L’Unità 30.3.07
Bertinotti: «Unificare le sinistre? Un dovere»
I conti difficili di Prc. Verso un nuovo soggetto, senza più falce e martello. E quanto pesa stare al governo
di Wanda Marra
DOPO I FISCHI Sceglie la Versilia e lo spazio quasi post-moderno della Fiera di Carrara Rifondazione, per la sua Conferenza nazionale di organizzazione. Uno scenario inedito per un appuntamento centrale per fare il punto sulla situazione del partito, dopo
un anno, o quasi di esperienza nel governo, e "lanciarlo" verso la costituzione della Sinistra europea. E nella prima giornata carrarese di Rifondazione si respirano un po' tutte le spinte e le controspinte che vive il partito in questo momento.
Per l'apertura dei lavori arriva Fausto Bertinotti. Accolto calorosamente, come sempre dalla platea di Rifondazione non sale sul palco per prendere la parola ufficialmente. Segue i lavori seduto in prima fila, accanto a Gennaro Migliore. Parla però con i giornalisti. Le contestazioni «anche quando sono piccole e circoscritte vanno indagate per capire cosa c'è dietro, se c'è un disagio», dice a proposito di quella da lui subita. Anche se ci tiene a precisare che «lo stato di salute di Rifondazione è molto buono». Ribadisce la necessità della riunificazione delle sinistre: «Si può chiamare in molti modi, io l'ho chiamata cantiere, per dare l'idea che le sinistre in Italia devono ricominciare a discutere dalla cultura politica». E d'altra parte, la Conferenza di Rc si interfaccia anche temporalmente con la riunione della seconda mozione dei Ds, dove si ribadisce che sarà formato un movimento per un progetto alternativo con l'obiettivo di riunire tutta la sinistra italiana. Sulla situazione del governo, poi, Bertinotti interviene per dire che non vede cambi di maggioranza all'orizzonte. È la relazione introduttiva del responsabile organizzazione di Rc, Ciccio Ferrara a definire i confini entro cui si muove il partito, riaffermando la legittimità dell'«anomalia» di Rifondazione, «di voler stare dentro un crinale: quello del rapporto tra società e politica, tra movimenti e rappresentanza, di cercare e di tentare nuove forme di relazioni e di connessioni». E poi, a proposito della SE, rivolgendosi quasi esplicitamente alla sinistra della Quercia, dice: «Non pensiamo che si debbano o possano mettere discriminanti, né che possano essere posti vincoli al proseguo di questo confronto. Ognuno parte da sé: noi dalla Sinistra europea e dalla cultura politica della Rifondazione comunista; altri da altre ipotesi di collocazione internazionale e altri riferimenti, del tutto legittimi. Nessuno rinunci a nulla, la prospettiva deve essere il misurarsi in un confronto, i cui tempi e modalità vanno naturalmente condivisi».
Intanto, in platea si agitano e si confrontano le diverse anime del partito. Non ci sono Cannavò e Turigliatto, di Sinistra critica. Arriveranno domani per fare una conferenza stampa in cui chiederanno, tra le altre cose, un congresso straordinario. Che c'è aria di scissione ormai sembra chiaro. Contro il progetto di Se, e non solo. E se anche nessuno lo dice ancora ufficialmente, tra le ipotesi nella prospettiva della SE c'è anche quella dell'eliminazione dal simbolo di falce e martello Guido Cappelloni, Presidente del Collegio di Garanzia nazionale, esponente dell'Ernesto, vecchio comunista doc: «La Sinistra europea non è la risposta giusta». Nessuna voglia di scissione da parte loro, ci tiene a sottolinearlo, comunque. Ma mette sul piatto anche una domanda: «Rinunciando a falce e martello prenderemmo più o meno voti?». Posizione completamente diversa quella di Nicola Fratoianni, giovane segretario regionale della Puglia, che fu tra gli artefici delle primarie che videro Vendola vincitore. «Il progetto politico della Se non è, non può essere in discussione», dice. Come spiega che uscire dal governo per Rifondazione darebbe vita a uno scenario di "regressione". Il punto è il come andare avanti. Una possibilità la mette in campo: «Rilanciare il metodo delle consultazioni, anche sui contenuti. Per esempio: quali contenuti deve avere la SE? Ma anche, prendiamo il voto sull'Afghanistan: come deve comportarsi Rifondazione?» E a proposito delle spine di un Prc di governo alla domanda di un'inchiesta sul partito, fatta su oltre 2500 quadri locali, presentata ieri, «Quali effetti ha sul partito la partecipazione al governo?", il 42,5% non risponde, il 27,4% li valuta positivi e solo il 4,1% negativi del tutto.
