallo che spiazza i suoi rivali, ma lo ricolloca, indubbiamente, al centro della scena. Costruendo un patto di ferro con quello che fino a ieri era considerato il principale nemico, Bersani costringe i suoi antagonisti nel Pd a uscire allo scoperto o ad allinearsi. Punta tutte le sue carte sulla nuova coalizione (che adesso prende forma) e sulle primarie. Il sottointeso del pranzo con Vendola è questo: i due principali sfidanti saranno loro due. E chi vince, di fatto, appoggerà l’altro. Il che, però ha una conseguenza politica enorme nel dibattito che in queste ore correva sottotraccia nelle fila dell’opposizione: le primarie tagliano le gambe all’ipotesi del “papa straniero”, che certo non è attrezzato per una competizione nazionale, dura e capillare, come un voto di tutti gli elettori del centrosinistra in tutta Italia. Questa scelta, poi pone un vincolo anche all’Udc. Se Casini vuole stare nella nuova coalizione, deve accettare che la sinistra e il Pd possano assumerne la leadership. "Quello che io chiamo Nuovo Ulivo spiega ancora Bersani da Mentana deve rivolgersi all’Udc e vedere se ci sono le condizioni per un patto di governo”.
LA STRATEGIA DI SEL
Anche per Vendola, ovviamente, questa giornata cambia la prospettiva: a Firenze il suo discorso di apertura sarà il primo vero intervento da possibile premier. Non più da governatore della Puglia, non più da outsider, come questa estate, a Bari. Solo alle europee il suo partito era al 3.3%. Adesso tutti i sondaggilodannofrail5eil6%.Damesiil leader di Sinistra e libertà ha dato dei ritocchi impercettibili, ma sensibili alla sua immagine. Ha girato tutti i principali programmi politici (la prossima tappa è Exit). Ha spiegato che il grillismo “è un patrimonio”, ma che “non può affidarsi al vocabolario dell’ingiuria e del massimalismo”. Ha difeso la sua giunta dalle critiche sulle pale eoliche e sugli inceneritori che gli arrivano da posizioni ecologiste integrali: “Sono diventato il primo produttore di energie rinnovabili!”. Sempre più lontano da qualsiasi cliché antagonista, sempre più un leader radicale (e) riformista. Solo i prossimi giorni diranno come si muoveranno gli altri attori che contano sulla scena: a sinistra Antonio Di Pietro. Nel Pd D’Alema e Veltroni. Dice Vendola: “Non entro nel Nuovo Ulivo, le formule mi interessano poco ma dobbiamo mettere da parte polemiche amplificate in modo malizioso e impegnarci per salvare l’Italia”. Conclude Bersani: “Non ci siamo detti che ci candideremo, non mettiamo il carro davanti ai buoi, dopo il governo tecnico si andrà rapidamente al voto e allora con le primarie i cittadini diranno chi meglio può sconfiggere Berlusconi”. Per ora incassano entrambi. Alla fine vincerà uno solo.
Corriere della Sera 13.10.10
Vendola e Idv con le tute blu Cgil. Imbarazzo nel Pd
Nerozzi e Cofferati sabato alla manifestazione. L’ex ministro Treu contrario
Rischio infiltrazioni A preoccupare il sindacato è la possibile infiltrazione di elementi violenti da movimenti non controllabili
ROMA — «Penso che sabato in piazza San Giovanni saremo molti più del previsto», dice Paolo Nerozzi, senatore del Pd, già segretario confederale della Cgil, spiegando che lui alla manifestazione della Fiom ci andrà «anche perché condivido le posizioni di Maurizio Landini», il leader dei metalmeccanici Cgil. Come Nerozzi, in piazza ci sarà Sergio Cofferati, ex segretario generale della Cgil, ora europarlamentare del Pd, anche se il partito di Pier Luigi Bersani non sembra orientato a dare un’adesione formale alla manifestazione. Che, a ben vedere, non potrebbe neppure dare senza scontentare tutta la parte margheritina. Dice per esempio l’ex ministro del Lavoro, Tiziano Treu, da sempre vicino alla Cisl: «Sono contrario a partecipare a questa manifestazione che, anche se verrà conclusa dal segretario della Cgil Guglielmo Epifani, è pur sempre una iniziativa della Fiom». Chi invece non ha dubbi sul correre sabato a riempire piazza San Giovanni sono l’Italia dei valori di Antonio di Pietro, Sinistra ecologia e libertà di Nichi Vendola e tutte le formazioni della sinistra extraparlamentare, oltre a decine di centri sociali, movimenti no global e antagonisti che da settimane stanno animando il tam tam su Internet. Il punto quindi non è tanto quanti saranno in piazza, ma chi saranno.
