martedì 30 gennaio 2007

IL MESSAGGERO - Mercoledì 9 novembre 1977
Chi è il Padrone del Discorso ?
di Ruggero Guarini


Questi gruppi di "analisi collettiva", e i molti altri analoghi spuntati un po’ dappertutto in Italia, sono un grosso fenomeno psico-politico un "sintomo collettivo" che bisognerebbe decifrare. Ma chi può farlo?
Il sociologo? Costui può offrirci soltanto degli strumenti empirici, utili per misurare le dimensione esterne del fenomeno (diffusione di queste pratiche, composizione sociale dei gruppi, età media dei partecipanti, loro identità politica e così via) ma insufficienti a definire il senso.
Il politico? il suo sguardo è troppo interessato. Nel migliore dei casi, in questo fenomeno che lo prende di contropiede, egli si sforzerà di cogliere quegli elementi che gli sembreranno funzionali al suo "discorso ": se esprimerà consenso, vi avrà scorto la possibilità di riassorbirlo o di annetterselo; se emetterà un giudizio di condanna, vi avrà visto un segno per lui minaccioso, di fuga dalla politica.
Lo psicoanalista? I suoi strumenti teorici sono essenziali ma essendo egli stesso un frammento della "formazione sintomatica" che occorre decifrare, sarà troppo coinvolto nella cosa per poterne parlare col necessario distacco.
Limitiamoci dunque a porre tre elementari quesiti:
1) Un mucchio di circa duecento persone è ancora un gruppo psicoterapeutico? E se non è più questo che cosa è? Un circolo culturale? Un’associazione di mutuo soccorso? Un collettivo dedito a una nuova specie di "esercizi spirituali"?
2) Un individuo che a centinaia di pazienti riuniti intorno a lui distribuisce come noccioline manciate di interpretazioni di sogni lapsus deliri e fobie è davvero un analista? E se non lo è, che diavolo sarà? Un pedagogo? Un confessore? Un leader?
3) Qual è il rapporto fra l’identità politica dei partecipanti (quasi tutti giovani della nuova sinistra) e questo loro "bisogno" di una pratica metapolitica? Le due attività sono complementari (nel senso che l’analisi di gruppo, omogenea al "personale" e al "privato" compensa le lacune e colma i buchi lasciati aperti o prodotti dall’attività politica), o sono invece contraddittori, al punto che alla lunga una delle due pratiche sia destinata a prevalere sull’altra, magari fini a liquidarla? Detto con altre parole: questa dicotomia dello Psichico e del Politico si configura come una convivenza pacifica di domini separati o come un conflitto di dimensioni antitetiche?
Infine enunciamo qualcosa che è meno e più di un’ipotesi (è un'ovvia constatazione): oggi c’è in giro una grande domanda di Anima. Il risultato è certamente qualcosa di meno noioso della consueta Grande Chiacchiera politica, ma sarebbe ancora meglio se nelle pratiche generate da questa massiccia domanda non si riproducesse la solita dialettica dello Schiavo e del Padrone…
Insomma questi ragazzi dovrebbero un po’ interrogarsi su quelle nuove forme di "potere" che in questi loro gruppi si vanno articolando intorno a una figura che non cessa di porsi - in quanto interpretante e analizzante - come un nuovo Padrone del discorso.
Chi è questo nuovo Padrone? Un maestro di coscienza? Un genitore morale? Un altro padre politico?
Questo sarebbe il caso più derisorio: il Politico che rispunta, travestito da Psicomante, proprio nel luogo in cui il gregge, forse senza saperlo, progetta di abolirlo!

IL MESSAGGERO - Mercoledì 9 novembre 1977
Un analista che rifiuta Freud
di Fulvio Stinchelli

Quarantasei anni, faccia scavata e sguardo ardente dietro le lenti fumé un passato di rissoso eretico freudiano alle spalle, Massimo Fagioli è oggi lo psicoanalista italiano di gran lunga più seguito e ascoltato. Da due anni, nello spazio universitario concessogli dall’illuminato pluralismo del professor Reda per l’intercessione del suo amico e collega Nicola Lalli, tiene seminari bisettimanali sempre più affollati. Terapia di gruppo? Psicodramma? L’autore di "Istinto di morte e conoscenza" respinge seccamente queste definizioni etichetta che "lo soffocano", dice, "senza appartenergli".
