lunedì 4 marzo 2019

Il Fatto 25.2.19
Spagna, la prima crisi di Podemos: sinistra in panne
Addio – Errejon, Iglesias e Irene Montero alle Cortés.
di Fabien Escalona


Mentre il governo spagnolo annunciava le elezioni anticipate per il 28 aprile, i militanti delle destre riempivano le strade. Sabato 16 febbraio, più di 200 mila persone hanno manifestato a Barcellona per protestare contro il processo politico portato avanti contro i dirigenti indipendentisti catalani. Una questione che divide profondamente le sinistre spagnole.
Di fronte alla radicalizzazione degli avversari la sinistra, in generale, non è al collasso. Ma la questione indebolisce Podemos. I suoi principali fondatori, Pablo Iglesias, attuale segretario generale, e Íñigo Errejón, l’ex numero due, sono infatti al limite della rottura. Errejón ha lasciato la poltrona di deputato dopo aver ufficialmente annunciato la sua adesione a una lista diversa per le elezioni regionali a Madrid.
Diverse chiavi di lettura del divorzio tra Iglesias e Errejón sono possibili. Mediapart ha raccolto il parere di quattro intellettuali francesi, che hanno potuto lavorare in prima persona su Podemos: Laura Chazel, ricercatrice a Sciences Po Grenoble e all’università Complutense di Madrid; Héloïse Nez, sociologa presso l’università di Tours, autrice del volume Podemos. De l’indignation aux éléctions; Lenny Benbara, fondatore del sito Le vent se lève; e Gaël Brustier, politologo e autore dell’introduzione a Construire un peuple, un libro di interviste di Chantal Mouffe e Íñigo Errejón.
Molti osservatori avanzano l’esistenza di importanti divergenze di punti di vista sulla “linea” che il partito, Podemos, dovrebbe seguire. Quanto contano queste divergenze nel conflitto tra i due?Héloïse Nez: “Diverse incompatibilità tra i due uomini sono sostanziali. Errejón dimostra una certa costanza poiché resta fedele alla strategia messa in atto al momento della nascita di Podemos. Si preoccupa più dell’unità del popolo che dell’unità della sinistra. In questa prospettiva, il partito ecologista-comunista Izquierda Unida (Iu-Sinistra unita) non dovrebbe rappresentare un partner ideale. Al contrario, sin dall’arrivo in Parlamento, nel 2016, Iglesias moltiplica nei suoi discorsi i riferimenti e i simboli propri alla storia della sinistra tradizionale. Difende l’idea di un fronte di sinistra classico contro quello che chiama il “blocco monarchico” (che andrebbe dalla destra ai sociodemocratici del Psoe). Il suo stile è globalmente più contestatario di quello di Errejón”.
Lenny Benbara: “Errejón e i suoi amici accordano una grande importanza all’ideologia. I suoi più vicini collaboratori presentano un profilo analogo: sono giovani diplomati provenienti da categorie sociali piuttosto agiate e con un importante bagaglio culturale. Errejón ha accumulato una certa frustrazione nei confronti di Iglesias, che sembra non essere mai al passo con la congiuntura politica. E soprattutto non intende ripiegare, come invece ha fatto Iglesias, sulle tematiche tradizionali della sinistra radicale spagnola (per esempio la questione repubblicana). Attualmente Errejón cerca piuttosto una sintesi tra una comunicazione politica modernista, che potrebbe sembrare quasi macroniana, e un discorso “nazionalpopolare”, nel senso gramsciano del termine, a contenuto popolare e privo di connotazioni xenofobe”.
Laura Chazel:“C’è stato un momento in cui era possibile distinguere chiaramente tra “pablismo” e “errejonismo”. È il periodo compreso tra l’ingresso di Podemos in Parlamento, nel gennaio 2016, e l’investitura del socialista Pedro Sáncheza a primo ministro, nel giugno 2018. L’ironia della situazione attuale è che Iglesias e Errejón, nel frattempo, si sono ravvicinati su questioni di fondo, in particolare sulle relazioni con le istituzioni e il Psoe. Ecco perché la rottura oggi mi pare essenzialmente un banale episodio di lotta tra due attori razionali alla ricerca del potere”.
Gaël Brustier: “Al congresso di Vistalegre 2 abbiamo assistito a una purga. Quello che sta succedendo a Podemos accade a tanti partiti: tra talenti politici si instaura un po’ alla volta una certa diffidenza che può andare fino alla rottura. Entrambi i clan dispongono di un capitale culturale elevato e quindi posseggono gli strumenti per costruire argomenti che legittimano il conflitto”.
