Repubblica 12.12.06
COME IL MEZZO CINEMATOGRAFICO HA CAMBIATO IL '900
LA LINGUA IMMAGINARIA CHE NOI PARLIAMO
di PIETRO MONTANI
Nei bazar c'erano macchine automatiche in cui il flusso delle immagini era ottenuto mediante il movimento di una manovella
Dubbi circa la morte di Dio, ne ho molti; sulla morte del Cinema, nessuno
Si va sovente al cinema. Scopro nuovi modi di combattere la guerra con "Ribalta di gloria" e il tip tap di James Cagney
Il cinema stesso è la creazione di un mondo, da cui il creatore ha enormi difficoltà a distaccarsi, e lo spettatore ammirato anche
Svolte. L'esperienza cinematografica ha mostrato di disporre fin dall'inizio di una potenza paragonabile all'invenzione della stampa
Intrecci. La capacità di far dialogare media diversi e diversi regimi di rappresentazione appartiene alla nuova cultura cinematografica
La forza del cinema, quella che gli ha permesso di cambiare molte cose nella nostra cultura e nella nostra esperienza quotidiana, sta tutta nella sua natura ibrida: a mezza strada tra una tecnica di riproduzione del mondo visibile e una forma evoluta dell´espressione figurativa, tra la registrazione dei fatti e la libera invenzione narrativa, tra l´industria e l´arte. Ciò gli valse, all´origine, numerosi sforzi di legittimazione estetica, ma anche, e per converso, la rivendicazione di un potere dissacrante capace di portare lo scompiglio nel sistema delle arti rovesciandone una volta per tutte i rituali della fruizione raccolta e contemplativa. È nell´ambito di questo spazio ibrido, tuttavia, che il cinema è cresciuto, ha brillantemente superato i "traumi" tecnici (il sonoro, il colore, il digitale) che hanno rischiato di pervertirne la natura e, soprattutto, ha saputo attivare la sua forza di penetrazione culturale realizzando un po´ dovunque profondi effetti di "cinematizzazione", come li definirono, usando la stessa parola, due cineasti e teorici degli anni Venti che la pensavano in modo diametralmente opposto: Ejzenstejn, l´artista di genio, attento al prestigio dell´invenzione formale e alla potenza del coinvolgimento emotivo e Vertov, il modesto artigiano, attento alla veridicità testimoniale dell´immagine e al distanziamento critico di chi la riceve.
Osserviamo la cosa dal primo punto di vista. Il cinema, forma evoluta della comunicazione per immagini (il montaggio fu - e resta - la sua arma più efficace), ha avuto l´effetto di "cinematizzare" le arti figurative e la letteratura, ma anche la nostra percezione comune e l´organizzazione della nostra memoria. Se noi guardiamo all´intera tradizione figurativa e narrativa a partire dal cinema possiamo infatti interpretarla come un interminabile tentativo di dar corso, con mezzi tecnici inadeguati, a un desiderio di complessità che il cinema ha a portata di mano: l´introduzione del tempo e della discontinuità nelle immagini fisse della pittura, la pluralità delle prospettive e delle voci narranti in letteratura. Così, la pittura e il romanzo moderni scoprirono questo desiderio inespresso e dovettero elaborarlo in proprio, confrontandosi, spesso in modo diretto e dichiarato, col cinema. Ma c´è di più: l´immagine cinematografica ha mostrato di disporre fin dall´inizio di una potenza mediale paragonabile solo all´invenzione della stampa: la nostra percezione (fu Benjamin a farlo notare) si è modificata sensibilmente dopo la comparsa del cinema (e della vita metropolitana), orientandosi verso una decifrazione sequenziale e discontinua del caotico mondo visibile. Un fatto davvero epocale, questo, che solo le nuove tecnologie dell´immagine, fluide e ipertestuali, stanno oggi mettendo in discussione. Il cinema insomma ci ha coinvolto nel profondo perché fin da sempre, senza saperlo, eravamo predisposti a prolungare la nostra percezione e la nostra memoria, la nostra immaginazione e le nostre emozioni in un artefatto tecnico capace di dispiegarle al meglio. Il cinema come arte si è nutrito precisamente di questa attitudine, e l´ha a sua volta nutrita.