Mezzo scienziato e mezzo profeta, rinnega paternità, filosofie e ideologie: Freud? Un pasticcione. Lacan? Un altro che non ha capito niente. La psicoanalisi? Si, purché sia quella che passa per l’ "inconscio mare calmo", la "fantasia di sparizione" e l’"istinto di annullamento". Sono questi i tre cardini della "scoperta" su cui ruotano ossessivamente la dottrina e la "predicazione" di Fagioli.
Lo incontriamo nel suo quieto studio di Via Nomentana, in una cornice rigorosamente freudiana: pochi libri, quadri anonimi, scrittoio modesto, poltrone comode e il sacro divanetto. Osserviamo. "Qual cosa di Herr Professor comunque rimane". Risponde: "Restano le analisi individuali che continuo a fare, perché i seminari sono gratuiti, ma il mio vero campo d’azione è l’analisi collettiva, una cosa che Freud non ha mai fatto".
Prima di arrivare all’analisi collettiva, che è il successo del giorno, vogliamo soffermarci un attimo sul punto di partenza?
"Per me tutto cominciò al liceo, quando, vivendo in ambiente medico, feci la prima osservazione: Le malattie psichiche distruggono più di quelle fisiche. Una gamba rotta o una broncopolmonite trovavano soluzione mentre i pazienti depressi venivano liquidati col manicomio. Decisi allora di fare medicina e specializzarmi in psichiatria. Dopo la laurea, la pratica presso l’ospedale psichiatrico di Venezia. Per un anno e mezzo mi attenni al ruolo e alle disposizioni: non dovevo far altro che girare la chiavetta e zac: elettroshock. Allora mi chiesi: ma cosa sto facendo? Sto alla catena di montaggio? Avvito le teste? Me ne andai e cominciò un periodo duro per me. Prima Verona, dove mi cacciarono perché ero "rosso", poi approdai a Padova, dove un minimo di ricerca si faceva. E lì mi venne la prima ispirazione. Dissi: l’istinto di morte è l’istinto di morte, d’accordo, ma questi, i malati, non muovono un dito. Dov’è tutta questa aggressività? Un esempio? Reparto agitati: trenta ricoverati, due infermieri. Mai accaduto un incidente. Allora, quest’istinto di morte non è distruzione. Incominciai così a studiare questo istinto passando e andando sempre più a fondo nel rapporto con l’inconscio. Mi trasferii in Svizzera, dove ebbi modo di superare la sindrome del malato per vedere cosa ci fosse dietro. Nel ’64 feci la mia analisi personale, la svolta fondamentale".
C’è un episodio cui puoi legare questo momento del passaggio dalla psichiatria alla psicoanalisi?
"Si, ed è connesso a un paziente il quale, un giorno, mi rimproverò di non averlo assistito in una determinata circostanza e di avergli, quindi, 'fatto del male'. Ma se quel giorno, mi dissi, io ero in ospedale, come posso avergli fatto del male? Fu un’illuminazione: è l’assenza che fa del male. Cos’è l’assenza? E’ una pulsione attiva di annullamento".
Qui spunta Lacan….
"No. Lacan dice che è una mancanza. La mia, ripeto, è pulsione attiva di annullamento. La si può verificare nel "Non visto" e nel gioco infantile del "Bubù settete", dove il bambino appare e sparisce. Di qui mille passaggi, verifiche e confronti. Una storia lunga, che comincia, però, qui: dalla scoperta dell’annullamento".
Arrivando a questa scoperta e nel lavoro successivo, l'insegnamento di Freud l’hai tenuto presente?
"L’ho rifiutato e lo rifiuto totalmente".
Anche tu, però, in questa ricerca , pratichi "l’arte del sospetto"?
"Ma nemmeno per idea. Il sospetto parte da una verità precostituita e accertata: Io mi metto in sospetto se temo che tu mi dia un pugno. La mia ricerca non ha condizionamenti di questo tipo".
E’ importante, secondo te, che Freud sia nato?
"Io, sulla nascita delle persone, evito di intervenire. Giusto che sia nato, lo sbaglio è che si è messo a fare lo psicoanalista. Se avesse fatto il medico generico sarebbe stato molto meglio. Diciamo le cose come stanno: esiste una bibliografia enorme, opera di predecessori di Freud, che sta a dimostrare che Freud non ha scoperto niente. Se una certa società e una certa cultura oggi lo idealizzano tanto ciò è dovuto al fatto che con Freud l’analisi non si fa e questa società ha paura che la gente faccia l’analisi, perché fare l’analisi sul serio significa vederci chiaro, rendersi conto dei 'mucchi di sabbia' di tanta cultura, significa imparare a dire di no. E chi sa dire di no rimette tutto in discussione: affare scomodo. Freud, invece, è comodo perché finge di fare l’analisi. Infatti, non ha metodo, si limita a codificare la non trasformazione umana. La sua è un’analisi interminabile, perché parte dal punto di vista che non c’è niente da fare e allora si ricade nella vecchia psicoterapia di sostegno. Roba dei tempi di Ippocrate. Non c’è trasformazione…..".
