il manifesto 18.5.19
La sospensione della prof è un atto squadrista
Leggi razziali. Difendere Rosa Maria Dell’Aria vuol dire difendere noi stessi e la nostra costituzione, il principio della divisione dei poteri, della tutela delle nostre libertà fondamentali
di Christian Raimo
Ho avuto in classe militanti neofascisti, studenti che affermavano che i campi rom andavano bruciati, altri che erano a favore la pena di morte, sedicenni a favore delle classi differenziali e per la sterilizzazione dei disabili, altri che pensavano che la legislazione sullo stupro fosse esagerata, eccetera.
Ma mai, mai, mai ho pensato che la politica dovesse uscire dalla classe, o potesse pregiudicare la libertà e il lavoro della comunità educante. La scuola serve a questo. Anche per questa ragione la sospensione e la riduzione dello stipendio dell’insegnante palermitana per quindici giorni e la sua riduzione è un atto squadrista. E va proclamato uno sciopero generale. La storia del lavoro scolastico fatto da un gruppo di studenti per la giornata della memoria, e presentato alla professoressa Rosa Maria Dell’Aria è una storia vergognosa.
Per diverse ragioni: si mette in discussione la libertà di insegnamento, si aggrediscono i diritti di una lavoratrice, si crea il precedente della delazione; la vicenda parte da un tweet di un militante di estrema destra, il giorno dopo la sottosegretaria leghista ai Beni culturali Lucia Borgonzoni è intervenuta su Facebook commentando: «Se è accaduto realmente andrebbe cacciato con ignominia un prof del genere e interdetto a vita dall’insegnamento. Già avvisato chi di dovere».
A Palermo è poi partita un’ispezione – decisa da chi’ -, con conseguenti interrogatori alla professoressa e ai ragazzi, ed è stato emesso un provvedimento di sospensione contro l’insegnante. Va proclamato uno sciopero generale. La Lega – attraverso l’uso offensivo delle istituzioni – ha pensato di difendere le sue politiche, attaccando una docente e gli studenti, e in loro l’intera struttura democratica di cui la scuola è la metonimia. L’elemosina politica elargita da Matteo Salvini, che ora vuole incontrare l’insegnante e gli studenti per spiegare come siano differenti il suo decreto sicurezza dalle leggi razziali è una dichiarazione ancora più aggressiva e vile. Salvini, si comporta come se non fosse il capo del partito, il vicepremier e il ministro di un governo che può sanzionare pubblicamente l’operato di Lucia Borgonzoni e di Marco Bussetti, che è l’unica cosa che va richiesta, oltre a proclamare uno sciopero generale.
Come si è capito facilmente lo squadrismo mediatico di una destra culturalmente succube della propaganda neofascista, funziona con atti polizieschi nei confronti di inermi – le intimidazioni, i fermi di chi protesta pacificamente nei comizi elettorali di Salvini sono ormai seriali – e una penosa propaganda sedicente pop, fatta di supplì, Nutella e pupazzetti di Zorro. Anche per questo va proclamato uno sciopero generale.
Difendere Rosa Maria Dell’Aria vuol dire difendere noi stessi e la nostra costituzione, il principio della divisione dei poteri, della tutela delle nostre libertà fondamentali. Come ha scritto Paolo Pecere ieri: “Gli studenti di Palermo hanno mostrato con la loro ricerca è che gli atti dei politici di oggi prima o poi saranno giudicati da un libero dibattito storico, quando Salvini si starà godendo la pensione e avrà smesso di postare le sue merende e le sue provocazioni”.
Da adulti dobbiamo ammettere che dopo un ragazzino di Torre Maura, una sedicenne svedese, ancora una volta sono dei ragazzi a indicarci cosa vuol dire un’ecologia del discorso democratico: l’idea di considerare il presente alla luce del futuro, che manca quasi del tutto nella politica di oggi, è stata portata in primo piano non da un partito di opposizione ma dalla classe di una scuola superiore. Anche per loro va proclamato uno sciopero generale. La gravità del fatto, eversivo delle garanzie costituzionali richiede una risposta eccezionale da parte di insegnanti, studenti e sindacati della scuola, una lotta su più piani e con più metodi che portino al ritiro della sospensione con scuse ufficiali e a una indagine sull’ufficio scolastico e su tutta la catena che ha portato a questa decisione. Va proclamato uno sciopero generale e i solerti esecutori di questo ordine spregevole vanno sanzionati.
