l'Unità 13.2.07
«La Chiesa va contro il Concordato»
Rodotà: i Dico sono una risposta civile a un bisogno diffuso
di Maria Zegarelli
L’ATTACCO Il Concordato tra Stato e Chiesa «è stato messo in discussione dalla Chiesache vuole esercitare sovranità anche sullo Stato italiano». Il costituzionali-
sta Stefano Rodotà commenta così le ultime dichiarazioni del Papa e del Cardinale Camillo Ruini che ieri hanno di nuovo serrato le fila contro il ddl governativo che regola le unioni civili, i «Dico». «Si è aperto un conflitto - dice Rodotà -. Hanno aperto un conflitto dichiarato con il governo della Repubblica, il Parlamento e la nostra Carta Costituzionale. Dichiarare sovversivo un disegno di legge votato dal Consiglio dei ministri vuol dire aprire un conflitto con il nostro Stato. Cosa ulteriormente accentuata dall'atto di indirizzo che Ruini ha detto di voler emanare ai cattolici, compresi quindi anche i parlamentari, che devono quindi abbandonare la loro fedeltà alla Costituzione per la religione». Un’ingerenza quella Oltretevere che non ha precedenti, almeno dai tempi del divorzio e del referendum sull’aborto. Secondo il professore «i Dico sono una risposta civile a un bisogno diffuso della società e il legislatore deve tener conto delle esigenze della società, non delle sue convinzioni personali». E la Chiesa, che può «legittimamente esprimere la sua opinione», non può condizionare l’operato del parlamentare chiamato a votare leggi «dirette a tutti i cittadini». Rodotà è netto nel commentare le ultime prese di posizione di Cei e Vaticano parlando davanti alla telecamere del Tg3, ma già ieri mattina aveva a lungo parlato dei Dico davanti a una platea di giovani studenti, docenti universitari e delle scuole medie superiori, riuniti nell’Aula Magna della Sapienza di Roma in occasione del convegno «Convivenza Civile - tra dignità e rispetto delle regole».
Non risparmia critiche al ddl, a partire dall’acronimo scelto, «segno di cattiva capacità di comunicazione, che si presta a tutta una serie di battute che potevano essere evitate. O dall’«idea della raccomandata, una di quelle bizzarrie che dovrebbero essere spiegate», dice riferendosi alla comunicazione all’altro convivente che secondo il ddl governativo può avvenire tramite lettera. Ma a parte queste notazioni, il professore va dritto al cuore della questione: le convivenze sono un dato di fatto, un fenomeno «che non può essere costituzionalmente ignorato». Affianco a lui c’è Giovanni Maria Flik, ex ministro della Giustizia attuale vice presidente della Corte Costituzionale. Che annuisce e rispondendo a una domanda sul ddl sulle unioni civili, dice: «Non posso esprimermi sulla legge per l’incarico che rivesto anche se ho una mia opinione al riguardo». Rodotà fa riferimento alle sentenze emesse dalla Consulta - che hanno riconosciuto diritti ai conviventi - e i dati del Comune di Roma dai quali risulta che c’è stato un crollo di matrimoni civili e religiosi, scavalcati ormai dal numero di convivenze. «Non si possono ignorare fenomeni e cambiamenti così importanti della società». E fa bene la Chiesa a dire la sua, «è legittimo», ma uno Stato «deve occuparsi dei diritti dei cittadini, di tutti i cittadini». E ricorda la cerimonia di commemorazione delle vittime della strage di Nassiriya: Adele Parrillo, compagna di Stefano Rolla, il regista morto mentre girava un documentario nella base colpita dai terroristi, «non è stata invitata perché era convivente e non coniuge». Questo vuole dire, ad esempio, il vuoto normativo sulle unioni civili.