Invece, nella tua c’è, a quanto lasci capire. Ma prima di te?
"C’è Marx. Ecco uno che aveva intuito la psicoanalisi, parlando di trasformazione. Mi riferisco al giovane Marx, quello dei 'Manoscritti' e dell’'Ideologia tedesca'".
Meno male che anche tu hai un padre, ma veniamo ai tempi nostri: quando ti sei deciso a rompere con la Società di Psicoanalisi Italiana?
"E’ una storia risaputa. Comunque, fu nel ’68. Sentii che i tempi erano maturi per tirar fuori quel che avevo scoperto e già praticavo. Pubblicai il mio primo libro e fu l’innesco della reazione a catena che mi ha portato agli attuali seminari basati sull’analisi collettiva".
Anche qui c’entra Marx?
"Eh, sì. Perché tutta quella gente raccolta intorno a me parla, racconta, domanda, ascolta e domanda ancora. E torna, puntualmente, senza che nessun le abbia fissato un appuntamento, né un programma d’analisi. Tutti insieme, senza pudori né resistenze. Indubbiamente, trovano quel che stavano cercando. Tutti insieme, collettivamente. Siamo dunque lontano dall’analisi individuale. Un po’ come la presa di coscienza nella fabbrica, Per me è la conferma di essere sulla via giusta. Io non uccido il paziente come fa l’analista dall’alto del suo ruolo e del suo diploma, nel chiuso dello studio. Io li affronto, lì, seduto in mezzo a loro che sono centinaia, pronti a rimbeccarmi se dico stupidaggini. Perché la gente conosce l’analisi più di quanto comunemente si creda".
Qual è la differenza tra analisi individuale e analisi collettiva?
"All’analisi individuale si presenta, quasi sempre, un uomo che sta molto male: è confuso, annullante, depresso. In quel caso deve fare quasi tutto l’analista, cogliendo il problema e cerando di risolverlo, direi a dispetto dello stesso analizzando che vuol distruggere l’analista. Questo, in un certo senso si verifica anche al seminario, ma lì la risposta è collettiva. A volte io non faccio che interpretare il sogno di uno per rispondere a quello di un altro. E’ la conferma che l’uomo è un essere sociale. Vedi che Marx torna sempre? Voglio dire che il problema della ragazza la cui madre le dà della puttana perché esce la sera è problema di migliaia di persone, non è il problema personale di quella singola ragazza con quella madre. Questo è il mio lavoro, in poche parole. E allora si capisce perché tutto ciò rappresenta la distruzione di Freud".

IL MESSAGGERO - Mercoledì 9 novembre 1977
Psiche e società
I giovani della Nuova Sinistra scoprono un nuovo pianeta: l'Analisi Collettiva. Un po' dovunque stanno infatti spuntando gruppi e seminari psicoterapeutici. Alcuni di questi "collettivi" hanno raggiunto dimensioni "monstre": fino a 200 partecipanti a seduta! E' un importante sintomo psico/politico. Ma qual è il suo vero senso? La riscoperta dell'anima? Un ritorno agli Esercizi spirituali? L'inizio di una fuga dalla politica?

Tutti insieme intimamente
Ecco la cronaca di una seduta
di Luigi Vaccari

Lei, sui 30, la voce concitata: "Senti Massimo, vorrei dire una cosa ai compagni. Giovedì scorso sono arrivata alle 5 e un quarto, c'era già la fila, ma io non mi ci sono messa, ho rifiutato quest'imposizione, sono entrata e mi sono seduta. Oggi sono arrivata alle 5 meno un quarto, e anche oggi c'era già la fila , e io mi sono opposta, la fila no... Sono stata violentata: " Tu non sai stare coi compagni ", mi hanno urlato. Sono stata violentata per tre quarti d'ora... Ero venuta serena, in questa settimana molte cose mi si erano chiarite, ora ho le idee di nuovo confuse... Perchè succedono queste cose? ... Queste cose non devono succedere, non possono succedere..."
Massimo, sorridente ma fermo: " Quando l'organizzazione la fanno i compagni non c'è più la sensazione di dominio".
Lei, scossa da un tremito, gli occhi di lacrime: " Allora vorrà dire che devo venire alle tre..."