Il Fatto 18.5.19
A difesa della Carta restano gli studenti
di Tomaso Montanari e Francesco Pallante
Il caso della professoressa Rosa Maria Dell’Aria, colpita da sanzione disciplinare perché avrebbe omesso di vigilare sul contenuto di un lavoro dei suoi studenti è di inaudita gravità: perché chiama in causa fondamentali principi costituzionali, quali la libertà di insegnamento (art. 33), il diritto all’istruzione (art. 34), la libertà di manifestazione del pensiero (art. 21). Si tratta di diritti che Norberto Bobbio considera presupposti necessari a rendere realmente tale una democrazia. Vengono, inoltre, in evidenza le disposizioni costituzionali per le quali i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica (art. 54) e i pubblici impiegati quello di porsi all’esclusivo servizio della Nazione (art. 98). “Repubblica” e “Nazione”: non “governo” né, tantomeno, singoli “ministri”.
E quei ragazzi che, in una scuola della Repubblica, imparano a usare gli strumenti della filologia e della storia, e li usano per dimostrare le matrici fasciste di leggi, politiche, atteggiamenti attuali, avverano ciò che, in assemblea Costituente, prospettava Concetto Marchesi: è “nella scuola il presidio della Nazione”.
Una Repubblica – è necessario ribadirlo? – che la Carta fondamentale connota in senso antifascista (XII disp. trans. fin.) e costruisce sull’uguaglianza e la non discriminazione di tutti gli esseri umani (art. 2 e art. 3). E una Nazione definita non certo in base alla purezza del sangue della stirpe che la popola, bensì al paesaggio e al patrimonio storico e artistico forgiato dalle innumerevoli popolazioni che nei secoli hanno calcato, modellandola, la Penisola (art. 9): una Nazione, in altre parole, intesa come costruzione artificiale, aperta, in perenne trasformazione.
La distanza dal fascismo non potrebbe essere più grande. Rendendo gli ebrei una sottocategoria di cittadini, le leggi razziali avevano affermato un’idea di Nazione intesa come dato naturale, chiuso, immodificabile. Per mantenerne la genuinità occorre isolare gli elementi impuri: riservando loro uno status giuridico separato prima ancora che relegandoli fisicamente in luoghi destinati soltanto a loro. Lo scopo dichiarato dell’intera legislazione razziale è esattamente questo: intervenire a difesa della razza italiana, per proteggerla da ogni possibile minaccia di contaminazione.
L’idea di cittadinanza è indissolubilmente legata a quella di uguaglianza. Se l’autorità può di più o di meno nei confronti di qualcuno, allora a rilevare è il privilegio di chi ha meno doveri o più diritti, vale a dire, lo status che differenzia il privilegiato rispetto agli altri. Esattamente com’era prima del 1789. Ed esattamente come ora, in Italia, dispone l’art. 14, co. 1, lett. d), del decreto-legge n. 113 del 2018, convertito nella legge n. 132 del 2018 (decreto sicurezza o decreto Salvini).
Tale disposizione introduce un’inaudita discriminazione all’interno della categoria dei cittadini, basata sulla possibilità, in caso di condanna definitiva per reati di matrice terroristica, di revocare la cittadinanza a coloro che l’hanno acquisita nel corso della loro esistenza e non anche a coloro che cittadini lo sono per nascita da genitori italiani. Come a dire: anche una volta acquisita la cittadinanza, lo straniero non potrà mai essere realmente ritenuto un italiano come gli altri (perché non ha sangue italiano nelle vene). Lo scopo è lo stesso di un tempo: la difesa degli italiani, quelli veri. Quando si tratterà di punire il responsabile di talune condotte criminali, a venire in luce non sarà, dunque, quel che egli ha compiuto, ma chi è. Il punto è decisivo: la stessa azione sarà punita diversamente a seconda di chi ne è l’autore, in clamorosa violazione del principio di uguaglianza formale sancito dall’art. 3, co. 1, Cost. Chi replica che l’ordinamento già prevedeva ipotesi di revoca della cittadinanza non coglie nel segno, perché quelle ipotesi valevano (e valgono) tanto per i cittadini dalla nascita quanto per quelli che lo sono diventati nel tempo: non creano una categoria di cittadini di secondo rango, come invece fa il decreto Salvini. Che è, sostanzialmente, una legge razziale: perché discrimina in base al sangue. Ed è una legge totalitaria, perché può togliere la cittadinanza italiana anche a chi non ne ha più un’altra: creando apolidi privi del “diritto di avere diritti”.