L’Unità 30.3.07
I 92 anni di Pietro Ingrao
La sua storia per vedere al meglio il nostro presente
Di Pietro Barcellona
Presentando l’anno scorso a Firenze, con Givone e Cantarano, il libro di Ingrao, Volevo la luna, ho detto che si tratta di un grande romanzo familiare e insieme di un’epica della sconfitta. Mentre scorrono i ricordi di Ingrao, il paese, il nonno, la madre, la clandestinità, il partito, si avverte il presentimento di un destino: assistere al fallimento del più grande tentativo di assalto al cielo che gli esclusi, i dannati della terra abbiano mai tentato. Il filo rosso della vita di Ingrao è in quel ripetuto insistere sull’insorgenza che diventa agire politico, sia esprimendo la reazione all’esclusione, al persistere di uno stato di subalternità di grandi parti della società e del mondo, sia per dar corpo allo spirito di rivolta contro la mediocrità e l’assenza di valori della moderna borghesia. Come nella poesia, il bisogno di vincere il silenzio della storia sugli sconfitti di cui Ingrao ha subìto la fascinazione ambigua sin dai tempi della collaborazione con Luchino Visconti. La fine di ciò per cui una vita è stata spesa, insieme a tante altre.
Non è un caso che il libro si fermi agli anni ’80, subito dopo l’assassinio di Moro, e non parli neppure dell’89 e del crollo del comunismo. Forse tocca a noi che abbiamo condiviso questa sconfitta cercare di proseguire la ricerca oltre quella data fatale; provare a cercarne le ragioni profonde, il senso di questa fine d’epoca. In verità, ci troviamo in quel difficile passaggio in cui sono tramontati i vecchi dei e i nuovi non sono ancora nati.
Ciò che è diventato indefinibile è proprio l’oggetto di ogni nostro sapere, il riferimento di ogni discorso sensato sui significati dell’agire umano: la definizione di ciò che istituisce la specificità dell’essere umano. La domanda su ciò che dell’essere umano fa problema, ciò che costituisce il nucleo di ogni interrogazione che giustifica e legittima la stessa organizzazione della ricerca e del sapere: il problema di cos’è un uomo e di cosa sappiamo dire intorno ad esso è diventato nebuloso e incerto. L’uomo non è più definibile neppure come campo di interrogazione. Non è più possibile stabilire né quando nasce, né quando muore, è in gioco la stessa forma della finitezza umana. Siamo entrati nell’epoca del post-umano. (…)
Tutte le opposizioni sono conciliate e risolte in uno scenario di tipo evolutivo in cui l’organico e l’inorganico, la morte e la vita, sono le facce complementari di un unico processo «naturale» teso a produrre selezioni efficaci per la sopravvivenza in un universo insensato. L’unica legge che governa la vicenda della quale siamo spettatori passivi sembra essere quella di realizzare una perfetta integrazione tra cervello e computer, tra umanità e tecnica, capace di produrre un’intelligenza artificiale cosmica, immune da tutti i rischi legati alla materialità fisica.