Maurizio Zipponi, responsabile Lavoro dell’Idv, con una lunga carriera nella Fiom alle spalle, pur premettendo che il suo partito «non vuole appropriarsi della manifestazione», spiega che tutti i militanti dell’Idv sono stati invitati a partecipare e che 10 mila manifesti a sostegno della Fiom sono stati affissi a Roma. E per avere un’idea della mobilitazione del partito di Vendola basti dire che il congresso Sel della provincia di Roma, dal 14 al 18 ottobre, nel programma di sabato 16 indica alle ore 14 la partecipazione alla manifestazione della Fiom. Ma a preoccupare la Cgil non è l’Idv né Sel, bensì la possibile infiltrazione di elementi violenti da movimenti non controllabili. Rischio che Zipponi già mette in conto addirittura al ministro del Lavoro: «È Sacconi l’unico che sta incentivando l’odio, la divisione e la demolizione dei diritti».
l’Unità 13.10.10
Il futuro dell’Europa? Inizia a scuola
di Luigi Berlinguer
E ducare non è riempire un secchio, ma accendere un fuoco». La profonda semplicità della frase di William B. Yeats è stata tradotta in didattica da alcune scuole italiane ed europee. Alcune esperienze di questa nuova scuola saranno raccontate dai protagonisti domani a Modena in un convegno internazionale promosso dal Gruppo dei Socialisti e Democratici che sarà concluso da Pier Luigi Bersani. Non mi dilungo (per informazioni: www.luigiberlinguer.it). Obiettivo dell’incontro è contribuire al dibattito europeo sull’avvenire del progressismo avviato dai laburisti e intrecciata con la dottrina sociale cristiana. La sinistra non vince in Europa perché la sua identità è invecchiata e difensiva. È il momento di innovare strategie e politiche. Non è questa, del resto, la sfida del Pd?
Nella società della conoscenza, lavoro e sapere sono due facce della stessa medaglia. Una società solidale di liberi, di uguali, di responsabili si fonda sull’intreccio indissolubile tra sapere e lavoro. Lo aveva intuito, con preveggenza, un italiano europeo: Bruno Trentin. Oggi chi sa è libero, chi non sa dipende da altri. Chi sa migliora la qualità del suo lavoro ed è in grado di affrontare meglio la vita. La sintesi tra sapere e lavoro è alla base della promozione umana. In questo nesso c’è il diritto e la libertà individuale di scegliere il proprio lavoro e la propria vita, di seguire la propria vocazione. La cultura è volano di promozione sociale e sviluppo complessivo. Come il socialismo voleva spezzare le catene dell’antico servaggio, così oggi una forza di progresso deve rompere quell’automatismo reazionario secondo il quale più quantità di studenti vorrebbe dire meno qualità con il corollario di cercare di restaurare un passato fondato sul privilegio e di indentificare il merito (benemerito, sempre) con la selezione. La cultura del lavoro deve permeare di sé l’insieme dei percorsi educativi, diventando parte della education che segue il metodo scientifico-sperimentale in un percorso di autonomia. Se si segue la propria vocazione, si studia meglio, si apprende di più. La scuola di tutti è la scuola della qualità, capace di formare a livelli più alti il cittadino-professionista, di qualificare l’homo oeconomicus. Stiglitz e Touraine hanno spiegato come, nelle società evolute, più si sviluppa l’equità sociale più cresce la ricchezza. È l’attenzione all’individuo che fonda le nuove dinamiche tra education e lavoro. Quindi una scuola non più trasmissiva né chiusa nelle mura delle aule, ma aperta, contaminata dall’esterno. Si apprende sempre: il 70% fuori dalla scuola. Occorre allora portare l’informale (internet, ad esempio) nel formale. Così la scuola diventa stimolo permanente, insegna a scegliere, forma cittadini pronti ad affrontare la vita. Così si accende il fuoco.
