mercoledì 8 novembre 2006

repubblica.it 8.11.06
Ogni quattro minuti si sfascia una coppia, in dieci anni incremento del 59%
In netto calo le unioni con rito religioso, resiste solo il Meridione
Matrimoni in crisi profonda: ci si sposa meno e si divorzia di più
La nuova fotografia delle famiglie italiane nel rapporto dell'Eures


ROMA - Sempre meno matrimoni e un divorzio ogni quattro minuti. E' quanto risulta dal rapporto Eures "Finché vita non ci separi...Caratteristiche ed evoluzione dei matrimoni in Italia". In Italia, stabilisce la ricerca, negli ultimi trent'anni i matrimoni sono diminuiti del 32,4 per cento, passando dai 373.784 del 1975 (con un indice pari al 6,7 per mille abitanti) ai 250.974 del 2005 (con un indice del 4,3).

Più matrimoni al Sud. La Campania presenta l'indice di nuzialità più alto (5,3 ogni mille abitanti); ma è il Lazio l'unica regione d'Italia in cui il numero dei matrimoni abbia fatto segnare un incremento rispetto al 1995 (da 4,7 a 5,1), anche per effetto del "turismo matrimoniale": le coppie arrivano da mezzo mondo nella città eterna per convolare a nozze. Al Nord ci si sposa meno della media nazionale, con un picco negativo in Emilia-Romagna (3,5 matrimoni ogni mille abitanti). Napoli è la città in cui ci si sposa di più (17.881 matrimoni nel 2005, pari a 5,8 ogni mille abitanti). L'età media del matrimonio, negli ultimi tre decenni, è salita di 7 anni tra gli uomini e di oltre 5 per le donne. Nel 2006 lo sposo aveva in media 33,7 anni, la sposa 30,6.

Rito religioso in declino. In calo il matrimonio in chiesa, che nel 1975 veniva scelto dal 91,6 delle coppie, contro il 67,6 del 2005. Fa eccezione il Sud, dove otto coppie su dieci ancora vogliono andare all'altare. L'incidenza più bassa delle nozze religiose si registra in Friuli (48,5 per cento). Prudentemente, si preferisce in ogni caso optare per la separazione dei beni, scelta dal 54,3 per cento delle coppie italiane; e la percentuale sale ancora al nord (61,7%). C'è poi anche chi ci riprova: il 7,7 degli sposi e il 6,6 delle spose sono alla seconda esperienza matrimoniale, con un'età media di 45 anni. Ed è pari al 10,5 per cento l'incidenza dei matrimoni con almeno un coniuge non italiano: nella maggior parte dei casi (58,1%) l'italiano è lo sposo, mentre lei è straniera.

Divorzi a ritmo frenetico. Ma quello che salta agli occhi è il dato delle separazioni e dei divorzi, saliti rispettivamente a +59% e +66% per cento negli ultimi dieci anni. E' il Sud a registrare l'incremento più consistente, sia delle separazioni (+84,7 per cento, contro il 46,3 del Nord) sia dei divorzi (+74,7 per cento, contro il +61,3 del Nord). Complessivamente, nel 2004 si contano oltre 128 mila separazioni e divorzi (rispettivamente 83.179 e 45.097), pari a 352 sentenze al giorno: come dire che ogni quattro minuti, in Italia, si spegne un sogno d'amore sancito con le nozze.

Il record in Liguria. A livello regionale, i valori più elevati si registrano in Liguria, con 91,2 separazioni e divorzi ogni cento matrimoni); i legami più solidi sono in Calabria, dove per cento matrimoni si registrano "solo" 24 tra divorzi e separazioni. Più "resistenti" si rivelano i matrimoni religiosi (5,6 divorzi ogni cento matrimoni in chiesa, nel 1975, contro 13,1 divorzi tra chi si era sposato civilmente).

In crisi già dopo tre anni. Il picco delle separazioni si registra fra il terzo e il quinto anno di matrimonio (come dire che alla classica crisi del settimo anno non si fa nemmeno in tempo ad arrivare). E non ci si lascia più per colpa, ma per intolleranza reciproca, e consensualmente: la stragrande maggioranza dei divorzi è concessa a seguito di domanda congiunta dei coniugi, con valori che passano dal 69,4 per cento del 1995 al 78,2 del 2005.

Cambia la famiglia. Dall'aumento delle separazioni scaturisce l'incremento delle famiglie monogenitoriali e dei figli affidati: secondo i dati Istat, il numero dei minori affidati dopo una separazione è pari nel 2004 a 64.292. In oltre la metà delle separazioni (52,9 per cento) è presente almeno un figlio minore; nell'80 per cento dei casi, è la madre che ottiene l'affidamento, mentre si rileva una crescita costante degli affidamenti congiunti, che arrivano nel 2004 al 12,7 dei casi di separazione e al 10% dei divorzi.

l'Unità 11.9.06
SINISTRA EUROPEA
Tortorella: lavoro, libertà, uguaglianza
Un documento per tre associazioni