Ma se ora ci volgiamo all´altro senso della "cinematizzazione", quello pensato da Vertov, scopriamo qualcosa di ancor più attuale e inquietante. Cinematizzazione, infatti, è da intendere come il corrispettivo di "alfabetizzazione", come l´istruzione di uno spettatore competente, in grado non solo di ricevere immagini tecniche ma anche di produrle in proprio e di metterle in circolazione. Quando parlava di una "cinematizzazione delle masse", dunque, Vertov stava anticipando un fenomeno che solo oggi è divenuto accessibile e che è sempre più massicciamente praticato grazie all´uso di videocamere digitali, webcam e telefonini palmari collegabili in Rete e aperti a diverse forme di interattività: dal controllo politico e testimoniale (è il caso delle violazioni di diritti perpetrate al G8 di Genova e dei cento occhi elettronici che le hanno restituite alla giustizia) alla vuota chiacchiera esistenziale dei Blog fino al degrado voyeristico (è il caso del materiale pornografico accessibile in rete) e all´espressione inelaborata della pura e semplice barbarie (è il caso delle torture inflitte a un ragazzo autistico in una scuola torinese e poi messe in Rete).
Si dirà che questa cinematizzazione, di cui non riusciamo ancora a valutare la portata antropologica e le conseguenze giuridiche, non ha più niente a che fare col cinema. Ma non è così. Si direbbe, piuttosto, che è proprio in questo inedito - e inquietante - spazio di contaminazione tra la fluidità e l´immediatezza della registrazione digitale e la disciplina di un severo controllo formale che il cinema è oggi tenuto a mettere alla prova, e a far valere, la sua capacità di inventare nuove modalità di esperienza comunicativa e di elaborazione del senso. Gli esempi non mancano: da Abbas Kiarostami a Michael Moore, dall´ultimo Spike Lee all´ultimo Bellocchio. In tutti questi casi, pur nella grande differenza nel trattamento dell´immagine, sembra che l´aspetto comune sia da vedere nella natura intermediale della nuova cultura cinematografica, nella sua capacità, cioè, di far dialogare media diversi e diversi regimi della rappresentazione: la testimonianza e l´invenzione visionaria, la presa diretta sulle cose e la fatica del distanziamento critico. È di questo che la civiltà del cinema, se vuole continuare a espandersi, sembra oggi avere più bisogno.
l'Unità 12.12.06
Bertinotti: la politica deve ripartiredai movimenti di Seattle e Porto Alegre
ROMA «È nella costituzione del movimento altermondista che vedo la possibile rinascita della politica e, dunque, se mi si chiede dove ricomincia la formazione, rispondo che ricomincia da Seattle, Porto Alegre, Genova e Firenze, ricomincia da qui». È quanto sostiene il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, nel messaggio inviato al presidente di Unione a sinistra, Edoardo Sanguineti, e al coordinatore di «Uniti a sinistra», Pietro Folena, per il simposio «Problemi del socialismo».
Una iniziativa «particolarmente utile - rimarca Bertinotti - in un quadro internazionale che vede il capitalismo incamminato nella sua specifica fase della globalizzazione e della conoscenza, quest’ultima anch’essa responsabile dell’acutizzarsi delle disuguaglianze».
l'Unità 12.12.06
Veronesi: «Arrestare la scienza: questa sembra essere la parola d’ordine»
«Arrestare la scienza», sarebbe questa la parola d’ordine e l’effetto di un sistema dei media che «non è in grado di creare conoscenza». Lo denuncia il professore Umberto Veronesi nella “lectio magistralis” tenuta ieri all’università Federico II di Napoli in occasione del conferimento della laurea honoris causa in in Scienze e Tecnologie agrarie. «Senza libertà di pensiero non c’è possibilità di azione» osserva. «C’è qualcosa di più - denuncia, spiegando i condizionamenti esercitati dal potere politico, economico e da quello religioso -, il potere politico ha sempre avuto un po' paura della scienza». Osserva come la ricerca «sia sempre fiorita a ridosso delle crisi della religione». «Lutero inchiodò le sue 95 tesi a Wittenberg, e 26 anni dopo uscì il “De Rivolutionibus Orbium Coelestium” di Nicolò Copernico». Nella sua prolusione lo studioso si è soffermato sulle prospettive dell’ingegneria genetica, che grazie allo studio del dna «può far guardare con fiducia al futuro della lotta ai tumori. «Se tutti abbiamo la stessa conformazione perché non usare questa conformazione per trasferire un gene da un organismo a un altro?» ha continuato lo scienziato. Non si nasconde le perplessità che questo crea. «Possiamo interferire direttamente sulla natura e creare addirittura specie nuove. Se togliessimo da un embrione umano il gene P66- spiega -, in un’operazione brevissima, potremmo creare un bambino che vivrà 120 anni, e così suo figlio. Si tratta di una nuova linea umana». Tuttavia, ha concluso, gli eventuali limiti che si devono imporre alla scienza «devono essere dettati dalla ragione, non dalla paura». Quello che lo preoccupa è che «l’opinione pubblica non ha ancora elaborato la rivoluzione genetica, un evento di portata analoga alla rivoluzione copernicana». Allora l’importante per Veronesi, è conoscere. Per questo insiste sulla «funzione civilizzatrice» della scienza ed invita medici e scienziati ad uscire dalle corsie e dai laboratori e a confrontarsi, alleandosi con i filosofi, arrivando all’opinione pubblica. «Esiste un valore universale che tutti gli scienziati devono diffondere e seguire: la scienza, elemento per allargare i confini del sapere, per la ricerca della verità, e che ha funzione civilizzatrice».
