domenica 17 ottobre 2010

Corriere della Sera 17.10.10
Bersani scioglie gli imbarazzi pd: ragioni da ascoltare
Veltroniani e riformisti critici. Il lettiano Boccia: sfilata di cariatidi. Cofferati reagisce: rispetto, intervenga il leader


ROMA — «La piazza pacifica di San Giovanni va ascoltata». La manifestazione si è esaurita, il corteo ha percorso le strade di Roma e, a sera, Pier Luigi Bersani decide di dare una linea ufficiale al Partito democratico, rivendicando una strategia d’ascolto, seppur non di adesione ufficiale. Restano lontanissimi dalla piazza, invece, i mugugni di chi non c’era e contesta la partecipazione a un corteo molto critico nei confronti di Cisl e Uil e vicino alle posizioni della sinistra radicale. Mugugni che raggiungono la vetta con Francesco Boccia, che si dice «nauseato» dalla presenza dei politici e che provoca la dura reazione di Sergio Cofferati. Attacca Bersani anche Pier Ferdinando Casini, che vede il partito convergere con Di Pietro e Vendola: «Il Pd in piazza era fuori strada: non era lì l’alternativa a Berlusconi».
Bersani conferma la sua strategia: «L’unità del mondo del lavoro è un’energia indispensabile per costruire un’alternativa di governo che davvero metta al centro delle politiche economiche l’occupazione». Il partito appare diviso, con riformisti e veltroniani polemicamente assenti. La presidente Rosy Bindi dà manforte a Bersani: «È illusorio pensare di costruire un’alternativa a Berlusconi senza questa piazza».
Boccia, tra i critici, è il più duro: «Capisco chi ha sfilato con il cuore, i lavoratori e gli studenti. Ma francamente mi fa venire il voltastomaco vedere intellettuali che guadagnano milioni, politici che stanno due ore in passerella e poi tornano a casa in auto blu e parlamentari che vivono di vitalizi. È stata una grande ammucchiata di cariatidi, anime belle, speculatori e approfittatori politici». Cofferati trasecola: «Non è accettabile insultare chi ha partecipato. Evidentemente Boccia non conosce i bisogni dei lavoratori». L’ex leader della Cgil si spinge fino a chiedere sanzioni per il deputato pugliese: «Sono molto curioso di sapere se il segretario del Pd considera le parole di Boccia compatibili con i valori fondativi del nostro partito».
Meno virulento nei toni, ma non dissimile nella sostanza da Boccia, la posizione dell’ex udc Marco Follini: «Capisco che questi riti, la piazza e la protesta, scaldino il cuore di alcuni militanti. Ma il Pd non doveva avventurarsi sin lì, allineandosi a una parte del mondo sindacale. Avrei apprezzato che tutti i dirigenti avessero seguito l’esempio di segretario e vicesegretario e non fossero andati in piazza». Anche per Giorgio Tonini, che sottolinea positivamente come il Pd sia rimasto fuori ufficialmente, «usare la piazza per ragioni politiche è sbagliato». Anche perché, è il leit motiv dei riformisti del Pd, «sarebbe ora che il sindacato fosse autonomo e non subalterno a disegni politici né del governo né dell’opposizione». Tra i critici c’è l’ex leader della Cisl, Sergio D’Antoni, che giudica «vergognosi» i cori contro Bonanni e Angeletti: «Gli slogan sono stati una caduta di stile e di democrazia. Mi dispiace che la Cgil e gli organizzatori non abbiano preso le distanze». Posizione condivisa anche da Giorgio Merlo ed Enrico Farinone, mentre l’ex leader dei giovani imprenditori di Confindustria Matteo Colaninno, pur assente per ragioni di «opportunità», giudica «lunare» il dibattito: «Se un sindacato importante come la Fiom non manifesta ora, quando lo deve fare? Chi è andato del Pd ha fatto bene».

il Riformista 17.10.10
Fassina, il messo di Bersani
«Qui parte delle radici Pd»

qui
http://www.scribd.com/doc/39509836

Francia, quinto giorno in piazza No alla riforma di Sarkozy


il Fatto 17.10.10
La vita a punti
Da Veltroni, che una volta voleva andare in Africa, arriva una proposta per la migrazione “selettiva”
di Furio Colombo