l’Unità 13.10.10
Quattro anni dopo Welby
Eutanasia: e se provassimo a discutere?
di Carlo Troilo
Sono passati quattro anni da quando il Presidente Napolitano, rispondendo alla lettera di Pier Giorgio Welby che chiedeva «di poter ottenere l’eutanasia», auspicò su questo tema «un confronto politico nelle sedi più idonee, perché il solo atteggiamento ingiustificabile sarebbe il silenzio». Invece di cogliere questa significativa apertura del Capo dello Stato, noi laici ritenemmo più realistico rinviare a tempi migliori il discorso sull’eutanasia e puntare ad introdurre nella nostra legislazione il testamento biologico. Una scelta sbagliata, visto che dopo quattro anni la Camera dei Deputati si accinge ad approvare una legge in aperta violazione dell’articolo 32 della Costituzione («Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario»): in realtà, una vendetta postuma per come si è conclusa la vicenda di Eluana Englaro
Così, l’Italia è il solo Paese del mondo occidentale dove non si può fare un testamento biologico e dove di eutanasia non si può nemmeno parlare, mentre Svizzera, Olanda e Belgio l’hanno legalizzata, la Spagna la introdurrà entro il 2012 e negli altri tre grandi Paesi comparabili con l’Italia (Francia, Germania e Gran Bretagna) se ne discute in tutte le sedi politiche, le Chiese non interferiscono e i giudici assolvono regolarmente quanti aiutano a morire i propri congiunti malati terminali.
Eppure, si tratta di un dramma molto più frequente di quanto si creda. Nel 2004 dopo il suicidio di mio fratello Michele, malato terminale di leucemia resi pubblici i dati dell’Istat secondo cui ogni anno mille malati terminali, non potendo ottenere l’eutanasia, si suicidano nei modi più atroci. E Mario Riccio, il medico di Welby ha spiegato di recente che in Italia si verificano negli ospedali migliaia di casi Welby ed Englaro.
Questa arretratezza in materia di scelte di fine vita, che colloca l’Italia fuori dall’Europa sui temi “eticamente sensibili”, riguarda anche altre questioni di notevole rilievo morale e sociale. Ricordo le due principali: la pessima legge 40 sulla procreazione assistita e la mancanza di una legge sulle coppie di fatto, etero ed omosessuali, benché il loro numero raddoppi ogni anno.
Vorrei fare appello ai leader del centro sinistra ma anche a quei parlamentarli del Pdl che hanno sempre invocato, su questi temi, la libertà di coscienza perché non considerino “minori” le tematiche della laicità dello Stato e dei diritti civili. C’è bisogno dell’impegno di tutti per dar vita, come negli anni settanta, a una nuova stagione di conquiste civili che ponga fine alla “diversità” dell’Italia e la riporti nel contesto europeo.
l’Unità 13.10.10
Sciopero delle rotonde Come ripartire dopo la manifestazione
Come già sanno i lettori de l’Unità, in Campania l’8 e il 9 ottobre si sono svolte due giornate di mobilitazione in difesa dei diritti dei braccianti stranieri. Quanto è accaduto merita una riflessione. Innanzitutto lo «sciopero delle rotonde»: la presenza degli immigrati, cioè, nei luoghi di reclutamento del lavoro giornaliero da parte dei «caporali» con un cartello al collo: «non lavoriamo per meno di 50 euro».
Ventisei le rotonde presidiate e 1500 i braccianti coinvolti. Una sola nota negativa: l’assenza del sindacato che tramite uno dei suoi dirigenti più autorevoli ha dichiarato che quell’azione rischiava di «legittimare il caporalato». Un’argomentazione totalmente priva di fondamento alla luce anche del corteo che si è svolto a Caserta: 2500 migranti che chiedevano la regolarizzazione degli irregolari, presupposto ineludibile per un qualsiasi contratto di lavoro.