l'Unità 13.2.07
Dico, Ruini prepara il «sacro monito»
Il presidente delle Cei annuncia una nota vincolante
per i cattolici. Ratzinger: quella legge mina la famiglia
di Roberto Monteforte
CONTRO I «DI.CO» la linea è quella «intransigente». La Chiesa ha scelto. Non siamo al «non expedit» di Pio IX, ma rischia di andarci molto vicino. Quel disegno di legge sulle coppie di fatto è ritenuto un pericolo grave per la famiglia, per i giovani e per la società, in
netto contrasto con la legge naturale. Così ieri il Papa in persona ha spiegato il perché di questa intransigenza. «Nessuna legge fatta dall’uomo può sovvertire il disegno del Creatore» ha scandito ricevendo in udienza privata i partecipanti al convegno internazionale organizzato dall’Ateneo Lateranense proprio sul diritto naturale. Un discorso complesso che è partito da una premessa: «Vi sono norme che precedono qualsiasi legge umana» e che «non ammettono interventi in deroga da parte di nessuno». Per Papa Ratzinger è la legge naturale, con le sue «applicazioni concrete» sul fronte della difesa della vita umana dal suo inizio alla sua fine naturale e del matrimonio, «il solo valido baluardo contro l'arbitrio del potere o l'inganno della manipolazione ideologica». Un codice morale valido per tutti gli uomini. Spiega e sprona il Papa: «È la vera garanzia offerta a ognuno per poter vivere libero e rispettato nella propria dignità». Rinnova la sua critica all’uomo di oggi che «ha dimenticato che non tutto ciò che è scientificamente fattibile è anche eticamente lecito».
Questa è la premessa. L’obiettivo è la difesa della famiglia tradizionale, minacciata da normative che introducono uguali diritti alle coppie di fatto eterosessuali e omosessuali. Richiama il Concilio Vaticano II a difesa dell’istituto del matrimonio, «stabile per ordinamento divino». Nessuna legge fatta da uomini «può sovvertire la norma fatta dal Creatore senza che la società venga drammaticamente ferita in quella che è il suo fondamento basilare». Dimenticarlo, ha ammonito il pontefice, significa «indebolire la famiglia e penalizzare i figli». Non nomina né i Pacs, né i Di.co. Ma a chi e cosa si riferisce quando esorta i legislatori a promuovere le legge umana e a non «trasformare i diritti in interessi privati o in desideri che stridono con la legge naturale»? Lo ribadisce: «La legge naturale è il solo valido baluardo contro l'arbitrio del potere o gli inganni della manipolazione ideologica». «La prima preoccupazione per tutti e particolarmente per chi ha responsabilità pubblica», conclude,- è che «possa progredire la coscienza morale di tutti».
È in piena sintonia con Papa Ratzinger il magnifico rettore della pontificia università Lateranense, monsignore Rino Fisichella. «Alcuni vorrebbero che restassimo in silenzio per emarginarci dal mondo» afferma nel suo saluto al pontefice nella Sala Clementina. Sferra il suo attacco. Sotto tiro secolarizzazione, relativismo e quella «crisi» della riflessione teologica, filosofica e giuridica, «sui problemi connessi alla Legge naturale», che prese avvio negli anni 60. «Ha portato ai nostri giorni anche diversi Parlamenti a promulgare leggi in netto contrasto con la legge naturale e per ciò stesso indegni di ordinamenti giuridici che possano essere di garanzia per tutti i cittadini» afferma veemente. Parole dure, di chi si presenta come pronto a guidare le truppe a difesa della legge naturale violata.
Ma la notizia la dà il presidente della Cei, cardinale Camillo Ruini. Sul «Di.co» è in arrivo «una parola meditata e impegnativa» da parte della Cei. Sarà rivolta a «coloro che accolgono il magistero della Chiesa». Preannuncia che sarà «chiarificatrice per tutti». Un documento «ufficiale» dei vescovi, quindi, che dopo un’analisi del testo di legge, conterrà indicazioni di comportamento «vincolanti», per tutti i cattolici. Compresi quelli impegnati in politica nei due schieramenti. I riferimenti, anche recenti, non mancano. Vi sono i pronunciamenti della Congregazione per la Dottrina della fede con le «note dottrinali» dell’allora cardinale Ratzinger, prefetto dell’ex Sant’Uffizio. La Chiesa si rivolge alla singola persona. Indica comportamenti da tenere. Richiama l’obbligo a seguire le indicazioni del magistero. In alcuni casi sino all’obiezione di coscienza. Ma dovrebbe pure rispettare l’autonomia dei politici nelle loro scelte «pubbliche». Non dovrebbero contenere «sanzioni». Per un credente ha già un forte valore morale essere considerato «non in piena comunione» con la Chiesa.