Il campo dell’umano, che è stato sin qui il centro di attrazione storico, è letteralmente cancellato, in questo stadio del processo evolutivo che mira a realizzare l’esistenza di una perfetta intelligenza immateriale. L’artefatto, prodotto dagli uomini per ordinare il caos, appare oggi come uno stadio dell’evoluzione della natura vivente, che ha selezionato l’intelligenza calcolante come fattore della metamorfosi destinata a culminare in unica intelligenza cosmica non più condizionata dalla materia. La libertà e la volontà umane di cui tante volte ci siamo stoltamente compiaciuti sono totalmente sostituite dal caso e dalla necessità che presiedono al processo evolutivo guidato dall’intelligenza calcolante/selettiva. (…)
Se l’avvento di questo universo totalmente nuovo spiazza ogni discorso sulla realtà e sulla storia, in nome di chi e di che cosa posso prendere la parola per tenere una lezione magistrale? E, tuttavia, questo è il paradosso: l’avvento del nuovo non può essere pensato senza la dimensione della temporalità e non può essere presentato senza il linguaggio che scandisce il nostro rapporto con l’esperienza passata. Fino a quando la rappresentazione dell’accadere si manifesta nel tempo della parola è possibile recuperare uno spazio per interrogare il passato. La memoria resta, anzi, l’unico luogo - ce lo ricorda Ingrao - in cui è possibile ritessere la trama degli eventi futuri. (…)
Se siamo ancora qui a festeggiare il compleanno di Ingrao è perché egli appartiene, come ha scritto Mario Tronti, alla categoria dei «profeti», di coloro cioè che non si sono rassegnati a ridurre la politica ad economia. Tutta la vita e il lavoro di Ingrao, specie quella che attraverso una peculiare percezione dell’urgenza della crisi, negli anni che vanno dal ’79 all’89, hanno posto sul tappeto il tema di una nuova politica capace di «vedere» il presente. Gli anni poi di lavoro al C.r.s. come estremo tentativo di offrire una prospettiva alle donne e agli uomini che rischiavano di essere travolti dalle macerie dell’89, non un mero ritorno del tragico passato novecentesco, colmo di orrori, campi di sterminio e di gulag, ma un distanziamento dalla congiuntura che consenta di riaprire la prospettiva di una temporalità non esaurita.
Tutto il periodo della sua, della nostra ricerca al C.r.s. è un forte presagio della fine imminente, ma anche la prova della convinzione che ciò che è accaduto non sia solo nefandezze ed errori, ma anche grandi speranze e sacrifici generosi di tante donne e di tanti uomini anonimi.
L’Unità 30.3.07
Ds, Mussi annuncia l’addio
«Si è chiusa una storia, andremo via quando parte la costituente Pd»
Fassino: «Resta, sono convinto che stiamo facendo la cosa giusta»
di Ninni Andriolo
«Il dado è tratto» annunciano, mentre sciamano dalla sala conferenze di Piazza Montecitorio, dopo una lunga giornata di confronto. «Oggi si è chiusa una storia - commenta Fabio Mussi - non avrei mai immaginato di arrivare a tanto, sono quarantadue anni che milito nella sinistra...». È commosso, il leader della sinistra Ds. «I partiti non sono dei tram, scendi da uno e ti siedi su un altro - spiega, mentre morde il solito toscano -. Se la sinistra, come dice Bersani, esiste in natura, allora deve anche essere rappresentata politicamente».
Imboccheranno una strada diversa da quella scelta da Fassino. Il «no» all’appello del leader della Quercia è nettissimo: Mussi, Salvi, Spini, Bandoli, Fumagalli - insieme al gruppo dirigente della mozione - non giocheranno a sinistra nella squadra del Partito democratico.
L’«ESTREMO APPELLO» inviato a chi ha vinto il Congresso è chiaro: «Fermatevi, prima di chiudere i Ds». Separazione, quindi. Se consensuale o meno lo chiariranno le settimane che mancano dalle assise di Firenze. «Non dobbiamo ripetere la rottura del 1989», auspica Marco Fumagalli, alludendo al Pci e alle fratture del dopo Bolognina. «Serve rispetto reciproco, tra due realtà della sinistra che seguono prospettive diverse e che non si considerano nemiche», fa eco Fulvia Bandoli. Ognuno per la propria strada, allora, quelli della «svolta» che partorì Pds e Ds? Così sembra, stando a ieri. I punti interrogativi, semmai, riguardano il come e il quando. La separazione non dovrebbe avvenire prima del Congresso di Firenze. Anche perché, in questi giorni, dirigenti e iscritti che hanno votato «a sinistra per il socialismo», hanno dato uno stop all’ipotesi accarezzata da esponenti del gruppo dirigente della mozione. Quell’abbandono anticipato, infatti, avrebbe dato ragione a chi bolla il «no» al Partito democratico come una «scissione dai Ds». La scelta di partecipare al congresso verrà ufficializzata, però, soltanto il 16 aprile prossimo, sempre che non si apra un clima da «caccia alle streghe che impedisca un confronto rispettoso delle posizioni di tutti».