UNITÀ A SINISTRA. È l’obiettivo di un documento presentato ieri da Aldo Tortorella, presidente dell’associazione per il “Rinnovamento della sinistra” (Chiarante, Mele) e scritto insieme alle associazioni “Uniti a Sinistra” (Folena, Falomi, Rinaldini, Maura Cossutta) e “Rosso Verde”(Pagliarulo, D’Amato). Il documento - lungo 14 pagine e diviso in 16 capitoli - raccoglie 56 tesi che riguardano soprattutto il mondo del lavoro, ma in relazione alle questioni ambientali e al pensiero dela differenza. E verrà presentato ufficialmente a Roma il 10 dicembre in un'iniziativa spiega Pietro Folena «a cui saranno invitate tutte le forze che lavorano per un'unita a sinistra» in prima fila ovviamente Rifondazione e Sinistra Ds.
Nel testo si sottolinea come «una nuova sinistra in Europa deve porsi l'obiettivo di superare le tradizioni delle famiglie del socialismo europeo e la storica divisione tra comunisti e social democratici, tra antagonisti e riformisti».
Per le tre associazioni - la necessità di un soggetto che si faccia promotore di un'unità a sinistra nasce dall'esigenza di invertire «la tendenza di numerosi partiti socialdemocratici di orientarsi verso il centro dello schieramento». E Tortorella spiega: «Una nuova sinistra non può non avere come referente il mondo del lavoro. Si deve creare l'esigenza di un nuovo modello di socialismo fondato sulle libertà ed impegnato sui problemi dei lavoratori». Certo, «il nuovo soggetto della sinistra italiana non può essere la mera sommatoria delle organizzazioni politiche attualmente esistenti a sinistra» anche se «non può certo prescindere da esse, dalla loro evoluzione, in particolare dalla novità politica costituità dal progetto della formazione della “Sinistra europea” promosso da Rifondazione e dall'opposizione della sinistra Ds rispetto alla formazione del Partito Democratico».
Il documento però spiegano gli stessi promotori non è in collisione con il nuovo soggetto promosso da Rifondazione che, sottolinea Folena «ha avuto la generosità di entrarci come “parte” di un soggetto più grande».

l'Unità 8.11.06
Il «j’accuse» del Csm: ci avete deluso
I togati «processano» il Guardasigilli: «Credevamo in una nuova stagione»


Il più duro è stato forse proprio il componente di Magistratura Democratica Livio Pepino: «Abbiamo atteso segnali che per la giustizia cominciasse davvero una nuova stagione, non solo nel clima ma nei contenuti. Attesa in gran parte insoddisfatta. Non vediamo un progetto per la giustizia: navigando a vista non si esce dalla crisi». Il primo incontro tra il Guardasigilli e il rinnovato organo di autogoverno delle toghe non è stato certo tra i più leggeri. Accuse pesantissime, i consiglieri non hanno risparmiato polemiche: hanno attaccato Mastella dicendo che manca un progetto, che sulla Giustizia il Parlamento non c’è. E Mastella ha cercato di difendersi: «Io mi applico per fare il meglio possibile, gioco il mio ruolo. Ma io sono un umile operaio della Costituzione...».«Siamo consapevoli del suo impegno per il dialogo - ha esordito Pepino a nome di Md - ma prevale un senso di delusione e preoccupazione». A denunciare la «mancanza di un programma e di una visione globale» è stato anche il laico di centro-destra Anedda. Nessuno ignora i problemi di bilancio dello Stato, ha fatto eco Ciro Riviezzo per il Movimento per la giustizia, ma «pare che la giustizia non sia una priorità per il governo». Un «grido d'allarme» per la «preoccupante inerzia del Parlamento» di fronte ad una «situazione di evidente crisi» è venuto anche dal laico dei Ds Vincenzo Siniscalchi, fino alla passata legislatura deputato. Mentre il togato di Magistratura indipendente Antonio Patrono ha denunciato il «pessimo segnale» dei tagli agli stipendi dei magistrati e le «ricadute» dell'indulto: «Approvare l'indulto senza l'amnistia per i Tribunali - ha spiegato - equivale a riempire di costoso carburante una macchina per poi farle fare 1.000 volte lo stesso giro dell'isolato». Una situazione che «peggiora il contrasto all'illegalità». Nessuna «impertinenza», ha commentato Mastella dopo aver ascoltato i consiglieri. «Io non so come passerò alla cronaca, spero come colui che ha tentato di modificare un clima». E poi ha aggiunto: «Riforme di ampio respiro sono difficilmente realizzabili. Meglio seguire la strada della riorganizzazione del sistema».