l'Unità 12.12.06
MACALUSO. «Non si fa una nuova forza politica in astratto»
ROMA Emanuele Macaluso risponde a quanti, come Giuliano Amato, invitano ad accelerare con la costituzione del partito democratico, osservando che «non si può progettare la nascita di una nuova forza politica in astratto, ragionando su ciò che sarebbe giusto e bello fare, senza tener conto dei rapporti che le forze politiche hanno con la società». Macaluso cita l'intervista alla Repubblica di domenica, in cui Amato afferma che senza partito democratico «rischiamo un' ondata di antipolitica che può travolgere tutto», e osserva che «neanche i partiti che si autodefiniscono socialisti riescono a trovare in Italia una strada comune». In risposta, Macaluso ricorda che Amato è «la stessa persona che in un non dimenticato congresso dei Ds» aveva illustrato «le virtù del socialismo democratico»; e se oggi non riesce ad unirsi chi si dice socialista, «per quale miracolo», chiede Macaluso, può esserci l'unità «con chi socialista non è, non vuole essere e non vuole convivere nello stesso partito europeo». Per Macaluso, l'operazione partito democratico ormai «non raccoglie nemmeno tutto il consenso dei due apparati, dei militanti, degli iscritti. Fuori di essi non c'è nulla se non delusione e scetticismo ed è difficile risalire la china affidandosi a una chimera».
l'Unità 12.12.06
HANAN ASHRAWI. L’ex ministra dell’Anp attacca Ahmadinejad: cancellare la storia non porterà certamente a una pace giusta fra pari»
«Da palestinese dico all’Iran: sbagliato negare l’Olocausto»
di Umberto De Giovannangeli
«Un futuro di pace non può fondarsi sulla negazione della storia. Una pace giusta, tra pari, nasce anche dall'acquisizione di verità che le ragioni del presente non possono piegare né distorcere. L'Olocausto è una di queste verità. Per questo da palestinese che non ha smesso un solo giorno di battersi per i nostri diritti nazionali dico che la Conferenza di Teheran non aiuta la nostra causa perché non è gettando dubbi sull'Olocausto ebraico che si porterà verità e giustizia in Medio Oriente». A sostenerlo è una delle figure più rappresentative della dirigenza palestinese: Hanan Ashrawi, già ministra dell'Anp, parlamentare, la prima donna a ricoprire l'incarico di portavoce della Lega Araba. Sul presente e le aperture evocate dal primo ministro Ehud Olmert, Ashrawi replica così: «Per ridare spazio alla speranza occorre un atto concreto da parte del più forte. La tregua non basta. Israele deve porre fine all'assedio di Gaza».
A Teheran si è aperta la Conferenza sull'Olocausto indetta dal regime iraniano. Se fosse stata invitata vi avrebbe partecipato?
«Non sono stata invitata e se lo fossi stata avrei detto di no. Quella conferenza non aiuta la causa palestinese perché noi palestinesi non otterremo mai giustizia e non affermeremo mai i nostri diritti negando la storia o ridimensionando tragedie come l'Olocausto ebraico. Chi, come noi, è vittima della storia non può pensare di avere effimere rivincite violentando la storia».
I promotori della Conferenza affermano che Israele ha «usato» l'Olocausto per «comprare» il consenso dell'Occidente, alla sua politica di oppressione verso i palestinesi.