Siamo al cospetto del più grave scostamento dal quadro costituzionale mai verificatosi nella storia repubblicana. La questione è a tal punto delicata che in Francia ben due Presidenti della Repubblica – Sarkozy, prima, Hollande, poi – sono stati costretti a rinunciare all’introduzione di norme analoghe. Da noi, il presidente della Repubblica è rimasto in silenzio. Per fortuna, a levare la voce a garanzia della Costituzione ci hanno pensato gli allievi della professoressa Dell’Aria.
Il Fatto 18.5.19
Rai e La7, Zingaretti fugge dal confronto in tv con Salvini
di Gi. Ros.
Nicola Zingaretti fugge dal confronto con Matteo Salvini. Domenica scorsa il leader leghista era ospite a Raitre da Lucia Annunziata. A fine trasmissione, dopo un’intervista serrata, la giornalista dice: “Ora non verrà più da me…?”. “Verrei anche domenica prossima”, la risposta del ministro. “Domenica (domani, ndr) c’è Zingaretti, sarebbe disponibile a un confronto con lui?”. “Certamente”. Nello stesso giorno, però, la Rai fa un comunicato per avvertire che il confronto Salvini-Zingaretti a Mezz’ora in più non si può fare per questioni di par condicio. Nelle ultime domeniche, infatti, sono stati intervistati i diversi leader e un faccia a faccia non previsto metterebbe il programma fuori dalle norme. Qualche concorrente, però, deve aver seguito il botta e risposta tra la conduttrice e il vicepremier. Così durante la settimana dalle trasmissioni de La7 sono partiti diversi inviti a Salvini e Zingaretti per verificare la disponibilità a un confronto prima del voto. Ma, a quanto si apprende da alcune fonti, il leader del Pd ha risposto di no. A conferma della voce secondo cui il fratello del commissario Montalbano non sia esattamente un cuor di leone.
Il Fatto 18.5.19
Il maresciallo Mandolini disse al teste Casamassima: “Ti rendi conto di quello che hai fatto?”
di Antonella Mascali
Un’altra relazione di servizio, del 2016, in piene indagini bis sull’operato di carabinieri, è stata depositata ieri dal pm di Roma Giovanni Musarò al processo Cucchi. Il documento sembra confermare la paura di uno dei 5 carabinieri imputati, a vario titolo, di omicidio preterintenzionale, falso in atto pubblico e calunnia per la morte nel 2009 di Stefano Cucchi, avvenuta secondo la Procura in seguito al pestaggio subito dopo l’arresto. La relazione del 26 ottobre 2016, firmata dal maresciallo Roberto Mandolini, accusato di aver falsificato il verbale dell’arresto e di aver scaricato le responsabilità sulla polizia giudiziaria, riguarda un colloquio che avrebbe avuto con Riccardo Casamassima, il carabiniere che ha fatto riaprire le indagini e che – secondo la difesa Mandolini – avrebbe mentito. “Stai tranquillo, ne esci fuori, si legge nella relazione, la Procura sta avanti, non posso dirti di più. Lo so che non hai fatto nulla, fidati di me”. E Mandolini: “Ti rendi conto di quello che hai fatto? Cosa vogliono i Cucchi da me? La Cucchi (la sorella Ilaria, ndr) vuole un confronto con me! Col padre lo deve fare, perché lei dice una cosa e il padre un’altra!”. Una conversazione che per l’accusa confermerebbe la paura di Mandolini per quanto potessero accertare i magistrati sul depistaggio. Ieri, l’appuntato Vincenzo Accinno, chiamato dalla difesa, ha detto di aver visto Mandolini e Casamassima insieme “ma per una frazione di secondo, stavo andando in bagno”. Un anno fa, al processo, Casamassima aveva confermato quanto detto al pm e cioè che Mandolini, dopo l’arresto di Cucchi, gli avrebbe detto: “È successo un casino, i ragazzi hanno menato un arrestato”. Sempre al processo, ha raccontato di un altro incontro con Mandolini del 2016: “Cercai di aiutarlo, gli consigliai di andare dal pm a dire le cose come andarono anche perché la procura stava avanti (aveva già le intercettazioni, ndr) e lui non aveva partecipato al pestaggio”.
