giovedì 25 aprile 2019

Il Fatto 25.4.19
Scurati: “Dissociarsi dal 25 Aprile è un’offesa al futuro”

“Il 25 aprile è una ricorrenza festosa, commemorativa e celebrativa più viva che mai perché deve rinascere a nuova vita. Il significato partitico e ‘partigiano’ – nell’accezione peggiore del termine – che spesso le è stato erroneamente attribuito in passato è storicamente inattuale. Oggi può e deve essere chiaro che i Partigiani – nell’accezione migliore del termine – le donne e gli uomini che combatterono gloriosamente a rischio della vita il nazifascismo, lo fecero per tutti noi, donne e uomini liberi grazie a loro, cittadini di una democrazia, qualunque sia il nostro orientamento politico. Per questo motivo, qualunque rappresentante delle istituzioni o leader di partito avanzi riserve o, addirittura, si dissoci da questa celebrazione, rimanendo intrappolato in una controversia novecentesca, per calcolo o per fraintendimento, offende la democrazia a venire”. Lo scrittore Antonio Scurati, autore di M. Il figlio del secolo, romanzo su Mussolini e il fascismo, definisce così, intervistato dall’Adnkronos, attualità e significato del 25 aprile, bacchettando strumentalizzazioni e dissociazioni politiche dalla Festa della Liberazione dal nazifascismo.

Corriere 25.4.19
La ferita e la Nostra Storia
Non è un gioco
di Giovanni Bianconi


Uno striscione è uno striscione, niente di più. Ma anche niente di meno. E uno striscione che alla vigilia della Festa della Liberazione (dall’oppressione nazifascista: una volta era sottinteso, oggi forse non più) inneggia a Benito Mussolini, si tramuta in un oltraggio.
N on all’antifascismo, bensì alla storia di un Paese nel quale giusto cent’anni fa videro la luce i Fasci di combattimento da cui derivò la dittatura e tutto ciò che ne conseguì; durante il Ventennio e dopo.
Una provocazione che diventa offesa. Un segnale allarmante, purtroppo non isolato. Compiuto da ultrà da stadio, in questo caso laziali in trasferta a Milano, ma nemmeno questo, ormai, è un dato significativo: potevano farlo supporter di altre squadre (romanisti compresi, giacché le effigi del Duce e simbologie affini in Curva sud sono storia recente) e nulla sarebbe cambiato. Quel gruppo di tifosi che ha messo la firma è tradizionalmente legato all’estrema destra, nonché gemellato con la tifoseria dell’Inter; non a caso subito dopo il «presente» tributato al «camerata Mussolini» con tanto di saluti romani è partito il coro «Milanista pezzo di m...». Mescolando tutto, anche quello che non si dovrebbe, e aprendo un interrogativo in più: una volta era la politica a strumentalizzare il resto, compresi i luoghi di aggregazione come gli stadi; oggi forse sta avvenendo il contrario, e sono le bande organizzate di quei luoghi che strumentalizzano la politica per guadagnare visibilità e risonanza.
Ma a parte ogni possibile considerazione socio-antropologica, è il contesto in cui si inserisce l’episodio a destare preoccupazione. Perché arriva dopo numerosi e ripetuti tentativi di «sdoganamento» e rivalutazione del fascismo, prima sotterranei e quasi nascosti, poi sempre più palesi, fino a tollerare e considerare «normali» certe rivendicazioni ed esaltazioni di appartenenza un tempo inimmaginabili. Che probabilmente servono non tanto a esaltare un periodo storico, quanto a sconfessare chi vi si oppose e a rinnegare ciò che è venuto dopo. Tuttavia le radici antifasciste della nostra Costituzione — per ciò che rappresentano in termini di tolleranza e principi — non sono morte né si possono seppellire con la cosiddetta prima Repubblica, e nemmeno con la seconda.
L’ha ricordato ieri, come meglio non si potrebbe, la senatrice Liliana Segre intervistata da questo giornale: una donna che con il suo nome e la sua storia incarna valori che in una democrazia ormai matura come quella italiana nessuno dovrebbe sognarsi di scalfire, e anche per questo la sua nomina a membro del Parlamento da parte del presidente Mattarella, avvenuta un an no e mezzo fa, assume tuttora la massima importanza. Ha messo in guardia dall’ignoranza e dalla superficialità con cui la nostra storia recente (la dittatura, l’occupazione, la Resistenza, ma anche la violenza politica che nei decenni successivi ha mietuto vittime in nome sia del fascismo che dell’antifascismo) viene affrontata nelle scuole e interpretata dalle classi dirigenti. E ha rammentato come certi fatti svelino un «bisogno di odiare» che trova terreno fertile in certe rivalutazioni, reminiscenze e nuove contrapposizioni .
Ecco perché lo striscione e gli slogan di Milano non devono essere sottovalutati. Senza enfasi, ma con fermezza. Quella mini-parata in piazza, proprio perché maturata in un ambito para-calcistico, diventa l’esempio plastico di quel che può comportare una concezione della storia ridotta a derby; la conseguenza visibile e scioccante di schieramenti e ideologie declassate a tifo, prese a pretesto per marcare una presenza e proclamare identità che, pur di affermarsi, rinnegano la memoria collettiva di un Paese. Che ancora fatica a essere condivisa.