A dire il vero questa polemica sindacale ha ricalcato quanto già successo in occasione del primo marzo 2010 «sciopero degli immigrati», quando i sindacati hanno rifiutato l’organizzazione di momenti significativi di astensione dal lavoro per ripiegare su più simboliche manifestazioni. Ma la mobilitazione di chi vede ogni giorno lesi i suoi diritti di lavoratore e di cittadino, continua. Gli immigrati si autorganizzano e trovano altri interlocutori: la Chiesa locale (comboniani e Caritas), l’Associazione radicale di Caserta, il centro sociale ex canapificio, il senatore radicale Marco Perduca. Da qui, pazientemente, si può ripartire.
il Fatto 1.10.10
L’ossequio dello Stato alla Chiesa ci costa 2 miliardi l’anno
Dall’Unione europea il rischio di una procedura d’infrazione per i soldi non riscossi dell’Ici: concorrenza distorta
di Giampiero Gramaglia
L’ossequio di Stato alla Chiesa cattolica costa all’Italia milioni di euro ogni anno d’entrate perdute e, adesso, le vale pure il fastidio di un’“indagine approfondita” della Commissione europea, in quella che potrebbe tramutarsi nella tappa d’avvio d’una procedura d’infrazione, con il rischio di finire davanti alla Corte dell’Ue e di dovere poi cambiare le norme. Ma non ci siamo ancora arrivati. Per il momento, l’esenzione dall’Ici concessa ai beni della Chiesa, come ad altre entità “non commerciali” le associazioni sportive dilettantistiche -, è finita sotto la lente d’ingrandimento dell’Esecutivo comunitario. La decisione di avviare l’indagine è stata formalizzata ieri dalla Commissione, riunita a Bruxelles, su proposta del responsabile della concorrenza Joaquin Almunia, dopo che i suoi funzionari avevano maturato il sospetto che le agevolazioni fiscali possano configurarsi come aiuti di Stato illegali, perché incompatibili con le norme dell’Ue sul funzionamento del mercato unico.
AL TERMINE della riunione, fonti dell’Esecutivo hanno precisato che, “in questa fase, la Commissione ritiene, in particolare, che gli immobili in questione potrebbero essere usati anche per attività commerciali e che tali esenzioni fiscali potrebbero pertanto distorcere la concorrenza”. Certo, non sarebbe la prima volta che un tempio diventa un mercato. Già Gesù Cristo, che di poteri ne aveva molti di più d’Almunia, se ne inquietava con vigore, ai tempi suoi, senza peraltro si direbbe riuscire a risolvere il problema una volta per tutte. E anche la Commissione ci sbatte contro da anni: dal 2006, il dossier sugli sconti Ici riconosciuti dall’Italia alla Chiesa passa da una scrivania all’altra della direzione per la concorrenza. Per ben due volte nel 2006 e nel 2008 -, i funzionari avevano anche fatto sapere ai ricorrenti di ritenere che non ci fossero i presupposti per aprire un'indagine formale. Ma prima l'insistenza del deputato radicale Maurizio Turco, poi l’intervento della Corte di Giustizia Ue e infine nuovi elementi acquisiti da Bruxelles hanno impedito che il caso venisse definitivamente archiviato e hanno anzi convinto i collaboratori di Almunia a effettuare ulteriori accertamenti. Una decisione che è stata ufficialmente accolta con sorpresa da Andrea Ronchi, ministro per le Politiche comunitarie, anche se non è certo giunta come un fulmine a ciel sereno, visto l’intreccio di contatti che l’hanno preceduta. In una dichiarazione, Ronchi ricorda che "sulla questione la Commissione si era già espressa a fine 2008, stabilendo che le norme italiane non esentano da tassazione le attività prevalentemente commerciali, anche quando svolte da enti ecclesiastici o senza scopo di lucro". Il ministro si dice fiducioso che la decisione della Commissione “rappresenti un passaggio dovuto per arrivare alla definitiva chiusura della procedura”. Ma aggiunge che avrebbe “di gran lunga preferito poter avere prima un confronto tecnico costruttivo con i servizi della Commissione”. Dieci giorni or sono, lo stesso ministro s’era preoccupato di raccogliere informazioni sul passo che l’Esecutivo si apprestava a compiere e di fare conoscere a Bruxelles la disponibi-
lità dell’Italia a riesaminare il cqso in tutti i suoi aspetti.