Il 16 aprile, appunto, si incontreranno a Roma i delegati della sinistra eletti nei congressi locali. L’appuntamento, che precederà di pochi giorni le assise diessine di Firenze, non era in calendario. Ma costituirà, da ieri, il primo momento di una consultazione tra gli iscritti della sinistra. Per decidere come e quando aprire il cantiere «di un movimento autonomo della sinistra» e per tastare il polso alla «base». Con una campagna di assemblee che servirà a registrare - anche - l’entità delle adesioni ad un percorso che si dovrebbe divaricare da quello che porta al Partito democratico. «Un quarto degli iscritti ai Ds è decisamente contrario, o molto perplesso, rispetto alla formazione del Pd - afferma Mussi - Un quarto è molto, e noi immaginiamo che tra gli elettori vi sia una quota larga di contrari al Pd». Il dibattito sui modi e sui tempi della strategia da mettere in campo, però, è ancora aperto. «Così come chiediamo alla maggioranza Ds una pausa di riflessione, anche noi della sinistra dobbiamo prenderci un po’ di tempo in più. Perché la fretta è cattiva consigliera», avverte Vincenzo Vita.
Quando avviare il percorso costituente che guarda a sinistra, anche allo Sdi, a Rifondazione e al Pdci attraverso una prospettiva di scomposizioni e ricomposizioni? Già al Congresso di Firenze, come spiega qualcuno? «Se loro accelerano con il Pd noi, certo, non possiamo restare fermi», sottolinea Alfiero Grandi, passando il cerino acceso nelle mani di Fassino e facendo capire che in gioco c’è la partita sulle responsabilità ultime della scissione, che la sinistra Ds non intende assumersi. «Nel momento in cui si apre la costituente del Pd, annunciamo che formeremo un movimento politico organizzato autonomo», spiega Mussi. L’avvio concreto del processo di costruzione del Partito democratico, però, potrebbe coincidere con appuntamenti diversi, più o meno prossimi. E c’è chi immagina già una fase post-congressuale in cui continueranno a convivere da «separati in casa» maggioranza e minoranza Ds. Mussi ha escluso, in ogni caso, che la sua componente possa votare a Firenze i nuovi organismi dirigenti della Quercia. Gruppi parlamentari autonomi della minoranza, all’indomani del congresso di Firenze? «Anche questa scelta verrà discussa il 16 aprile», spiega Cesare Salvi. L’obiettivo, per il momento, è quello di una «separazione» che consenta alla sinistra di affrontare anche i nodi organizzativi: fondi, sedi, ecc. E, insieme a questi, il tema delle prossime elezioni amministrative. La sinistra Ds pensa a liste comuni con la maggioranza del partito. Si vedrà nelle prossime settimane,sempre che il clima sia quello auspicato da Bandoli: «prendiamo strade diverse, facendoci reciprocamente gli auguri di buon lavoro».
L’Unità 30.3.07
A Firenze, poi l’addio. Una corrente in mare aperto
«Bisogna farci capire dai nostri militanti». Tra preoccupazioni e sospiri di sollievo
di Eduardo Di Blasi
QUANDO, intorno alle cinque del pomeriggio, terminata l’Assemblea della mozione Mussi, parlamentari, dirigenti e delegati territoriali, escono dalla sala del Garante della Privacy di piazza Montecitorio, qualcuno è anche felice. L’onorevole Katia Zanotti sorride: «Finalmente navighiamo in mare aperto». Pasqualina Napoletano scherza con il collega di Liberazione: «Torniamo insieme?». Però, chiarisce da vicepresidente del gruppo socialista europeo, «nel Pse».
L’assemblea ha appena accolto, con un lungo applauso, l’appello alla maggioranza Ds in cui è contenuta anche la «prospettiva di fronte al partito democratico». Un appello scritto durante la notte precedente, e proposto a una variegata platea di coloro che appoggiano la mozione Mussi.