Massimo "E' la stessa difficoltà di tutti" Poi, dopo una pausa, con una smorfia di compiacimento: "...E propone la nascita di un terzo seminario " .
Lei è una dei 150-200 protagonisti dell'incontro confessione che si tiene il giovedì all'Istituto di psichiatria dell'Università, al 47 di viale di Villa Massimo al Nomentano. E altrettanti ne intervengono a quello del martedì, che ha aperto un anno e mezzo fa la strada. Giovani ma anche meno giovani. Ragazzi ma anche tante ragazze. Studenti, forse del liceo forse universitari, ma anche gente che lavora. Massimo è Massimo Fagioli, uno psichiatra approdato dopo esperienze varie alla psicanalisi ufficiale e successivamente allontanatosene. I due seminari a cui si può liberamente partecipare, testimoniano un insolito tentativo di analisi collettiva, la capacità liberatoria di raccontarsi in pubblico cercando il significato di sogni che sono spesso incubi lunghi e sofferti.
L'appuntamento è in una sala al primo piano, di 40-45 metri quadrati. Il portone dell'istituto viene aperto mezz'ora prima dell'inizio di questo straordinario transfert comune. Quando tutti aspettano da tempo, pazienti. In una fila molto ordinata e poco italiana. La corsa esplode sulla breve rampa di scale che porta al luogo della riunione. Per occupare le pochissime sedie che vi si trovano, e anche i braccioli. Alcuni si sistemano su sgabelli pieghevoli, portati da casa e dall'incerto equilibrio. Altri siedono in terra, come coloro che non riescono ad entrare e restano nello stretto e breve corridoio.
L'analisi occupa due ore: dalle 18 alle 20 e dalle 10 alle 12 il martedì. L'attesa è ingannata diversamente. Chi fuma, le ragazze soprattutto. Su un cartello. "Qui è vietato fumare", qualcuno ha aggiunto fra qui ed è un "non" a lapis, e fanno da posacenere anche lattine vuote di noccioline che passano di mano. Chi legge, faticando nei movimenti: Il Manifesto, L'Espresso, Lotta Continua. Chi parla con chi gli sta accanto, e il tono è sommesso. Pochi sono tirati nei tratti del volto. Pochissimi sembrano preoccupati, anche se qualcuno fissa il vuoto.
Quando compare Massimo, molto puntuale, a fatica riesce a raggiungere la sua sedia dirimpetto alle porte della sala, spalle a una finestra che come le altre adesso viene chiusa. E c'è subito fumo . E caldo. Tanti, e tante, si sfilano i pullover. E si comincia, dopo il lamento protesta di colei che aveva rifiutato la fila, con Adele. La quale non sa, dice, se viene per una curiosità intellettuale, lei è una giornalista, o per se stessa. Ad ogni modo, dopo aver partecipato quattro volte ha fatto un sogno.
"Posso raccontarlo?" domanda.
Massimo: "se tu chiedi il permesso non vuoi avere capito niente"
Un giovane: "Io, invece, Massimo...."
Adele: "Ma lo racconto o no?"
Tutti ridono
Massimo: "sarebbe una punizione troppo grossa... Avanti, avanti".
E Adele : "Stavo su un sentierino di una montagna a San Brunello, in Calabria, con dei ragazzi che erano i miei figli e i loro amici..."
Quando ha concluso, Massimo le spiega che nel suo sogno ci sono un sacco di intuizioni ma anche di negazioni. E c'è la sua difficoltà di essere compagna. E non solo non ci sono ruoli sociali, ma neppure quelli familiari né quelli personali. E il rosso che ad un tratto appare significa le donne che ritrovano le loro mestruazioni senza sentirsi castrate.
Una ragazza sui 25, orecchini ad anello, argentina bianca e sopra una maglietta bordò col collo aperto, ricorda le difficoltà per arrivare fino al gruppo, poi, dopo l'ultimo incontro una serie di sogni: "Era morta mia madre, io dovevo verificare questa morte, andavo al cimitero ma volevo che mi accompagnassero, e mi accompagnava un ragazzo", la scena cambia: " Io abbraccio il ragazzo, ma compare mio padre e ci divide" Secondo sogno: Lei si prepara a fare l'amore , ma le vengono le mestruazioni. Terzo sogno: " Io incontro Massimo, mi dice che mi vuole parlare, anch'io gli dico che devo parlargli ma posso perdere il posto in farmacia".
