Il Fatto 25.2.19
Spagna, la prima crisi di Podemos: sinistra in panne
Addio – Errejon, Iglesias e Irene Montero alle Cortés.
di Fabien Escalona
Mentre
il governo spagnolo annunciava le elezioni anticipate per il 28 aprile,
i militanti delle destre riempivano le strade. Sabato 16 febbraio, più
di 200 mila persone hanno manifestato a Barcellona per protestare contro
il processo politico portato avanti contro i dirigenti indipendentisti
catalani. Una questione che divide profondamente le sinistre spagnole.
Di
fronte alla radicalizzazione degli avversari la sinistra, in generale,
non è al collasso. Ma la questione indebolisce Podemos. I suoi
principali fondatori, Pablo Iglesias, attuale segretario generale, e
Íñigo Errejón, l’ex numero due, sono infatti al limite della rottura.
Errejón ha lasciato la poltrona di deputato dopo aver ufficialmente
annunciato la sua adesione a una lista diversa per le elezioni regionali
a Madrid.
Diverse chiavi di lettura del divorzio tra Iglesias e
Errejón sono possibili. Mediapart ha raccolto il parere di quattro
intellettuali francesi, che hanno potuto lavorare in prima persona su
Podemos: Laura Chazel, ricercatrice a Sciences Po Grenoble e
all’università Complutense di Madrid; Héloïse Nez, sociologa presso
l’università di Tours, autrice del volume Podemos. De l’indignation aux
éléctions; Lenny Benbara, fondatore del sito Le vent se lève; e Gaël
Brustier, politologo e autore dell’introduzione a Construire un peuple,
un libro di interviste di Chantal Mouffe e Íñigo Errejón.
Molti
osservatori avanzano l’esistenza di importanti divergenze di punti di
vista sulla “linea” che il partito, Podemos, dovrebbe seguire. Quanto
contano queste divergenze nel conflitto tra i due?Héloïse Nez: “Diverse
incompatibilità tra i due uomini sono sostanziali. Errejón dimostra una
certa costanza poiché resta fedele alla strategia messa in atto al
momento della nascita di Podemos. Si preoccupa più dell’unità del popolo
che dell’unità della sinistra. In questa prospettiva, il partito
ecologista-comunista Izquierda Unida (Iu-Sinistra unita) non dovrebbe
rappresentare un partner ideale. Al contrario, sin dall’arrivo in
Parlamento, nel 2016, Iglesias moltiplica nei suoi discorsi i
riferimenti e i simboli propri alla storia della sinistra tradizionale.
Difende l’idea di un fronte di sinistra classico contro quello che
chiama il “blocco monarchico” (che andrebbe dalla destra ai
sociodemocratici del Psoe). Il suo stile è globalmente più contestatario
di quello di Errejón”.
Lenny Benbara: “Errejón e i suoi amici
accordano una grande importanza all’ideologia. I suoi più vicini
collaboratori presentano un profilo analogo: sono giovani diplomati
provenienti da categorie sociali piuttosto agiate e con un importante
bagaglio culturale. Errejón ha accumulato una certa frustrazione nei
confronti di Iglesias, che sembra non essere mai al passo con la
congiuntura politica. E soprattutto non intende ripiegare, come invece
ha fatto Iglesias, sulle tematiche tradizionali della sinistra radicale
spagnola (per esempio la questione repubblicana). Attualmente Errejón
cerca piuttosto una sintesi tra una comunicazione politica modernista,
che potrebbe sembrare quasi macroniana, e un discorso
“nazionalpopolare”, nel senso gramsciano del termine, a contenuto
popolare e privo di connotazioni xenofobe”.
Laura Chazel:“C’è
stato un momento in cui era possibile distinguere chiaramente tra
“pablismo” e “errejonismo”. È il periodo compreso tra l’ingresso di
Podemos in Parlamento, nel gennaio 2016, e l’investitura del socialista
Pedro Sáncheza a primo ministro, nel giugno 2018. L’ironia della
situazione attuale è che Iglesias e Errejón, nel frattempo, si sono
ravvicinati su questioni di fondo, in particolare sulle relazioni con le
istituzioni e il Psoe. Ecco perché la rottura oggi mi pare
essenzialmente un banale episodio di lotta tra due attori razionali alla
ricerca del potere”.
Gaël Brustier: “Al congresso di Vistalegre 2
abbiamo assistito a una purga. Quello che sta succedendo a Podemos
accade a tanti partiti: tra talenti politici si instaura un po’ alla
volta una certa diffidenza che può andare fino alla rottura. Entrambi i
clan dispongono di un capitale culturale elevato e quindi posseggono gli
strumenti per costruire argomenti che legittimano il conflitto”.