l'Unità 8.11.06
Domande di sinistra (al Partito democratico)
di Gloria Buffo


Non è convincente la descrizione fatta dai giornali sugli affanni del governo Prodi: si tratterebbe, secondo gli opinionisti della grande stampa, di un malessere legato essenzialmente al peso eccessivo della sinistra radicale che condizionerebbe Prodi a discapito dell’agenda suggerita dai «riformisti» di Ds e Margherita. Questi ultimi, in procinto di varare con lo stesso Prodi il Partito Democratico, tentano di corregge la rotta, ricuciono con la Confindustria e i commercianti ma insomma…finché non si alza l’età pensionabile, non si riducono le spese sociali e non si liberalizzano i servizi pubblici locali, il governo Prodi non può che soffrire e tirare a campare: questo scrivono i giornali che contano.
Se non si comprende che questa fotografia del centrosinistra è truccata, non si afferra il vero bandolo della matassa. Sappiamo tutti che quella secondo cui gli impacci della coalizione nascono dalle posizioni della sua parte sinistra è una tesi interessata perché viene da chi altro non brama che un governo composto dai moderati dei due poli, benedetto dalla Confindustria (e magari ben visto da Ruini). Quello che resta in ombra invece è che, se questa tesi è interessata, l’analisi che la precede è fasulla.
In poche parole, non è vero che le difficoltà nascono dal fatto che le richieste dei riformisti sono trascurate nell’agire del governo. La verità, io credo, è un’altra: sono le riforme invocate da Fassino e Rutelli ad essere «deboli», ovvero non in grado di trascinare una coalizione per non dire un intero paese. E questo non solo perché, quando si parla di pensioni, si evocano cambiamenti piuttosto impopolari presso i diretti interessati; ma perché non si prevede quello scambio virtuoso che può far accettare a qualcuno una rinuncia in cambio di un vantaggio per la collettività e i giovani in particolare. Una volta avremmo detto che queste riforme non hanno «qualità trasformatrice».
Veniamo al merito delle posizioni: la richiesta e la promessa di mettere mano nei prossimi mesi a pensioni e pubblico impiego, oltre al federalismo fiscale, è il leit-motiv degli interventi di Fassino e sembrano condivise da Rutelli. Perché risulta così facile dire di no a questa agenda? E perché i militanti dei Ds, della Margherita o i cittadini dell’Ulivo non sono nei mercati e nelle piazze a spiegare quanto decisive sarebbero tali riforme per cambiare il volto dell’Italia? Io penso che la risposta sia semplice e spieghi perché la coalizione non sia affatto trascinata dal miraggio di questi traguardi mentre lo è stata quando Bersani annunciò di voler liberalizzare licenze e aprire fortini ormai ingiustificabili: il fatto è che non corrisponde al vero che l’età pensionabile sia la ragione che mette in pericolo il diritto alla previdenza dei più giovani; non sta qui lo «scambio» tra generazioni che può parlare all’Italia.
Non è che non si debbano fare le riforme e che tutta l’architettura sociale debba restare immobile: al contrario, il centrosinistra lascerà un segno solo se modificherà la piramide sociale non solo con la redistribuzione per via fiscale, che pure è necessaria, ma con un catalogo modificato dei diritti e dei poteri, e ,sopra ogni cosa, con l’impegno strenuo di tutte le forze per creare il «lavoro buono». Come si fa a non vedere che il problema dei problemi per tutti e in particolare per i più giovani, e per le famiglie che patiscono le difficoltà di figli e nipoti, sta nella precarietà lavorativa? Perché allora i «riformisti» non propongono un patto sociale e produttivo nuovo che si fondi sul lavoro di qualità, stabile, corredato di diritti adeguati? Da qui e solo da qui può discendere uno scambio ragionevole sull’età pensionabile (per alcuni, non per la grande maggioranza, e in modo volontario). Perché la realtà è una e una sola: chi è giovane rischia di non avere alcuna pensione perché non ha un lavoro stabile e non perché quelli più anziani sono cattivi ed egoisti (tra l’altro molti di questi anziani non raggiungono nemmeno una pensione dignitosa).
Qui però i nodi vengono al pettine: i fautori del Partito Democratico non perdono occasione per ricordare che la legge 30 non è tutta da buttare, che la flessibilità è indispensabile, che ci vogliono gli ammortizzatori sociali altrimenti occorrerebbe introdurre qualche rigidità nel mercato del lavoro... come si vede siamo molto lontani da un impianto che faccia del contrasto alla precarietà e del «lavoro buono» il cuore di una strategia riformatrice. Nel mio piccolo ho sperimentato nel gruppo dell’Ulivo alla Camera che gli emendamenti alla finanziaria tesi ad invertire nettamente la direzione intrapresa con la legge 30 non vengono assunti dal gruppo. Se viene proposto che l’aumento dei contributi per i co.co.pro. si accompagni per legge a un meccanismo che impedisca di scaricare impropriamente tale aumento sui lavoratori, il gruppo non è d’accordo mentre grande passione mette nel farsi carico e rappresentare le preoccupazioni delle imprese, degli artigiani, dei commercianti…a volte anche a torto.
Molti parlamentari della sinistra Ds hanno presentato emendamenti sul lavoro, compreso quello sul diritto, per l’immigrato che denuncia chi lo tiene a lavorare in nero, a essere regolarizzato restando in Italia: perché l’Ulivo, futuro Pd, non è d’accordo? Abbiamo vinto nel gruppo sulla proposta di riformare l’autolincenziamento in modo da impedire il ricatto del datore di lavoro che assume una donna facendole firmare in anticipo una lettera per licenziarsi se resta incinta. Ci siamo impuntati perché non si sostenesse l’aumento del finanziamento alle scuole private e per bloccare i tagli alla scuola e all’università. Abbiamo riproposto i reddito minimo di inserimento ed il prestito d’onore. Ci siamo battuti perché sia fermato l’aumento delle spese militari... e via dicendo.
Ripresenteremo questi emendamenti in aula ma la piccola verità che si trae da questa discussione nel gruppo unico dell’Ulivo è evidente: nel Partito Democratico chi ha queste idee sulle riforme sociali (e quindi sulla politica economica), sui i diritti e sulle libertà, può certo fare una battaglia, alzare una bandiera ma alla fine il cuore di questo nascente soggetto batte già da un’altra parte. A ben vedere il congresso de Ds sarà anche su questo: vogliamo un partito che intende difendere più i commercianti che non i giovani precari? Perché l’immigrato che denuncia chi lo costringe al lavoro nero non viene aiutato ad uscire dalla sua doppia condizione di clandestino? Perché la lotta alla precarietà si fa, molto parzialmente, con il cuneo fiscale ovvero con risorse pubbliche, e così poco si chiede alle imprese? In fondo si tratta del nocciolo di una politica di cambiamento.

Repubblica 8.11.06
Amato: "Per l'indulto ho sofferto"
"Serve certezza della pena". Mastella: "Difficile anche per me"
Il Guardasigilli: però non bisogna farsi influenzare dall´emotività com´è accaduto a Napoli
Il ministro dell'Interno: troppi delinquenti scarcerati, questo provoca sfiducia in cittadini e forze dell'ordine
di Liana Milella


