domenica 25 febbraio 2007

l’Unità 25.2.07
Quando l’uomo cominciò a cantare
di Stefania Scateni


Dal «suono luminoso» delle cosmogonie antiche all’armonia delle sfere
E al simbolo «sonoro» tra io e inconscio

PRIMA DELLA LINGUA Per l’antropologo Steven Mithen, autore de Il canto degli antenati, all’origine del linguaggio umano c’era un sistema di comunicazione e di messaggi molto più vicino alla musica che alle parole

Lucy, la nostra antenata australopiteca vissuta circa 3 milioni e mezzo di anni fa, cantava. Non immaginatevi una vera e propria canzone, un’aria o una melodia come le conosciamo oggi. Però cantava, per comunicare con i
compagni e le compagne della sua specie usava messaggi multimodali e musicali. L’evolversi verso la stazione eretta ha in seguito permesso agli ominidi (tutta la serie degli Homo classificata dagli scienziati) di accompagnare questi messaggi a movimenti del corpo elaborati e fluidi, che possiamo immaginare come danze. E, in seguito, all’evolversi dei messaggi musicali in linguaggio. In altre parole, i nostri antenati hanno cantato prima di parlare.
La musica è venuta prima delle parole. Questo spiegherebbe perché abbiamo un istinto musicale, perché battiamo il piede ascoltando una canzone e perché ci emozioniamo ascoltando una certa musica. È l’ipotesi affascinante avanzata dall’antropologo inglese, professore di archeologia alla University of Reading, Steven Mithen, in uno studio ambizioso e poderoso, ma non per questo di difficile lettura, ora tradotto in Italia, col titolo Il canto degli antenati (Codice Edizioni, pagine 412, euro 32,00).
Il lavoro di Steven Mithen nasce, come spesso succede nel campo dell’intelletto, da un’ossessione: comprendere la musica. Lui, dice, è completamente negato («non sono né intonato né in grado di battere il ritmo») mentre a casa è circondato da persone che cantano e suonano. Ostinato a capire la musica, non riuscendo a padroneggiarla, ha avviato un’immane ricerca, per la quale ha chiamato in aiuto discipline diverse, analizzando, confrontando e concatenando i lavori di linguisti, musicologi, neuroscienziati, psicologi dell’età evolutiva, antropologi, archeologi, etologi e paleontologi, per scoprire il significato della musica e il perché del suo fascino sull’uomo. Mithen ha messo insieme tutti i dati significativi come tessere di un grande puzzle dell’evoluzione, nel quale la musica risulta avere un ruolo centrale. È impressionante come le sue conclusioni si avvicinino a studi musicologici che non poggiano su un metodo scientifico in senso stretto, ma fanno riferimento alla mitologia e alla cultura dei popoli dell’antichità.
L’intuizione di Steven Mithen (che la musica sia stata nell’evoluzione umana una forma di protolinguaggio, una forma matrice del linguaggio verbale) prende corpo grazie al lavoro controcorrente della linguista Alison Wray. A fronte della «teoria composizionale» sulla nascita del linguaggio, secondo la quale è possibile che i nostri antenati, come gli uomini di Neanderthal, disponessero di una gamma relativamente ampia di parole con una grammatica limitata se non del tutto assente, Wray ed altri sostengono una «teoria olistica». Secondo questa teoria il protolinguaggio dei nostri antenati non era composto da parole ma era un sistema di comunicazione fatto di messaggi, ovverosia di espressioni multisillabiche. Mentre per la teoria composizionale, le parole furono presenti fin dai primi stadi dell’evoluzione del linguaggio, per la teoria olistica apparvero solo in stadi successivi. Di per sé, la definizione «espressioni multisillabiche» fa venire in mente, se non un motivetto, almeno dei suoni ritmati, una melodia primitiva, come un «ta-taa-ta» per esempio. Mithen parte da qui per intraprendere una lunga strada di ricerche, studi, comparazioni. Comincia col cercare