venerdì 2 febbraio 2007

l’Unità 2.2.07
Bertinotti: un caso politico ma nessuna crisi
La base di Vicenza? «Non bisogna andare contro la popolazione, ma il governo durerà»
di Natalia Lombardo inviata a Montevideo


«NON SI ANNUNCIA una crisi, ma c’è un problema politico che la maggioranza deve affrontare coraggiosamente, perché deve abituarsi alle
difficoltà e andare avanti». Senza ricorrere al «soccorso avvelenato» del centrodestra, ma facendosi aiutare da «un sovrappiù di partecipazione politica. Disinteressata»: dall’Uruguay Fausto Bertinotti non drammatizza quanto successo ieri al Senato, convinto che il governo Prodi reggerà, dal momento che «non esiste un’alternativa al centrosinistra». Di larghe intese neppure a parlarne «sono solo astrazioni e non le ha proposte nessuno». Se non proprio un «tiremm’ innanz», il presidente della Camera invita l’Unione a oltrepassare il conflitto senza ignorarlo, ma «riparando il guasto» con il confronto aperto e cercando un «compromesso». Parola non negativa per l’ex segretario di Rifondazione, «non è una minore resistenza, un galleggiare opportunistico, ma la ricerca di una sintesi». Insomma, Bertinotti, che si mantiene nel «recinto» della valutazione politica (parla a Montevideo dopo l’incontro col presidente della Camera uruguayana, Julio Cardozo, e non vuole entrare nel terreno di Palazzo Madama), riconosce che il «guasto» politico è fisiologico in una coalizione così ampia, ma non vede un problema istituzionale: «Non dico di fare spallucce, ma di fare tesoro dell’esperienza e allungare il passo». Se ieri il patatrac è successo sulla base Usa di Vicenza (al cui allargamento si è sempre detto contrario), altri scogli sono in vista: l’Afghanistan, le pensioni. Con una velatissima irritazione, acchiappato il sigaro spento, avverte: «Il problema che oggi è nato da una componente moderata», interna all’Ulivo e alla Margherita, «domani verrà da quella più radicale della coalizione. Spero non si esprima nella stessa forma. E sottolineo spero non nella stessa forma…». Come dire: occhio, la sinistra non faccia agguati in Parlamento. Però insiste sulla partecipazione, «allungare il tempo di decisione per cercare un coinvolgimento maggiore» nel caso di Vicenza, e «darsi una linea di condotta: mai andare contro il parere di una popolazione».
Curioso che l’incidente in Italia sia accaduto quando Bertinotti è in Uruguay, paese ancora ferito dalla dittatura e in cui il 40% della popolazione è italiana: da tre anni è governato da una sorta di Unione di centrosinistra, il Frente Amplio, che ha fatto vincere il presidente socialista Tabare Vazques, e che ha un ministro del Movimiento de participation popular (Mpp) diretto erede dei Tupamaros, i guerriglieri uruguayani degli anni 70. Convivenze difficili, ma «le coalizioni larghe nascono da uno stato di necessità», spiega Bertinotti, il problema è «se resistono e governano bene». Però non ha dubbi: «Preferisco un Parlamento in cui tutti i partiti possano essere rappresentati, piuttosto che una legge punitiva di alcuni». Certo alla «pessima legge elettorale» italiana (la «porcata» di Calderoli) secondo il presidente della Camera «bisognerà mettere mano col concorso di tutti e senza fini impropri».
Senza fare paragoni «improponibili» a trent’anni dall’esperienza di Allende e Unidad Popular, Bertinotti esclude la nascita di altre maggioranze o larghe intese neocentriste, del resto mai uscite alla luce del sole: «Non ce la fa nessuno ad avanzare una proposta alternativa al centrosinistra». E i «protagonisti sulla scena sono quelli di oggi», se poi Veltroni e Fini si sfideranno «si vedrà quando si candideranno», risponde pungolato dai cronisti italiani che azzardano una scesa in campo di Veronica Lario: «Alle viste non c’è, comunque sarà una scelta sua». Prodi reggerà quattro anni? «Penso proprio che ci arriverà - risponde sereno - perché la coalizione ha il dovere di reggere», ha il mandato degli elettori e «deve affrontare i problemi del paese».