Che l’annuciata «nota» Cei avrà i suoi effetti politici è sicuro. Li staranno misurando Ruini ed i suoi collaboratori. Il prossimo 19 febbraio, anniversario della revisionedel l Concordato, all’ambasciata italiana presso la Santa Sede si terrà il tradizionale incontro tra rappresentati della Santa Sede e le massime autorità italiane. Nello spirito della collaborazione e del rispetto reciproco.
l'Unità 13.2.07
A ROMA Una commemorazione del filosofo
Nel nome di Giordano Bruno
Sabato 17 l’Associazione nazionale del Libero pensiero organizza (con il patrocinio del Comune di Roma e l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici Centro Internazionale di Studi Bruniani Giovanni Aquilecchia) una giornata di commemorazione Nel nome di Giordano Bruno. Libertà ed autodeterminazione: valori laici. Alle 16,30 in piazza Campo de’ Fiori di Roma - dove il pensatore venne bruciato vivo il 17 febbraio 1600 - verranno deposte corone ai piedi della statua che campeggia al centro della piazza. Seguiranno gli interventi di: Bruno Segre, presidente dell’Associazione del Libero pensiero, Maria Mantello, Giulio Giorello, Federico Coen, Nuccio Ordine. Marianna Arbìa, Marialivia Franceschini, Fabiola Perna, Camilla Scrugli, Arianna Zapelloni Pavia e Carlotta Spizzichino leggeranno brani dalle opere di Giordano Bruno.
Repubblica 13.2.07
Enrico Boselli, leader Sdi: siamo un paese a sovranità limitata
"Concordato violato allora meglio abolirlo"
La Chiesa elimini il divieto per i preti di candidarsi alle elezioni. E Ruini si presenti
I Patti Lateranensi, la religione a scuola, non hanno più senso: porrò il problema agli alleati del centrosinistra
di Cludio Tito
ROMA - «Chiederò al governo e all´Unione di muoversi per abolire il Concordato». Dopo l´ultimo affondo contro i "Dico" sferrato dal Papa e dal presidente della Cei, Camillo Ruini, Enrico Boselli imbocca la strada dello scontro frontale. Mettendo in discussione persino i Patti lateranensi, che disciplinano i rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa da quasi 80 anni. «Ormai - scandisce il segretario dello Sdi - non hanno più senso».
Perché le parole di Ruini l´hanno colpita così tanto?
«Sono rimasto impressionato da un fatto: perché non è stata usata la stessa forza quando è stata approvata una legge ben più aperta della nostra in Spagna? O in Francia? O in Germania? Solo quando il problema lo affrontano il governo e il Parlamento italiano, scatta questa campagna formidabile».
Secondo lei perché?
«Perché si pensa che l´Italia sia un paese a sovranità limitata».
Quindi c´è anche un movente politico?
«Bisognerebbe chiederlo a Mastella, a Rutelli, ai teodem».
Teme che l´obiettivo della Cei sia il governo Prodi?
«Non credo. Però mi colpisce che questa campagna non tocca temi etici ma solo la possibilità di andare a trovare in ospedale il convivente o di subentrare nel contratto di affitto. Vedo addirittura mons. Fisichella che si appella ai parlamentari cattolici perché non votino la legge».
Quali sono le possibili conseguenze?
«Guardi, queste prese di posizione, questi veti, questi ammonimenti delle gerarchie ecclesiastiche rappresentano un vero e proprio strappo del Concordato. Che, come tutti sanno, stabilisce la non ingerenza della Chiesa negli affari dello Stato».
Una violazione del Concordato?
«Sì. E allora c´è un´unica strada: quel Patto non è più accettabile in una società come la nostra. Nessuno vuol togliere alla Chiesa la libertà di parola. È legittimo che prenda posizione, difenda i suoi principi. Però non si può nascondere che da questo derivino due effetti: la violazione del Concordato e il fatto che lo Stato non può continuare a concedere i tanti privilegi previsti dallo stesso Concordato. In Italia non c´è più la religione di Stato».
Lei parla di una abolizione?