Il Fatto 25.4.19
Lo Squadrismo mediatico contro la Raggi
di Moni Ovadia


La riflessione personale che propongo sul “caso” della sindaca di Roma, Virginia Raggi, richiede qualche necessaria premessa. Non sono un elettore dei Cinque Stelle e neppure un sostenitore del loro Movimento. Per dovere di onestà intellettuale riconosco di averli considerati con attenzione e con curiosità. Non mi sono mai associato alla furiosa canea scatenata da chi ringhiava contro di loro con la bava alla bocca latrando “dagli al populista!” ma in realtà digrignando i denti per il potere perduto, ovvero per i privilegi sfumati. Del resto, se i Cinque Stelle sono cresciuti elettoralmente come una valanga che ha travolto gli avversari, una parte della responsabilità se la deve prendere chi ha governato prima, che non solo pare avere governato da schifo, ma per il grave vizio di arroganza, non ha capito il sentire di vaste parti dell’elettorato. Come dire: chi è causa del suo mal pianga se stesso.
Un’ultima premessa che mi corre l’obbligo di fare, è che io sono un uomo di sinistra ma non di centrosinistra, di sinistra sinistra e lotto da militante, fuori dai partiti, per una società ben descritta da una celebre sintesi di Karl Marx che un grande amico, il filosofo Stefano Bonaga non cessa di ricordarmi: “A ciascuno secondo i suoi bisogni, da ciascuno secondo le sue capacità”.
Detto questo, voglio esprimere il mio profondo disgusto per il vergognoso e perdurante assalto di squadrismo mediatico contro Virginia Raggi.
Nei miei sessant’anni di vita adulta, non ricordo nulla di simile, un tale livello di cattiveria programmatica, di insulti di ogni specie. Una così orchestrata gragnuola di menzogne, di manipolazione dei fatti, di insulti personali, di violenza sessista e di grevi allusioni. Sia chiaro, io non sono una mammola, ne ho viste altre di campagne indegne, mai con tanta persistenza e con tanto perdurante accanimento, spessissimo totalmente pretestuoso. Si parva licet, paragonerei la maniacale persecuzione di questa giovane politica amministratrice, ai furori di certe isteriche campagne antisemite che esemplificherei con un celebre witz yiddish.
Nel 1912, a Parigi, un negoziante rivolgendosi a un cliente ebreo lo apostrofa con una domanda: “Cosa avete fatto voi ebrei al Titanic?!?”. Interdetto l’ebreo risponde: “Noi??? Noi niente, è stato un iceberg!”. “Appunto! – ribatte il negoziante – Iceberg, Rosenberg, Weissenberg, Silberberg, tutti ebrei!”. A dare retta a certa stampa la Sindaca sarebbe responsabile anche delle catastrofi naturali.
Alcune delle accuse mosse alla Raggi sono ridicole, quando non basate su deliri surrealisti.
Sia chiaro, non è mia intenzione fare una difesa politica della Sindaca di Roma, non conosco nei dettagli la situazione della Capitale e non vivo nell’Urbe. Tuttavia so come altri italiani che la città è stata sgovernata, massacrata e abusata nel corso di più lustri dalle amministrazioni precedenti e per puro buon senso ritengo che Roma, in quanto tale, sia difficilissima da governare se non con cambiamenti radicali che incontrerebbero boicottaggi di vari interessi potenti precostituiti. Inoltre non posso impedirmi di pensare che una outsider come la Raggi abbia scatenato l’ostilità rabbiosa di coloro che nei luoghi amministrativi e politici non sono elettivi e che hanno goduto di vari privilegi ai quali non sono disposti a rinunciare.
In conclusione, vorrei esprimere alla persona Virginia Raggi tutta la mia solidarietà umana per l’inverecondo linciaggio che la colpisce pressoché ogni ora e che non può trovare giustificazione sotto alcuna specie.

Il Fatto 25.4.19
Caro ministro Salvini, sul 25 aprile mi ricorda chi a Palermo non dice “la mafia fa schifo”: la lotta a Cosa nostra e la Resistenza si somigliano
Promemoria per la visita del vicepremier leghista oggi a Corleone: da un radical chic di sinistra con portafogli a destra (ma senza attico). La Liberazione è simile a chi ha combattuto le cosche: patriota è chi, osteggiato dai più, decise di sconfiggere l'impossibile. Al prezzo della propria vita. Probabilmente troverà una parte di Corleone che sottovoce che la mafia è nelle istituzioni e che alla fine Cosa nostra "ha fatto anche cose buone". Le ricorda qualcosa?