Perché la rottura si sta producendo adesso?Héloïse Nez: “Al momento delle elezioni regionali in Andalusia, nel dicembre 2018, l’alleanza Podemos-Iu ha ottenuto un risultato mediocre, mentre le destre sono cresciute, in particolare grazie al netto progresso del partito di estrema destra Vox. Questo episodio ha potuto scatenare la rottura che covava da tempo”.
Laura Chazel: “Quando Podemos è entrato in Parlamento, si sono create delle frizioni sulle possibili alleanze. Quando sono state annunciate le elezioni anticipate del giugno 2016, Iglesias pensava che Podemos dovesse allearsi con Iu per poter sorpassare il Psoe. Errejón riteneva invece che fosse importante conservare un discorso “trasversalista”. Alla fine il partito ha seguito allo stesso tempo le due strade. Nei due anni seguenti, l’opposizione tra “pablisti” e “errejonisti” si è accentuata finendo col ridurre in minoranza i secondi. Ma dal giugno 2018 i due campi hanno sostenuto il ritorno al potere del Psoe, e non sono sicura che si separeranno radicalmente sulle scelte delle alleanze future”.
Quali sono i legami tra queste due sensibilità e il populismo di sinistra?Laura Chazel: “A questo proposito condivido l’opinione del politologo spagnolo Javier Franzé, secondo il quale il “pablismo” e l’“errejonismo”, in particolare tra 2016 e metà 2018, hanno incarnato due interpretazioni alternative del populismo. È impossibile stabilire quale delle due è più giusta, anche perché entrambe si ispirano al pensiero di Ernesto Laclau. Iglesias ha fatto suo soprattutto il concetto di populismo in opposizione all’“istituzionalismo”: da un lato il conflitto diretto o “l’attività politica per eccellenza”, secondo Laclau; dall’altro l’amministrazione delle cose o “la morte della politica”. Di qui un atteggiamento anti-establishment molto più accentuato che in Errejón. Quest’ultimo interpreta il populismo in una dimensione egemonica, come creazione di nuove identità collettive. Errejón ritiene dal 2016 che il sistema politico è parzialmente stabilizzato. Ha quindi concluso che la contestazione dovesse essere accompagnata da un’offerta di “ordine alternativo”. Al contrario Iglesias pensava che l’alternativa di un populismo di opposizione fosse ancora possibile e che Podemos dovesse fare il possibile per mantenere questa “situazione eccezionale”. A partire dal giugno 2018 ha tuttavia scelto la cooperazione istituzionale con il Psoe, cosa che per lui rappresenta, a parole sue, la fine del “momento populista”. Al di là di queste differenze, Iglesias, rispetto a Errejón, ha un legame globalmente più disteso con le idee di Laclau”.
Lenny Benbara: “È evidende che Errejón è il più “laclauiano” dei due, nel senso che non ci sono ambiguità sul suo costruttivismo. Errejón è convinto che il popolo non esista in sé, di qui l’importanza di una strategia populista per tessere una logica di equivalenza tra le domande eterogenee presenti nella società, che non avrebbero nessuna tendenza naturale o meccanica ad assemblarsi. Da parte sua, Iglesias occupa una posizione gramsciana, che non nega l’importanza del fronte culturale nella lotta per l’egemonia ma conserva un fondo marxista materialista”.
La rottura attuale può pesare sulla traiettoria di Podemos e sul suo posto nello scacchiere politico spagnolo?Héloïse Nez: “La situazione è frustrante. Podemos è una delle evoluzioni del movimento degli Indignati, che presentava risorse importanti per la trasformazione del modo di fare politica. La guerra dei capi a cui si assiste adesso è la conseguenza della scelta iniziale di una formazione verticale, individualizzata, molto lontana da quel modello. È un peccato, perché Podemos partecipa a dei governi locali, con un bilancio apprezzabile, ma rischia di non trarne profitto”.
Lenny Benbara: “Iglesias sta cercando di ottenere dei risultati concreti in termini di politiche pubbliche, per dimostrare che Podemos è una forza utile. Ma non sono sicuro che sappia quale direzione prendere alle prossime elezioni generali. Nell’attesa, ha lanciato prematuramente delle primarie interne, mentre ha ancora la mano sul partito, per estromettere i suoi avversari politici. Ciò traduce la cultura di un partito forte che salda i “pablisti” contro gli “errejonisti”, più individualisti e meno emotivamente coinvolti in uno strumento politico di cui fanno un uso strumentale. Non è da escludere l’ipotesi che possano tentare di crearne uno nuovo, se dovessero giungere alla conclusione che Podemos ha ormai perso la sua spinta propulsiva”.