«Certo. Questo è un Paese aperto. Il principio di fondo dei Patti Lateranensi non è più attuale. Non c´è ragione che l´insegnamento della religione cattolica venga svolto dalle scuole pubbliche con i soldi pubblici, o che il fisco trasferisca l´8 per 1000 o che gli immobili della Chiesa siano esentati dall´Ici».
Presenterà una proposta di legge?
«Non è materia da proposta di legge. Porrò, però, il problema agli alleati e al governo. Solo un cieco non vede che il Concordato non serve più».
Secondo lei si è già aperto un conflitto con il governo?
«È evidente. Nel momento in cui si calpestano i diritti dei rappresentanti del popolo ad adempiere il loro mandato, comunque si apre un conflitto. Ricordo poi che Ruini in passato aveva già contestato alcune leggi regionali».
Quindi?
«Quando la Cei decide di entrare nella vita pubblica, nel dibattito tra i partiti, deve sapere che, appunto, diventa parte. E nessuno può limitare le risposte o le critiche».
Cioè i vescovi italiani si stanno muovendo come un partito?
«Mi auguro che la Chiesa elimini il divieto per i preti di candidarsi alle elezioni. E mi auguro che lo stesso Ruini si candidi. Così potrà far valere meglio le sue idee. E in maniera più corretta».
Repubblica 13.2.07
Le nuove famiglie
Nozze in calo, è boom di coppie di fatto
Sono 500.000, 10 anni fa erano la metà. Bimbi, il 15% nasce fuori dal matrimonio
Aumentano le separazioni, quasi due coppie su dieci si lasciano
In ventotto capoluoghi del Centro Nord le cerimonie civili superano quelle religiose
Ci si sposa sempre più tardi e aumentano le coppie con uno dei due sposi stranieri
di Maria Novella De Luca
ROMA - Un mutamento inarrestabile. Impermeabile a qualunque appello di fede o di ideologia. Così e basta. La famiglia italiana sta cambiando, sovvertendo tutte le regole, polverizzando le tradizioni consolidate. Le coppie disertano il matrimonio, ancor più se religioso, diventano miste, multietniche, mentre l´insieme è sempre più piccolo, in case c´è un figlio, massimo due. Amatissimi però. Una famiglia che mal sopporta l´usura del tempo e dei sentimenti, e se non va più, poche lacrime, ci si lascia, separazioni e divorzi sono in aumento esponenziale. Arriva tempestiva la fotografia Istat delle coppie italiane ai tempi dei Pacs, anzi dei Dico, e le statistiche dimostrano che se i matrimoni ormai sono soltanto 250 mila l´anno, le coppie di fatto sono oltre 500 mila (riferito però soltanto alle coppie eterosessuali, fa notare l´Arcigay), i bimbi nati da "libere unioni" sono il 15% del totale delle nascite, quasi il doppio rispetto a 10 anni fa. È vero, la situazione italiana è ancora molto diversa dal resto d´Europa, ma quello che colpisce, sottolinea l´Istat, è «la rapidità del cambiamento». Ecco, voce per voce, la rivoluzione della famiglia made in Italy.
MATRIMONI: Secondo i dati rilevati presso gli uffici di Stato civile dei Comuni, nel 2005 sono stati celebrati poco più di 250 mila matrimoni. Un numero in continua diminuzione dal 1972, anno in cui si sono registrate poco meno di 419 mila nozze. Il 32,4% di tutti i matrimoni viene celebrato con rito civile. Il 56% degli sposi scelgono il regime patrimoniale di separazione dei beni,
COPPIE DI FATTO: Nel 2005 erano oltre 500 mila le coppie di fatto, «un fenomeno in rapida espansione - scrive l´Istat - solo 10 anni infatti fa erano meno della metà, anche se in Italia le libere unioni non sono ancora così frequenti come in altri paesi europei».
UN PAESE DIVISO IN DUE: Sul fronte famiglia però l´Italia è un paese nettamente diviso in due, con il Nord e il Centro sempre più lontani dal matrimonio (3,8 matrimoni su 1000 abitanti) e il Sud che conserva le tradizioni (4,9 matrimoni per 1.000 abitanti nel 2005. In ben 28 capoluoghi del Centro Nord i matrimoni civili superano poi quelli religiosi.