Caro ministro Salvini,
qualche giorno fa lei ha dichiarato che considera la festa del 25 Aprile un derby tra fascisti e comunisti, e che non è interessato a questo tipo di derby. Oggi, infatti, sarà a Corleone perché il suo interesse è quello di liberare il Paese dalle mafie e guardare al futuro e non al passato. Se mi permette le voglio raccontare una storia. La storia di alcuni uomini e di alcune donne che anni fa presero una decisione: combattere per la libertà.
Sapevano che mettersi contro un’organizzazione ben strutturata, che aveva ormai preso possesso di ogni parte dello Stato, avrebbe complicato loro la vita e quella dei loro familiari. Ciononostante decisero di andare avanti. Sapevano anche quanto la possibilità di venire uccisi fosse alta. Ciononostante decisero di non indietreggiare. E se uno di loro veniva ucciso, la staffetta non si fermava.
Politicamente la pensavano in maniera diversa, fra loro c’erano molti cattolici, ma anche comunisti e repubblicani. Ma quello che li univa era il bisogno di libertà.
Non tutta la popolazione, purtroppo, sostenne queste persone. Anzi, spesso, una parte del popolo prese le distanze o addirittura gli si mise contro. Ma loro non si arresero.
Molti protagonisti di questa storia sono morti, altri sono sopravvissuti e spesso passano il loro tempo a ricordare il sacrificio di chi non c’è più.
Lei penserà di certo che si tratti dell’ennesimo retorico racconto sui partigiani di un radical chic con il cuore a sinistra e il portafogli a destra, che scrive dal terrazzo del suo attico e che non conosce i problemi reali del Paese. Se è così, si sbaglia. Innanzitutto perché non le sto scrivendo dal terrazzo del mio attico: purtroppo non ne possiedo uno, anche se mi piacerebbe tanto averlo (ma mai tanto quanto una villa a Mondello!). No, le scrivo da un banale primo piano con balconcino. E si sbaglia, anche, perché ciò che in realtà le ho appena raccontato è la storia della lotta alla mafia.
Le ho parlato di persone che politicamente la pensavano in maniera diversa (chi di sinistra e chi di destra) e che, nonostante fossero osteggiati da gran parte della cittadinanza, decisero di prendere una posizione e realizzare l’impossibile: sconfiggere la mafia per vivere in libertà. E lo fecero con l’aiuto di Dio, se credenti, per la loro famiglia e per la loro Patria.
È incredibile. La storia dei partigiani, di chi ha combattuto il fascismo, somiglia molto a quella di chi ha combattuto la mafia. Allora dire che la festa del 25 Aprile è un “derby tra fascisti e comunisti” ricorda tanto ciò che si diceva negli anni Ottanta sul Maxiprocesso, e cioè che fosse un derby che riguardava la mafia e l’antimafia, un derby fra mafiosi e magistrati. E noi normali cittadini non dovevamo curarcene. Falcone e Borsellino, cito loro per tutti, incominciarono a morire in quegli anni, proprio per questo nostro disinteressarci.
Non capire chi sono i veri patrioti di un Paese – o probabilmente fingere di non capirlo – è gravissimo, perché non si può progettare un futuro senza ricordare il passato.
Dare un colore politico alla Resistenza italiana è profondamente ingiusto, sbagliato e storicamente falso: gli unici colori che possiamo attribuirle sono rosso, bianco e verde. Quelli del tricolore.
Quando lei, signor ministro, non riesce a dire che il fascismo fa schifo (e in quelle poche volte in cui lo fa aggiunge sempre frasi del tipo: “Ma anche il comunismo ha ucciso molte persone”), mi ricorda tanto quelli che a Palermo non riescono a dire che la mafia fa schifo e, quando costretti ad ammetterlo, aggiungono: “Ma la vera mafia è a Roma” (con la variante: “La mafia è nelle istituzioni”).
Tutte le riflessioni sono ben accette e spesso necessarie, ma soltanto se si parte dall’assunto di base, che è uno solo. Altrimenti la riflessione rischia di essere esclusivamente una collusione culturale.
Ogni 25 aprile, ogni 23 maggio, ogni 19 luglio (e anche qui purtroppo le date da citare sarebbero tantissime!) ricordiamo i Patrioti morti per la libertà del nostro Paese, a prescindere dal colore politico, anzi, al di là del colore politico.
Lei forse ha le idee poco chiare, perché per anni ha ricordato, e lo raffigura ancora nel simbolo del suo partito, Alberto da Giussano, il patriota della Padania. Ecco, immagini la stessa situazione, ma con patrioti realmente esistiti, spesso realmente morti, che hanno difeso una nazione reale.
Probabilmente, una volta giunto a Corleone, troverà una parte del paese che sottovoce le dirà che la mafia è nelle istituzioni, che il vero nemico è lo Stato e che alla fine “la mafia ha fatto anche cose buone”. Una frase che dovrebbe ricordarle qualcosa… Poi incontrerà l’altra parte del paese che farà una coraggiosa e instancabile “RESISTENZA” alla mafia, senza equivoci e senza esitazione, per difendere la democrazia e la libertà, faticosamente conquistate.
E temo che lo spirito della RESISTENZA la “perseguiterà” anche lì. Perché, che piaccia o meno, signor ministro, lo spirito della RESISTENZA è stato e sempre sarà la salvezza di questo Paese!
*Se avessi avuto un attico con terrazzo, oggi avrei fatto sventolare con fierezza la bandiera italiana. La stessa che voi leghisti, sovranisti dell’ultima ora, qualche anno fa volevate usare per “pulirvi il culo”. Fortunatamente la cacca dei vostri “culi” non ha mai sfiorato il nostro Tricolore, rimanendo così solo nei vostri “culetti” padani.

Il Fatto 25.4.19
25 aprile, Fico: “E’ grazie alla Liberazione che la Lega è al governo. Siri? Quando c’è odore di mafia c’è bisogno di un atto durissimo”
Il presidente della Camera su 25 aprile, migranti e il sottosegretario
di Luca De Carolis