L’alternativa è semplice e spietata: o la vita comincia dalla Lega (con la sua visione claustrofobic di confini piccoli e chiusi) e allora bollare con i punti l'esistenza di un immigrato ha un senso, come marchiare i capi di bestiame di una mandria; o la vita comincia dall'integrità delle persone, esseri umani in mezzo ad altri esseri umani: attese, sogni, vite progetti, speranze. E subito si capisce che la classifica a punti dati e tolti da cui dipendono futuro e destino di un uomo o di una donna non si può accettare. Mai esistiti codici a punti o Costituzioni a punti, dal diritto romano in avanti, con le eccezioni di dittature legate al culto assoluto di qualcosa o di qualcuno. Il vuoto di cultura, persino al livello minimo di scuola media della Lega, spiega molte credenze, molte penose superstizioni e disastrose soluzioni come le impronte digitali ai bambini rom e le classi separate.
Ma colpisce, come una botta disorientante, la improvvisa inclusione della misurazione a punti degli immigrati che fa irruzione nelle nuove posizioni del Partito Democratico, così come sono state presentate da Walter Veltroni ed Enrico Letta ad un'assemblea del PD che non si è ribellata (9 ottobre 2010). È come se i Democratici americani decidessero di rubare ai Repubblicani l'idea di tagliare le tasse ai ricchi. Si tratta di visioni opposte della vita. La vera questione è: uomini e donne, con i loro bambini, sono venuti da noi (“noi” è questo Paese, queste città, il luogo che amiamo e che, con naturale partigiane-
ria, consideriamo “buono” e “civile”) attraversando pericoli mortali e pagando tutto ciò che possedevano e una sofferenza grandissima per sfuggire alla fame e al massacro. E noi ci riserviamo di stabilire, al momento dell'arrivo e poi giorno per giorno, se vanno bene o se vanno male, per spingerli, un po' più avanti o un po' più indietro, con il sistema dei punti. Noi chi? Alcuni di noi, a cui viene data questa strana autorità. Perché strana? Perché questi giudici-non giudici, queste autorità arbitrarie e occasionali, quando ti spingono avanti non guadagni niente, stai dove eri arrivato. Ma i punti “cattivi” possono spingerti indietro fino all'espulsione, fino a morire. È un giudizio universale, quello della vita a punti, in cui tutto di te è sotto processo in ogni istante. Ma è un giudizio universale senza Dio. È un continuo, infinito, processo civile e penale, ma senza appello, senza codici, senza avvocati e senza giudici. Ci sono solo autorità burocratiche e improvvisate, con un potere immenso e nessuna regola.
Una proposta lontana dalla realtà
STUPISCE il distacco dalla realtà, un doppio distacco. Il primo è che nel mondo a punti – giustamente così caro alla Lega, agli xenofobi e alle destre estreme d'Europa– il peggiore degli italiani è già piazzato dove tenterà faticosamente di arrivare, punto dopo punto, il migliore dei migranti. Dunque, vi sono due umanità: quella nata “nel territorio” anche con le peggiori predisposizioni; e quella nata in Eritrea che, se perde il concorso a punti, viene rimandata a morire, perché c'è guerra, pena di morte e arbitrio totale nel luogo da cui è fuggito. E se è una donna, infibulazione. Riflettiamo sul fatto che anche noi, cittadini superiori, viviamo nell'arbitrio. Ogni italiano lo riconosce e lo sperimenta ogni giorno. L'Italia è ancora, purtroppo, una società distorta e caotica dove persino i cittadini più probi cercano ogni giorno “un santo in paradiso”.
Dirò subito che ciò che stupisce e disorienta è la credibile buona fede di questa proposta.
All'assemblea del Partito Democratico di Busto Arsizio Enrico Letta ha detto: “Dobbiamo finirla con lo scambio fra pochi controlli e pochi diritti”. Pochi controlli? Mai verificato che cosa succede a Brescia, a Varese, ad Adrio, a Tradate, persino sui tram di Milano? Trascrivo dal testo proposto a Busto Arsizio da WalterVeltroni: “Si tratta di una politica migratoria selettiva: l'ammissibilità legata a una valutazione delle caratteristiche degli immigrati .(...) Età, sesso, stato civile, istruzione, specializzazione, conoscenza della lingua, della cultura, dell'ordinamento del Paese si combinano in un punteggio o valutazione della ammissibilità dei candidati all'immigrazione”.
Letta e il “partito della conservazione”
SPIEGA Andrea Sarubbi, deputato Pd, tra i più generosi e impegnati nel sociale, nel suo blog del 9 ottobre 2010: “Noi dobbiamo essere quelli capaci di proporre uno scambio fra tanti diritti (con l'obiettivo finale della cittadinanza) e tanti controlli. Parlare di immigrazione in modo più pragmatico e meno ideologico potrà disorientare qualcuno. Ma è un rischio che dobbiamo prenderci, se non vogliamo essere in eterno – e cito Enrico Letta – il partito della conservazione dell'esistente”. “Conservazione”: la stessa parola che usa Marchionne per definire i sindacati che gli resistono. Certo, i testi che ho appena citato – e tutto ciò che sulla “nuova immigrazione” secondo il Pd hanno detto Letta e Veltroni in quella assemblea – disorienta profondamente chi scrive. Devo ricordare un altro brano del blog di Sarubbi: “Una volta che li ha fatti entrare [gli immigrati, ndr] lo stato deve mettere i soldi. Soldi sull'integrazione, soldi sui progetti di inclusione, soldi sui servizi, magari attingendo ai contributi versati dagli stessi immigrati”. Appello generoso, accanto al gelo della vita a punti. Ma qui il pragmatico che vuole scuotersi di dosso la polvere dell'ideologia deve accettare l'unità di misura del pragmatico: la realtà. La Repubblica italiana, guidata dalla Lega, che incassa i contributi degli immigrati prima di espellerli, ha investito molti soldi contro l'immigrazione (fino a 5 miliardi di dollari e una flottiglia di costosissime motovedette armate di ultima generazione, tutto in dono alla Libia in cambio dei respingimenti in mare, eliminazione o cattura dei migranti, con la cancellazione di ogni diritto di asilo). Ma questa stessa Repubblica non ha investito un euro per (o in aiuto, o in favore della) immigrazione, salvo la costruzione dei campi di concentramento detti “di accoglienza” o “di espulsione”. Non c'è alcuna prospettiva di assegnazione di fondi all'immigrazione. Non ora. Non con il governo Bossi-Berlusconi. Dunque, a una realtà cruda e illegale (si pensi a tutto l'arbitrio capriccioso, malevolo e anticostituzionale che i sindaci leghisti dedicano ai loro immigrati in base alla nuova autorità conferita loro dal “pacchetto sicurezza”) ci viene proposto di contrapporre un pragmatismo di tipo “nuovo” che può diventare un esame arbitrario che non finisce mai. Perché, invece, non rispondere con un progetto o almeno un sogno di umanità? Sarà solo un sogno, in questa astiosa Europa. Ma almeno potrà allargare il cielo dei più giovani.