I FIGLI FUORI DEL MATRIMONIO: "Punta dell´iceberg" del fenomeno delle libere unioni, è l´incidenza di bambini nati al di fuori del matrimonio, attualmente intorno al 15%, cioè quasi 80 mila nati all´anno, quasi il doppio rispetto a 10 anni fa, quando questo valore era pari all´8%.
CI SI SPOSA PIU´ TARDI: Alle prime nozze i maschi hanno un´età media di circa 32 anni e le spose di quasi 30 anni, 4 anni in più dell´età che avevano in media i loro genitori al primo matrimonio.
COPPIE MISTE - Le coppie in cui uno dei due sposi o entrambi sono di cittadinanza straniera sono il 12,5% (2005): erano solo il 4,8% dieci anni fa. Gli uomini italiani che sposano una cittadina straniera scelgono nel 49% dei casi donne dell´Europa centro-orientale, e nel 21% donne dell´America centro-meridionale. Le donne italiane mostrano una preferenza per gli uomini di origine nordafricana (23% dei matrimoni).
DIVORZI E SEPARAZIONI. Gli ultimi dati disponibili, riferiti al 2004, parlano di oltre 80 mila separazioni l´anno e più di 45 mila divorzi. In media su 100 coppie che si sposano, 15 divorziano. Eppure, in tanti ci riprovano. Oggi in quasi il 10% dei matrimoni almeno uno degli sposi è alla sua seconda esperienza.
Corriere della Sera 13.2.07
Dico, quel limite grave nelle regole per le coppie
di Luigi Manconi
Caro direttore, è toccato a me, un anno e mezzo fa, scrivere quelle parti del programma politico-elettorale dell'Unione, dedicate ai «nuovi diritti»: temi assai delicati, e controversi, come il testamento biologico, la tutela delle persone private della libertà e, appunto, la questione — che solo in Italia assume una così alta intensità emotiva e simbolica — del riconoscimento giuridico delle coppie di fatto.
Dopo una tribolata discussione, all'interno della commissione per il programma, questo è il testo che ne risultò: «Le unioni civili come riconoscimento giuridico di una forma di relazione capace di assicurare prerogative e facoltà e di garantire reciprocità nei diritti e nei doveri. (...) Al fine di definire natura e qualità di tale forma di unione, non è dirimente il genere dei contraenti e il loro orientamento sessuale; va considerato, piuttosto, il sistema di relazioni (amicali, sentimentali, assistenziali, di mutualità e di reciprocità) — la sua stabilità e la sua intenzionalità — quale criterio qualificante la scelta dell'unione».
Questo testo venne fatto proprio (nel corso del seminario di San Martino del 5 e 6 dicembre 2005) da Romano Prodi e dai segretari dei partiti del centrosinistra. Ma, evidentemente, quella formulazione sembrò eccessivamente audace e venne sottoposta a revisione: così che, nel programma definitivo dell'Unione, si parlava del «riconoscimento giuridico di diritti, prerogative e facoltà alle persone che fanno parte delle coppie di fatto», e si dichiarava che «al fine di definire natura e qualità di una unione di fatto, non è dirimente il genere dei conviventi né il loro orientamento sessuale».
Pertanto, il disegno di legge sui Dico, appena approvato dal Consiglio dei ministri, corrisponde puntualmente — va detto — a quanto previsto dal programma definitivo del centrosinistra. Contiene, già nella prima riga, una clausola — giuridicamente formalizzata e tutelata — contro la discriminazione di natura sessuale (e questo, nel nostro ordinamento e nella nostra società, non è poco: anzi, è tantissimo). E riconosce, poi, diritti e facoltà e attribuisce doveri ai membri di una coppia convivente.
Certo, la differenza rispetto al primo testo (quello del dicembre del 2005), e alla proposta di legge che presentammo dodici anni fa, è assai significativa. Diritti e doveri, nel disegno di legge del governo, fanno capo ai singoli individui e non alla coppia, non più considerata — in questo testo — come autonoma forma di relazione. Personalmente, lo ritengo un grave limite. Riconoscerli alla coppia, quei diritti e quei doveri, non avrebbe significato, in alcun modo, «equiparare» ogni tipo di convivenza al matrimonio (religioso o civile): e nemmeno istituire una sorta di «nozze di serie B» (come, in un tripudio di strepitoso analfabetismo politico-giuridico, si sente dire a proposito dei Dico, in queste ore).