Il Fatto 18.5.19
“Fermate la nave”. Genova non vuole il cargo delle armi
Città mobilitata - Dopo i camalli e la Cgil, l’appello del mondo cattolico: “Via dal porto, non saremo complici della morte”
di Andrea Moizo e Ferruccio Sansa
Fermate la Bahri Yanbu. Genova si schiera contro la nave saudita che trasporta armi. Dopo i camalli e la Cgil arriva l’appello delle associazioni cattoliche. Una scossa della società civile in una città che si riscopre viva dopo il colpo terribile del Ponte Morandi.
Il cargo saudita è atteso in porto lunedì, ma di ora in ora aumenta la mobilitazione. Camalli e Cgil hanno organizzato un presidio, ma cosa succederà se la nave attraccherà non si sa. Erano stati proprio i lavoratori del porto a raccogliere la denuncia di Amnesty International. Ma ieri è arrivato un appello delle associazioni, dalle Acli a Libera. Gruppi che in città raccolgono migliaia di iscritti, giovani soprattutto: “Chiediamo che le Autorità si adoperino per impedire l’attracco della nave. L’anima aperta della nostra città, già ferita da tanta sfortuna, non deve essere costretta a tollerare questa complicità con la morte”.
Ieri, Cgil e Culmv (la Compagnia Unica dei portuali) si sono riunite in assemblea: fermare la nave? La linea, condivisa dalla segreteria, è che “non ci sono i presupposti per un’azione sindacale, date le rassicurazioni della prefettura sull’assenza di armi in imbarco. Ci sono, però, presupposti per un’azione politica. Un presidio dei varchi portuali per sollecitare in futuro un monitoraggio degli imbarchi della Yanbu e della compagnia saudita”. Questa la linea ufficiale. Ma più voci, dal Collettivo Autonomo Lavoratori del Porto a Genova Antifascista, chiedono un intervento più significativo. Come Francesca Bisiani di Amnesty: “Per noi la nave è da fermare. Non imbarcherà armi, ma le porta in un teatro di guerra con civili e la legge 185 impegna l’Italia a impedirlo. Appoggeremo qualsiasi iniziativa, purché pacifica”.
Le autorità si limitano a dichiarare che a Genova la nave imbarcherà materiale civile. La Yanbu doveva attraccare il 10 maggio a Le Havre per caricare cannoni Caesar da 155 mm, mentre ad Anversa aveva imbarcato munizioni. Ma in Francia la mobilitazione di portuali, sindacati e pacifisti ha impedito l’attracco. Non è la prima volta che la Bahri Yanbu attracca in Italia. A Genova è già stata il 6 gennaio e il 15 marzo, mentre tra il 7 e l’11 novembre del 2018 era a Livorno. Impossibile sapere cosa abbia caricato. Il timore è che le armi provenienti anche dall’Europa siano utilizzate nella guerra in Yemen.
L’Arabia è schierata con il presidente Abd Rabbih Mansur Hadi. Sul fronte opposto i ribelli sciiti con Iran ed Hezbollah. Mentre Al Qaeda mette radici. In mezzo c’è la popolazione di un paese meraviglioso, raccontato negli 70 da Pier Paolo Pasolini nel film Le mura di Sana’a, e oggi tra i più poveri del pianeta.
La flotta della compagnia nazionale saudita Bahri Shipping conta 6 navi utilizzate per il trasporto di armi. Oltre alla Yanbu ci sono Jeddah, Tabuk, Abha, Yazan e Hofuf. Il 9 giugno 2016 a Cagliari la Jeddah caricò armi prodotte dalla Rwm Italia, branca nostrana della tedesca Rheinmetall. Le navi della Bahri (che secondo i Lloyd’s nell’ultimo anno hanno spento per settimane i trasponder rendendosi invisibili ai radar) sono state fotografate nel porto yemenita di Aden, controllato dai sauditi. In altre immagini, pubblicate da Repubblica, si riconoscono Lav 700, armi utilizzate dalle milizie alleate di Riad.
Ma ci sono anche viaggi in Libia – dove l’Arabia fiancheggia il generale Khalifa Haftar – evidenziati nei dossier Onu dove si parlava di una violazione dell’embargo. Rischiano così di suonare vuote le parole del presidente francese Emmanuel Macron: “Abbiamo chiesto la garanzia che le armi non siano utilizzate contro i civili. L’abbiamo ottenuta”. Macron è tranchant: “L’Arabia e gli Emirati sono alleati della Francia. Li supportiamo totalmente”.