La distanza che si fa differenza si misura anche da una festa. O meglio guardando chi oggi scenderà nelle piazze e chi invece le diserterà, ostentatamente. “Ma esserci sarebbe importante per qualunque rappresentante delle istituzioni, il 25 Aprile è la festa di tutti”, ricorda e spera il presidente della Camera Roberto Fico, il 5Stelle con il cuore parecchio rosso. Oggi la Liberazione la celebrerà nella sua città, a Napoli. Invece Matteo Salvini no, sarà a Corleone a inaugurare un commissariato. Lontano dal 25 Aprile, come tutti i ministri della Lega.
La festa della Liberazione ha ancora un senso, una sua forza, o è ridotta a un rito che esige un po’ di palchi?
Il 25 Aprile è fondamentale, perché ci racconta le basi su cui si fonda la nostra democrazia. Io rappresento le istituzioni di un’Italia antifascista, democratica e repubblicana.
Per tanti, anche nel governo, è una festa di parte, di sinistra. Hanno proprio torto?
Non può essere di parte, perché celebra il ritorno alla democrazia. E non può appartenere a pochi. Se tutti oggi possono parlare liberamente è perché siamo usciti da una terribile dittatura.
Il vicepremier Salvini ha un’altra idea: “La vera Liberazione è quella dalla mafia”. E anche i ministri del Carroccio non scenderanno nelle piazze.
La trovo una lettura assolutamente sbagliata e fuorviante. Noi celebriamo quella Liberazione che permette a quei ministri di stare al governo. Voglio però sottolineare che amministratori della Lega come il presidente Zaia saranno alle celebrazioni. Altro tema è la liberazione dalla mafia e dalla camorra, contro cui lotto da sempre. È una battaglia da combattere da parte di di tutti noi. Fare paragoni mi pare fuori dalla realtà.
Questo governo parla troppo poco della lotta alle mafie, non pensa?
Questa è una delle massime urgenze. Bisogna parlarne, ma soprattutto serve un piano di azione, strutturato. E servono investimenti nel sociale e nell’istruzione.
Le mafie allignano nel disagio, nella diseguaglianza. Proprio in queste settimane il governo discute delle autonomie, che rischiano di creare più Italie, con Regioni per ricchi e per poveri. È un tema che la preoccupa? Ed è a rischio l’unità del Paese?
La Costituzione è chiara, le autonomie non possono ledere l’unità nazionale. Poi sul tema il dialogo è fondamentale. Il mio compito è ribadire che in questo processo il Parlamento deve avere un ruolo centrale, con la possibilità di incidere. Non ci può essere un’intesa esclusiva tra Stato e Regioni. E di certo non faccio giochini, come invece qualcuno ha sostenuto in qualche intervista (Salvini su La Verità, due giorni fa, ndr): certe cose non appartengono alla mia storia personale e politica.
Il 25 Aprile è la festa di tutti, sosteneva. Anche dei migranti? Il M5S e la Lega si rinfacciano i mancati rimpatri.
La nostra Repubblica si fonda anche sulla solidarietà tra persone. E il nostro modo di essere solidali e cooperanti ci fa apprezzare in tutto il mondo. Sono virtù.
Virtù che ormai vengono aggredite ogni giorno.
In certe fasi possono aumentare le critiche alla gestione dell’immigrazione, innanzitutto a livello europeo. E noi dobbiamo intervenire su queste criticità, lavorando nel contempo sull’integrazione.
A proposito di valori, c’è quello della legalità. Il sottosegretario leghista Armando Siri, indagato per corruzione, si deve dimettere? Salvini fa muro.
Quando avvengono situazioni di questo tipo i partiti devono prendere provvedimenti ed essere molto attenti e molto duri, soprattutto nelle vicende in cui c’è odore di mafia. E lo devono fare innanzitutto per propria tutela.
E il garantismo?
Si è sempre innocenti fino a prova contraria e a una condanna definitiva, e mi auguro che Siri lo sia. Ma i partiti hanno un ruolo pubblico e responsabilità nei confronti dei cittadini, e per questo devono compiere azioni forti. Non possono esserci ombre.
Il 5Stelle Marcello De Vito, in carcere con l’accusa di corruzione, non intende dimettersi da presidente del Consiglio comunale di Roma.
Ritengo che sbagli. Farebbe meglio a dimettersi, anche per difendersi con più tranquillità.
La Rai pare terra di conquista dei partiti.
l ruolo della Rai è più importante che mai, perché come servizio pubblico deve fornire informazione e contenuti all’insegna di indipendenza, qualità e interesse della collettività. Chi vi lavora è al servizio dei cittadini, e non può esserlo dei partiti. E anche i governi devono capire che la Rai non è terra di conquista
5Stelle e Lega hanno lottizzato in Rai, non crede?
La tentazione di lottizzare può sempre esserci. Se qualcuno ha ricevuto pressioni, le deve denunciare pubblicamente.

Il Fatto 25.4.19
“Foto inopportuna. Per criticare la Raggi ci sono altri modi”
Sulla copertina dell’Espresso: “Si poteva evitare”
“Foto inopportuna. Per criticare la Raggi ci sono altri modi”
di Silvia Truzzi


“Una giovane donna che viene invecchiata di trent’anni… Se si voleva criticare l’operato della sindaca di Roma c’erano altri modi: la sua gestione della città non soddisfa tanti romani. Ritrarla così, con un volto che tra l’altro è poco riconoscibile e non rispondente alle sue sembianze, mi è sembrato poco appropriato: si poteva evitare”. Così Laura Boldrini – ex presidente della Camera, oggi parlamentare di LeU, da sempre un’appassionata e vigile sostenitrice dei diritti delle donne – commenta la copertina che l’Espresso ha dedicato a una Virginia Raggi quasi sfigurata.
Onorevole, è successo anche a lei?
Ci sono quotidiani che hanno solo foto in cui faccio smorfie che mi fanno apparire male: la logica sottende una critica. A volte sono talmente irriconoscibile che salto sulla sedia!
Libero è stato condannato dall’Ordine dei giornalisti per quel titolo parecchio allusivo, sempre riferito alla Raggi, “Patata bollente”.
Quel titolo era sconcertante: all’epoca espressi tutta la mia solidarietà alla sindaca. E per fortuna che finalmente l’Ordine dei giornalisti ha reagito: qualche volta ci dimentichiamo che esiste.
Certe cose ce le aspettiamo più dalla stampa di destra che dall’informazione progressista?
In un Paese in cui c’è rispetto per le donne non sarebbe concepibile un atteggiamento del genere. Il fatto che in Italia esista, vuol dire che c’è molto lavoro ancora da fare. Si sottovalutano le molestie, le offese, le allusioni. E a chi denuncia dicono “fatti una risata, che vuoi che sia”. Se la donna fa presente certe cose, diventa petulante e viene messa alla berlina. Poche donne si ribellano e pochi uomini lo ritengono inaccettabile.
Recentemente l’Agcom ha reso noti i dati delle presenze nei Tg Rai: in un mese, 2 ore e 24 minuti riservati ai politici donne contro le 21 ore e 25 degli uomini. Sono le percentuali della rappresentanza, o c’è anche qualcosa di più?
In questo esecutivo le donne sono pochissime: su 63 tra ministri, viceministri e sottosegretari le donne sono 11, il 17 per cento. La Francia ha un 58 per cento di presenza femminile nell’esecutivo, la Spagna il 65. Siamo più vicini a Kabul che all’Europa… È vero che in Parlamento la percentuale di donne, 34%, è la più alta di sempre. Ma è preoccupante che in tv, specialmente nel servizio pubblico, le figure femminili, di governo o d’opposizione, siano così rare. Una situazione che oscura il ruolo politico delle donne.
È una questione che non riguarda solo la politica.
C’è molto capitale umano femminile che si può mettere a frutto. In Italia solo il 49 per cento delle donne ha un’occupazione. Per questo sto lavorando a una proposta di legge che stimoli l’occupazione e l’imprenditoria femminile, partendo dalla parità di salario e dall’accesso ai ruoli di vertice, raddoppiando la dotazione finanziaria per gli asili nido e prevedendo sgravi fiscali per chi assume donne al Sud.
Le parlamentari sono solidali tra loro? O vale di più l’appartenenza di partito?
Parlo per me: oltre a Virginia Raggi ho difeso anche Giorgia Meloni, che con me non è proprio tenera e spesso usa modi molto maschili, quando è stata insultata per il suo aspetto fisico. In aula ho espresso la mia solidarietà alla collega Matilde Siracusano di Forza Italia, attaccata dai grillini con frasi sessiste. E quel giorno ho ricordato che il ministro Salvini aveva appena esposto alla gogna mediatica sui suoi social network tre ragazze minorenni che lo contestavano. Oltre ad avermi paragonata, in passato, a una bambola gonfiabile.
Le donne hanno troppi timori a occuparsi delle questioni di genere?
Molte temono di perdere autorevolezza occupandosi di questione femminile. Alle mie colleghe dico di non delegare a nessuno l’impegno per l’avanzamento delle donne nella società. Ma è fondamentale tenere alta l’attenzione. Non è un caso che il convegno internazionale delle famiglie si sia tenuto in Italia. Convegno cui ha partecipato un ministro divorziato, con figli da compagne diverse e fidanzate giovanissime: uno che non potrebbe condurre la propria vita in quel modello di “famiglia tradizionale” che a Verona si celebrava. Ma non c’è solo questo: in Iran l’avvocatessa Nasrin Sotoudeh è stata condannata a 38 anni di carcere e a 148 frustate perché difende i diritti delle donne.