Avrebbe significato, invece, il riconoscimento di forme di convivenza non coincidenti con il matrimonio e, tuttavia, degne di tutela pubblica. Tali perché, quelle coppie di fatto, possono essere connotate da vincoli affettivi e solidali, reciprocità e mutualità, intenti comuni e progetti condivisi. E, dunque, da un' istanza anche morale. Questo, i rapporti di forza (ideali e ideologici) oggi vigenti in Italia, non consentono di riconoscerlo e formalizzarlo in una legge. In questo quadro, i Dico rappresentano un realistico punto di partenza. Un buon punto di partenza.
il Riformista 13.2.07
Ecco perché non starò nel Partito democratico
di Emanuele Macaluso
C’è o no una ragione per definirsi socialisti e c’è una differenza tra il riformismo socialista e gli altri riformismi, cattolico e liberal-democratico? La questione non è nominalistica ma di sostanza politica. La discussione fu già fatta dopo la svolta della Bolognina e la nascita del Pds. La scelta di un nome richiama infatti una storia, una tradizione, dei valori che l’hanno contrassegnata, una politica che qualifica la realtà in cui viviamo. Altrimenti non si capisce perché fu cambiato il nome del Pci e dopo la svolta fu respinta la proposta di Natta, Ingrao, Tortorella e altri di chiamarci «comunisti democratici». Era la sostanza politica che quel sostantivo richiamava che veniva respinta. Tuttavia in quell’occasione non fu accettato il nome che richiamava il socialismo europeo. In ogni caso, però, il nuovo partito si qualificava con una parola che indicava una storia e un progetto politico: «Democratici di sinistra». Oggi si vuole abolire la parola «sinistra». Non ha alcun significato? Se non è essenziale, perché abolirla?
Ma torniamo alle ragioni del socialismo democratico. Se, ad esempio, il partito del Congresso indiano di Sonia Gandhi ha sentito l’esigenza di stare nell’Internazionale socialista, un motivo ci sarà pure. Penso che le ragioni di quell’adesione vadano ricercate nel fatto che gli enormi problemi posti dalla globalizzazione non possono essere affrontati né con il negazionismo dei no-global né con un’adesione acritica. In questo mondo che cambia, la storia, i valori e i programmi del socialismo democratico emergono con grande forza. La questione sociale nella globalizzazione può e deve essere la nuova frontiera del socialismo democratico. I cui valori e programmi in Europa sono riemersi negli anni in cui il vento della rivoluzione conservatrice sembrava che dovesse spazzare via le conquiste sociali, a partire da quel welfare novecentesco, che è stato difeso, rinnovato, aggiornato proprio dal socialismo democratico, attraverso un nuovo “compromesso” tra sviluppo economico e istanze sociali, che guardasse al futuro e alle nuove generazioni. Ed è stato proprio il socialismo democratico a fornire risposte laiche e incisive alla domanda di nuovi diritti sollecitati dalla modernità e dal progresso scientifico, attingendo a quei valori che si ritrovano in una storia in cui il rispetto della persona e le libertà individuali (come il culto) si sono coniugate sempre con l’interesse generale e la laicità dello Stato.
Su questi temi (welfare, diritti) la revisione critica e il rinnovamento del socialismo europeo hanno portato soluzioni più avanzate della “novità”, tutta italiana, proposta col cosiddetto Partito democratico. Non ne faccio una questione ideologica ma politica: rileggendolo, non cambierei una sola virgola del giudizio che la settimana scorsa ho espresso sul documento del segretario Fassino. Nel frattempo, il rito congressuale dei Ds presenta davvero poche novità: una mozione firmata da tanti e da tante sponde, un grande assemblaggio attorno al segretario come vuole la tradizione comunista. C’è di tutto. Ci sono anche le firme di compagni che con me hanno condiviso tante battaglie politiche nell’area riformista, anche quella per la fondazione e la redazione della rivista che non a caso chiamammo Le nuove ragioni del socialismo. Ci sono momenti in cui una persona è chiamata a prendere decisioni individuali che coinvolgono la propria storia. Rispetto le scelte diverse dalle mie quando non sono frutto di interessati opportunismi. Per quel che mi riguarda non starò in un partito che non appartenga al socialismo europeo (non «negli ambiti»). E non in nome di un’appartenenza a una storia, quella della sinistra in cui milito da 66 anni (anche se per me ha un significato e un valore), ma per il ruolo che esso, il socialismo democratico, è chiamato a svolgere in Europa e nel mondo.
