lunedì 4 marzo 2019

Il Fatto 2.3.19
Re Bibi alle strette, ora parla di “persecuzione politica”
Corruzione - Netanyahu con un discorso di 16 minuti in tv risponde all’incriminazione con la tattica di Trump: delegittimare chi lo accusa
Re Bibi alle strette, ora parla di “persecuzione politica”
di Fabio Scuto


L’uomo che un tempo era il capo di Gabinetto di Benjamin Netanyahu potrebbe averne l’altra sera decretato l’inizio della parabola discendente. Avichai Mandelblit oggi è il procuratore generale dello Stato d’Israele, capo dell’ufficio che in 57 pagine ha riassunto i capi di imputazione contro il premier uscente che vanno dalla frode alla corruzione, alla violazione della fiducia. Un pacchetto di accuse serie messo insieme in due anni di indagini serrate dalla Lahav 433, l’unità speciale contro la frode e la corruzione, arricchite dalle testimonianze di tre ex intimi collaboratori di Bibi, che hanno collaborato in cambio di un declassamento delle accuse contro di loro.
L’annuncio, anche se ampiamente previsto nei tempi, è piovuto nel pieno della campagna elettorale per le elezioni del 9 aprile che si annunciano come quelle che dopo 13 anni potrebbero segnare la fine del regno di “King Bibi”. Lui – consapevole che questa potrebbe essere la sua ultima battaglia – promette di vender cara la pelle e parla di “persecuzione politica”. Ha imbarcato nel suo schieramento l’ultra destra razzista e xenofoba dei ‘kahanisti’, messi fuorilegge negli anni Novanta e adesso tornati sotto altre sigle, e poi coloni messianici, frange violente del tifo calcistico, per far fronte alla avanzata dell’Alleanza dei generali, i suoi sfidanti: Benny Gantz, Moshe Yaalon e Gabi Askenazi. I tre ex comandanti in capo dell’IDF hanno una fila di medaglie lunga un metro ciascuno e il vento in poppa nei sondaggi, staccano il Likud di Netanyahu di ben 6 seggi. Gantz, che dirige l’Alleanza “Kahol Lavan” (Blu e Bianco, la bandiera di Israele) insieme a Yair Lapid, ha invitato Netanyahu alle dimissioni dopo la formalizzazione delle accuse.
I sedici minuti di discorso di Netanyahu via tv e Facebook l’altra sera sono stati solo il primo assaggio del suo schema di difesa che sembra mutuato da quello del suo sostenitore Donald Trump nei confronti delle indagini dell’Fbi sui di lui: delegittimare chi lo accusa. “Questo intero castello di carte crollerà – ha detto – ne sono assolutamente certo e intendo servire il Paese per molti anni a venire”. E fino a quando al processo non sarà condannato, potrà continuare a servire come primo ministro, a condizione che il suo partito – il Likud – vinca le elezioni della Knesset e rimanga al potere.
La decisione di Mendelblit arriva dopo mesi di lunghe discussioni che hanno coinvolto venti alti funzionari del ministero della Giustizia. Circa 140 testimoni sono stati ascoltati, alcuni hanno fornito prove come gli ex collaboratori del premier Ari Harow , Shlomo Filber e Nir Hefetz; anche cinque ministri del governo attuali o precedenti – Yair Lapid, Gilad Erdan, Yariv Levin, Zeev Elkin e Tzipi Livni – hanno deposto davanti ai giudici.
Benjamin Netanyahu, il Likud e i partiti alleati hanno fatto di tutto perché l’ufficio del Procuratore Generale si pronunciasse dopo il voto del 9 aprile sostenendo che la decisione di Mandelblit avrebbe “influenzato il voto e minato la democrazia”. “Il processo – accusano – è stato spinto dalla pressione dei media e della sinistra”. La decisione di Mandelblit non è definitiva. Netanyahu avrà l’opportunità di capovolgerla in un’audizione che si terrà nei mesi successivi al giorno delle elezioni del 9 aprile. Nell’udienza preliminare l’accusa presenterà tutte le sue prove contro il premier, sarà la prima volta che il collegio di difesa di Netanyahu potrà consultarle nella loro interezza. Il processo potrebbe richiedere fino a un anno. I giudici di Israele hanno già dato prova di non farsi influenzare dalla caratura dei personaggi sotto accusati. In un recente passato hanno condannato un capo dello Stato (Moshe Katsav per molestie sessuali), un vice-premier (Ehud Olmert per corruzione), un ministro ortodosso per bustarelle e un altro per spionaggio. Non si faranno intimidire da Bibi Netanyahu.