Il primo dato emerge subito: tra i partecipanti all’assise nessuno esprime la propria volontà a fare la «minoranza» nel Pd. Nessuno. Valdo Spini spiega questa posizione con il “memento mori”: «Nell’Antica Roma c’era uno schiavo che dopo i trionfi in guerra e i successivi festeggiamenti del suo padrone, gli batteva sulla spalla e gli diceva: “Ricordati che devi morire”. Tutti quelli che erano qui oggi hanno scelto di non fare la parte di quello schiavo dentro il Pd». D’altronde, spiegava pochi minuti prima in piazza Montecitorio Luciano Pettinari: «Non è che possiamo decidere da adesso le parti in commedia nel Pd: “Io faccio la maggioranza, e tu fai l’opposizione”». Il secondo dato, chiaro dalla notte prima, è che al Congresso di Firenze ci si va.
Sul resto si discute. E il resto sono i tempi e i modi per navigare «in mare aperto». Sul limite della porta sigillata della sala del Garante della privacy, i delegati territoriali e i parlamentari discutono con trasporto. Pare che anche Walter Veltroni abbia fatto un tentativo per evitare di arrivare al rompete le righe. Uno dei delegati toscani, nella sala, lancia l’allarme: «Facciamo attenzione perché quello che decidiamo oggi non è uguale a quello che c’è nella mozione. Dobbiamo avvisare i compagni che ci hanno votato, prepararli a questo passaggio».
Spiega Adriano Labbucci, presidente del Consiglio provinciale di Roma: «I tempi e i modi sono importanti: i due processi costitutivi del Pd e della costituente della sinistra devono viaggiare assieme. Quindi dopo il congresso si deciderà». La preoccupazione della Sinistra Ds, che poi sarà fatta propria dall’appello accolto con l’applauso, è quella di recuperare «tutti quelli che hanno votato la mozione». Spiega la senatrice Silvana Pisa: «I nostri iscritti sono diversi dagli altri: sono abituati alla sezione, alle feste dell’Unità, alla politica attiva. Dobbiamo recuperarli, ridestarli. E dobbiamo recuperare anche gli operai del nord che votano per la Lega, con un grande progetto di sinistra». La questione non è semplice. Spiega Spini: «Alcuni ci hanno votato perché speravano facessimo da contrappeso a chi voleva il Pd. Adesso queste scelte andranno spiegate e condivise». Anche per questo nessuno ha intenzione di procedere a strappi. Il percorso dovrà essere condiviso. Fino al 16 aprile, quando si riuniranno i delegati al Congresso nazionale, «terremo le orecchie tese a ciò che vorrà fare la maggioranza», afferma Spini. Dopo il congresso si procederà alla creazione dei gruppi separati alla Camera e al Senato. Certo, tra la fine del Congresso e l’avvio della fase costituente ci sono anche le elezioni amministrative. Spiega Fulvia Bandoli: «Andremo assieme. Noi non vogliamo responsabilità per una eventuale sconfitta. Ma anche la maggioranza non può permettersi errori».
L’Unità 30.3.07
L’arcipelago della sinistra
Di Nicola Tranfaglia
La sinistra vive in Italia (ma potremmo dire in Europa e nel mondo intero) una fase di crisi e di intensa trasformazione. Nel nostro Paese ha a che fare con una destra che si è divisa almeno in parte: una parte, ma la più piccola numericamente che accetta alcune regole di democrazia e che vuole ostinatamente rompere l’attuale alternanza e chiamarsi “centro” secondo la tradizione democristiana e una più grande che fa capo al leader carismatico Berlusconi e abbraccia un populismo poco democratico.
La condizione della destra non aiuta la sinistra e questo è uno dei problemi che rischia di esser rinviato ancora di qualche anno. Non sappiamo di quanto tempo.
Ma è all’interno della sinistra che le cose incominciano a muoversi in una maniera che incoraggia qualche speranza. La formazione ormai molto avanzata del partito democratico è di sicuro l’avvenimento più significativo degli ultimi mesi.
