lunedì 6 novembre 2006

l'Unità 6.11.06
Fecondazione, non è il giudizio finale
di Carlo Flamigni


Il primo serio tentativo di far breccia nella legge 40 del 2004, l'ingiusta legge sulla procreazione assistita approvata in omaggio al generale asservimento alla morale cattolica e in spregio delle regole più elementari di uno stato laico, non è andato a buon fine. Infatti la Corte Costituzionale, in udienza pubblica, ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da una coppia di pazienti che, essendo portatori di una mutazione genica recessiva, chiedevano di poter sottoporre i propri embrioni ad un accertamento genetico pre-impiantatorio che avrebbe potuto evitare il trasferimento in utero e la successiva nascita di un «concepito» ammalato. Per spiegare cosa sia effettivamente accaduto riprendo quanto ha scritto su questo stesso giornale, con la sua usuale straordinaria chiarezza, Emilio Dolcini: questione inammissibile, nel linguaggio della Corte, significa che il ricorso è stato proposto in una forma o in un contesto errati, non ha niente a che fare con la fondatezza del quesito che le è stato sottoposto. Le ragioni di questa decisione verranno chiarite - in tempi relativamente brevi - in una ordinanza, un documento generalmente succinto e che non ha dunque il carattere della sentenza, dal quale potremo capire perché la Corte ha deciso di non entrare nel merito: aspettiamo dunque di leggere questa ordinanza, ma teniamo conto del fatto che la Corte non è entrata nel merito e che siamo ancora lontani da una soluzione del problema.
Possiamo discutere, per ora, di una sola cosa, e cioè del fatto che l'Avvocato dello Stato ha motivato il suo parere contrario al ricorso affermando che non esiste il diritto ad avere un figlio sano, dichiarazione che sembra derivare direttamente da quella con la quale ci hanno tormentato per anni secondo la quale non esiste il diritto ad avere un figlio. In effetti sono assolutamente d'accordo con entrambe queste dichiarazioni: ritenere che esistano diritti di questo genere significa immaginare di avere un controllo della nostra biologia e della natura in genere che neppure il più scientista dei laicisti potrebbe immaginare. In verità, però, nessuna delle persone che sono intervenute nel dibattito ha mai fatto dichiarazioni così assurda, la richiesta generalmente formulata essendo stata quella di veder riconosciuto il diritto a fare il possibile per avere un figlio sano, entro naturalmente i limiti della morale comune. Si tratta, mi pare, di cose completamente diverse. E la dichiarazione del magistrato mi pare un ennesimo esempio di quel finto buon senso, lapalissiano, pleonastico e banale, che ha caratterizzato gli interventi dei sostenitori della legge 40 durante questi anni.
Mi ritrovo quindi a ribadire la mia opinione su questo problema come se non fosse accaduto niente. A mio avviso ci sono tre cose che dovrebbero influenzare la Corte Costituzionale nel suo giudizio. La prima riguarda il fatto che una sentenza favorevole ai ricorrenti sanerebbe una contraddizione straordinaria e francamente inaccettabile esistente oggi tra le differenti normative, quella secondo la quale non si possono fare indagini su un embrione prima dell'impianto, e quella che afferma che si possono fare le stesse indagini sul feto, una volta iniziata la gravidanza. La seconda riguarda la necessità di interpretare le norme della legge 40 in modo da tenere compiutamente conto delle definizioni accettate dalla biologia e dalla medicina, definizioni che sono state prevalentemente ignorate da politici prevalentemente incompetenti e da moralisti trascinati nel vortice di un pericoloso fervore ideologico (o più semplicemente ipocriti). La legge precisa che le donne, prima del trasferimento degli embrioni, hanno il diritto di sapere se essi sono o no normali. Embrioni, dice la legge, non c'è alcun accenno a zigoti, ootidi, blastocisti et similia. Ebbene, mentre per riconoscere l'esistenza di alcune anomalie della fecondazione mi basta, nelle fasi pre-embrionali, fare un'analisi morfologica, usando il microscopio, è fuor di dubbio che per l'embrione l'analisi al microscopio è del tutto inadeguata e che soltanto la valutazione della normalità genetica consente di dire alle donne ciò che hanno il diritto di sapere. Tutto ciò, oltretutto, non prelude necessariamente alla distruzione degli embrioni anomali, così come una amniocentesi non è di per sé preliminare a una interruzione di gravidanza, cosa oltretutto che la donna non ha neppure il diritto di richiedere, visto che le amniocentesi vengono eseguite dopo i primi 90 giorni di gestazione con i quali ha