I COLLABORATORI di Almunia avevano spiegato che l’apertura dell’indagine rappresenta solo il primo passo formale di una procedura sul cui esito il commissario non ha alcuna posizione preconcetta”. Anzi, l'Italia potrà ora fare valere le sue ragioni. Tutto vero, anche se, ieri, la Commissione, in una nota, ha affermato che “finora le autorita italiane non hanno fornito prove sufficienti per consentire di concludere che le misure contestate possano essere giustificate in base ai principi del sistema fiscale italiano”. L’Italia ha un mese di tempo, dalla ricezione della lettera di notifica che le sarà inviata, per trasmettere alla Commissione tutti i commenti e le informazioni che riterrà opportune per una valutazione del caso corretta. La procedura, che si apre dopo anni di scambi di lettere tra Roma e Bruxelles, potrebbe concludersi, com’è scritto nella comunicazione che è pronta a partire, con la richiesta di recupero di tutti gli aiuti erogati si parla di miliardi di euro -, se al termine dell'inchiesta dovesse risultare che le agevolazioni sono state concesse illegalmente rispetto alle norme europee. In tanto amaro per il governo italiano, ci potrebbe quindi essere uno zuccherino finale, il recupero di un sacco di soldi, una festa per l’erario (ma certo non per la Chiesa). Ma non ci siamo ancora arrivati.
Repubblica 13.10.10
Aggredì un colono, arrestato a 12 anni
Israele, il bimbo fu investito dall´auto di un leader dell’ultradestra. Rabbia dei palestinesi
di Fabio Scuto
GERUSALEMME C´è una piccola intifada che cova da settimane a Gerusalemme Est, la parte araba della Città Santa, nel popoloso rione di Silwan, dove 60 mila palestinesi e 300 coloni ebrei si fronteggiano in pochi chilometri quadrati. Una convivenza difficile, fatta di continue tensioni, frizioni, incidenti, sassaiole, arresti e sparatorie. Un mese fa un palestinese è stato ucciso da un vigilante israeliano mentre venerdì scorso due ragazzini sono stati investiti dall´auto del leader dei coloni che abitano nella zona.
Ieri mattina all´alba, secondo quanto riporta l´agenzia di stampa palestinese Hala.ps, gli agenti della polizia israeliana hanno circondato per oltre un´ora la casa di un ragazzino di 12 anni, Umran Mufid Mansur, poi hanno fatto irruzione sfondando la porta. Mufid è stato sottratto dalle braccia della madre e portato in un luogo segreto dagli agenti in borghese. Mentre ai genitori è stato impedito di salire sull´auto della polizia con lui. Mufid è uno dei due ragazzini investiti venerdì scorso dall´auto di David Beeri, capo di un´organizzazione dell´estrema destra israeliana, mentre lanciava pietre contro la sua auto insieme ad altri giovanissimi. Mufid era stato scaraventato in aria dalla vettura e si era fratturato una gamba. Un altro ragazzino investito insieme a lui era stato accompagnato in ospedale con una scheggia di vetro nel braccio. Le immagini dell´investimento erano state «catturate» da un cameraman di Al Jazeera e trasmesse poi dal network per tutto il giorno scatenando la reazione indignata dei politici palestinesi.
