Repubblica 8.2.19
Il Paese che non cresce
Recessione demografica
di Alessandro Rosina
Se
l’Italia economica è in recessione tecnica, l’Italia demografica è in
recessione cronica. Il segno meno sulla popolazione italiana persiste
dal 2015, come certificato dagli ultimi dati Istat. Abbiamo buone
ragioni per temere di trovarci nell’anticamera di una lunga fase di
declino destinata a caratterizzare il resto del secolo. Non siamo i
soli, ma siamo più soli degli altri. In un’Europa che vede diminuire il
suo peso nel mondo, l’Italia mostra di anticipare e accentuare tale
tendenza: nessun altro grande paese europeo si trova in sistematica
diminuzione. La Spagna ha superato i 46 milioni di abitanti nel 2008, ha
subito una frenata negli anni acuti della crisi, ma ha poi ripreso a
salire avvicinandosi ai 47 milioni. Più solida la crescita della
Germania che ha guadagnato oltre un milione e mezzo di residenti dal
2015. Simile la situazione del Regno Unito. A metà tra Germania e Spagna
si colloca invece la Francia.
L’Italia, che era nella top 10 dei
paesi più popolati al mondo a metà del secolo scorso, ora non è più
nemmeno nella top 20 ed è destinata a scendere sempre più in basso nei
prossimi decenni. Il nostro peso relativo sul pianeta è sceso sotto lo
0,8 percento. Cina e India assieme superano il 35 percento. È evidente,
da questi numeri, come avere ruolo in un’Europa che ha un suo ruolo nel
mondo sia l’unico modo per non diventare del tutto marginali. I dati
demografici ci dicono però che manteniamo il non invidiabile podio
mondiale dei paesi con più intenso invecchiamento della popolazione.
Anche su questo punto anticipiamo e accentuiamo le tendenze: nel
continente più vecchio l’Italia è il paese con più alta percentuale di
anziani. Nel mondo l’incidenza di chi ha 65 anni e oltre è sotto il 10
percento. Tra i grandi paesi europei Francia, Spagna e Regno Unito si
mantengono ancora sotto il 20 percento. La Germania arriva a superare il
21 percento. I recenti dati Istat posizionano il nostro paese al 22,8
percento.
In un editoriale di Neodemos, la rivista online dei
demografi, l’Italia è ritratta come «un sottomarino che sembra aver
perso la spinta per riemergere » , bloccato sul fondo da una "questione
demografica" di cui c’è bassa consapevolezza e scarsa capacità di cura.
La popolazione è come un organismo che per crescere ha bisogno di essere
alimentato. A sostenerla sono le nascite e gli arrivi dall’estero.
L’immigrazione è stata rilevante negli anni precedenti la crisi, ma è
scoraggiata dalla bassa crescita economica ed è disincentivata oggi
dalle forze politicamente maggioritarie nel paese. In compenso non viene
offerto nessun solido e convincente rafforzamento dell’altra fonte
della crescita demografica, ovvero la natalità. Tant’è vero che il
numero medio di figli per donna rimane inchiodato ai livelli più bassi
in Europa. Nelle scelte di vita dei cittadini italiani la ripresa post
crisi non si è ( ancora) vista. La fecondità anziché diminuire dopo la
lunga congiuntura negativa e poi risalire, sembra essersi solo
riposizionata su livelli più bassi. Evidentemente non appare solido il
miglioramento delle condizioni economiche dei giovani e delle famiglie, o
non ancorato a politiche credibili di sviluppo in grado di rilanciare
la fiducia del paese verso il futuro. Ecco allora che le nascite del
2018 risultano ridotte del 22 per cento rispetto al dato del 2008.
Oltre
ad aver reso deboli le entrate abbiamo nel contempo rafforzato le
uscite. Il quadro di incertezza non solo tiene bassa la fecondità ma
incentiva anche la scelta di cercare migliori opportunità altrove. Le
emigrazioni nel 2018 sono salite a 160mila. Fatto che contribuisce
ulteriormente a far diminuire la popolazione e aumentare il peso della
componente anziana. Più che il declino della popolazione preoccupa la
struttura sempre più indebolita sul versante delle nuove generazioni,
sia per i vincoli che pone allo sviluppo economico e alla sostenibilità
sociale, sia perché denatalità ed espatri sono spie sensibili delle
difficoltà a costruire un futuro solido per sé e per chi verrà dopo. Se
rinunciamo a questo rimane solo la rassegnazione e l’assuefazione a
questi e a peggiori dati.