Repubblica 8.12.06
AL POSTO DELLA FEDE
Anticipazione/Esce "Bisogno di credere. Un punto di vista laico"
L'annientamento dell'autorità divina non conduce solo al nichilismo
La convergenza tra il teologo Ratzinger e il filosofo Habermas
di JULIA KRISTEVA
Occorre rifondare un nuovo umanesimo, adatto a quel momento cruciale che chiamiamo modernità
Il problema di questo inizio di terzo millennio non è la guerra di religioni, ma un vuoto di riflessione
Esce in questi giorni "Bisogno di credere. Un punto di vista laico" (Donzelli, pagg. 149, euro 13,50) della filosofa . Ne anticipiamo un brano.
Dopo aver constatato che l´umanesimo razionalista aveva fallito, sfociando nel totalitarismo nel XX secolo, e dopo aver annunciato che avrebbe fallito di nuovo sfociando nell´automazione economica e biologica che minaccia la specie umana nel XXI secolo, due prestigiosi interlocutori, Joseph Ratzinger e Jürgen Habermas si sono di recente trovati d´accordo nel dichiarare che le nostre democrazie moderne sono disorientate a furia di non avere un´autorità «superiore» affidabile, l´unica in grado di normare la corsa sfrenata della libertà. La convergenza tra il filosofo e il teologo lascia intendere che il ritorno alla fede si impone quale unica via d´uscita in grado di garantire una stabilità morale, di fronte ai rischi della libertà. In altri termini, poiché le democrazie costituzionali hanno bisogno di «presupposti normativi» per fondare il «diritto naturale» e lo Stato secolarizzato non dispone del «legame che unifica» (Böckenförde), sarebbe indispensabile costituire una «coscienza conservatrice» che si nutrisse della fede (Habermas), o che fosse una «correlazione tra la ragione e la fede» (Ratzinger).
In contrappunto a tale ipotesi, propongo di pensare che ci troviamo già di fronte, in particolare nelle democrazie avanzate, a esperienze pre-politiche o transpolitiche che rendono caduco ogni appello alla «coscienza normativa» e al binomio ragione-rivelazione: esperienze che si incamminano verso una rifondazione dell´umanesimo nato dall´Illuminismo, senza dover fare ricorso all´irrazionale. E´ proprio in questo punto nevralgico della modernità che si collocano l´esperienza letteraria - con il pensiero teorico da cui è inseparabile - e la scoperta freudiana dell´inconscio. Non ignoro, non ignoriamo che il contributo che simili esperienze hanno dato per rendere più articolato l´umanesimo dei Lumi non viene considerato, nella sua portata pre- e transpolitica, in grado di fondare quel «legame unificante» che manca alla razionalità politica secolarizzata. Questa è tuttavia l´ipotesi - alternativa alla posizione condivisa da Böckenförde, Habermas e Ratzinger - che difendo nei miei lavori.
A differenza di quello che vorrebbero farci credere, lo scontro di religioni è infatti solo un fenomeno di superficie. Il problema di questo inizio di terzo millennio non è la guerra di religioni, ma la faglia e il vuoto che dividono ormai coloro che vogliono sapere che Dio è inconscio e coloro che preferiscono non saperlo, per godere meglio dello spettacolo che annuncia che Egli esiste.
L´universo mediatico globalizzato sostiene con tutto il suo apparato ideativo e finanziario la seconda opzione: non volere sapere nulla per godere meglio del virtuale. In altri termini: godere nel vedersi promessa - e accontentarsi di avere promessa - la fruizione di beni garantiti dalla Promessa di un Bene superiore. La situazione, per via del globalizzarsi della negazione che le è consustanziale, non ha precedenti nella storia dell´umanità. La nostra civiltà catodica, satura di seduzioni e di disillusioni, si è rivelata propizia alla fede. Ed è per questo che favorisce il ritorno o il revival delle religioni.