termine per lei la possibilità di scegliere. Penso tra l'altro che questa sia stata la posizione del professor Cuccurullo, che presiedeva la sezione del Consiglio Superiore di Sanità che era tenuta a dare un parere sulle linee guida e che ha lasciato il suo incarico avendo dovuto constatare l'esistenza di una posizione preconcetta su questo e sul altri temi. La terza ragione riguarda il fatto che la Corte Costituzionale, in una famosa sentenza, ha riconosciuto il prevalente interesse di chi è già persona (la madre) nei confronti di chi persona può solo diventare (l'embrione): negare la possibilità di conoscere le condizioni di normalità dell'embrione non significa dunque soltanto negare un diritto, ma anche introdurre un grave elemento di rischio nei confronti della salute materna, che invece dovrebbe essere considerata prevalente. In definitiva, ritengo che la Corte Costituzionale dovrebbe mettere ordine, evitare conflitti e contraddizioni, giudicare anche tenendo conto del senso comune dei cittadini e che in materie che hanno così profonde risonanze affettive il luogo nel quale si amministra la giustizia dovrebbe comunque essere il mondo in cui tutti noi consumiamo le nostre vite e non l'empireo lontano di una sapienza teorica.E non può certamente ignorare, chi giudica rimanendo tra noi, la sofferenza di chi è costretto ad andare per il mondo per trovare soluzione ai propri problemi, spesso senza certezze e senza garanzie.
Poiché ho ragione di credere che questo non sarà l'ultimo ricorso presentato alla magistratura nei confronti della legge 40, voglio concludere questo articolo sottolineando l'importanza della terminologia medica che viene utilizzata nei dibattiti. La medicina, essendo una disciplina con uno statuto scientifico molto modesto, deve tener conto soprattutto dei consensi tra gli esperti, e dà perciò grandissimo rilievo alle definizioni. Ad esempio, una cosa è parlare di agenti batterici e una è parlare di agenti virali, ma capita spesso di leggere una generica indicazione a improbabili agenti infettivi o addirittura l'uso di un termine al posto dell'altro. L'anomalia della legge 40 è soprattutto questa: la disattenzione nei confronti del significato dei termini e della coerenza delle definizioni, una scelta da parte di chi ha scritto le norme, un abuso da parte di chi le ha poi interpretate. Mi limito ad un solo esempio.
L'accesso ai trattamenti di procreazione medicalmente assistita dovrebbe essere riservato, secondo la legge 40, alle coppie sterili e infertili. Una inutile ripetizione? Ebbene no, nella medicina italiana sono considerate sterili le persone che non riescono ad iniziare una gravidanza e infertili quelle che le gravidanze non le portano a termine, abortiscono o generano figli non vitali, cosa che accade prevalentemente a chi è affetto da malattie genetiche e infettive. In realtà, dunque, la legge - se ben interpretata - è meno maligna di quanto si potrebbe credere.
La materia è ostica, difficile e noiosa, non voglio infierire. D'altra parte sono convinto che non esistano, al momento, le condizioni politiche necessarie per modificare la legge 40 e che l'unica vera possibilità di migliorarla almeno un po' consista nella stesura di linee guida più logiche e razionali. Nessuno deve immaginare che questo implichi un tentativo di falsare lo spirito (per quanto farneticante sia ) di questa legge usando trucchetti semantici di basso conio. Si tratta semmai di arrivare a una lettura più competente e meno ideologica di un certo numero di norme, cosa che non è stata possibile alla commissione che ha preparato le attuali linee guida, dominata com'era da un curioso furore ideologico (i membri più influenti erano due professori di storia del diritto romano, molto, ma molto religiosi). Per una buona legge, invece, dovremo attendere. Pur essendo stato contrario al referendum, immagino che ormai la soluzione del problema sia nel continuare a portare gli stessi quesiti davanti ai cittadini finchè non riusciremo ad ottenere un quorum. Se si realizzerà quello che temo, l'avvenire di questo paese - intendo naturalmente il suo avvenire politico - sarà caratterizzato dalla prevalenza di due grandi partiti democratici cristiani, uno di destra e uno di sinistra, e la laicità sarà sepolta di fianco al Milite Ignoto. Ma la maggior parte dei cittadini, quelli che non riescono a farsi sentire e a farsi capire, sono laici. E questi cittadini sanno che il referendum sulla legge 40 non è stato perduto, come continuano a sostenere molti uomini politici sapendo di mentire, e che il problema è stato semplicemente rinviato. A quando? Non so, cominciamo a parlarne.