somiglianze e differenze tra musica e linguaggio, per passare all’analisi degli studi su come musica e linguaggio siano creati nel cervello, sull’importanza della musicalità nella comunicazione con i neonati, e del legame tra la musica e le emozioni. Poi sposta la lente sui sistemi di comunicazione delle scimmie antropomorfe e non, sulla storia evolutiva dei nostri antenati ominidi, evolutisi in Africa nel periodo compreso tra sei e due milioni di anni fa, e sui sistemi di comunicazione degli uomini di Neanderthal e dell’Homo sapiens. Mithen ci mostra come, studiando i fossili dei nostri antenati per delineare l’evoluzione dell’apparato vocale, si può osservare che 500 mila anni fa i tracciati vocali erano poco diversi da quelli che possediamo oggi, eppure gli scienziati non hanno prove dell’esistenza di un pensiero simbolico e di strumenti complessi che potrebbero essere indicativi dell’uso del linguaggio. I tracciati vocali dei nostri antenati farebbero quindi pensare a una capacità di cantare. Melodia e ritmo, inoltre, sono importantissimi nel nostro linguaggio, spesso indispensabili per comprendere la forma di una frase. Ritmo e melodia nella comunicazione, oltretutto, vengono esaltati ed enfatizzati quando comunichiamo con i bambini. E gli psicologi hanno scoperto che questa modalità comunicativa istintiva negli adulti è importante perché il bambino acquisisca le parole, e fondamentale per la comunicazione e per indurre emozioni. Mithen
aggiunge che può essere simile all’antico tipo di comunicazione usato dai nostri antenati.
Il mosaico che lo studioso compone con le tessere a sua disposizione ci mostra che fare musica è stato cruciale per la sopravvivenza dei nostri antenati e ha avuto un ruolo fondamentale per la costruzione dell’identità di gruppo. Uscendo dal seminato della scienza, e giocando con l’assonanza del suo cognome, possiamo permetterci di affermarre che Mithen ha delineato, con il suo studio, un «mito» fondativo. E non può non essere un caso che ogni mito cosmogonico - cioè fondativo dell’universo - elaborato dalle culture primitive e dalle culture antiche (come quella degli egizi, ad esempio) parlino di un suono, un «suono luminoso», all’origine del mondo. Se l’uomo ha cantato e ballato prima di parlare, cosa ci vieta di pensare che abbia trasferito questo «ricordo» al mondo in cui vive, usando la musica come spiegazione della propria nascita?
È quanto si può leggere in un vecchio libro di musicologia, Il significato della musica, in cui il musicologo Marius Schneider ricostruiva le antiche cosmogonie e comparava la simbologia musicale di diverse culture. Dopo lunghi studi di antropologia e simbologia della musica, Schneider elaborò il concetto di «simbolo sonoro», che si avvicina in maniera impressionante alla teoria olistico-musicale di Mithen (lo scienziato non ce ne voglia per l’associazione: d’altra parte l’armonia delle sfere in cui credevano gli antichi greci è stata effettivamente registrata, qualche anno fa, dalle apparecchiature degli astronomi). Per Schneider le idee e gli oggetti più diversi, riuniti da un ritmo comune, finiscono col formare in noi un insieme semicosciente che è linguisticamente inesprimibile, ma caratteristico dell’esperienza simbolica. Pur non avendo un significato concettuale, tale insieme possiede un senso espresso dal ritmo che li riunisce, e che la musica può riprodurre più di ogni altro linguaggio, perché la manifestazione più alta e essenziale del ritmo è il ritmo sonoro. Al pari di Carl Gustav Jung, il celebre psicoanalista per il quale il simbolo getta un ponte tra l’io cosciente e l’inconscio, per Marius Schneider il simbolo sonoro getta un ponte fra un mondo primordiale puramente acustico e subcosciente e un mondo materiale perfettamente conscio. Lo stesso ponte che Mithen costruisce tra Lucy e noi.