Il colono dopo l´incidente era stato fermato ma subito rilasciato dalla polizia senza nessuna imputazione. David Beeri è direttore di "Elad", un´organizzazione della destra religiosa che compra immobili per colonizzare Gerusalemme Est, grazie alle donazioni che arrivano dagli Stati Uniti. A Silwan dove opera l´organizzazione, convivono in pochi chilometri quadrati 60 mila palestinesi e una settantina di famiglie ebree, circa 300 persone, ma sparpagliate in 15 diverse zone del rione. Il risultato sono continui incidenti che richiedono la presenza di decine guardie private e telecamere di sicurezza. Il fermo del giovane Mansur è avvenuto dopo che lunedì notte nuovi incidenti erano scoppiati nel quartiere e sono state arrestate cinquanta persone, la maggior parte dei quali ragazzini.
Nel primo pomeriggio di ieri, durante un sopralluogo nella zona, il ministro israeliano per la Sicurezza interna Yitzhak Aharonovic ha confermato che un certo numero di minorenni sono stati fermati, dopo che avevano dato vita a dei disordini. Secondo il ministro il fenomeno dei lanci di pietre a Silwan va stroncato e, se necessario, ci saranno altri fermi ed arresti. L´attenzione di Aharonovic è dovuta anche al fatto che i settlers di Silwan hanno scritto una lettera al suo ministero chiedendo le dimissioni del capo della polizia di Gerusalemme il generale Aharon Franco perché incapace di assicurare loro una protezione adeguata. Compito estremamente difficile perché vista la situazione sul terreno il quartiere dovrebbe essere tenuto in perenne stato d´assedio.
Repubblica 13.10.10
La violenza dentro di noi
di Michele Serra
Due liti di strada, due pugni micidiali, un tassista in fin di vita a Milano, una ragazza gravissima a Roma. Del secondo crimine esiste un video dei carabinieri (è avvenuto in una stazione videosorvegliata).
Immagini che diffondono all´infinito lo scandalo della violenza e ce ne rendono partecipi quasi in tempo reale. Poiché lo scandalo è scandalo (fortunatamente), la prima reazione è di pancia, di repulsione e di allarme. La seconda è provare a dare un peso razionale ai due episodi. È legittimo domandarsi, per esempio, quanto l´aumento della "violenza percepita" sia suffragato dai fatti, e quanto sia influenzato dalla pervasività dei media: anche la violenza è nell´epoca della sua riproducibilità tecnica, e la cronaca nera lievita, nel nostro Paese, molto più rapidamente e potentemente di quanto lieviti la sua materia prima, che è il crimine (vedi lo studio di Ilvo Diamanti pubblicato lunedì scorso su questo giornale).
A fronte di questa constatazione, che ci invita a includere anche la "vendibilità" della violenza tra i suoi connotati più rilevanti, e più contemporanei, non c´è dubbio che l´aggressività spicciola, specie nelle metropoli, sembra in costante aumento a chiunque viva in mezzo agli altri. E l´aggressività è una paglia che avvampa alla minima scintilla. Nel traffico, ai semafori, nei parcheggi, nei centri commerciali, ovunque il fluido della folla si raggrumi, quella che comunemente definiamo "maleducazione" sopravvalutazione dei propri comodi e disprezzo degli altri aleggia nei comportamenti, negli atteggiamenti (perfino nell´abbigliamento trucido) più di quanto eravamo abituati a rilevare, e soprattutto a sopportare.
Anche quando non sfoci in veri e propri atti di violenza, l´aggressività intossica, rende vulnerabili, alimenta la catena dell´ostilità. Nell´humus di una asocialità diffusa, l´istinto di sopraffazione germina con speciale vigore, e l´idea stessa delle regole diventa sfocata, sempre più sfocata: a Milano qualche abitante del quartiere dove è caduto il tassista ha accolto la polizia al grido di "sbirri ebrei", saldando in uno slogan ripugnante la cultura di camorra e quella ultras.
La cocaina e altre droghe, oramai generi di largo consumo popolare, sono ulteriore benzina sul fuoco. Ci sono zone di Milano dove, la sera, le sgommate dei gipponi suonano "drogate" quanto la truce frenesia dei loro driver. L´aggressività, specie nei maschi giovani, è ovviamente sempre esistita: ma non c´è dubbio che in molti aspetti della vita contemporanea abbia trovato facili varchi, quando non un vero e proprio sdoganamento culturale.