«Se anche fosse così ciò non porta a negare l'Olocausto o a cercare di circoscriverne la portata. Non si ottiene giustizia per sé ferendo la memoria collettiva dell'altro. Altra cosa è la responsabilità delle classi dirigenti israeliane nell'aver inteso riscrivere la storia di questi ultimi 60 anni (dalla nascita dello Stato d'Israele) a proprio uso e consumo. Emblematico in tal senso è l'affermazione di Golda Meir secondo cui la Palestina era "una terra senza popolo per un popolo senza terra". Cancellare dalla storia il popolo palestinese non è certo un servizio reso alla verità né un incentivo al dialogo. Perché un dialogo, per essere davvero produttivo, deve necessariamente partire dal riconoscimento dell'altro da sé».
Ciò vale anche per i palestinesi…
«Gli accordi sottoscritti dall'Anp così come la Dichiarazione di Algeri dell'Olp (1993) partono dal riconoscimento dello Stato d'Israele. Su questo occorre la massima chiarezza: la grande maggioranza dei palestinesi si sono battuti e continueranno a battersi perché in Medio Oriente nasca uno Stato in più (lo Stato di Palestina) e non perché ve ne sia uno in meno (lo Stato d'Israele)».
Non è questa la posizione del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad.
«Certi proclami fanno parte della propaganda di chi intende accreditarsi come potenza regionale. Per quanto mi riguarda, ho sempre sostenuto che non esistono scorciatoie militari per ottenere i nostri diritti nazionali. Per questo rigetto affermazioni come quelle del presidente iraniano così come mi sono sempre battuta contro la deriva militarista della seconda Intifada, convinta che tra rassegnazione e disperazione violenta esista una terza via: quella della disobbedienza civile, di una rivolta popolare non violenta».
Lei parla di una pace fondata sul principio di due popoli, due Stati. Ma Hamas non è di questo avviso.
«In questi casi occorre essere pragmatici. Puntare ai fatti più che alle proclamazioni di principio. Accettare da parte di Hamas il cosiddetto "Documento dei prigionieri" significa accettare la costituzione di uno Stato di Palestina nei territori occupati da Israele nel 1967. Ciò significa, di fatto, riconoscere lo Stato d'Israele. Partiamo da qui e dalla rinuncia di Hamas ad ogni pratica terroristica per riavviare su basi nuove un percorso di pace, ma allo stesso tempo Israele deve mostrare, nei fatti e non solo a parole, che intende davvero porre fine a quella sciagurata politica unilateralista che è parte fondamentale del conflitto israelo-palestinese e non certo la sua soluzione».
Quali potrebbero essere dei primi atti concreti da parte israeliana?
«Porre fine all'assedio di Gaza, bloccare la colonizzazione della Cisgiordania e dirsi disponibile alla liberazione di prigionieri palestinesi non solo in rapporto allo scambio con il soldato rapito».
Tra questi detenuti da liberare c'è anche Marwan Barghuti?
«Barghuti è un parlamentare palestinese e può dare un contributo importante ad una svolta negoziale. La sua liberazione sarebbe un investimento per la pace. Un investimento produttivo anche per Israele».
Quali dovrebbero essere le novità da apportare rispetto agli accordi di Oslo?
«Definire da subito lo sbocco del negoziato (quello di due Stati) e definire il tempo massimo (non più di un anno o due) per portare a compimento un accordo globale. Sono questi, a mio avviso, i due pilastri su cui fondare una pace giusta, globale, tra Israeliani e Palestinesi. Una pace tra pari».
Si parla di pace intanto però Gaza inorridisce per l'assassinio dei tre bambini figli di un responsabile della sicurezza dell’Anp.
«Si tratta di un fatto orribile, ignobile. Il sangue di quei bambini ricadrà su mandanti ed esecutori di questo crimine. C’è bisogno di una rivolta morale contro questi banditi che vogliono imporre con la forza più brutale la loro logica sanguinaria. Dobbiamo fermarli, prima che sia troppo tardi».
aprileonline.it 11.12.06
Prove di unità a sinistra
di Piero Di Siena
Dalla manifestazione convocata domenica 10 dicembre da Uniti a Sinistra, dall'Associazione per il Rinnovamento della Sinistra e dall'Associazione RossoVerde è giunto un messaggio chiaro: principi e valori sono ampiamente convergenti in un'area che va da Rifondazione sino alla sinistra Ds
C'è veramente qualcosa che si muove a sinistra? Può avere un punto di approdo l'aspirazione a unire la sinistra italiana, che molti di noi hanno coltivato in questi quindici anni e più che ci separano dalla fine del comunismo del novecento e dall'implosione dei partiti di massa nel nostro paese?