La Stampa 25.4.19
2030 odissea single: sorpasso imminente dei soli sulle coppie. Così finisce un mito
I dati della Global Market Research Company
di Maria Corbi


Non ti amo più. Iniziate ad abituarvi all’idea di archiviare il romantico titolo di coda delle vostre vite a due: «e vissero per sempre felici e contenti». Non è certo una novità il fatto che ci si sposi sempre di meno e si divorzi di più. Ma quando ti avvertono che nel 2030 le separazioni nel mondo aumenteranno del 78,5% un certo effetto lo fa. E sognare diventa sempre più difficile. I dati della Euromonitor International, sottolineano anche come a questo fenomeno si aggiunga quello che vede i genitori single crescere a ritmi tre volte superiore rispetto a quelli che vivono insieme(entro il 2030, si stima che il numero di famiglie monoparentali aumenterà di circa 120 milioni). Una trasformazione della società che ha iniziato ad accelerare 20 anni fa, al passaggio al nuovo millennio. E che di questi tempi sta decisamente correndo.
L’esperta
Il previsto aumento vertiginoso dei divorzi affonda nel cambiamento culturale, in cui l’affermazione dei diritti delle donne ha avuto un ruolo determinante come anche la percezione del matrimonio più come un contratto che come un vincolo sacro. «Una donna indipendente economicamente non è più costretta a rimanere in un matrimonio in cui non crede», spiega Adriana Boscagli, avvocato, esperta di diritto di famiglia. «E comunque oggi la solitudine fa meno paura, non è più vista come una condizione miserrima, ma anzi, come un’opportunità, soprattutto da grandi, quando i figli sono cresciuti».
I divorzi nel mondo aumenteranno del 78,5%. I giovani non possono o non vogliono più impegnarsi in un percorso a due. E chi lo fa spesso rinuncia a fare figli
«Questi dati non mi stupiscono e riflettono quello che sta gia accadendo - continua l’esperta -. Sicuramente conta anche un atteggiamento più aperto della Chiesa sul tema. L'aver riammesso i divorziati all’eucaristia nel mondo cattolico ha sicuramente avuto un ruolo importante nel «liberare» molti credenti dal senso di colpa. E in tutto questo il dato positivo per le persone è l’essere più liberi e autonomi, mentre quello negativo è non avere trovato ancora un nuovo modo di esercitare un ruolo genitoriale sganciato dall’idea di famiglia del Mulino Bianco».
La Chiesa
I giovani rimandano o evitano il matrimonio per concentrarsi sulle loro carriere o, all’opposto, per mancanza di lavoro e quindi di fondi economici. Ma anche per dedicarsi allo sviluppo personale, continuando a studiare, viaggiando, dedicandosi alle proprie passioni senza il «peso» della responsabilità familiare. E tutto questo sta affermando l’idea che da soli si può fare una vita più sana e più soddisfatta. Certamente in paesi dove le politiche in aiuto delle donne e della famiglia sono ridotte al minimo. Una situazione che preoccupa la Chiesa tanto che monsignor Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, ha parlato di «egolatria imperante». «Le uniche “famiglie” a crescere in Italia sono quelle mononucleari, cioè formate da una sola persona: una condizione che prima era dei vedovi e delle vedove e ora dei single per vocazione. Ma questa è una scelta fondamentalmente egolatrica, per non dire egoistica, ovvero una scelta che si fa mettendo al centro di tutto l’io, pensando soltanto a se stessi». Per monsignor Paglia, «emerge una sorta di tendenza alla defamiliarizzazione della società, in favore sostanzialmente di una società di singoli anziché di famiglie, dove tutto viene piegato all’individualismo».
Il welfare
La definizione di famiglia tradizionale si sta trasformando più rapidamente di quanto non facciano le leggi in materia e quindi si aprono una serie di problemi, molti legati al welfare. Anche perchè insieme al fenomeno dell’aumento dei single c’è quello dell’invecchiamento della popolazione, con le persone che fanno sempre meno figli. E venendo meno il sistema di assistenza familiare si spalanca il dramma degli anziani abbandonati a loro stessi, soprattutto in paesi come l’Italia dove senza il welfare «casalingo» il sistema avrebbe difficoltà a reggere. Ma tutto questo non basta a spiegare comunque l’aumento dei divorzi e il calo dei matrimoni visto che dati di Eurostat mostrano come in Europa il tasso più alto di genitori single sia nei dell’Europa settentrionale dove il sistema di welfare è efficiente.
Comunque sia «meno figli significa invecchiamento della popolazione», si legge nello studio dell’agenzia londinese, «con sempre più elevati costi per i governi, una carenza di fondi per le pensioni e la sicurezza sociale, un calo di persone che si prendano cura degli anziani e degli ultra-anziani, una rallentamento della crescita economica e una sempre più accentuata carenza di giovani lavoratori».
Il paese dove tutto questo ha un’accelerazione massima è il Giappone, e non solo perchè è uno dei paesi al mondo dove è più facile divorziare, ma perchè la società invecchia e la crisi scoraggia a fare figli. «Una bomba demografica ad orologeria», come lo definiscono in uno uno studio dell’Università di Tohoku secondo cui infatti, il 16 agosto 3766 potrebbe non esistere più un giapponese sulla faccia della Terra. Pessimismo esponenziale? Certo è che la società Giapponese mostra già oggi con evidenza le contraddizioni di tutta la società moderna dove vita frenetica, crisi economiche, diseguaglianze,aspettative professionali sempre al rialzo portano i giovani in età fertile a preferire la vita da single a quella di famiglia. O a divorziare quando capiscono che la salita è troppo dura. Torino