Nietzsche e Heidegger ci avevano avvertito: l´uomo moderno soffre per «l´assenza di un mondo sensibile e soprasensibile dotato di potere coercitivo». L´annientamento dell´autorità divina, e, con essa di ogni altra autorità, statale o politica, non conduce obbligatoriamente al nichilismo. Né al suo contrario simmetrico, l´integralismo che va all´assalto degli infedeli: facendo del divino un valore e persino il «valore supremo», i trascendentalisti si avvicinano all´utilitarismo nichilista. Come esserne oggi consapevoli, senza però cullarsi in un umanitarismo strettamente razionalista o in una romantica spiritualità?
Io sostengo che l´alternativa alla religiosità in aumento, come al suo contrario - che è il nichilismo ottuso - venga già e proprio da quei luoghi di pensiero che noi cerchiamo non di occupare, ma di fare vivere. Noi chi?
Noi che apparteniamo al vasto continente delle scienze umane per il nostro coinvolgimento nelle lingue e nella letteratura. La letteratura, la scrittura sono un´esperienza della lingua trasversale alle identità (di genere, nazionali, etniche, religiose, ideologiche ecc.); d´altra parte, complici od ostili che siano alla psicoanalisi, la letteratura e la scrittura elaborano una conoscenza piena di rischi, singolare e condivisibile sul desiderio di senso ancorato al corpo sessuato. Così facendo la letteratura e la scrittura mettono alle corde il binomio metafisico ragione versus fede, intorno al quale in passato si è costituita la scolastica. Ci invitano a costruire un discorso interpretativo, critico e teorico, conseguente alle proposte delle scienze umane e sociali, che è un elemento decisivo nel costruire la rifondazione dell´umanesimo di cui abbiamo bisogno.
Chi si espone all´esperienza letteraria e, in modo diverso ma complice, chi si espone all´esperienza psicoanalitica, o semplicemente è attento alle loro poste in gioco - come noi in questo caso - , sa che la contrapposizione tra ragione e fede o tra norma e libertà non è più sostenibile se quell´essere parlante che io sono non si pensa più come dipendente da un mondo soprasensibile, e ancora meno da un mondo sensibile «dotato di un potere coercitivo». Sa anche che questo io che parla si svela a se stesso in quanto è costruito in un legame vulnerabile con un oggetto estraneo, un altro ek-statico, un aggetto: la cosa sessuale (altri diranno: l´oggetto della pulsione sessuale la cui «onda portante» è la pulsione di morte). Il legame vulnerabile con la cosa sessuale e in essa - su cui si basa il legame sociale o sacro - , altro non è che il legame eterogeneo, la frontiera tra biologia e senso da cui dipendono le nostre lingue e i nostri discorsi, che si trovano a essere modificati e che, di rimando, modificano il legame sessuale.
Nell´afferrare l´avventura umana, la letteratura e l´arte non costituiscono altro che un ornamento estetico, così come la filosofia o la psicoanalisi non pretendono di portare la salvezza. Tuttavia, ciascuna di queste esperienze, con le sue diversità, si propone come il laboratorio di nuove forme di umanesimo. Capire e accompagnare il soggetto parlante nel suo legame con la cosa sessuale ci dà l´opportunità di far fronte alle nuove barbarie dell´automatizzazione, senza ricorrere alle protezioni brandite dal conservatorismo infantilizzante, liberati da quell´idealismo miope in cui si culla il razionalismo banalizzante e mortifero.
Eppure, se l´avventura che può essere delineata ponendosi all´ascolto della letteratura e delle scienze umane del XX secolo lascia presagire una rifondazione dell´umanesimo, la sua realizzazione e le sue conseguenze non possono essere, per parafrasare Sartre, che «crudeli e di lungo respiro».
Faccio parte di una generazione che ha rifiutato l´umanesimo molle, quella vaga idea dell´«uomo» svuotata di sostanza, legata a una fraternità utopistica che si rifaceva ai Lumi e al contratto post-rivoluzionario. Oggi mi sembra non solo importante, ma possibile riprendere in altro modo questi ideali, perché sono persuasa che quella che viene chiamata «modernità», e che spesso viene denigrata, sia un momento cruciale nella storia del pensiero. Non ostile alle religioni e ancor meno compiacente nei loro confronti, il pensiero nel quale mi riconosco è forse la nostra unica opportunità di fronte all´aumento dell´oscurantismo e al suo rovescio, che è la gestione tecnica della specie umana.