ROMA - È solo una coincidenza, ma amplifica l´ennesima giornata di critiche contro l´indulto. Alle 15 e 45 il ministro della Giustizia Clemente Mastella sta seduto intorno al tavolo del Csm e parla dello sconto di pena. Lo difende «perché era necessario». Lo "protegge" da chi lo considera la causa prima della recrudescenza criminale di Napoli. Insiste sui dati, quelli degli omicidi, che nella città campana non sono mai stati così bassi come quest´anno. Mastella è solo contro il Csm che, appena poche ore prima, ha approvato un documento che fotografa gli effetti devastanti dell´indulto sui processi: il 90% si svolgerà inutilmente perché le pene saranno coperte e cancellate dall´indulto.
Sarà un caso, ma proprio alle 15 e 45 le agenzie battono l´anticipazione di un´intervista del ministro dell´Interno Giuliano Amato a Polizia moderna, il mensile del Dipartimento della pubblica sicurezza. Parole choc quelle di Amato. Che rivela: «Sull´indulto ho dovuto prendere atto della volontà del Parlamento, ma non senza sofferenza». E ancora: «È chiaro che un provvedimento del genere crea problemi a chi fa il nostro lavoro. Ma ce n´è uno più generale che va affrontato: quello della certezza della pena. Troppi delinquenti arrestati vengono scarcerati per mille motivi. E questo provoca sfiducia nei cittadini e nelle forze dell´ordine».
Non è certo la prima volta che un ministro dell´Interno si contrappone a quello della Giustizia e alla magistratura. Il primo deve garantire gli arresti e la sicurezza, il secondo la celerità del processo e l´effettività della pena, le toghe debbono darsi da fare perché i criminali vengano condannati in tempo. In un sistema già malato gli effetti dell´indulto dovevano e potevano essere previsti. Tant´è che Mastella, già all´inizio di settembre, era pronto a varare un decreto legge per ordinare ai magistrati di fare subito i processi con pene non coperte da indulto. Oggi il Guardasigilli non scarica Amato ma tiene ferma la barra sull´indulto: «Anch´io ho partorito con sofferenza lo sconto di pena, ma era una sofferenza necessaria. Con Amato ho parlato anche ieri, siamo d´accordo sul fatto che ci sono tante cose da modificare, bisogna soprattutto, e in fretta, cambiare la Cirielli e il meccanismo della prescrizione, perché c´è troppa gente in attesa di un giudizio che non arriva».
Ma niente, nell´analisi di Mastella, lascia intendere il minimo dubbio, una marcia indietro, un ripensamento sull´indulto. Anzi, si accalora nel difenderlo: «Non bisogna farsi influenzare da fatti emotivi, com´è accaduto per Napoli. Per quelle emergenze prima era tutta colpa dei clandestini, poi della Gozzini, adesso dell´indulto. Ma prima c´erano cento morti all´anno e adesso gli omicidi sono calati. L´anno scorso c´era la faida di Secondigliano e l´indulto non c´era». Tuttavia non vale neppure l´assunto che solo Mastella ha voluto lo sconto di pena: «Quella legge non è una mia proprietà privata, un mio magazzino personale, io sono solo uno degli 800 parlamentari che lo ha votato». E alle toghe che, in un excursus storico, ricordano come per 17 volte nella Prima Repubblica siano sempre stati approvati assieme indulto e amnistia, Mastella replica: «L´indulto è frutto di un´iniziativa parlamentare, magari anche l´amnistia potrebbe essere votata da 800 tra deputati e senatori».
Ma da qui a farsi sponsor dell´amnistia ce ne corre. Anzi il Guardasigilli lo dice a brutto muso al Csm: «Non ritengo di assumere una simile iniziativa con il rischio di restare isolato personalmente e politicamente com´è avvenuto con l´indulto». E alle toghe che denunciano l´inutilità di lavorare per processi destinati alla spugna dell´indulto Mastella risponde: «Sarò l´ambasciatore in Parlamento delle vostre segnalazioni, mi farò carico delle vostre ragioni, ma l´indulto non è mai stato una legge proposta direttamente dal governo». E mai lo sarà l´amnistia.

Repubblica 8.11.06
Il sindaco di Roma a un giornale cattolico
Veltroni e la religione "La mia ricerca di Dio"


ROMA - Walter Veltroni non si definisce un credente, continua a dire che «crede di non credere». Ma dice che non ha mai perso «il gusto della ricerca di una dimensione ampia, profonda, alta. Quel che posso dire - spiega il sindaco di Roma - è che questo gusto, questo desiderio di ricerca, non è diminuito col passare del tempo, al contrario». Il primo cittadino romano ha consegnato le sue riflessioni sul rapporto con Dio e la religione ad un´intervista pubblicata dall´Eco di San Gabriele, il mensile dei padri passionisti abruzzesi. Un tema che la direzione del giornale richiama sulla copertina del mensile con il titolo "Il desiderio del sindaco di Roma Walter Veltroni: in cerca di Dio".
Veltroni spiega che dietro il suo «desiderio di ricerca» c´è «un´influenza importante» da parte di missionari, suore, sacerdoti conosciuti in Africa. Uomini e donne che definisce «angeli caduti in terra». Così come non dimentica «la luce negli occhi» di Giovanni Paolo II. «Insomma, - spiega il sindaco di Roma - verso chi ha avuto un dono così profondo come quello della fede, e sa a volte regalare così tanto agli altri, provo un´ammirazione grandissima». E alla fine ammette anche, seppur in forma dubitativa: «Il mio insistere molto, anche nella mia attività di sindaco, suo tutto ciò che riesce a rendere concrete le parole solidarietà, altruismo, probabilmente non è estraneo a questa mia ricerca».
Veltroni parla anche del suo rapporto con la famiglia. «Cerco di essere molto attento, sia come padre che come marito», dice. Spiega di perseguire «una qualità nel rapporto» con la sua famiglia. E come tutti i padri orgogliosi afferma che «i risultati si vedono: le mie due figlie, ormai grandi, sono ragazze eccezionali che mi sono sempre molto vicine». E infine non lesina complimenti alla moglie Flavia: «Non ha mai smesso di starmi vicino, nemmeno nei momenti più difficili».

