lunedì 4 marzo 2019

Repubblica 24.2.19
Preti pedofili, l’atto di accusa del cardinale vicino al Papa
Marx, presidente della Conferenza episcopale tedesca, parla di carte distrutte e chiede un cambio di passo: “ Basta segreti, le prove devono essere registrate”
di Paolo Rodari


CITTÀ DEL VATICANO Un’accusa durissima, mossa da una delle personalità più importanti del collegio cardinalizio, il cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco- Frisinga, presidente della Conferenza episcopale tedesca e membro del C9, il consiglio che aiuta il Papa nel governo della Chiesa. Secondo il porporato tedesco intervenuto ieri in Vaticano al summit sulla pedofilia, « in Germania», ma così anche in altre parti del mondo, la Chiesa ha sistematicamente « distrutto » i dossier che denunciavano i preti pedofili: « Ho riferito di uno studio fatto in Germania — ha detto — si tratta di uno studio anonimo, ma il dato non può essere negato e presumo che la Germania non rappresenti un caso isolato».
L’uscita di Marx non sembra essere arrivata a caso. Da tempo la sensazione di molti tra quelli che in Vaticano lavorano per la trasparenza è che dentro la Chiesa vi sia chi remi contro.
Non è un mistero per nessuno che all’inizio dei suoi lavori la Commissione per la tutela dei minori istituita da Francesco abbia dovuto lavorare col freno a mano tirato per resistenze interne. Non a caso, vi furono subito le defezioni di due membri importanti, le ex vittime Marie Collins e Peter Saunders. E, insieme, la frustrazione per alcune dimissioni dallo stato clericale di preti pedofili bloccate all’interno della Dottrina della fede allora diretta dal cardinale Gerhard Ludwig Müller, salvo intervento in extremis dello stesso Bergoglio.
Ma le resistenze non sono ascrivibili soltanto a Roma. In tutto il mondo si verificano casi di vescovi insabbiatori e anche bugiardi. Una delle sacche di resistenza più importanti all’opera di pulizia in corso viene dagli Stati Uniti. Le aperture di Francesco al presidente cinese Xi Jinping irritano il mondo conservatore americano che da tempo, anzitutto tramite l’ex nunzio a Washington Carlo Maria Viganò, chiede al Papa di rinunciare alla sua carica accusandolo di coperture a pedofili e uomini di Chiesa con doppia vita.
Proprio in occasione del summit di questi giorni due cardinali emeriti, uno tedesco e l’altro statunitense, Walter Brandmüller e Raymond Leo Burke, hanno chiesto che i vescovi riuniti più che di abusi dovessero discutere della « piaga dell’agenda omosessuale » . Un tentativo di rovesciare il piano e accusare Bergoglio. Un piano costruito ignorando il dolore delle vittime di pedofilia.
Lo scontro interno ha radici lontane. Tutto ha inizio durante la crisi Vatileaks, nel 2012, quando furono resi pubblici una serie di documenti riservati del Vaticano, allora guidato da Benedetto XVI. Al momento dello scoppio dello scandalo venne alla luce, fra gli altri, un dossier riservato su colloqui avuti in Cina dall’allora arcivescovo di Palermo Paolo Romeo. Si parlava di un complotto per uccidere il Pontefice: era il segno più evidente che le aperture di Ratzinger alla Cina facevano paura a qualcuno. Tanto che iniziò un’opera di destabilizzazione del papato. Si sapeva che le autorità di Pechino stavano vagliando la possibilità di restituire alla Chiesa cattolica i suoi beni e le sue chiese. Ratzinger scrisse una lettera ai cattolici cinesi, voleva aprire, porre fine alla linea della chiusura. Bergoglio ha continuato la sua agenda, non nascondendo di avere simpatie per Pechino più che per Washington.
Le accuse di aperture alla cultura omosessuale, ritenuta dai nemici del Papa la causa prima degli abusi e della pedofilia, sarebbero dunque una vendetta per la politica di Francesco. Fino a chiederne le dimissioni. L’intevento di Marx, che chiede inoltre che il « segreto pontificio » vigente sui processi di abusi abbia fine, serve anche a confermare che il pontificato non arretrerà nonostante vi sia chi ne auspichi una rapida conclusione.