Dalla manifestazione convocata domenica 10 dicembre da Uniti a Sinistra, dall'Associazione per il Rinnovamento della Sinistra e dall'Associazione RossoVerde, e conclusa da Aldo Tortorella, è giunto senza possibilità di smentite un messaggio positivo in questa direzione. L'occasione era quella di sottoporre a discussione il documento che le tre associazioni hanno formulato per dare un contributo di idee alla costruzione di un nuovo soggetto politico della sinistra italiana. E la verifica è stata positiva. Come ha avuto modo di sottolineare Fabio Mussi nel suo intervento, principi e valori sono ormai ampiamente convergenti in un'area che va da Rifondazione sino alla sinistra Ds, e soprattutto animati da una forte ispirazione innovativa.
La sconfitta della sinistra del XX secolo è stata ormai ampiamente introiettata e elaborata per poter porre le basi del futuro del socialismo in termini di forte discontinuità rispetto alle culture e alle esperienze del secolo scorso. E' una scelta alternativa a quella del partito democratico ma la cui formulazione non nasce da una reazione a quest'ultimo, quanto piuttosto dall'autonoma presa di coscienza della necessità storica di una sinistra radicalmente nuova. Una sinistra che, come recita il documento, fa della libertà il principio fondante di un nuovo socialismo, ritrova nel lavoro dell'età della globalizzazione il suo radicamento, individua nello sviluppo della democrazia e nella riforma della politica obiettivi e forme del suo agire politico.
Si tratta di una ricerca che avviene mentre tutta la sinistra italiana è al governo, nell'ambito di una coalizione che deve saper esprimere nell'interesse del paese un compromesso alto tra capitale e lavoro, mentre interrogativi inquietanti si addensano attorno al destino del mondo che oscilla tra crisi ambientale e pericoli di guerra, in un quadro nel quale l'Europa stenta a trovare un ruolo che possa essere all'altezza di una rinnovata sua missione di civilizzazione.
Una sinistra nuova deve essere in grado di rispondere a tutto ciò, producendo un'innovazione teorica che superi i confini dello stesso stato di diritto così come è stato pensato in occidente, ricorda Russo Spena.
E su queste basi, dopo l'iniziativa di domenica, è dunque più agevole sperare che "in tempi ragionevoli" - come ha affermato Cesare Salvi - possa nascere un nuovo soggetto unitario della sinistra italiana.
aprileonline.it 11.12.06
Piazza Fontana non si dimentica
di E.S.
Le ricorrenze che determinano le tappe della storia di un paese spesso assumono le caratteristiche di una retorica populistica fine a stessa, specialmente quando si vuole soltanto evidenziare lo scarto di una differenza, la diversità ideologica e politica tra fazioni contrapposte.
Ma la strage di piazza Fontana, 37 anni dopo, col passar del tempo assume sempre più i contorni di un tragico inizio, la prima testimonianza di un itinerario che non avremmo mai voluto percorrere, trascritto negli annali con la definizione di strategia della tensione.
Per chi non ha vissuto quel periodo, e per coloro che più o meno volontariamente hanno cercato di rimuoverlo, vale la pena ricordare che allora la classe dirigente italiana temeva uno spostamento a sinistra dell'asse politico nazionale, un mutamento fortemente osteggiato perché ritenuto destabilizzante rispetto ai meccanismi di potere già ben oliati dopo vent'anni di gestione democristiana, seguìta alla fine della seconda guerra mondiale. Nel perseguire questo obiettivo, ad un certo punto le vittime causate da stragi orrende sembra essere la strada intrapresa. Fu così messa in atto una strategia che verosimilmente doveva portare, nelle intenzioni degli esecutori, alla realizzazione di un modello (anti)democratico autoritario, gestito dai più alti organi dello stato per mettere fuori gioco gli avversari politici, creando un clima di paura e soggezione che giustificasse agli occhi degli elettori e dell'opinione pubblica l'incontrastata egemonia del partito a capo del governo.