La mozione firmata dal segretario Fassino ha conseguito all’interno dei quadri e dei gruppi dirigenti dei Democratici di sinistra una vittoria più netta di quanto molti all’interno e all’esterno del partito si aspettavano. Intorno ai due terzi dei voti, oltre il settanta per cento, riservando il quindici per cento alla sinistra di Mussi e di Salvi e il dieci per cento alle obiezioni, interne alla maggioranza, di Angius e di Zani. Ormai dunque i Democratici di sinistra viaggiano speditamente verso l’incontro con la Margherita con l’affermazione degli ex Popolari che hanno mandato all’opposizione il presidente Rutelli, indicando una linea meno centrista di quella perseguita dal vicepresidente del Consiglio.
Nasce insomma un partito di centro-sinistra che lascia scoperto il lato più di sinistra che, tradizionalmente, era stato fino a qualche anno fa proprio dai principali eredi del Pci, non solo Rifondazione comunista ma in parte il Pds dei primi anni novanta.
Gli elettori dei due partiti che formano il Partito Democratico sembrano essere in maggioranza collocati in una posizione più a sinistra della nuova forza politica: del resto a leggere i documenti e i discorsi della fase costituente si può constatare la corsa al centro da parte di Fassino e di Rutelli sia nel rapporto con la Chiesa di Benedetto XVI sia in materia economica,sociale e culturale.
Ad ogni modo, e a prescindere dal giudizio complessivo che si dà dell’operazione, non c’è dubbio sul fatto oggettivo di uno spazio a sinistra che resta disponibile per le altre forze che tuttavia sono assai frammentate. L’interrogativo maggiore riguarda il destino della sinistra diessina che in un primo tempo si prepara a formare un gruppo parlamentare autonomo sia alla Camera che al Senato: si tratta di ventisei deputati e dieci senatori che costituiranno la terza forza dell’arcipelago di centro sinistra, dopo il partito Democratico e Rifondazione comunista.
Restano per ora divise Rifondazione comunista, i Comunisti italiani e i Verdi anche se è finalmente balzata in primo piano l’esigenza di un raccordo verso processi di federazione o di unificazione proposte già da alcuni anni dal Pdci e che ora sembrano accettate anche da Bertinotti. Quest’ultimo ha parlato per la prima volta dell’esigenza di una “massa critica” da opporre all’esistenza di un partito più centrista come quello Democratico e di una destra in crisi ma comunque per la maggior parte raccolta intorno a Berlusconi.
È difficile prevedere se il processo andrà avanti rapidamente o se invece seguirà ritmi lenti e contorti. Gli elettori sono di sicuro in maggioranza favorevoli alla prima ipotesi ma non è detto che lo siano i gruppi dirigenti che negli ultimi anni hanno di frequente duellati opponendo al tema dell’unità quello della propria peculiare identità.
La stagione dei congressi che in primavera prevede più di un appuntamento ci dirà qualcosa ma non c’è dubbio sul fatto che i problemi di una nuova forza elettorale e quelli di una maggioranza parlamentare sempre sul filo, spingono le forze attualmente in gioco a uno sforzo eccezionale verso l’unità. Se si mettessero insieme i Verdi, la sinistra Ds, i Comunisti italiani e Rifondazione potrebbe nascere una forza di oltre il dieci per cento in grado di apportare al centro-sinistra un contributo assai più importante dell’attuale e di influire in maniera maggiore di quanto avvenga oggi sull’indirizzo e la direzione dell’alleanza. All’interno di Rifondazione esiste ormai una minoranza che non accetta la scelta governativa del gruppo dirigente e contesta, come si è visto non solo a Roma ma anche nei territori, l’atteggiamento tenuto in questi mesi sull’Afghanistan e sulla politica economica e sociale. Assisteremo a una ennesima scissione anche all’interno del partito di Bertinotti? Non si può escludere sia perché potrebbe includere scissionisti che hanno già lasciato quel partito sia pezzi rilevanti del sindacato Cgil che non condividono l'attuale indirizzo del gruppo dirigente nazionale.
In una conclusione che resta provvisoria siamo vicini a una svolta che probabilmente sarà influenzata dall’esito delle discussioni sulla nuova legge elettorale e che avrà efficacia se sarà in grado di elaborare una piattaforma programmatica chiara.
