Repubblica 24.2.19
Preti pedofili, l’atto di accusa del cardinale vicino al Papa
Marx,
presidente della Conferenza episcopale tedesca, parla di carte
distrutte e chiede un cambio di passo: “ Basta segreti, le prove devono
essere registrate”
di Paolo Rodari
CITTÀ DEL
VATICANO Un’accusa durissima, mossa da una delle personalità più
importanti del collegio cardinalizio, il cardinale Reinhard Marx,
arcivescovo di Monaco- Frisinga, presidente della Conferenza episcopale
tedesca e membro del C9, il consiglio che aiuta il Papa nel governo
della Chiesa. Secondo il porporato tedesco intervenuto ieri in Vaticano
al summit sulla pedofilia, « in Germania», ma così anche in altre parti
del mondo, la Chiesa ha sistematicamente « distrutto » i dossier che
denunciavano i preti pedofili: « Ho riferito di uno studio fatto in
Germania — ha detto — si tratta di uno studio anonimo, ma il dato non
può essere negato e presumo che la Germania non rappresenti un caso
isolato».
L’uscita di Marx non sembra essere arrivata a caso. Da
tempo la sensazione di molti tra quelli che in Vaticano lavorano per la
trasparenza è che dentro la Chiesa vi sia chi remi contro.
Non è
un mistero per nessuno che all’inizio dei suoi lavori la Commissione per
la tutela dei minori istituita da Francesco abbia dovuto lavorare col
freno a mano tirato per resistenze interne. Non a caso, vi furono subito
le defezioni di due membri importanti, le ex vittime Marie Collins e
Peter Saunders. E, insieme, la frustrazione per alcune dimissioni dallo
stato clericale di preti pedofili bloccate all’interno della Dottrina
della fede allora diretta dal cardinale Gerhard Ludwig Müller, salvo
intervento in extremis dello stesso Bergoglio.
Ma le resistenze
non sono ascrivibili soltanto a Roma. In tutto il mondo si verificano
casi di vescovi insabbiatori e anche bugiardi. Una delle sacche di
resistenza più importanti all’opera di pulizia in corso viene dagli
Stati Uniti. Le aperture di Francesco al presidente cinese Xi Jinping
irritano il mondo conservatore americano che da tempo, anzitutto tramite
l’ex nunzio a Washington Carlo Maria Viganò, chiede al Papa di
rinunciare alla sua carica accusandolo di coperture a pedofili e uomini
di Chiesa con doppia vita.
Proprio in occasione del summit di
questi giorni due cardinali emeriti, uno tedesco e l’altro statunitense,
Walter Brandmüller e Raymond Leo Burke, hanno chiesto che i vescovi
riuniti più che di abusi dovessero discutere della « piaga dell’agenda
omosessuale » . Un tentativo di rovesciare il piano e accusare
Bergoglio. Un piano costruito ignorando il dolore delle vittime di
pedofilia.
Lo scontro interno ha radici lontane. Tutto ha inizio
durante la crisi Vatileaks, nel 2012, quando furono resi pubblici una
serie di documenti riservati del Vaticano, allora guidato da Benedetto
XVI. Al momento dello scoppio dello scandalo venne alla luce, fra gli
altri, un dossier riservato su colloqui avuti in Cina dall’allora
arcivescovo di Palermo Paolo Romeo. Si parlava di un complotto per
uccidere il Pontefice: era il segno più evidente che le aperture di
Ratzinger alla Cina facevano paura a qualcuno. Tanto che iniziò un’opera
di destabilizzazione del papato. Si sapeva che le autorità di Pechino
stavano vagliando la possibilità di restituire alla Chiesa cattolica i
suoi beni e le sue chiese. Ratzinger scrisse una lettera ai cattolici
cinesi, voleva aprire, porre fine alla linea della chiusura. Bergoglio
ha continuato la sua agenda, non nascondendo di avere simpatie per
Pechino più che per Washington.
Le accuse di aperture alla cultura
omosessuale, ritenuta dai nemici del Papa la causa prima degli abusi e
della pedofilia, sarebbero dunque una vendetta per la politica di
Francesco. Fino a chiederne le dimissioni. L’intevento di Marx, che
chiede inoltre che il « segreto pontificio » vigente sui processi di
abusi abbia fine, serve anche a confermare che il pontificato non
arretrerà nonostante vi sia chi ne auspichi una rapida conclusione.