Perché
la rottura si sta producendo adesso?Héloïse Nez: “Al momento delle
elezioni regionali in Andalusia, nel dicembre 2018, l’alleanza
Podemos-Iu ha ottenuto un risultato mediocre, mentre le destre sono
cresciute, in particolare grazie al netto progresso del partito di
estrema destra Vox. Questo episodio ha potuto scatenare la rottura che
covava da tempo”.
Laura Chazel: “Quando Podemos è entrato in
Parlamento, si sono create delle frizioni sulle possibili alleanze.
Quando sono state annunciate le elezioni anticipate del giugno 2016,
Iglesias pensava che Podemos dovesse allearsi con Iu per poter
sorpassare il Psoe. Errejón riteneva invece che fosse importante
conservare un discorso “trasversalista”. Alla fine il partito ha seguito
allo stesso tempo le due strade. Nei due anni seguenti, l’opposizione
tra “pablisti” e “errejonisti” si è accentuata finendo col ridurre in
minoranza i secondi. Ma dal giugno 2018 i due campi hanno sostenuto il
ritorno al potere del Psoe, e non sono sicura che si separeranno
radicalmente sulle scelte delle alleanze future”.
Quali sono i
legami tra queste due sensibilità e il populismo di sinistra?Laura
Chazel: “A questo proposito condivido l’opinione del politologo spagnolo
Javier Franzé, secondo il quale il “pablismo” e l’“errejonismo”, in
particolare tra 2016 e metà 2018, hanno incarnato due interpretazioni
alternative del populismo. È impossibile stabilire quale delle due è più
giusta, anche perché entrambe si ispirano al pensiero di Ernesto
Laclau. Iglesias ha fatto suo soprattutto il concetto di populismo in
opposizione all’“istituzionalismo”: da un lato il conflitto diretto o
“l’attività politica per eccellenza”, secondo Laclau; dall’altro
l’amministrazione delle cose o “la morte della politica”. Di qui un
atteggiamento anti-establishment molto più accentuato che in Errejón.
Quest’ultimo interpreta il populismo in una dimensione egemonica, come
creazione di nuove identità collettive. Errejón ritiene dal 2016 che il
sistema politico è parzialmente stabilizzato. Ha quindi concluso che la
contestazione dovesse essere accompagnata da un’offerta di “ordine
alternativo”. Al contrario Iglesias pensava che l’alternativa di un
populismo di opposizione fosse ancora possibile e che Podemos dovesse
fare il possibile per mantenere questa “situazione eccezionale”. A
partire dal giugno 2018 ha tuttavia scelto la cooperazione istituzionale
con il Psoe, cosa che per lui rappresenta, a parole sue, la fine del
“momento populista”. Al di là di queste differenze, Iglesias, rispetto a
Errejón, ha un legame globalmente più disteso con le idee di Laclau”.
Lenny
Benbara: “È evidende che Errejón è il più “laclauiano” dei due, nel
senso che non ci sono ambiguità sul suo costruttivismo. Errejón è
convinto che il popolo non esista in sé, di qui l’importanza di una
strategia populista per tessere una logica di equivalenza tra le domande
eterogenee presenti nella società, che non avrebbero nessuna tendenza
naturale o meccanica ad assemblarsi. Da parte sua, Iglesias occupa una
posizione gramsciana, che non nega l’importanza del fronte culturale
nella lotta per l’egemonia ma conserva un fondo marxista materialista”.
La
rottura attuale può pesare sulla traiettoria di Podemos e sul suo posto
nello scacchiere politico spagnolo?Héloïse Nez: “La situazione è
frustrante. Podemos è una delle evoluzioni del movimento degli
Indignati, che presentava risorse importanti per la trasformazione del
modo di fare politica. La guerra dei capi a cui si assiste adesso è la
conseguenza della scelta iniziale di una formazione verticale,
individualizzata, molto lontana da quel modello. È un peccato, perché
Podemos partecipa a dei governi locali, con un bilancio apprezzabile, ma
rischia di non trarne profitto”.
Lenny Benbara: “Iglesias sta
cercando di ottenere dei risultati concreti in termini di politiche
pubbliche, per dimostrare che Podemos è una forza utile. Ma non sono
sicuro che sappia quale direzione prendere alle prossime elezioni
generali. Nell’attesa, ha lanciato prematuramente delle primarie
interne, mentre ha ancora la mano sul partito, per estromettere i suoi
avversari politici. Ciò traduce la cultura di un partito forte che salda
i “pablisti” contro gli “errejonisti”, più individualisti e meno
emotivamente coinvolti in uno strumento politico di cui fanno un uso
strumentale. Non è da escludere l’ipotesi che possano tentare di crearne
uno nuovo, se dovessero giungere alla conclusione che Podemos ha ormai
perso la sua spinta propulsiva”.