Una politica estera nella direzione già indicata dal governo Prodi ma una politica culturale, economica e sociale più avanzata di quella svolta finora, più nettamente preoccupata dei lavoratori,dei giovani e degli anziani, più aperta, nel senso di una democrazia moderna, alle libertà dei cittadini, dall’informazione ai nuovi saperi.
I tempi per una simile svolta sono maturi. Chi si opporrà alla formazione di una sinistra più unita porterà su di sé pesanti responsabilità in un Paese diviso come è ancora l’Italia.
Repubblica 30.3.07
A volte ritornano
Di Maria Novella Oppo
VESPA è tornato sul luogo del delitto con la solita compagnia di giro, appena un po’ cambiata. Non avrebbe dovuto esserci l’avvocato Taormina, ma c’era. E c’era anche (ma perché ?) Maurizio Belpietro, animato dal solito odio contro i magistrati, che osano cercare giustizia per il piccolo Samuele. Un bambino di tre anni, trucidato nella maniera più atroce e poi cancellato, perché tutte le telecamere fossero per lei, Annamaria Franzoni, illuminata, intervistata, replicata nei mille momenti di una esposizione mediatica senza precedenti. Vespa non ha nemmeno accennato alle critiche del procuratore nei confronti del processo televisivo. Anzi, ha concesso un’altra occasione a una tesi difensiva catastrofica, che è solo una tesi accusatoria nei confronti dei giudici, del Ris e del paesino di Cogne, che sarebbe abitato da un mostro in libertà. Un mostro di cui Taormina per 31 volte ha detto di conoscere il nome. Ma non lo ha rivelato, uscendo dal processo, vinto in tv, giusto in tempo per non perdere quello in tribunale.
Repubblica 30.3.07
Il presidente della Camera avverte Prodi e alleati: il problema del centrosinistra non è Casini
"L’Unione pensa troppo all'Udc ma la nostra sfida è il welfare"
Bertinotti: "Sulle pensioni non reggeremmo lo sciopero"
Socialista? io sono comunista Serve una riorganizzazione del campo della sinistra. Nuovo partito socialista? Sono comunista
I centristi non vogliono nulla I centristi non trattano e non chiedono nulla, il loro unico interesse è la legge elettorale
Di Umberto Rosso
CARRARA - «Ma ad uno come Casini, che sta costruendo un´identità e un progetto centrista, chi glielo fa fare di ammiccare al governo dell´Unione?». Parla il presidente della Camera, e scaccia via il fantasma di una nuova maggioranza. «Al leader dell´Udc non conviene legarsi le mani. Ha in testa solo la riforma elettorale. Le maggioranze variabili perciò non esistono. Il problema non è Casini. Per il centrosinistra il problema vero è un altro».
Fausto Bertinotti, sull´aereo che lo porta alla conferenza di organizzazione di Rifondazione, il primo grande appuntamento di partito che vive da presidente della Camera, sgombra il terreno da sospetti e manovre e spiega con che cosa veramente Prodi ha da fare i conti. «Il nodo da sciogliere per il governo è sempre lo stesso, esattamente uguale a quello del primo giorno di vita. Il problema è il rapporto con il paese, la capacità di far intrapresa politica, di dare risposte sul terreno sociale. Su tutto, dai Dico alle pensioni. La mediazione fra i partiti alla fine, come si è visto, la trovi. Ma se ti becchi uno sciopero generale sulle pensioni, si balla davvero». Messaggio ai navigatori, perciò. Meno Casini e più sociale per svoltare, che tanto non ci sono operazioni possibili di ingegneria politica al centro. Mentre, invece, si rischia di lasciare scoperto proprio il fronte che ha votato Unione aspettando riforme e novità. Ed è anche per questo che Fausto Bertinotti ha deciso che è arrivato il momento di accelerare sulla Sinistra Europea, aprendo a Mussi che ha appena lanciato il suo ultimatum al partito democratico ma nel «cantiere» che l´ex segretario ha in mente non c´è una Rifondazione allargata ma una «sfida unitaria» con Fassino, con singoli temi sui quali si può convergere. «Penso - dice - alla costruzione della Sinistra europea, in una riorganizzazione più complessiva del campo della sinistra. Un nuovo partito socialista? Io sono comunista, e poi alla mia età. «.