l'Unità 6.11.06
Al centro ci deve essere sempre il bambino
di Luigi Cancrini


Il Centro di Documentazione falsi abusi sui minori si impegna quotidianamente a diffondere via internet notizie e documenti riguardanti il doloroso problema dei falsi abusi o falsi positivi. Un problema che esiste e tocca molte più persone di quanto non si creda. Al ns. gruppo di lavoro è parsa una buona iniziativa scegliere un episodio tra i tanti, considerato che ci indigniamo per la formazione del partito dei pedofili (Movimento politico Olandese NVD) e non ci accorgiamo che sui nostri figli e/o nipoti viene usata violenza da chi dovrebbe difenderli e proteggerli, per richiamare l'attenzione di tutti sugli errori giudiziari a seguito di abusi legalizzati. Se tutti noi saremo uniti potremo prevenire i veri abusi e sconfiggere quelli falsi, allontanando quelle associazioni e organismi che creano psicosi collettive per i loro pregiudizi, stereotipi e interessi di vario genere, attenendoci scrupolosamente a un protocollo condiviso a livello nazionale (attualmente inesistente) e alla letteratura scientifica maggiormente accreditata.
Vittorio Apolloni

Lavoro ormai da molti anni in un Centro che si occupa di maltrattamento e di abuso all'infanzia. Fondato dal Comune di Roma e sostenuto oggi, oltre che dal comune, dalla Fondazione Vodafone e dall'ISMA, il Centro funziona come un servizio di secondo livello chiamato a dare consulenza ai servizi sociosanitarii e al Tribunale dei Minori prendendo direttamente in carico i casi più complessi. Mi trovo, come direttore scientifico del progetto, nella condizione di seguirne, indirettamente, molti e di pormi ogni giorno di fronte al dilemma proposto in questa vostra lettera. Tentando di affrontarlo, nei limiti delle nostre possibilità, in modo pacato e responsabile come è giusto che sia nel rispetto, soprattutto, dei bambini che di aiuto hanno comunque bisogno: nel caso degli abusi veri e in quello, di quelli falsi. Perché anche questi esistono se è vero che abbiamo ritenuto fondate non più del 60% delle accuse di abuso sessuale che ci sono state proposte dal Tribunale e dai servizi e perché 4 volte su 10 abbiamo concluso le nostre valutazioni confutando le accuse alla base della domanda di aiuto. Confortati sostanzialmente in tutti i casi da un parere analogo dei magistrati che si occupavano del caso. La lunga premessa era necessaria, credo, per dire che la risposta che io tenterò ora di darvi si basa su una esperienza concreta e senza pregiudizi. Da cui mi sembra di aver appreso molto. Di cui ritengo opportuno dare conto a chi, come voi, si trova coinvolto, emotivamente ed intellettualmente, in vicende così dolorose e così estreme.
Dicendo, prima di tutto, che il metodo da noi utilizzato è tutto centrato, comunque, sul bambino. Sulle cose che dice con le parole e sul non verbale che l'accompagna, sul modo in cui gioca e sul modo in cui si relaziona con l'adulto che l'ascolta. Sul modo in cui commenta, sul piano verbale e non verbale, le accuse fatte o suggerite da altri. Difficile raccontarlo e difficile spiegarlo a chi non l'ha vissuto ma la sincerità e l'onestà del bambino che soffre e che ha bisogno di dare parole al suo dolore sono evidenti a chi lo ascolta avendo la preparazione necessario per farlo. In modo altrettanto chiaro e semplice, d'altra parte, ci si può rendere conto, osservando e ascoltando, delle situazioni di «falso abuso», quando il bambino subisce delle pressioni forti per dire (o non smentire) fatti che non sono accaduti. Utili a rinforzare questo convincimento clinico sono, del resto, degli strumenti