Massimo interpreta così: la separazione dalla madre è possibile solo se si è in compagnia, per fare un'analisi a fondo occorre il rapporto collettivo. Poi il compito del padre: ma il ragazzo lei se lo sceglie da se... Terza proposizione: per venire al seminari o c'è il rischio del licenziamento. La realizzazione analitica, d'altra parte, non è qualcosa che può restare nel chiuso dello studio privato. Ma deve uscire fuori. E allora diventa anche un fatto politico.
Maglione grigio a giro collo, occhiali da vista chiari, folta barba, borsello, un pacchetto di MS e uno di cerini sulle ginocchia, un giovanotto racconta che se ne stava seduto fuori, sulle scale, e non poteva andare al seminario perchè gli mancava l'apparecchio ortopedico, non poteva salire. Arrivavano i compagni, però, e lo portavano su loro. "Finito il seminario se ne vanno e mi lasciano li, e io dico "che stronzi" ... Mi metto carponi, si, ce la faccio. Mi vergogno un pochino ma riesco a farcela..."
E Massimo: Il tutore ortopedico... Ne può fare a meno nel momento in cui si è insieme... Ma che cos'è il tutore ortopedico? È la passività di fronte alla mammina, al papino, alla zietta, fino al governo Andreotti. Che scompare purché ci sia un lavoro collettivo.
Gli interventi si inseguono. Uno dietro l'altro. senza una sosta, una riflessione. Alle risposte di Massimo non c'è replica.
Un'altra ragazza, di cui arriva solo la voce: "Io prima andavo al martedì. Vengo al giovedì da due settimane e mi sono sentita a disagio, mi sembrava di aver abbandonato un buon lavoro... Ho sognato che stavo al seminario, ma non era in una stanza, era in strada, e c'erano alcuni che camminavano, altri che sonnecchiavano. Vedo Silvio che sonnecchia, gli do un bacio, gli dico "su dai", bacio un altro ragazzo, poi ne sveglio un terzo, sempre con un bacio, facciamo l'amore ed è un rapporto molto dolce, molto tenero...
Massimo chiarisce che il modo per non farsi abbandonare è proprio il terzo rapporto, cioè il terzo seminario, cioè aumentare il lavoro, anche in senso qualitativo.
Un altro giovanotto sui 20 dice: "Ho sognato che stavamo aspettando il seminario su una distesa erbosa, arriva un gruppo di persone, ci sono anche il miei genitori i quali vengono con noi. Ma vogliono sapere, soprattutto mia madre assume un ruolo molto interlocutrice..."
E Massimo risponde: se si fa il terzo seminario ci si può occupare anche dei genitori...
Si va avanti su questa chiave di lettura. Su questa relazione molto stretta fra sogno e seminario. Seminario come riferimento costante, fino all'ossessione o all'incubo. Seminario come abbandono ultimo e disperato. Per fuggire una solitudine assoluta e tragica. E Massimo che parla ora della paura ora ha bisogno di una sua ulteriore dilatazione, dopo che c'è già stato lo sdoppiamento. "Qui c'è una precisa richiesta: non fare il terzo seminario, sennò perdo questa possibilità di analisi che ho raggiunta", replica ad una ragazza dalla voce contratta, lo sguardo basso. Che aveva ricordato con queste parole il suo sogno: "C'era come una gara, resistere in una situazione dove l'aria era poca. Poi mi accorgo che la gente ci stava bene e dico 'andiamo più in basso'. Ci vado con un'amica e ci troviamo come in un cunicolo, come nella metropolitana a Londra. Ma io avevo la sensazione di salire, incontro un uomo nero, usciamo fuori ed è Roma..."
Il rapporto col seminario vale anche per una lei sui 28, che la notte precedente ha ripercorso due storie sentimentali, " e con il primo ragazzo parlavo pacatamente, con il secondo soffrendo molto" Per un lui sui 25, che era su una spiaggia con un amico, incontrava una suora con un cesto, nel cesto c'erano tre tartarughe, le tartarughe si infilavano nel mare, un lungo tunnel... Per un'altra lei sui 27, che perdeva un treno per una questione di minuti, ne perdeva un secondo, però riusciva ad arrivare dove doveva arrivare.
Se n'è andata un'ora, Superando braccia, gambe, teste, a mo' di slalom, il cronista guadagna con molto impegno e molto sudore il corridoio. Un ragazzotto che non s'è ancora raccontato, chiede: "quando esce l'articolo sul giornale?" Risposta: la prossima settimana. "Speriamo di non leggere stronzate". Ne hanno dette ? Ed il ragazzo sorride, con un sorriso di meraviglia e di stupore, come dire: " Ma vuoi scherzare? ".