E una conferma il presidente la trova nel dossier che sta giusto sfogliando, insieme ai suoi collaboratori, sorvolando il Tirreno. Parla delle cose di casa sua, è una inchiesta dall´interno sul Prc, attese, aspirazioni ma anche mal di pancia di militanti e dirigenti. In un grafico c´è la summa degli umori del popolo di Bertinotti. Domanda agli intervistati: quali sono gli effetti della partecipazione di Rifondazione al governo? La reazione sembrerebbe sorprendente. «Il 42 per cento neanche risponde al quesito. Vuol dire che la nostra presenza a Palazzo Chigi viene considerata come una sorta di passaggio obbligato ma non come l´elemento più importante.
In cima alle attese c´è altro: il lavoro, l´ambiente, la cultura, sono questi tre punti che fanno il pieno, le domande forti». L´ex segretario non si meraviglia affatto. Anzi. E´ una conferma. «Ci ho fatto un congresso sopra, l´ultimo, quello di Venezia. Per dire che il governo non è la nostra bussola. E se cade per i militanti non sarà un dramma». La rotta, oggi come allora, continuano a indicarla i movimenti. Pure quei cinquanta che l´hanno contestato alla Sapienza di Roma? «Schegge, davvero piccole. Però bisogna sempre capire le ragioni che stanno dietro alle proteste». Piccola smorfia di fastidio, si capisce che non ha molta voglia di parlarne ancora. Torniamo al Palazzo, allora. Ai fantasmi di nuove maggioranze che turbano il sonno di molti uomini di Rifondazione e della sinistra radicale.
Non quelli di Bertinotti però, a quanto pare. «Casini non tratta e non chiede nulla al centrosinistra. Se vuoi fare il Bayrou devi essere iperrealista. Il suo unico interesse, come del resto ha lui stesso dichiarato apertamente: la legge elettorale, facendo saltare il referendum. Chi ci vede altri disegni, prende lucciole per lanterne. Ecco perché non mi preoccupa affatto il presunto pericolo di maggioranze variabili, né tantomeno siamo ad una sorta di appoggio esterno non dichiarato dell´Udc». Il capo dell´Udc si smarca da Berlusconi. «Maroni invece, pur avendo lo stesso identico obiettivo della legge elettorale, al leader della Cdl resta attaccato. Tattica. La Lega ormai va per conto proprio su tutto, però controlla da vicino Berlusconi perché non si fida: teme che voglia il referendum». E i numeri sul filo del rasoio, presidente, il rischio di qualche appoggio «sostitutivo» che aprirebbe venti di crisi? «Il vero problema non sono i numeri che, come si è visto anche nell´ultima tornata sull´Afghanistan, alla fine si recuperano sempre. Tutti temevano che il terreno della politica estera sarebbe stato esiziale per la vita del governo e invece, come del resto io ho sempre sostenuto, proprio lì il centrosinistra si è ricompattato». Non sono «le alchimie», le ipotesi di ingegneria politica «che peraltro a furia di parlarne allontanano sempre più i cittadini», per il presidente della Camera la chiave della stabilità. «All´interno della maggioranza la mediazione alla fine si trova sempre. E´ fuori dai giochi fra i partiti, nel rapporto con il paese, il luogo vero nel quale ricercare la soluzione dei problemi».
Correnti, verticismo, quote rosa terapia d'urto per Rifondazione
gli stati generali
CARRARA - Una "terapia d´urto" per Rifondazione comunista. E´ quel che ha chiesto, aprendo i lavori della conferenza di organizzazione del partito, Francesco Ferrara, responsabile organizzativo del partito. Ferrara ha elencato una lunga lista di mali da superare: «Burocratismo, autoreferenzialità, verticismo, correntismo esasperato, separatezza istituzionale». Tra gli obiettivi indicati nella relazione c´è anche quello di rispettare le quote rosa (60 posti agli uomini, 40 alle donne) negli organismi dirigenti: quando ciò non avverrà gli organismi saranno sciolti. Prevista l´incompatibilità fra incarichi di partito e incarichi amministrativi e il "tetto" di due mandati nelle assemblee elettive.