Repubblica 25.4.19
Il teatro di Salvini
Ecco che cosa si nasconde dietro la messa in scena del vicepremier che oggi va a sfidare la mafia a Corleone Vuole creare uno strano cortocircuito: mettere in contrapposizione la lotta per la Liberazione a quella contro le cosche
E trattare questa festa come un derby tra fascisti e comunisti significa dire che si può tifare per l’una o per l’altra parte indistintamente. È un favore ai gruppi della destra radicale che non aspettano altro che sentirlo uno di loro
di Roberto Saviano


Questa dichiarazione di Matteo Salvini sul giorno della Liberazione è stata un atto di chiarezza: «Il 25 aprile non sarò a sfilare qua o là, fazzoletti rossi, verdi, neri, gialli e bianchi. Vado a Corleone a sostenere le forze dell’ordine nel cuore della Sicilia».
La scelta di citare i fazzoletti nei loro vari colori serve a rinnegare l’intera storia della Repubblica Italiana. La Resistenza è stata opera di gruppi socialisti, cattolici, comunisti, liberali, anarchici. Salvini ha chiarito definitivamente da che parte sta. Se pensiamo ai giganti che indossarono i fazzoletti – tra questi Ferruccio Parri, Luigi Longo, Sandro Pertini, Raffaele Cadorna, Joyce Lussu, Emilio Lussu – viene da compatire il nostro sventurato Paese, che li vede rinnegati ora da questo mediocre uomo senza qualità.
Salvini dichiara di voler andare a Corleone a omaggiare la Polizia; ancora una volta tira in ballo le forze dell’ordine per creare uno strano cortocircuito: mettere in contrapposizione la lotta per la Liberazione dal nazifascismo alla lotta antimafia.
Ecco la “ furbata”, attaccare la Resistenza nascondendosi dietro la “legalità” (nel caso di Salvini usare le virgolette è d’obbligo). Il ministro non celebrerebbe l’Italia nata dalla Resistenza, ma la Polizia e la lotta al crimine. Eppure la lotta antimafia cos’altro è se non una lotta di liberazione? E la legalità, slegata dai valori costituzionali nati dalla Resistenza, è una legalità ambigua.
Trattare come un “ derby fascisti- comunisti” la celebrazione del 25 aprile significa dire che si può tifare per l’una o per l’altra parte, indistintamente. Cos’altro è questo se non un favore ai gruppi della destra radicale per i quali è sufficiente non vedere il ministro celebrare il 25 aprile per ascriverlo ai loro?
Salvini dice che non gli interessa la storia vecchia del 25 aprile, gli importa il futuro come se il tempo archiviasse l’inutile passato, proprio lui che porta sul bavero la sagoma di Alberto da Giussano ispirandosi alla battaglia di Legnano del 1176.
Il ministro appare ridicolo quando giura in tv di impegnarsi perché nazismo, comunismo e fascismo non tornino in Italia, ovvio che nella loro dimensione storica non torneranno ma dovrebbe piuttosto giurare che non sarà sponsor, promotore o destinatario di finanziamenti di nessuna forma di totalitarismo, cosa che non può evidentemente fare essendo vicino a Orbán e sostenuto economicamente da Putin. Slegare la lotta alla criminalità organizzata da un percorso democratico di liberazione è un atto gravissimo.
Tutta l’ansia di Salvini nell’accreditarsi come politico antimafia dipende dal fatto che politico antimafia non lo è per nulla perché la storia del suo partito è una storia di comprovata complicità. Quella passata e, secondo le ultime cronache giudiziarie, anche quella presente.
La Lega ha riciclato soldi grazie al faccendiere del clan De Stefano, e poi ci sono i rapporti mappati dell’inchiesta Crimine tra dirigenti leghisti e capi ’ndrina e l’elenco è ancora lungo.
Il segretario regionale della Lega in Calabria, Domenico Furgiuele, che ora siede come deputato in Parlamento, è stato amministratore unico di una delle società del suocero, Salvatore Mazzei, che è stato condannato per estorsione aggravata dal metodo mafioso. Tra i beni confiscati a Salvatore Mazzei (per 200 milioni di euro) c’è anche un hotel a Lamezia Terme in cui nel 2015 Salvini fece una conferenza stampa organizzata da Furgiuele. Nello stesso hotel, nel 2012, avevano pernottato i killer di Davide Fortuna, ucciso per ordine delle cosche, e non pagarono il pernottamento.
Oggi invece apprendiamo dei legami pericolosi tra i vertici della Lega e Cosa Nostra. L’imprenditore Paolo Arata, secondo le accuse della Procura di Roma, avrebbe pagato il sottosegretario Siri per ottenere un provvedimento di legge ( poi stralciato) che avrebbe dato vantaggi all’azienda di Arata. Ma, secondo le indagini, dietro l’azienda di Arata ci sarebbe Vito Nicastri ossia il prestanome del boss Matteo Messina Denaro. I rapporti tra Arata e Salvini sono molteplici: ad organizzare il primo viaggio negli Usa di Salvini è proprio Federico Arata, figlio di Paolo, e Paolo Arata nel 2017 parlò alla convention “Noi per Salvini”.
Se per il passato Salvini poteva raccontare di «essere arrivato dopo » ( nonostante egli sia un uomo di primo piano della Lega da un ventennio), per l’affaire Siri- Arata- Nicastri- Messina Denaro questa scusa non basta. Ma cosa fareste se foste a capo di un partito così compromesso; se aveste tra i vostri uomini persone cosi ambiguamente vicine ai clan? Urlereste che siete antimafia, plaudireste a qualsiasi spacciatore arrestato. Ovvio. E così Salvini per far passare il suo falso pedigree antimafia usa la carta facile: «La mafia mi fa schifo». Tutto già visto.
Per comprendere la messa in scena che Salvini andrà a costruire a Corleone, bisognerebbe leggere il libro di Attilio Bolzoni, Il padrino dell’antimafia, che racconta come tutte le organizzazioni criminali italiane si siano convertite alla vocazione antimafiosa all’unico scopo di continuare a fare affari, capendo che il colpo di teatro del mostrarsi antimafia è l’unico modo per continuare a fare affari.
Tra il 2005 e il 2007, nei processi contro i maggiori mafiosi di Palermo, i mafiosi stessi urlavano « la mafia fa schifo». Ad Altofonte, un membro di Cosa Nostra aveva allestito una mostra di pittura dedicata a Falcone e Borsellino. I capi di Sicindustria pubblicamente combattevano i boss, ma erano loro soci in segreto. L’antimafia spesso è un capitale spendibile da Cosa Nostra, che è esattamente la logica che usa Salvini quando a Rosarno tuona contro la ’ ndrangheta , mentre ha al suo fianco Domenico Furgiuele e il volto della Lega a Rosarno Vincenzo Gioffrè (Gioffrè ha fondato la cooperativa agricola con Giuseppe Artuso, secondo la procura di Reggio Calabria personaggio vicino al clan Pesce, e un consorzio di cooperative che ha avuto come presidente Antonio Francesco Rao, considerato vicino al clan Bellocco). Ma a Salvini oggi non basta più dire che la mafia gli fa schifo, deve proprio urlarlo, sperando che in futuro possa valere come argomento difensivo. Siccome a Salvini di smettere la sceneggiata non possiamo chiederlo, poiché significherebbe la fine della sua attività da politico, chiediamo che a Corleone ci sia, da parte di tutte le associazioni antimafia che si riconoscono nei principi democratici, un completo boicottaggio di questa messa in scena.
Chiediamo che le forze dell’ordine non accettino questa manipolazione e che si oppongano alla contrapposizione tra la Liberazione dal nazifascismo e la lotta antimafia. Chiedo a chi è costretto a partecipare alle buffonate promosse dal ministro dell’Interno, di sottrarsi, di girarsi di schiena, di non dargli il volto, di boicottare. Boicottare, nel rispetto degli italiani per bene, che non meritano di vedere la loro storia vilipesa e il sacrificio dei loro padri calpestato. Buona Liberazione a tutti!