Repubblica on line 13.2.07
Il Papa: "L'amore di Dio è anche eros
Gesù ne è la rivelazione più sconvolgente"
CITTA' DEL VATICANO - "L'amore di Dio è anche eros: nell'Antico Testamento il Creatore dell'Universo mostra verso il popolo che si è scelto una predilezione che trascende ogni umana motivazione": lo sottolinea Benedetto XVI, nel Messaggio per la Quaresima 2007. Un tema già affrontato dal Papa nella sua prima enciclica la "Deus caritas est", nella quale si distinguevano le due componenti dell'amore: l'agape che "indica l'amore oblativo di chi ricerca esclusivamente il bene dell'altro", e l'eros che "denota invece l'amore di chi desidera possedere ciò che gli manca ed anela all'unione con l'amato".
Nel documento pubblicato oggi, Benedetto XVI ribadisce che se "l'amore con cui Dio ci circonda è senz'altro agape", c'è anche una "passione divina" che la Bibbia descrive "con immagini audaci come quella dell'amore dell'uomo per una donna adultera". "Questi testi biblici - afferma - indicano che l'eros fa parte del cuore stesso di Dio: l'Onnipotente attende il sì delle sue creature come un giovane sposo quello della sua sposa".
"Purtroppo - osserva però il Pontefice - fin dalle sue origini l'umanità, sedotta dalle menzogne del Maligno, si è chiusa all'amore di Dio, nell'illusione di una impossibile autosufficienza".
"Ripiegandosi su se stesso - scrive ancora Joseph Ratzinger - Adamo si è allontanato da quella fonte della vita che è Dio stesso, ed è diventato il primo di quelli che per timore della morte erano tenuti in schiavitù per tutta la vita".
Nel suo messaggio, il Papa teologo ricorda che "Dio, però, non si è dato per vinto, anzi il no dell'uomo è stato come la spinta decisiva che l'ha indotto a manifestare il suo amore in tutta la sua forza redentrice". "
"E' Gesù - conclude - la rivelazione più sconvolgente dell'amore di Dio, un amore in cui eros e agape, lungi dal contrapporsi, si illuminano a vicenda. Sulla Croce è Dio stesso che mendica l'amore della sua creatura: Egli ha sete dell'amore di ognuno di noi".
D, supplemento di Repubblica 10.2.07 pag.202
La pornografia non è una faccenda sessuale
Risponde Umberto Galimberti
Scrive Roland Barthes in Frammenti di un discorso amoroso (Einaudi): “Io desidero il mio desiderio, e l’essere amato non è altro che il suo accessorio”
Sono un pornodipendente in sobrietà. Ho letto con grande interesse la sua intervista sull’ultimo numero di D, relativa a “Le coppie che non fanno più l’amore”, e vorrei portare alla sua attenzione il rapporto tra calo di tensione sessuale e pornodipendenza da Internet. Sono il fondatore e moderatore del gruppo di autoaiuto on line noallapornodipendenza (2.200 iscritti, 11.800 lettere ricevute, un numero non esattamente quantificabile di lettori del gruppo - ma sicuramente molto elevato). Sull’argomento, inoltre, ho creato un sito che ha in media 120 contatti al giorno. E le posso dire con certezza che gli iscritti al gruppo sono solo la punta dell’iceberg di coloro che soffrono di questa patologia. Sulla base di questa larga esperienza e sulla base delle 150.000 lettere ricevute dai gruppi americani simili al nostro, desidero informarla che la più immediata ed evidente conseguenza della pornodipendenza è il calo drastico della tensione sessuale, sia per gli uomini sia per le donne e per gli uomini una insorgente impotenza parziale o totale. La pornodipendenza modifica in modo negativo tutti gli aspetti della vita di un individuo: rapporti di lavoro, capacità di applicazione e attenzione al proprio lavoro, applicazione allo studio, rapporti di amicizia e di amore, progressiva sfiducia in se stessi. Per quanto riguarda l’influenza sulla dinamica sessuale, le conseguenze più significative sono: calo del desiderio sessuale verso il proprio partner; semiimpotenza o impotenza totale all’atto con una persona reale; possibilità di erezione masturbatoria ed eiaculazione solo attraverso la visione di materiale pornografico; condizionamento a guardare i potenziali partner solo ed esclusivamente come oggetti pornografici. Sulla mia esperienza di liberazione ho scritto un libro: Io, pornodipendente (Costa e Nolan). Tutto questo per dirle che sarebbe molto importante che uno studioso come lei trattasse questo argomento.