il manifesto 8.11.06
Un indulto e troppi pentiti
di Giuseppe Di Lello


Sarà una coincidenza, ma le pulsioni forcaiole, frenate per breve tempo dal voto quasi unanime delle camere sull'indulto, stanno riemergendo in questi giorni proprio in concomitanza con la condanna a morte di Saddam Hussein. Così in un paese sconvolto da decenni di stragi, di omicidi quotidiani, di estorsioni e di rapine consumate da mafie e gang criminali sparse un po' dappertutto, parlo dell'Italia, si scopre che questa tragedia permanente e strutturale sarebbe da addebitare all'indulto.
Lo danno ad intendere il ministro dell'interno Giuliano Amato e quello della giustizia Clemente Mastella quando annunciano, pur con accenti diversi, di avere in qualche modo subìto la scelta del parlamento per l'indulto. E c'è da temere che anche buona parte dei parlamentari che lo hanno votato, cioè più dei due terzi del parlamento, a questo punto si siano pentiti. Persino lo sfascio storico della giustizia, con una magistratura che si dibatte impigliata nella durata biblica dei processi e nel suo arretrato - che solo la mannaia della prescrizione rende meno astronomico - persino questo disastro sembra ora dovuto all'indulto. Almeno a detta del Consiglio superiore della magistratura.
Romano Prodi a Napoli ha spiegato bene che non c'è relazione tra l'indulto e le ultime, drammatiche notizie di cronaca. Ma per quanto riguarda i processi e quello che ha denunciato il Csm alcuni di noi avevano avvertito per tempo che accanto all'indulto bisognava approvare anche un provvedimento di amnistia. E' persino ovvio ed è sempre stato così: le due leggi marciano insieme, il Csm dovrebbe saperlo. L'amnistia è ancora la cosa da fare. Non per questo bisogna prendersela con l'indulto.
Pensiamo a cosa sarebbe successo se l'estate scorsa non avessimo approvato la legge di indulto. Il numero sempre enorme dei morti ammazzati e delle rapine si sarebbe mantenuto stabile. E a quello si sarebbe aggiunta l'esplosione delle carceri. Magari Amato e Mastella si sarebbero lamentati per il mancato indulto. E all'assenza di un provvedimento di clemenza avrebbero imputato il disordine crescente nel paese. Ai due ministri si sarebbe probabilmente aggiunto il Csm, che avrebbe spiegato la crisi della giustizia con il mancato indulto. Paradossalmente avrebbe avuto un argomento in più.
La verità è che l'indulto ha lenito solo in una piccola parte il disaggio sociale. Mentre la società ha accolto i detenuti liberati come sempre: con nuova esclusione e nuova emarginazione. Pronta a risolvere i problemi con la consueta ricetta: nuove incarcerazioni.
Cosa c'entra la condanna di Saddam Hussein con tutto ciò? Per il rais iracheno, stando ai commenti di casa nostra, la condanna a morte è stata un'esagerazione. Mentre è ben tollerabile l'illegalità complessiva del processo, affidato a una corte formata ad hoc e sostituita quando non obbediva al padrone americano. Una pratica che va contro duemila anni di civiltà giuridica. E così anche con l'indulto. Abbiamo esagerato con il buonismo. Ma ora, con calma, li rimettiamo tutti dentro. E così avremo la pace sociale. Ci credete voi?

Repubblica 8.11.06
L'eutanasia silenziosa e i dati che ho citato
di Luigi Manconi
Sottosegretario alla Giustizia


In un puntuale articolo di Caterina Pasolini, sulla Repubblica di ieri, si legge che il professor Adriano Pessina avrebbe smentito alcuni dati da me citati. Riepilogo: nel corso di una trasmissione televisiva ho riportato quanto qualunque italiano adulto sa: ovvero che in ospedali e cliniche italiane, su richiesta dei pazienti, può accadere che siano praticate, clandestinamente, forme di interruzione delle cure e di eutanasia. Ho aggiunto, poi, che riconoscere l'esistenza di una "eutanasia silenziosa" non significa necessariamente volerla legalizzare. E ho citato i dati di tre ricerche italiane ed europee: e, tra esse, quella coordinata dal professor Adriano Pessina. Esattamente quanto si può leggere a pagina 1906 di Intensive Care Med (2003), in un saggio a firma di Alberto Giannini, Enrico Maria Tacchi e, appunto, Adriano Pessina, dove si legge che il 3,6% degli intervistati "ha ammesso di aver talvolta somministrato deliberatamente dosi letali di farmaci. Tale comportamento viene considerato eticamente accettabile dal 15,8%". Ora, se si vuole sostenere che "somministrare dosi letali di farmaci" non è eutanasia, ma corrisponde semplicemente alla sospensione dell'accanimento terapeutico, siamo in presenza di un uso, come dire?, disinvolto delle parole (e dei fatti).

Repubblica 8.11.06
CHE COSA RESTA DEL PROGRESSO
Anticipazioni / Un saggio di Massimo L. Salvadori sulla crisi di una delle idee forti fra Otto e Novecento
di MASSIMO L. SALVADORI


Esce oggi L'idea di progresso di (Donzelli, pagg. 152, euro 13). Anticipiamo qui parte dell´introduzione.

Il mondo muta con ritmi senza precedenti Eppure vacilla la fiducia nel futuro
Ne risulta un senso di precarietà. Lo sviluppo di scienza e tecnica apre un cammino insicuro