Il Fatto 25.4.19
Lo scandalo Boy Scout. Le molestie fra “lupetti” cuore nero dell’America
12.254 vittime - La docente Janet Warren ha passato 5 anni a studiare i “fascicoli della perversione”; richieste di risarcimento in aumento, l’organizzazione rischia
di Giampiero Gramaglia


Pedofilia: non c’è solo la Chiesa come ricettacolo e incubatoio di nefandezze, con i suoi seminari e le sue sacrestie. Anche all’aria aperta, la perversione può manifestarsi, se c’è la devianza d’un capo e una pletora di ragazzini che ne avvertono il peso o il fascino. Ma nessuno aveva finora un’idea delle dimensioni del fenomeno fra i Boy Scout d’America, una delle maggiori organizzazioni giovanili negli Stati Uniti, con 2,2 milioni di ragazzi iscritti e oltre un milione di adulti volontari.
Dal 1944 al 2016, quasi 8.000 leader del movimento sono stati cacciati dall’associazione, dopo essere stati accusati di abusi sessuali su minori: in 72 anni, riferiscono i media americani, 7.819 leader e volontari avrebbero abusato sessualmente di 12.254 vittime. A rivelare la portata degli abusi è stata l’esperta Janet Warren, docente alla University of Virginia, durante la sua testimonianza in un processo per abusi sessuali su minori in una compagnia teatrale per bambini a Minneapolis, nel Minnesota. Le dichiarazioni della Warren, che aveva avuto accesso a documenti a lungo secretati, trova ampia eco sui media Usa, non solo quelli locali. Gli scout non smentiscono, ma precisano che ogni denuncia viene ora trasmessa alle autorità inquirenti – non è però detto che ciò accadesse in passato –.
Non è la prima volta che lo scoutismo americano, e non solo, viene scosso da denunce di pedofilia. Ed è questa una ragione per cui la capacità d’attrazione dell’organizzazione è in calo: gli iscritti, che nel 1979 erano oltre cinque milioni, oggi sono meno della metà. Ma le denunce, invece, aumentano: nei cinquant’anni dal ’44 al ’94, gli abusi segnalati sono stati circa 2.000, 40 l’anno in media; invece, negli ultimi 25 anni, sono stati circa 6.000, quasi 250 l’anno. Il che testimonia, soprattutto, una maggiore inclinazione alla denuncia da parte delle vittime.
L’associazione ha riconosciuto il rischio insito nella sua struttura e, fin dal 1988, molto prima che scoppiassero gli scandali di pedofilia nella Chiesa, in particolare a Boston, adottò un programma d’educazione sessuale e prevenzione degli abusi. Nel XXI secolo, denunce e inchieste penali si sono susseguite: nel 2010, una giuria impose agli Scout di versare 18,5 milioni di dollari a una vittima di abusi negli anni Ottanta, era la cifra più alta fino ad allora riconosciuta negli Stati Uniti per un caso singolo; e nel 2012 vi fu un processo nell’Oregon che ebbe ampia eco. Nato nel 1907 da un’idea dell’inglese Robert Baden-Powell, un militare, il movimento ha come fine ultimo la formazione fisica, morale e spirituale della gioventù mondiale: un metodo educativo fondato sul volontariato e sull’“imparare facendo”, attraverso attività all’aria aperta e in piccoli gruppi.
Lo studio della Warren fa pendere sull’esistenza stessa dei Boy Scout d’America una minaccia, forse la più grave mai affrontata dal gruppo nei 109 anni della sua storia: una valanga di denunce per molestie sessuali, con le richieste d’indennizzo relative, dopo che diversi Stati hanno approvato o stanno approvando norme che consentono di fare causa anche a vittime di vecchia data. Avvocati alla Paul Newman del film Verdict vanno a caccia di clienti con un’aggressiva campagna in Internet. Del resto, è stato proprio un avvocato che ha già tutelato vittime di abusi sessuali contro la Chiesa e i boy scout, Jeff Anderson, a dare pubblicità alle ricerche della Warren, con una conferenza stampa a New York. Ora l’organizzazione rischia la bancarotta, oltre che il pubblico ludibrio. La professoressa ha passato cinque anni consultando, su incarico proprio dei Boy Scout d’America, i cosiddetti Perversion files, documenti che contenevano informazioni su volontari che erano stati mandati via “in seguito a ragionevoli accuse di abusi sessuali su minori”. L’associazione incominciò a raccogliere la documentazione subito dopo la Grande Guerra: peccati, anzi crimini, vecchi come il mondo.