Il Fatto 18.5.19
“Votiamo subito lo stop alle bombe verso Riad”
Lia Quartapelle - La deputata Dem propone ai 5Stelle di approvare una risoluzione per sospendere l’export
di Salvatore Cannavò
Il Pd sulla questione delle armi italiane all’Arabia saudita cambia posizione e lancia l’appello al M5S: “Votiamo insieme la sospensione delle forniture”. E rilancia anche sul porto di Genova: “Il governo ha chiuso i porti ai migranti e invece li lascia aperti alle bombe”.
La posizione è di Lia Quartapelle, giovane deputata della Commissione Esteri della Camera che ha presentato una risoluzione al governo per procedere in tal senso. Il cambio di atteggiamento è secco perché quella fornitura fu autorizzata durante il governo Renzi, nel 2016.
In che consiste la risoluzione presentata alla Camera?
Nel chiedere al governo di sospendere la fornitura di armi. La sua origine è dovuta dalla situazione in Yemen dove il rapporto del panel di esperti indipendenti sulle violazioni del conflitto, dell’agosto 2018, ha rivelato le “grandi violazioni” dei diritti umani. A questo si è aggiunto il caso Kashoggi (il giornalista saudita ucciso per ordine del principe bin Salman, ndr.) e quindi la decisione di alcuni Paesi europei a partire dalla Germania di sospendere la fornitura
Nella maggioranza di governo si obietta però che la sospensione non è tecnicamente possibile.
Il problema non è tecnico, la realtà è che sia la legge 185 del 1990, che regola il commercio internazionale di armi, sia il Trattato internazionale sul commercio di armi, ratificato nel 2013, permettono una discrezionalità della politica. E quindi chiediamo che ci sia un’iniziativa politica in tale senso anche in considerazione del fatto che il M5S, nella passata legislatura, si era addirittura detto favorevole a una moratoria della vendita di armi. Posizione molto più forte della semplice sospensione.
Se accogliessero la vostra proposta, questa sarebbe approvata? E voi quindi auspicate un voto comune con il M5S?
In Parlamento ci sarebbero i numeri, anche perché la risoluzione porta la firma di Laura Boldrini. Aggiungo che noi siamo disposti a votare il testo della risoluzione presentata dal M5S che è più blando del nostro, ma che loro non vogliono mettere in discussione. Il M5S non vuole assumersi la responsabilità politica e non vogliono votare perché aspettano un accordo con la Lega.
Perché la Lega si oppone?
La sua posizione è molto filosaudita e molto determinata in quel senso, ma il problema non è la posizione della Lega ma il M5S.
Ma è stato il Pd, con il governo Renzi, ad aver autorizzato quella. Fate autocritica?
Non è stato semplice far accettare questa posizione al Pd. Abbiamo fatto dei passi avanti e ora è la posizione di tutto il partito. Chiedo invece al ministro Toninelli come fa a parlare di porti chiusi ai migranti e lasciare che attracchi una nave che porta armi? Su questo abbiamo chiesto al governo un chiarimento ma non abbiamo avuto risposta.
Comunque il suo partito ha cambiato posizione?
Abbiamo detto che avremmo considerato una sospensione nel caso altri Paesi l’avessero fatto. E ora siamo coerenti. Come Pd ci eravamo mossi in vari momenti contattando la Spd che è al governo in Germania, per assumere una posizione comune.
Quella fornitura è stata un errore?
Dal punto di vista della legalità internazionale capisco perché la decisione fu presa, non c’erano prove di violazione dei diritti e l’Arabia intervenne perché chiamata dal governo yemenita. La situazione si è poi evoluta e anche se la nostra è stata un’evoluzione sicuramente lenta, non si capisce perché si continui a rinviare una decisione che potrebbe essere presa subito.