di valutazione ben noti a chi lavora in questo settore, la cui validità è stata ampiamente confermata dalla clinica e dalla ricerca. È all'interno di questi limiti che va considerata e studiata la tematica del falso abuso. Che esiste, lo ripeto, ma che è in genere abbastanza facile riconoscere. Di cui mi pare si faccia, però, nella vostra lettera e nella idea di organizzare un centro di documentazione ad esso dedicato, un mito di cui non riesco a capire l'utilità. Destinato, al di là delle intenzioni, a gettare discredito su un numero grande di operatori che si battono, fra mille difficoltà, per aiutare il bambino a difendersi, con una denuncia sempre difficile e sempre dolorosa, da chi di lui veramente abusa. Perché di questo si tratta purtroppo in un numero di casi che non è affatto piccolo. Anche se quella che si tenta di diffondere oggi, nei tribunali e nell'opinione pubblica, da parte degli abusanti, degli avvocati che li difendono e di alcuni periti compiacenti, è l'idea per cui del bambino che accusa e di chi lo sostiene non ci si deve fidare. Che nei processi agli abusanti quella che si fa è una caccia alle streghe voluta da chi mette in testa al bambino delle menzogne dirette ad un fine: quello di screditare qualcun altro da cui si vogliono ottenere vantaggi economici o vendette personali.
Il problema vero, alla fine, è quello di un processo in cui abitualmente, l'unico testimone dell'accusa è il bambino. Un bambino costretto per difendere la sua dignità di persona ad accusare adulti che gli sono cari e di cui ha paura. Un bambino chiamato a ricordare con esattezza situazioni per lui assai drammatiche, particolari dilatati o nascosti nella memoria dalle emozioni violente che hanno suscitato e suscitano ancora. Un bambino cui la legge spesso non consente il sostegno di un legale e che è comunque estremamente più debole e meno abile dell'adulto che ha abusato di lui. Quello di cui abbiamo davvero bisogno è di una capacità di ascoltarlo che deve prendere il posto delle guerre passionali del tipo di quelle inevitabilmente veicolate da un centro che si occupa solo di «falso abuso». La vera maturità è quella di un giudizio capace di affrontare ogni caso come se fosse il primo e l'unico. Nel rispetto di tutti quelli che, soffrendo, in quel caso particolare sono comunque coinvolti ma nel rispetto prima di tutto del bambino che è vittima innocente di tutti gli abusi, veri o falsi che siano, e che ha bisogno prima di tutto di verità: per elaborare in modo corretto la sua sofferenza e per guarire. Sapendo che il nostro apparato psichico risponde, di fronte a questo tipo di racconti, con emozioni forti e sempre tali, potenzialmente, da rendere difficile il giudizio e che abbiamo bisogno per lavorare bene in questo campo di una preparazione solida di livello psicoterapeutico. E' in questa direzione che va cercata, a mio avviso, la soluzione di casi estremi come quelli da voi indicati e oggetto, oggi, di una indagine giudiziaria. Ma è in questa direzione che va cercata, ugualmente, anche la possibilità di correggere l'inevitabile eccesso di passione accusatoria legato alle attività di un «centro per falsi abusi».

Repubblica 6.11.06
"Parle da tempi bui". Tensione nel centrosinistra dopo la manifestazione di Roma. Cento: ora il tavolo sul reddito sociale
Precari, scontro Cofferati-Prc
"Volgare l'attacco a Damiano". Giordano: parole stonate
di Francesco Bei


Casini: corteo voluto da Bertinotti, D'Alema esempio di chi non si dissocia dai più radicali
Patta, sottosegretario Pdci: il ministro fa bene a denunciare certe intimidazioni dei Cobas