Vincenzo Ponzi Roma
Nel corso della storia la pornografia ha sempre fatto la sua comparsa, ma con accenti e significati ogni volta diversi. Dal Kamasutra alle iscrizioni egizie, fino agli affreschi di Pompei, scene che oggi definiremmo “pornografiche” erano rappresentate per stimolare il desiderio sessuale in una cultura che esaltava il corpo e l’innocenza del suo gesto, senza intenti trasgressivi e ancor meno sensi di colpa. Fu a partire dal Medioevo che, come ci illustra il teatro di Dario Fo, la sessualità fu caricata di accenti pornografici per esprimere una reazione popolare immediata e trasgressiva all’ordine imposto da un potere quasi sempre imparentato con l’autorità religiosa. Ma fu nel ’500 e nel ’600 che la pornografia fu impiegata esplicitamente per mettere in discussione i meccanismi tradizionali dell’esercizio dell’autorità. Come riferisce Pietro Adamo in La pornografia e i suoi nemici (il Saggiatore): “Scoperti nelle loro vergogne e nella bassezza della loro vita quotidiana, re e regine, preti e vescovi, prefetti e contesse venivano privati non solo dei segni esteriori del potere che stabilivano un rapporto di gerarchia (la pompa, il decoro, i vestiti), ma anche delle giustificazioni ultime della sua legittimità”. Nel ’700, all’uso della pornografia per desacralizzare li potere si affiancò, con il pensiero libertino, la rivendicazione della naturalezza dell’attività sessuale in tutte le sue espressioni, con conseguente critica del matrimonio che limita l’esercizio della sessualità, legittimazione del godimento femminile, rivendicazione di spazi trasgressivi contro una società ritenuta eccessivamente repressiva. Questa fase si chiuse nella seconda metà dell’800 quando la morale sessuale passò sotto la giurisdizione della scienza medica, e tutte le pratiche non indirizzate alla procreazione furono bollate come forme patologiche. Non più solo il peccato come infrazione della legge divina, ma anche la malattia come infrazione delle leggi di natura. Oggi la pornografia dilagante che lei denuncia a me pare un sintomo di debolezza dovuta al fatto che è più facile avere un rapporto col proprio immaginario di quanto non lo sia un rapporto con un’altra persona che toglie al mio gesto ogni sorta di sovranità, perché a limitarlo è la risposta dell’altro. Nel gesto pornografico infatti non si è mai in due, perché uno dei due è ridotto a semplice oggetto del piacere dell’altro con cui non c’è confronto, ma semplicemente uso e abuso. Siccome l’oggettivazione dell’altro, la sua riduzione a cosa, coincide quasi sempre con l’oggettivazione della donna, la pornografia è profondamente maschilista e non fa che riproporre sul registro sessuale la dominanza dell’uomo sulla donna, dell’attivo sul passivo, dove la scena viene progressivamente sottratta alla sessualità per essere consegnata alla dominanza, all’esercizio di potere e in casi estremi alla violenza. A questo punto sarebbe interessante decodificare la “dipendenza pornografica” che lei denuncia e andare a scoprire se, sotteso questa dipendenza, non sia tanto il tema della sessualità, quanto il tema del potere e del dominio che gli “impotenti” (in termini non tanto sessuali, ma psicologici) sono costretti a reiterare per una sorta di coazione a ripetere, perché non dispongono di altri spazi, che non siano quelli segreti della pornografia, per esprimere quella pulsione naturale che è l’affermazione di sé.