Ora che ci siamo inoltrati nel XXI secolo ci troviamo a dover fare i conti con un grande paradosso, vale a dire che - mentre viviamo in un mondo il quale muta con ritmi che non hanno precedenti, conosce trionfi sempre maggiori delle scienze e delle tecniche, vede cadere ogni giorno vecchi confini e moltiplicarsi in maniera grandiosa i mezzi atti ad assicurare lo sviluppo della società - la fiducia nel progresso complessivo dell´umanità appare come una fede tramontata, un´illusione d´altri tempi. Ne risulta un senso di precarietà che induce a considerare le continue e immense conquiste della scienza e della tecnica e lo sviluppo socio-economico alla stregua di porte oltre le quali si apre un cammino quanto mai insicuro. Tanto che cresce il numero di coloro i quali temono persino che la strada imboccata porti a un peggioramento senza ritorno delle condizioni dell´uomo. Costoro possono aver torto o ragione - ed è naturalmente da augurarsi che il loro sia solo un pessimismo eccessivo e infondato -; ma è certo che un simile atteggiamento costituisce in ogni caso un sintomo assai allarmante e molto significativo dell´indubbio e diffuso malessere contemporaneo.
L´idea del continuo progresso dell´umanità come solida possibilità o addirittura suo destino necessario è stata rovesciata. Essa appare relegata o a un auspicio di cui si è assai poco convinti oppure a un mito consumato d´altri tempi. Perché si operasse un tale rovesciamento, perché si passasse dalla fiducia nel progresso, inteso come sintesi del miglioramento delle condizioni spirituali e morali e di quelle materiali, a un atteggiamento opposto occorreva che quella fiducia - trasformatasi durante un iter che appariva trionfale da ideale regolativo delle azioni umane qual era nel Settecento in vera e propria fede nell´Ottocento - subisse colpi devastanti ad opera dell´evoluzione sia spirituale sia materiale dell´uomo; di più: che essa prima raggiungesse l´apice in quanto aspirazione e credenza dogmatica e dopo subisse duri colpi e drastiche smentite dal corso della storia.
Osservando lo sviluppo dell´idea di Progresso nel vecchio mondo che l´aveva partorita, possiamo dire che questa acquistò nel XIX secolo il carattere e la consistenza di un credo religioso il quale, penetrato dapprima nelle élites laiche borghesi, si estese in seguito, per il tramite essenziale dei partiti socialisti, a grandi masse, fino ad essere portato al culmine dal comunismo novecentesco; e infine, attaccato e irriso dai teorici della politica di potenza, dai nazionalisti e imperialisti, dagli antidemocratici, dai razzisti, dalle correnti culturali antilluministiche, antipositivistiche, antisocialiste, andò incontro a uno scacco via via più profondo tra le due guerre mondiali in conseguenza dei macelli ineguagliati, dei crudeli regimi autoritari e totalitari, delle ideologie e delle pratiche del genocidio, del grave deterioramento dei sistemi rimasti democratici, dell´impiego massiccio delle scienze e delle tecniche poste al servizio delle violenze del potere. Uscito il mondo dall´incubo della seconda guerra mondiale - specchio di tutti i fallimenti dell´epoca precedente - ebbe inizio una fase fitta di contraddizioni stridenti. Per un verso si affermò nei paesi più sviluppati un lungo periodo di forte sviluppo economico, in Occidente la democrazia andò riprendendosi e consolidandosi, si assistette al crollo degli obsoleti imperi coloniali europei e alla nascita di una serie di nuovi Stati. Per l´altro si vide che l´imponente sviluppo economico, mentre era in grado di aumentare in maniera assai consistente i beni materiali complessivamente disponibili innalzando il tenore di vita di componenti significative delle classi lavoratrici, lasciava pur sempre ampi strati negli stessi paesi più ricchi in una situazione di precarietà e di emarginazione, e troppa parte del resto del mondo in preda al sottosviluppo e alla miseria; che le nuove superpotenze dominavano la terra divisa nel quadro di una guerra fredda posta all´ombra del terrore atomico; che il saccheggio indiscriminato delle risorse naturali - fatto di cui si prese una crescente coscienza solo negli ultimi decenni del secolo - aveva assunto il carattere di un attacco senza precedenti alle condizioni che consentono la riproduzione della vita. Sicché l´insieme di questi fattori induceva a concludere che l´evoluzione della società continuava a porsi per molti sostanziali aspetti in un drammatico contrasto con quello che era stato definito il Progresso concepito come combinazione di un miglioramento spirituale e materiale destinato a radicarsi prima nel mondo occidentale e poi ad estendersi da questo al resto del mondo dando vita a una koinè culturale, politica e sociale in grado di aprire le porte alla «rigenerazione universale». (...)
Certo, sia ben chiaro, la storia del Novecento - per attenerci ad essa - non è in alcun modo ascrivibile indiscriminatamente alla categoria del «negativo». A fronte del trend prevalente vi sono stati, come abbiamo già accennato, importanti progressi, quali in primo luogo: la caduta dei regimi totalitari, la fine degli imperi coloniali, il miglioramento delle condizioni di vita di vaste masse nei paesi più sviluppati, l´affermarsi e l´estendersi di nuovi diritti politici e sociali, la marcia delle donne verso la parità con gli uomini.
Sennonché, fatti i conti all´inizio del XXI secolo e valutati come meritano i passi avanti talvolta enormi compiuti in molteplici settori, resta il dato che nessun paese può guardare con tranquilla fiducia al proprio futuro e a quello degli altri. Lo impediscono problemi aperti i quali sollevano grandi interrogativi che - seguendo un elenco che ha il valore di un´enumerazione e non di un´indicazione gerarchica in base a criteri di importanza - potremmo così indicare.
Il primo riguarda la capacità di costituire organi in grado di governare questioni che si presentano con sempre maggiore urgenza a livello mondiale e che richiedono soluzioni che travalicano come mai avvenuto in passato i confini degli Stati esistenti. Il secondo attiene a un modello di sviluppo economico, che, mentre si intensifica e si estende vertiginosamente a immensi paesi quali la Cina e l´India, da un lato innalza lo standard di vita di popolazioni in precedenza escluse, ma dall´altro si fonda su uno sfruttamento via via più massiccio delle risorse che sconvolge l´ambiente al punto da far gravare sull´uomo la minaccia di «ritorsioni» da parte della natura dalle conseguenze che rischiano di risultare catastrofiche. Il terzo è legato ai processi determinati dalle ondate di emigrazione che inducono un numero crescente di poveri e miserabili privi di speranza nei loro paesi a dirigersi verso i paesi più ricchi in cerca di nuove opportunità, portando con sé le proprie diversità etniche, culturali e religiose, e anche creando problemi di integrazione nei contesti di approdo di assai complessa e difficile soluzione.
Il quarto concerne gli effetti del processo di globalizzazione economica relativi sia al forte indebolimento degli istituti del welfare, che nel mondo occidentale erano valsi a costituire un´efficace rete di protezione per gli strati più deboli, sia al diffondersi della precarietà dei rapporti di lavoro creata dall´ondata neoliberista impostasi nell´ultimo trentennio e sia al tipo di sviluppo che ha coinvolto ampie zone dell´America Latina e soprattutto dell´Asia. Uno sviluppo questo, che crea sì numerosi posti di lavoro per settori prima esclusi, ma al tempo stesso introduce condizioni di sfruttamento spesso inumano di grandi masse che ignorano che cosa siano e possano essere i diritti sociali e approfondisce gli squilibri territoriali interni. Il quinto ha a che fare con l´inesorabile tendenza alla crescente accumulazione di immense ricchezze nelle mani di ristrette oligarchie in un contesto che vede accentuarsi il divario tra le quote di reddito riservate agli strati più alti e a quelli medi e più bassi della gerarchia sociale. Il sesto è legato ad un processo di allargamento delle frontiere delle istituzioni democratiche nel mondo che però è intimamente eroso dall´indebolimento della capacità di queste stesse istituzioni di sottoporre ad un efficace, effettivo controllo il potere delle oligarchie economiche e politiche, le quali dispongono di mezzi enormi per influenzare gli strati subalterni a sostegno dei propri interessi. Il settimo è rappresentato dall´emergere degli integralismi religiosi, i quali sfidano le conquiste della concezione laica dello Stato, delle libertà politiche e civili, del pluralismo culturale alla luce di una visione teocratica del potere politico e dei rapporti sociali. L´ottavo è riconducibile all´idea che i più acuti contrasti di interesse e le grandi differenze culturali, politiche e sociali portino inevitabilmente alla contrapposizione e allo scontro di due mondi inconciliabili, quello del «bene» e quello del «male», tra i quali non si possono gettare ponti (di questa idea costituiscono testimonianze tanto il terrorismo islamico quanto l´ideologia delle forze neoconservatrici occidentali orientate a una lotta globale basata sulla forza contro gli «Stati canaglia» e la mappa variegata dell´universo delle «tenebre»).