Nello stessissimo novero (un impressionante collasso del concetto di legge e di legalità) vanno iscritte le reazioni isteriche di chi vorrebbe "armare i tassisti". E perché allora non armare le ragazze, i tramvieri, i postini, i passanti, le massaie, tutti gli inermi che escono di casa senza immaginare di potere incappare nel pugno di un iracondo, o nella coltellata di un delinquente? Ogni sbrego della vita quotidiana richiama, ormai, torme di profittatori politici che cercano di allargarlo, come chirurghi al contrario, perché più sangue e paura ne escono, più potente è la zoomata sul fattaccio, maggiore è il profitto politico. A costo di falsare statistiche (è accaduto) e di gonfiare dolore e insicurezza (è accaduto, accade continuamente).
Si tratterebbe, piuttosto, di disarmare i prepotenti, i guappi, i sopraffattori. Attraverso la repressione e il controllo, ovviamente. E poi, molto meno ovviamente, con un lungo lavoro (lungo e per giunta mai definitivo) che faccia leva su socialità, spirito civico, solidarietà, rispetto delle regole, tutta merce controcorrente che qualche sciagurato, un po´ di anni fa, ebbe la pessima idea di chiamare in blocco "buonismo", lanciando una delle mode culturali di maggior successo, e di maggiore perniciosità, degli ultimi decenni.
Quanto ai media, le stesse telecamere che diffondono a dismisura i gesti della violenza, servono a incastrare i colpevoli, e a diffondere l´idea che non l´occhio di Dio, ma almeno quello del commissariato più vicino possa aiutare le vittime e perseguire i colpevoli. È l´opinione pubblica, siamo noi spettatori che dovremmo imparare la giusta distanza, non quella del solo sgomento, non quella della sola ragione. La violenza è sempre esistita, delitti orribili, sevizie immonde sono state inflitte all´oscuro di qualunque telecamera, di qualunque sguardo. Questo ci deve servire a evitare il panico: quando diciamo «non ci sono mai state epoche più violente», diciamo una sciocchezza. Per contro, il quasi obbligo di vedere e di sapere, la replica infinita di gesti ferini antichi come l´uomo, ma oggi quasi impossibili da nascondere, ci impedisce di far finta di niente, di ignorare il dolore degli altri. La riproducibilità tecnica della violenza ha i suoi svantaggi e i suoi vantaggi. Dipende da noi evitare i primi per non diventare paurosi, usare i secondi per non diventare cinici.
Corriere della Sera 13.10.10
De Rita: questa è l’Italia delle pulsioni Smarrito il senso delle norme etiche
Il sociologo: morale da balconing, i genitori sono meno severi e la scuola non insegna più a vivere
di Paolo Conti
Concentrati sull’Io «Siamo nell’impero delle pulsioni interiori: si rischia la vita saltando da un balcone o si aggredisce chi irrita e offende»
ROMA — «Guardi, forse un anziano signore come me, ormai approdato ai 78 anni, può fidarsi dell’autoregolamentazione etica, di un timone morale soggettivo... perché c’è l’esperienza di vita, la conoscenza che si accumula, l’età che ti aiuta a non farti trascinare chissà dove. Ma se sei un ragazzino privo di norme interiori consolidate, allora veramente può succedere che tenti di ammazzare qualcuno con un pugno per una banale discussione mentre sei in fila alla biglietteria della metropolitana...».
Giuseppe De Rita è un termometro ambulante della salute sociale italiana. Da più di quarant’anni non fa che misurarla a colpi di rapporti Censis, seguendo giorno dopo giorno piccoli cambiamenti puntualmente destinati a lievitare in fenomeni di massa. Da tempo il sociologo avverte: guardate, stiamo vivendo la stagione più acuta del soggettivismo etico, tutti giudicano le proprie azioni e adottano decisioni morali in base a un criterio assolutamente personale. La ragione? De Rita risponde con la pacatezza di sempre, ma nel sottofondo si avverte molta amara preoccupazione: «La storia del tassista milanese pestato a sangue per aver investito un cane, questa donna che a Roma finisce in coma per il pugno di un ragazzo... So che l’esercizio logico può essere complicato, ma non siamo così lontani dal balconing». Ci aiuti a capire come e perché, professor De Rita: «Da sempre la nostra società è stata regolata da norme ben precise. Attenzione: qui non parlo semplicemente di leggi scritte e di codici, di vigili urbani o di carabinieri. Mi riferisco a regole interiori che strutturano la personalità, la rendono solida...».