ROMA - Il giorno dopo la manifestazione a Roma contro il precariato volano parole grosse a sinistra sul significato politico del corteo e sulla direzione di marcia che deve prendere il governo. Paradigmatico lo scontro fra Sergio Cofferati e Rifondazione comunista. «Quella di ieri è stata una giornata per me molto triste - attacca il sindaco di Bologna, intervistato su RaiTre da Lucia Annunziata - perché ha evidenziato una contraddizione irrisolta all´interno del governo che, se non trova sbocchi positivi, può portare a dei danni». Cofferati si riferisce alle divisioni fra sinistra radicale e riformisti e dei sottosegretari scesi in piazza dà un giudizio pesante: «E´ assolutamente priva di senso e incomprensibile la presenza in piazza di rappresentanti autorevoli del governo». Inoltre, visto che il corteo ha avuto come bersaglio il ministro del Lavoro Cesare Damiano, l´ex leader della Cgil non esita a prenderne le difese dai «volgarissimi attacchi» che l´esponente Ds subisce «da parte di persone che continuano a non prendere atto di come sia grave sostituire il ragionamento con la violenza verbale».
Rifondazione replica con il segretario Franco Giordano, che a Roma era alla testa del corteo: «Le parole di Cofferati sono stonate e fuori luogo. Ma non sono più neanche una novità. Il sindaco di Bologna si è infatti ritagliato il ruolo del perfetto conservatore e devo ammettere che lo recita con grande naturalezza». Per Giordano al contrario, vista l´ampia partecipazione alla protesta, ora «il governo deve saper ascoltare e recepire queste istanze sociali». Giovanni Russo Spena, capogruppo del Prc al Senato, si dice addirittura «annichilito» dalle reazioni negative alla manifestazione. E se salva il ministro Damiano («ha reagito in modo proprio ma perché si è sentito parte in causa») non risparmia il sindaco di Bologna: «Il suo giudizio mi sembra francamente strumentale».
Polemiche «strumentali» anche per il sottosegretario Paolo Cento, un altro che al corteo c´è andato e lo rivendica. Tanto che ora, incalza l´esponente dei verdi, «ci sono tutte le condizioni per anticipare a prima di gennaio il tavolo di riforma delle leggi sui contratti atipici». Un confronto al quale Cento si presenterà con la proposta di introdurre anche in Italia «il reddito sociale».
Non tutti i partecipanti alla manifestazione minimizzano gli attacchi a Damiano "amico dei padroni". Gian Paolo Patta, sottosegretario del Pdci, sostiene infatti che il ministro ha ragione «nel denunciare le intimidazioni di settori dei Cobas e dei centri sociali», con i quali «non ci sono le condizioni per ulteriori percorsi comuni».
Il centrodestra prova intanto a infilarsi nelle contraddizioni della maggioranza. Così se il leghista Bobo Maroni definisce «dissociati mentali» i sottosegretari che hanno sfilato nella Capitale, Pier Ferdinando Casini mette nel mirino l´ala riformista dell´Unione: «Bertinotti è l´ispiratore di quella manifestazione e D´Alema è un esempio della pavidità dei riformisti che non riescono a emanciparsi dall´ala più radicale». Secondo il leader dell´Udc il governo «è vittima di una convivenza impossibile tra una sinistra europea e una sinistra ottocentesca e classista».

Repubblica 6.11.06
Per la prima volta a confronto la prima e la seconda "Conversione"
Caravaggio contro Caravaggio
La più antica è di proprietà della famiglia Odescalchi
Esposte a Roma in Santa Maria del Popolo

