lunedì 4 marzo 2019

Repubblica 24.2.19
Se questa è l’élite meglio la Thatcher
La provocazione di Donald Sassoon
di Donald Sassoon


Non credo che si possa insegnare un’identità. Non credo che si possa fare dell’Europa uno stato-nazione di stati-nazione, il che non significa che la lenta e dolorosa costruzione dell’Unione europea, nonostante i problemi, gli errori, le sciocche regole, il deficit democratico e la bassa affluenza alle urne, non sia la cosa migliore successa nella storia europea. Bisogna inoltre riconoscere che in certi paesi alcuni elementi d’identità europea si sono sviluppati anche grazie alla valuta comune, all’abolizione del passaporto nell’area Schengen, allo scambio universitario noto come programma Erasmus.
Quello che manca è l’insegnamento adeguato della storia degli altri paesi europei. Ma non dimentichiamo che la maggior parte delle persone non basa le proprie conoscenze storiche solo su quanto è stato appreso a scuola. La storia che conoscono la ricavano in parte dai ricordi distorti e dai pregiudizi di genitori e nonni, in parte dagli incompleti riferimenti al passato che racimolano nei telegiornali, nei quotidiani, nei libri (romanzi in particolare) e, soprattutto, alla televisione e nei film. (...) Per costruire una nazione, la cosa migliore è avere uno stato, esigere tasse, controllare l’istruzione e i media, avere una forza di polizia e un esercito. All’Unione europea mancano questi meccanismi e pochi vorrebbero che li avesse. È impossibile costruire l’identità europea nel modo in cui è stata realizzata quella francese, britannica o tedesca.
Inoltre, proprio ora, mentre lo stato-nazione resta il principale focus dell’identità, una crescente porzione di europei è arrabbiata con i propri politici e vota sempre più massicciamente per partiti euroscettici antisistema di destra, partiti che agitano lo spauracchio dell’immigrazione, o non vota affatto. Si votano anche persone che non sono mai state politici, come se un lavoro nel campo immobiliare o in quello televisivo ( Donald Trump e Silvio Berlusconi), nella finanza ( Emmanuel Macron), nell’intrattenimento (Beppe Grillo), o nell’industria alimentare (il leader ceco Andrej Babiš) offra garanzie d’integrità politica.
Anche nel caso di Jeremy Corbyn, il suo ovvio disinteresse verso la convenzionale politica di partito, nonostante una vita spesa in politica, è stato un vantaggio. I commentatori hanno notato che “il popolo” è arrabbiato con le “élite”. Bisognerebbe dedicare più tempo a esaminare come mai la qualità del personale politico in Occidente sia tanto scaduta. Spero non sia visto come un aggrapparsi ai “bei tempi andati” fare confronti tra i vecchi leader come Harold Macmillan, Harold Wilson, Margaret Thatcher, Helmut Schmidt, Willy Brandt, Konrad Adenauer, Giulio Andreotti, Enrico Berlinguer, Aldo Moro, Charles de Gaulle, François Mitterrand, Adolfo Suárez, Felipe González, Andreas Papandreou e suo padre Georgios e i nuovi leader politici. A favore dei primi.
Ma a fare la differenza non sono i grandi uomini e le grandi donne, bensì le circostanze che li producono. Dove sarebbero Franklin Delano Roosevelt, De Gaulle e soprattutto Churchill senza la Seconda guerra mondiale? I russi non avrebbero pianto in massa la morte di Stalin nel 1953 se non fosse stato considerato il vincitore della guerra, invece del paranoico assassino che era. In epoche morbose la metafora latina nanos gigantum humeris insidentes (nani sulle spalle di giganti) non funziona. Questa è un’epoca di pigmei che dei giganti non hanno alcuna memoria.