Repubblica 8.11.06
Pd, la sinistra Ds critica Prodi
Il premier: no al Pse. Poi smentisce. Scelti i saggi del nuovo partito
di Umberto Rosso


Il Professore torna sul tema della collocazione europea della futura forza. Sircana: la sua posizione è nota
Franceschini al sindaco di Roma: hai ereditato l´autolesionismo della sinistra

ROMA - Il nervo è scoperto. Perché basta che Prodi, a margine del convegno del Pse a Berlino, sfiori il capitolo "casa europea" del Pd per scatenare scintille. Anzitutto fra il premier e la sinistra della Quercia. Il Professore parlando in mattinata con i cronisti dà l´impressione di prefigurare un "no" all´ingresso nel Pse, spiegando comunque che «non è assolutamente detto quale sarà il punto di arrivo». Insomma, lavori in corso, il Pd sulla scena europea «è un´opportunità non un problema». Magari è tutto un equivoco, come in serata precisa il portavoce Silvio Sircana, (il no del Professore - ricostruisce la sua nota - non era riferito all´ingresso nel Pse ma alla domanda se il tema fosse oggetto dei colloqui), ma fatto sta che per tutto il giorno le parole di Prodi "ballano" nei commenti politici e accendono uno scontro soprattutto in casa ds. Si leva la sinistra del partito con Cesare Salvi, che chiama in causa Fassino e D´Alema, «ma sono d´accordo con Prodi? Il loro è un silenzio-assenso?». Protesta il correntone, che è alla vigilia della convention della corrente, che con il vicepresidente della Camera Carlo Leoni denuncia «un diktat mortificante a mezzo stampa». E si agitano anche i "terzisti", la terza mozione di Angius, che bocciano come «grave e preoccupante» l´uscita di Prodi e chiedono anche loro a Fassino di chiarire subito. Peppino Caldarola, uno dei principali animatori del gruppo, confida di scorgere nell´affondo del Professore «la tentazione di sferrare il colpo del ko alla Quercia, sfruttando la fase di divisioni interne». Nel frattempo, all´opposto, esultano in casa Margherita dove, dopo il niet pronunciato il giorno prima in direzione da Francesco Rutelli, assaporano quel che sembra la definitiva conferma del Professore. «Apprezzo moltissimo la posizione di Prodi - commenta Pierluigi Castagnetti, vicepresidente della Camera - e del resto non avevo dubbi: è arrivato il momento di chiudere con le vecchie famiglie ideologiche». Una tempesta. Che, all´altro capo del mondo, in Cile, dove si trova giusto per una riunione dell´Internazionale socialista, anche Piero Fassino segue via via con maggiore allarme. A Luciano Vecchi, il responsabile esteri che si trova con il segretario, viene affidato il compito di diffondere una nota con l´interpretazione "autentica" del messaggio del premier a Berlino, «le sue parole confermano che tra l´Ulivo e il Pse si è aperto un dialogo proficuo, che andrà avanti nei prossimi mesi». Dunque "dialogo" è la parola chiave per i vertici della Quercia, che confermano il grande valore della tradizione socialista. E a Salvi rispondono per le rime: è lui che deve dar conto delle sue scelte sul terreno delle appartenenze internazionali. Perché, come gli contesta Marco Filippeschi, esponente della segreteria vicino a Fassino, se Salvi va con Rifondazione il «campo delle alleanze non è certo il Pse ma la sinistra radicale di Oskar Lafontaine». A sera, infine, la smentita di Sircana, «Prodi non ha detto no al Pse», ma tutta la vicenda lascia comunque il segno. Tanto che Anna Finocchiaro, il capogruppo dell´Ulivo al Senato, invita a dare un taglio al balletto delle dichiarazioni sul tema, «affermare oggi che il Pd in futuro entrerà o meno nel Pse equivale a rendere sempre più complicata la nascita del partito democratico stesso».
Un cammino che procede a strappi. Con Franceschini che polemizza con le riserve di Veltroni sul percorso imboccato, «nel centrosinistra abbiamo ereditato una malattia: si chiama autolesionismo». Il Professore intanto va avanti e annuncia la formazione ufficiale delle squadre per il manifesto, la rivista, la scuola di formazione. Alla carta dei valori lavoreranno in tredici, accanto ai tre relatori di Orvieto (Scoppola, Gualtieri, Vassallo) ci sarà un ampio ventaglio di personalità: dalla Cavani a Rita Borsellino, da Mattarella a Realacci, da Rognoni a Ruffolo, e ancora Salvati, Tonini, Violante. La scuola di formazione coordinata da Filippo Andreatta. La rivista dal professor Vittorio Bo (ne fanno parte fra gli altri Antonio Polito, Lucia Annunziata, Sandra Bonsanti, Gad Lerner). Ma a sinistra si apre un nuovo fronte anti-partitone. Guidato da un gruppo di parlamentari (Folena, Tortorella, Maura Cossutta, Pagliarulo) che punta a fare da cerniera fra Rifondazione e la sinistra ds.