di Paolo Vagheggi


ROMA. È il cielo di un´eclisse di sole, baluginante di luci e di misteriose oscurità quello che si intravede sullo sfondo della caduta da cavallo di Saulo, ovvero del futuro San Paolo, colto dalla folgorazione sulla via di Damasco. È un´eclisse che annuncia l´arrivo prorompente e quasi prepotente del Cristo. Squarcia rami e fronde per tendere la mano verso Saulo. È il Cristo uomo, che quindi ha un´ombra come l´angelo che l´accompagna e quasi sembra proteggerlo. È il momento in cui il Salvatore chiede: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?». È una scena impressionante quella della Conversione dipinta di getto da Caravaggio, segnata da una straordinaria cromia di colori di cui oggi, a conclusione del restauro dell´opera, si rivede l´antico vigore. Hanno ripreso forza il bianco del manto del cavallo, il viola della veste del Cristo, cangiante alla Michelangelo, il rosso del mantello di Saulo, l´oro dello scudo del soldato, su cui campeggia una mezza luna e quindi letto anche come rappresentazione del nemico, i turchi, sconfitti nel 1571 a Lepanto.
È questa la prima versione della Conversione, di proprietà della famiglia Odescalchi, da pochi ammirata e mai nella storia messa a confronto con la seconda, quella che si trova nella cappella Cerasi di Santa Maria del Popolo. Ma è quanto accadrà dal 10 fino a sabato 25 novembre nella basilica romana con una mostra - gratuita va detto - che non ha precedenti (catalogo Skira).
Caravaggio contro Caravaggio: un dipinto su tavola, il primo, dove la presenza della divinità è reale, più vera del vero, contro una tela dove è l´assenza, il buio di una semplice stalla, a farci percepire la fragilità di Saulo di fronte alla soprannaturale maestosità della manifestazione celeste.
La Conversione e La crocifissione di San Pietro furono commissionati a Caravaggio da Tiberio Cerasi, tesoriere generale di Clemente VIII, che aveva acquisito la cappella all´interno di Santa Maria del Popolo. Da contratto le opere dovevano essere realizzate su tavola di cipresso. Ma entrambe furono rifiutate, i definitivi furono su tela. Influirono sicuramente i motivi iconografici, probabilmente ci fu anche l´esigenza di migliorarne l´inserimento nella cappella ma a questa scelta forse non furono estranei furbi collezionisti desiderosi di entrare in possesso dei capolavori "scartati". Le prime versioni, di cui è nota solo la Conversione (la Crocifissione su tavola è perduta), nei primi anni del Seicento furono acquistate dal cardinale Giacomo Sannesio. Furono poi cedute all´Almirante di Castiglia. Dopo lunghe peripezie La Conversione di Saulo tornò in Italia, per vie ereditarie è pervenuta alla principessa Nicoletta Odescalchi, che ha finanziato per intero l´intervento di recupero condotto sotto la vigilanza della Soprintendenza per il patrimonio storico e artistico del Lazio guidata da Rossella Vodret, eseguito da Valeria Merlini e Daniela Storti.
Il dipinto era offuscato da una vernice protettiva divenuta giallastra col tempo. Nascondeva l´azzurro dei nastri di velluto che abbelliscono la coda del cavallo, il giallo e il rosa della piume, rendeva sordo l´acciaio dell´armatura del soldato, sbiadiva il verde dello scudo che è coronato d´oro vero, steso a foglia sopra l´argento. E celava un cielo da eclisse.
Forse Caravaggio fu testimone di un´eclisse, sostengono le due restauratrici di questo dipinto dalla datazione incerta (1588 per Argan, 1590-92 per Longhi, 1600 per Marini e Gregori) ma dall´autografia certa (contrariamente ai Caravaggio che stanno spuntando in Italia e nel mondo), con pochi pentimenti (le radiografie mostrano il soldato con una spada che sembra pronta a colpire il Salvatore, e non con la lancia, che quasi si trasforma in un appoggio), ma che ha i segni tipici dell´artista: le incisioni lasciate sulla preparazione di fondo con la punta del manico del pennello.
Era la "guida" per eseguire d´impeto, senza disegno, il paesaggio e le figure, in entrambe le versioni cariche di significati simbolici. Il pioppo su cui appare il Cristo è forse un´allusione alla chiesa di destinazione del quadro, Santa Maria del Popolo (pioppo in latino è popolus), la figura del palafreniere che trattiene un cavallo impennato è vista come un´allegoria dell´umana ragione che modera e corregge la libidine. Tutto questo presuppone l´attenta lettura di difficili testi latini. Caravaggio fu un grande pittore e un grande intellettuale.

Corriere della Sera 6.11.06
E Giordano rassicurò Prodi: noi le tue guardie del corpo
di Maria Teresa Meli