Corriere 18.5.19
In Missouri un’altra legge contro l’aborto
Il parlamento a maggioranza repubblicana del Missouri ha approvato ieri una legge che vieta l’aborto dopo 8 settimane di gravidanza, unendosi così ad altri Stati americani che stanno limitando il diritto all’aborto. La legge prevede che l’aborto possa essere consentito oltre le 8 settimane solo per emergenze mediche, ma non in caso di stupro o di incesto. I medici che la violano rischiano da 5 a 15 anni di carcere, mentre le donne che abortiscono non verranno perseguite legalmente. Mercoledì scorso il governatore dell’Alabama ha firmato una misura ancora più restrittiva — la più dura negli Stati Uniti — che proibisce l’aborto tranne nel caso in cui la vita della madre sia a rischio: l’intenzione è di spingere la Corte suprema a riesaminare il diritto all’aborto garantito con la storica sentenza «Roe v. Wade» nel 1973.
il manifesto 18.5.19
Le fragili famiglie di Ken Loach ai tempi del precariato
Cannes 72. «Sorry We Missed You», il film in concorso del regista inglese ci parla dell'oggi e dei tanti che non ce la fanno a sopravvivere
di Cristina Piccino
CANNES C’è un’ostinazione in Ken Loach, 82 anni,due volte Palma d’oro (con Il vento che accarezza l’erba, 2006 e Io, Daniel Blake, 2017) che lo spinge a battersi col presente e, insieme, a condurre il proprio spettatore a una consapevolezza quasi esasperata. Sorry We Missed You – presentato in concorso – parla dell’oggi, ci dice dei tanti che non ce la fanno a sopravvivere con l’affitto da pagare, dei figli e senza le «garanzie» – seppure sempre più blande del «posto fisso». Lo hanno perso, o forse non lo hanno mai avuto e in quella che è la società attuale, con l’obbligo di «reinventare» il concetto stesso di lavoro, e quello della vita, devono afferrare ciò che arriva. Ma questa invenzione – del lavoro, della vita – non è quasi mai sinonimo di creatività, o di una maggiore libertà, in questi casi significa sempre ricatti, violenza, un massacro quotidiano. Ricky (Kris Hitchen), il protagonista del nuovo film del regista inglese, scritto dall’abituale complice Paul Laverty, prova a uscire dai debiti accumulati con un fallimento lavorando per una società che consegna pacchi. La moglie, Abby (Debbie Honeywood) si occupa di anziani e malati gravi a domicilio, li lava, li veste, li nutre, fa fronte alle loro crisi di panico o di follia, a quel vuoto di famiglie che semplicemente li hanno abbandonati. Vaga tutto il giorno da una casa all’altra,i figli li incrocia se va bene la sera, ricordandogli al telefono i compiti, il cibo da scaldare nel forno;hanno sedici anni il ragazzo, e la disperazione dell’adolescenza rabbiosa e fragile divisa con gli amici tra graffiti sui muri, bravate, saltare la scuola, risse. E undici la più piccola, saggia e spaventata, che piange quando i genitori litigano.
PER ABBY le cose sono diventate peggiori dopo avere venduto l’automobile per comprare il furgone di Ricky. Eppure è sempre dolce, non alza la voce, coi figli cerca di mediare – e di mantenere la tacita promessa di non alzare mai le mani su di loro scambiata col marito – per bilanciare una presenza nelle loro giornate divenuta sempre più rada. Neppure a Ricky va meglio, la società per cui lavora, una specie di Ubs o Tnt impone ritmi senza respiro, si piscia nella bottiglia perché come a Walmart o deliveroo o amazon la produttività è tracciata da un un bip meccanico: rallenta, si paga.
NESSUNA COPERTURA, nessun diritto nessuna indennità anche se ti rompono la faccia. Cosa significa vivere così, quali sono gli effetti di una simile realtà, sul corpo e sulla testa? Sorry We Missed You parla di questo. Ci dice alla Loach, ovvero senza mezze misure, le conseguenze delle nuove economie sempre più liberiste sulle società ma soprattutto si addentra tra gli effetti di questo precariato divenuto regola sui sentimenti delle persone. Vale per tutti, anche se qui nel modo più feroce: fabbriche, uffici, giornali,nessuno può lasciare se «precario», non sono permesse – la malattia, la maternità, la famiglia, perché c’è sempre qualcuno pronto a prendere il tuo posto. E se la pratica può talvolta essere diversa quest’ansia è ormai uno stato mentale persino auto-imposto.
COME SI AMA, come si sta insieme, semplicemente come si fa a vivere emozioni e relazioni? La famiglia del film si frantuma sempre più, ciascuno dalla sua parte mentre cresce l’ossessione, e con questa la paura di non riuscirci del protagonista. Ribellarsi è (di nuovo?) no future per i ragazzini, boicottare è un gesto d’affetto. È proprio la lente di questa intimità, di un vissuto affettivo disperso tra assenze e stanchezze la scommessa e la riuscita del film. In questo spazio la «cronaca» sociale assume una sua verità tangibile, che riguarda la vita di ciascuno, la interroga e insieme costruisce una consapevolezza. Distogliere lo sguardo dopo è forse un po’ più difficile.