Liberazione 8.11.06
Il documento presentato da Uniti a Sinistra, l’associazione Rossoverde e l’Ars di Aldo Tortorella
Ecco il manifesto di un «nuovo socialismo»


E’ un po’ riduttivo definirlo come un segnale del grande sommovimento di questi anni. Non è solo un segnale come gli altri, non fosse altro che per l’autorevolezza di alcuni dei protagonisti. Ma non è neanche un progetto compiuto, definito. Esattamente perché il loro obiettivo era ed è diverso. In pillole: «Vogliamo aprire uno spazio di discussione, di riflessione, che è a disposizione di chiunque abbia a cuore la ricostruzione della sinistra», per usare le parole di Aldo Tortorella, storico dirigente del Pci, oggi presidente dell’Ars (l’associazione per il rinnovamento della sinistra).

Di che si tratta? In due parole di questo: ieri, tenendo fede ad un impegno preso mesi fa ad Orvieto - sì, proprio in quel seminario dove l’associazione Uniti a sinistra e quella “rossoverde” decisero di entrare nel percorso costituente della Sinistra europea - è stato presentato un lungo documento, un po’ ambizioso, che definisce i tratti di un nuovo socialismo. Di un nuovo socialismo possibile. L’hanno elaborato appunto le tre associazioni: quella che fa capo a Pietro Folena, Uniti a sinistra, quella Rossoverde e quella di cui Tortorella è presidente e Piero Di Siena, senatore diessino, vice presidente.

Quattordici pagine, sedici capitoli, cinquantasei tesi descrivono un obiettivo che deve valere per tutti: «Una nuova sinistra in Europa deve porsi l’obiettivo di superare le tradizioni delle famiglie del socialismo europeo, la storica divisione fra comunisti e socialdemocratici, fra antagonisti e riformisti».

Come? Su questo, sia Tortorella che tanti altri hanno speso molte parole. Nessuna concessione alle nostalgie, nessuna concessione alle ideologie del secolo scorso. Quindi un socialismo «radicato nel principio di libertà», la cui identità sia nei valori della pace, della nonviolenza, della laicità, dell’alleanza con la scienza, la condivisione libera dei saperi, nell’ambientalismo, nel femminismo. Questi i tratti della nuova sinistra che disegnano le tre associazioni, unite alla «riacquistata centralità del lavoro».

Lavoro, lavori. E’ un po’ il tema forte del documento, il capitolo più ricco. Aldo Tortorella, o Tiziano Rinaldini, dirigente sindacale o Gianfranco Pagliarulo, rossoverde hanno raccontato di come oggi il lavoro «non abbia più alcun riconoscimento sul piano simbolico, politico, sociale».

Ripartire da qui, allora. Ripartire dal lavoro, dai lavori (e ha proposito, tutti, a cominciare da Folena, hanno sottolineato l’importanza, il valore della manifestazione di sabato dei duecentomila precari). Per andare dove? In questo caso il documento pone un tema, non offre soluzioni. Dice che «appaiono sempre più mature le condizioni per la costituzione di un nuovo soggetto politico della sinistra». Che non metta assieme ciò che già c’è, magari i partiti esistenti ma che punti, scommetta sulla loro capacità di rinnovamento. E qui, lo dice esplicitamente il documento, non si parte da zero. In campo, scrivono proprio così, «c’è la novità costituita dal progetto di formazione della Sinistra europea promossa da Rifondazione comunista». Progetto - «generoso», l’ha definito ancora Folena - al quale molti dei partecipanti alla conferenza stampa di ieri hanno già aderito: da Alessio D'Amato, presidente dell'associazione RossoVerde a Falomi, a Tiziano Rinaldini, ecc. Progetto al quale comunque tutti i firmatari del documento guardano con interesse. Anche se non è il solo in campo: perché il documento cita fra i tentativi di ridisegnare una nuova sinistra anche «l’opposizione presente nei diesse, a cominciare dalle sue componenti di sinistra, rispetto alla formazione del partito democratico».

Percorsi diversi, strade diverse. Che magari s’incontreranno o forse no. O forse non subito. Che comunque dialogano, discutono, riflettono. Sulla sinistra di domani. Ma anche su che cosa fare oggi: «L’esperienza di governo delle forze dell’Unione deve essere sempre più rappresentativa degli interessi dei lavoratori, degli strati più profondi del popolo italiano e delle nuove generazioni sempre più lontano gli uni e le altre dalla politica e dalle istituzioni democratiche». Tutto dice insomma che c’è sempre più bisogno di sinistra.

s. b.