ROMA — «Guarda Romano che quelle che sfilavano per le vie della capitale sono le guardie del corpo del tuo governo. È dagli altri, invece, che ti devi guardare, possono essere loro un problema, non certo noi». Così, l'altro ieri sera, al telefono con il presidente del Consiglio, il leader di Rifondazione comunista Franco Giordano. Dall'altro capo del filo nessuna diplomatica presa di distanza da quelle parole, solo una clamorosa risata. «Noi» e «loro». È l'eterno scontro tra le due sinistre, la radicale e la riformista. E Romano Prodi sta in mezzo. Ben sapendo che «sulla fedeltà del Prc non c'è assolutamente da dubitare». Ma essendo più in sintonia, tutto sommato, con le riforme vagheggiate da leader come Piero Fassino. Il premier però sta bene accorto a non incrinare l'asse con Rifondazione. Non a caso, dal Botteghino, in questi giorni più di un dirigente faceva notare che, forse, «Prodi dovrebbe farsi sentire un po'». Per non lasciare spazio alla sinistra radicale, naturalmente.
Dunque, «noi» e «loro». E lo scontro si è fatto più acceso all'indomani della manifestazione di Roma. Ammette il ds Peppino Caldarola: «L'impressione è che la sinistra radicale sia in vantaggio, almeno nel gioco politico stretto, perché poi è ovvio che è pressata dal suo mondo, come dimostra il corteo di sabato. Comunque appare chiaro che la golden share ce l'hanno loro e la crisi di questo governo è costituita dal fatto che la sinistra riformista finora non ha segnato neanche un punto». È categorico, Caldarola, anche se un ministro ds come Cesare Damiano è convinto che la barra del timone riformista sia «sempre dritta» e che non saranno vecchi «pregiudizi» a far mutare rotta all'Ulivo. Ancora «noi» e «loro»: il sottosegretario verde all'Economia Paolo Cento è convinto che sarà così in eterno: «Né noi né loro — spiega — possiamo tirare la corda più di tanto. Siamo destinati a convivere: una volta l'avremo vinta noi, un'altra loro, e via di questo passo. Anche perché sappiamo tutti che non possiamo permetterci il lusso di spezzare la corda». Ha una visione un po' meno ottimista su quella corda che si tira e non si spezza il capogruppo di Rifondazione comunista a Palazzo Madama Giovanni Russo Spena. Il suo è un osservatorio particolare: se scontro all'ultimo sangue avrà mai da essere tra la sinistra radicale e quella riformista, il campo di battaglia sarà il Senato, dove la maggioranza è appesa a qualche voto.
«La fase cruciale — osserva Russo Spena — non è stata questa della Finanziaria. Ormai la manovra, con tutte le sue luci e le sue ombre, andrà in porto. Tutto comincerà davvero dopo il 15 gennaio. Di lì a giugno ci sono appuntamenti difficili su temi che dividono noi e l'Ulivo. Prima vi saranno le pensioni, poi la competitività, con gli industriali che diranno di volere la flessibilità ma che otterranno la super-precarizzazione del lavoro. Non è un caso che il segretario della Quercia Fassino abbia incontrato il presidente di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo proprio per parlare di questo argomento».
E l'Afghanistan? Potrebbe essere un altro fronte di contesa tra le due sinistre? Russo Spena lo esclude: «La Farnesina — rivela — ci ha fatto sapere a mezza bocca che c'è una soluzione in vista che può stare bene anche noi». La Farnesina. Ovvero Massimo D'Alema, l'unico riformista che piace alla sinistra radicale. Che convince «noi» e «loro». Che guadagna «l'apprezzamento» del leader di Rifondazione comunista Giordano per non aver criticato la manifestazione dei precari di sabato.
Lo scontro tra le due sinistre potrebbe quindi riaccendersi a gennaio. Caldarola, però, appare scettico: «Al momento mi pare che la sinistra riformista sia all'angolo. Non vedo scatti d'orgoglio». A Rifondazione, però, sono meno ottimisti. Ad agitarli è l'ipotesi di un Prodi bis. Ne ha parlato di recente il capogruppo dell'Ulivo alla Camera Dario Franceschini per dire che Prodi succederà a Prodi, in caso di crisi. Ma tra i dirigenti del Prc è sorto un dubbio. Un dubbio su cui Giordano ha ragionato con i suoi: e se fosse questa la strada «per ricontrattare il programma, magari prendendo un pezzettino dell'opposizione»? Insomma se fosse questa la via che «loro» vogliono percorrere per togliere peso e ruolo alla sinistra radicale? È una prospettiva su cui Giordano sta riflettendo per preparare le eventuali contromosse: «Per noi — ribadisce il segretario di Rifondazione comunista — il programma è quello sottoscritto prima delle elezioni e di qui non ci muoviamo». Altrimenti lo scontro potrebbero vincerlo «loro».