Parte da qui l'idea di un braccio armato, di un esecutore materiale idoneo alla messa in pratica delle meschinità omicide dei mandanti. Una bomba, scoppiata alle 16,30 nel salone centrale della Banca Nazionale dell'Agricoltura a Milano, causa sedici morti e ottantasette feriti: la nuova e misteriosa strategia, che coinvolge vittime innocenti e comuni cittadini, rompe gli indugi. Suona da subito strano che le indagini delle forze dell'ordine guardino agli ambienti della sinistra anarchica, così come risulterà sempre più emblematico lo svolgimento lento e involuto dei vari processi che partire della metà egli anni ottanta sino a noi coinvolgeranno nomi noti e meno noti della destra estrema italiana, senza mai riuscire a far piena luce sui responsabili di quel drammatico evento.
Oggi, tornati alla ribalta vecchi e nuovi successori della Democrazia cristiana ufficialmente frammentata, in realtà sapientemente distribuita nelle dinamiche politiche determinate dal falso bipolarismo italico, quel 12 dicembre del 1969 molti vorrebbero farlo tornare nel dimenticatoio, magari insieme a tutte quelle torbide storie che, solo per citarne alcune, da Pinelli all'Italicus, da Moro a Ustica, arrivando sino a noi, continuano a dar testimonianza di un'inquietante anomalia, nel cuore di un paese solo formalmente cresciuto sotto la confortante immagine di una democrazia reale e compiuta.
"Io so, ma non ho le prove", scrisse uno dei poeti più amati e odiati sulla prima pagina del più importante quotidiano italiano. Era il novembre del 1974. Chissà cosa ne scriverebbe oggi, uno come Pier Paolo Pasolini, di un paese ridotto ancora a fare i conti con il proprio passato, per cercare di capire di quale pasta sia realmente fatto.
corriere.it 12.12.06
A 37 anni dalla strage alla Banca Nazionale dell'Agricoltura
Bertinotti a Milano per ricordare piazza Fontana
Alle 17.30 parte il corteo da piazza della Scala, il comizio conclusivo alle 18. Non ci sarà il sindaco Moratti, in missione a New York
Studenti in piazza per ricordare la strage del 12 dicembre '69 (Delbo)
Il presidente della Camera Fausto Bertinotti nel pomeriggio sarà a Milano per partecipare alla cerimonia in occasione del 37° anniversario della strage di piazza Fontana (12 dicembre 1969). Le commemorazioni inizieranno alle 16.30, con la sospensione per dieci minuti delle attività cittadine. Alle 16.37, ora in cui scoppiò la bomba, in piazza Fontana verranno deposte le corone sotto la lapide che ricorda le vittime. Alle 17.30 partirà il corteo da piazza della Scala, il comizio conclusivo si terrà alle 18. Non ci sarà il sindaco, Letizia Moratti, in missione a New York, ma verrà inviato un rappresentante del Comune. Alla manifestazione parteciperanno i familiari delle vittime, le associazioni degli ex partigiani e il «Comitato permanente antifascista contro il terrorismo per la difesa dell’ordine repubblicano», composto tra gli altri da partiti (Ds, Margherita, Rifondazione, Sdi, Pdci), sindacati (Cgil, Cisl, Uil) e Acli. Al termine del corteo, che sarà aperto dai gonfaloni del Comune e della Provincia, si terranno i discorsi commemorativi in piazza Fontana. L'intervento del presidente della Camera è previsto intorno alle 18.
I valori dell'antifascismo e della democrazia, la cultura del pacifismo e del dialogo, la memoria del passato per conoscere il presente: questi i temi al centro della manifestazione organizzata questa mattina dagli studenti delle scuole superiori. Il corteo (2mila partecipanti secondo gli organizzatori) si è svolto senza incidenti e con molta partecipazione. Partito alle 10 da largo Cairoli, si è concluso in piazza Fontana, davanti alla Banca Nazionale dell'Agricoltura. I ragazzi si sono seduti per terra e sono stati ripercorsi alcuni fatti tragici della storia italiana, per dire «basta con le stragi e con la politica delle tensione che è tornata in forme diverse, come con l'uccisione di Carlo Giuliani a Genova». Annunciate mobilitazioni a partire dalla prossima settimana, con autogestioni e cogestioni di diverse scuole. Nel giardinetto, sulla lapide che ricorda l'anarchico Giuseppe Pinelli, è comparso un mazzo di fiori con un foglietto: «Pinelli assassinato». «La memoria è fondamentale - ha detto Rossella, del liceo Parini - anche perché a scuola non si parla mai della storia degli anni Settanta».