Il professore ha ben chiaro l’iter che conduce una generazione di ragazzi a tentare la scommessa del salto del balcone così come a considerare un’aggressione quasi un gesto normale (infatti il ragazzo della metropolitana romana chiede agli inquirenti, dopo aver ricostruito l’episodio, «e adesso posso andare?»). Ecco qui la strada, secondo De Rita: «C’era la scuola che insegnava non solo le materie ma anche a vivere. C’era il padre che premiava e puniva. La madre che riprendeva la figlia troppo "disinvolta". Ovviamente c’era la Chiesa che imponeva un vincolo morale di natura religiosa. Infine le autorità, che provvedevano al resto. Ma dalla fine degli anni Sessanta in poi tutto è lentamente e irrimediabilmente cambiato. Ormai tutti quei referenti che dovrebbero, in qualche modo, "rappresentare la legge" e farla rispettare sono diventati evanescenti».
La conseguenza concreta, secondo l’analisi di De Rita, è visibile in quelle aggressioni tanto violente quanto inumane nella loro insensatezza: «Siamo nell’impero delle pulsioni interiori non più regolabili proprio da quelle norme che da sempre le contenevano. Quindi io posso rischiare la mia vita saltando da un balcone per il gusto di una scommessa e posso anche aggredire chi mi irrita e mi offende. L’unico metro morale sono io stesso. La parola "sregolato" rende bene, "s-regolato", privo di regole. Potrei dire che, in questo senso, siamo diventati tutti un po’ matti proprio nell’accezione che si attribuiva un tempo a quella parola. Il matto, in fondo, era colui che rifiutava confini e argini».
La radice di questa sorta di anarchia collettiva, di cancellazione dei capisaldi interiori va cercata, secondo De Rita, nell’irripetibile e mitizzata stagione a cavallo tra gli anni 60 e 70 che modificò per sempre la società italiana: «Uno degli slogan del Sessantotto era "la norma ci uccide". Ecco qui, dove vogliamo cercare? Ricordo anche una suggestiva risposta, credo, di Toni Negri: "Io non voglio rispettare la norma dei giudici naturali, voglio un giudice che mi capisca". L’esplosione del soggettivismo etico comincia con la rivendicazione dell’Io come arbitro unico della propria vita. Io sono il Principe di me stesso e se ho qualche pulsione la soddisfo. Sono io il padrone del mio corpo. Decido io se avere un figlio o abortire... Sono anche il padrone di mia moglie o la padrona di mio marito».
Restando in questo solco, sostiene il sociologo, si approda anche all’indifferenza di chi assiste a queste scene. Alla assoluta imperturbabilità dei passanti che, alla stazione della fermata Anagnina sfiorano quella donna ormai in coma e non si fermano. Cosa è, professore, abitudine alla marginalità, a certi ultimi che vivono sdraiati un po’ ovunque? «No. Qui dobbiamo tornare al soggettivismo etico. Il ragionamento: io non mi fermo perché quel tempo a disposizione è mio, solo mio, dunque non vale la pena che io mi chini a capire cosa sia capitato a quella donna perché non mi riguarda. E nessuno può giudicarmi».
Il quadro complessivo, senza moraleggiare, è allarmante. Pensa che possa esserci una via d’uscita? «Il semplice aumento della dimensione punitiva della legge non risolve il problema proprio per l’assenza di una norma etica interiore di riferimento. Si può lavorare per far ritrovare quei riferimenti che ho definito evanescenti. Ma occorre tempo, volontà. Soprattutto nel capire che la "meravigliosa" stagione della "liberazione" dalle regole è finita. Semplicemente perché quelle norme non ci sono più».