La Stampa 25.4.19
Dodicimila abusi su minori in 70 anni
I Boy Scouts Usa rischiano la bancarotta
di Paolo Mastrolilli


Sono almeno 12.254 i membri dei Boy Scouts of America molestati sessualmente da 7.819 leader dell’organizzazione, e le rivelazioni sugli abusi continuano ad arrivare. Lo ha denunciato l’avvocato Jeff Anderson, che da anni segue questi casi, pubblicando martedì gli ultimi dati. Tutto ciò rende sempre più probabile la bancarotta, a cui l’organizzazione sta pensando di fare ricorso per rifondarsi.
I problemi per i Boy Scouts of America erano cominciati già negli anni Sessanta, quando erano avvenuti i primi casi di comportamenti sessuali inappropriati da parte di capi e di volontari, che però erano rimasti nascosti. Nel 2012 un giudice aveva ordinato la pubblicazione di oltre 20mila documenti confidenziali, chiamati i “perversion files”, che avevano rivelato come tra il 1965 e il 1985 più di mille leader dei Boy Scouts erano stati allontanati per molestie sessuali. Il problema allora era esploso, portando con sé anche una serie di cause legali. Nel frattempo i membri dell’organizzazione sono scesi a 2,3 milioni, dal picco di oltre 4 milioni, nonostante nel 2015 sia stato eliminato il divieto per i gay di ricoprire cariche di leadership. In seguito sono stati creati anche programmi per le ragazze, che però hanno provocato uno scontro legale con l’organizzazione concorrente delle Girls Scouts. Nei mesi scorsi poi la Church of Jesus Christ of the Latter-day Saints ha interrotto la sua collaborazione, e quindi anche i finanziamenti.
Martedì Anderson ha pubblicato i documenti nati dalle ricerche condotte per cinque anni dalla professoressa della University of Virginia, Janet Warren, allo scopo di esaminare la gestione degli abusi sessuali da parte degli Scouts dal 1944 al 2016. I numeri sono impressionanti, perché le vittime accertate sono 12.254, e i colpevoli 7.819. Il problema è che questi leader individuati come molestatori sono stati in genere allontanati dal servizio, ma i loro nomi non sono stati rivelati alle comunità dove vivevano, esponendo quindi altri bambini al rischio di essere aggrediti. «Li rimuovevano dall’attività - ha detto Anderson - ma nessuno veniva avvertito del loro comportamento. Questo è un fatto molto allarmante che va menzionato. È stato un atteggiamento sistematico, e in tutto il paese».
L’organizzazione ha risposto attraverso un comunicato, per scusarsi con «chiunque abbia subito del male durante il tempo trascorso facendo Scounting». Quindi ha aggiunto: «Noi non abbiamo mai coscientemente consentito a predatori sessuali di lavorare con i giovani, e richiediamo che tutti i leader, volontari e membri dello staff a livello nazionale, riportino immediatamente ogni accusa di abuso alle autorità giudiziarie». Nello stesso tempo però le denunce continuano, e durante le scorse settimane oltre duecento persone hanno presentato nuove accuse. Anderson ha identificato 130 responsabili di abusi nel solo stato di New York, e 50 in New Jersey. Le dimensioni dello scandalo quindi sembrano destinate ad aumentare, così come le iniziative legali, anche se non è noto quante vittime e quanti colpevoli siano ancora in vita.
Gli Scouts sono già stati citati in molte cause, e a dicembre avevano rivelato che stavano considerando la possibilità di fare ricorso al Chapter 11, cioè la dichiarazione di bancarotta che garantisce la protezione dai creditori. Allora il leader, Michael Surbaugh, aveva dichiarato che l’organizzazione sentiva «la responsabilità sociale di compensare le vittime». Secondo i critici, però, il Chapter 11 servirebbe in realtà a limitare il pagamento dei danni, e quindi rifondare i Boy Scouts of America in modo da cancellare la macchia.

https://spogli.blogspot.com/2019/04/il-fatto-25.html