Corriere 18.5.19
Storia e miti
«La ribelle Giovanna d’Arco non sia usata dai gilet gialli»
Dumont: ho voluto una bambina per il ruolo, no alla politica
di Stefania Ulivi
Cannes «Giovanna d’Arco è un’icona intramontabile. La storia inquietante di questa ragazzina analfabeta che in pochi anni diventa guerriera e santa, il suo processo iniquo e la sua morte la pongono come simbolo della condizione umana, non solo femminile. È un mito e la sua rappresentazione è con me un canto rituale». Due anni fa Bruno Dumont, uno degli autori più strenuamente irregolari del cinema francese, portò alla Quinzaine des Réalisateurs Jeannette, l’enfance de Jeanne d’Arc, un musical ispirato agli scritti di Charles Péguy, punto di partenza anche del nuovo film, Jeanne, in gara oggi nella sezione Un certain regard. Il racconto della fase finale della vita della Pulzella d’Orleans, in piena Guerra dei cent’anni, tra il 1429 e la morte sul rogo.
«Molto è stato scritto su di lei, molti i film girati. Il suo fascino è intramontabile. Parla al nostro presente di religione, monarchia, socialismo, ambiente, guerra, pace — racconta Dumont — . Ho scelto ancora una volta di affidarmi a Péguy perché lui, pur essendo ateo e anticlericale, è il solo pensatore importante della mistica francese. Si è posto contro ogni forma di dogmatismo. E ha saputo indagare come pochi l’eterno mistero della Francia. La vita di Giovanna d’Arco porta in superficie le contraddizioni che abbiamo sempre nascosto».
Perché la figura di Giovanna d’Arco, la ragazzina che guidò il suo popolo nella resistenza contro gli inglesi, è un concentrato di contraddizioni: agisce in nome di Dio ma è critica della Chiesa, è stata canonizzata ma è la Chiesa che l’ha messa sul rogo. «È tutto lì: essere o non essere. Lì sta l’origine del pensiero francese e la sua arroganza», sostiene il regista sessantunenne.
La protagonista di Jeanne è ancora Lise Lesplat Prudhomme, la stessa attrice di Jeannette. «Perché una bambina? La maggior parte della attrici che l’hanno interpretata non avevano la sua età: Giovanna è morta a 19 anni. Ingrid Bergman quando ha girato con Roberto Rossellini ne aveva 39. Tanto per sottolineare la sua modernità a prescindere dal tempo. Ai nostri occhi di spettatori del XXI secolo, i dieci anni di Lisa accentuano l’aspetto di innocenza, speranza, forza folgorante della Pulzella d’Orleans. Gli eroi e le loro storie vanno reiterati per non perdere la memoria. Il mistero che lei rappresenta deve essere rinnovato a ogni generazione: mille film di lei non basterebbero a esaurirlo».
Il suo, spiega, è «un inno alla battaglia umana di cui Giovanna è metafora contro tutti i dogmatismi. Compreso quello della forza delle donne, contro ogni idea di segregazione».
Tanto spiazzante risultò il tono del musical sull’infanzia della pulzella, quanto rigorosa apparirà questa seconda parte. Dumont mostra anche i suoi carnefici che discutono con assoluta naturalezza dei metodi di tortura da utilizzare, come fossero gesti comuni, quotidiani. «Il male e il bene non sono vicini, sono facce della stessa medaglia. È solo una questione di dosi. Certo, è terrificante».
Ogni parte politica, nella storia di Francia, ha cercato di appropriarsi della sua figura. Ultimo arrivato è il movimento dei gilet gialli per cui anche diversi artisti stanno simpatizzando. «Loro sono il naufragio della cultura francese. I dannati di una sottocultura dominante “gialla e fosforescente”. Sono dei dementi, una demenza che nasce dall’invelenimento della sottocultura che li ha alimentati. E il cinema, attraverso film e autori ignominiosamente incensati anche dai media, ha contribuito alla demenza generale. Tutti gli artisti del sistema sono la causa dei gilet gialli. Vogliono appropriarsi anche di Giovanna d’Arco? Io dico: la lascino tranquilla».