l’Unità 25.2.07
Rifondazione tra movimenti e governo: «È la cruna dell’ago...»
Incertezze e maldipancia mentre all’interno di Prc c’è chi pensa ad una scissione: sono i trotzkisti di Cannavò (e di Turigliatto)
di Eduardo Di Blasi


«L’ATTACCO al governo è venuto da destra, e adesso Rifondazione si trova davanti due compiti molto difficili: salvare l’esperienza del governo Prodi (e i contenuti
del suo programma unitario) evitando che uno scivolamento a destra del quadro politico si trasformi in un disastro per il Paese e per i movimenti». Vittorio Agnoletto, europarlamentare eletto da indipendente nelle liste del Prc, così legge il difficile passaggio che il partito di Franco Giordano, si trova davanti. E vede davanti una sola strada per attraversare quella che chiama, biblicamente, la cruna dell’ago: «La palla torna fortemente ai movimenti, a coloro che scendono in strada contro la Tav in Val di Susa, per le unioni civili, a Vicenza. Tanto più i movimenti saranno forti, tanto più potrà essere incidente l’azione del governo Prodi. Rompere con i movimenti non potrebbe che essere un danno anche per l’Unione. Pensate veramente che si possano ignorare gli omosessuali, la Val Susa, chi chiedeva la riorganizzazione del sistema radiotelevisivo e il conflitto di interessi?». Rifondazione, spiega Michele De Palma, giovane responsabile Movimenti del partito, «non è a capo dei movimenti, perché a Vicenza nei comitati di lotta trovi la signora di An, e buona parte dei sindaci della Val di Susa che protestano contro il percorso della Tav hanno in tasca la tessera dei Ds. Il dibattito sui movimenti va deideologizzato, perché i movimenti sono trasversali, bastardi, non sono “i movimenti di Rifondazione”. Non è che tutti quelli che vanno in piazza votano per il nostro partito. Noi siamo a servizio di quel movimento perché riteniamo che la piazza sia importante nella democrazia». Fa un esempio che denota fantasia: «Mettiamo che il Prc non esistesse: secondo voi non esisterebbero nemmeno i movimenti?». In questo momento, spiega: «Quello che bisogna fare è ritrovare, nell’Unione, un elemento di comunanza, perché stiamo tutti su una stessa barca e non possiamo fare la fine degli antropofagi che vanno alla deriva». Certo è che questa politica di lotta e di governo è oggi messa in crisi dalla caduta del governo nell’aula di Palazzo Madama. Caduta che è dovuta, le parole sono del deputato Massimiliano Smeriglio, segretario della federazione romana, «ad una minoranza che non è in sintonia con il nostro popolo, quella Sinistra Critica che purtroppo esiste al nostro interno e che ha una doppia fedeltà. Non credo esista al mondo l’esempio di un compagno, espressione di una componente di minoranza, che contribuisca a mettere all’angolo tutto il partito». Sinistra Critica, una delle minoranze interne al Prc è l’associazione capeggiata dal deputato Salvatore Cannavò. Quest’anno, rappresentando circa il 6% del partito, è riuscita ad inserire un nome nella lista per Palazzo Madama: Franco Turigliatto (il dissidente che con il «non voto» ha in parte contribuito alla caduta del governo). Giusto ieri Cannavò ammoniva sulla prossima fiducia: «Decideremo sulla base del discorso di Prodi, anche se non nascondo che ci preoccupa l’allargamento della coalizione al centro». Aggiunge: «Il voto di fiducia al Senato è molto incerto, ho sentito oggi Turigliatto e non è un modo di dire che sta riflettendo sul da farsi». Dopo che la Direzione del Prc ha votato giusto venerdì un documento in cui si indica nel sostegno al governo Prodi la linea politica del partito, le dichiarazioni di Cannavò sembrano preludere ad una scissione dell’ala Trotzkista (circostanza che potrebbe anche far permanere a Palazzo Madama il senatore della Sinistra Critica). Claudio Grassi, rappresentante dell’Ernesto (la minoranza più numerosa dentro il Prc), spera che non si arrivi a una scissione dai trotzkisti. Ritiene, d’altronde, «che il momento sia difficile e delicato». D’altronde non tutti convergono sul fatto che i due «dissidenti» abbiano commesso un errore. Il vignettista Vauro Senesi, ad esempio, ritiene la vicenda grottesca. Parla di «crisi fasulla» e di «un atteggiamento arrogante e supponente, tenuto da Prodi e dal suo ministro D’Alema». Ritiene che i due senatori «non votanti» siano stati fatti oggetto di un comportamento fascista («anche se non ne faccio due eroi»), e spiega: «Ieri ad Oslo 49 Paesi hanno deciso di mettere al bando le bombe a grappolo. Tra questi non c’erano gli Stati Uniti. I nostri “sacri alleati” di Vicenza».