il manifesto 8.2.19
L'ex diplomatico Sergio Romano: «Mai uno scontro così grave dai tempi del fascismo»
Crisi
Italia-Francia. Intervista all'ex diplomatico, autore di saggi e
pamphlet che spiega: "Con Parigi una storia di screzi fin dai tempi
della Disfida di Barletta. Di recente si erano però sempre ricomposti
per il comune spirito europeista. Con la posizione assunta dal governo
Roma ora è impossibile"
di Guido Caldiron
Ambasciatore
Romano, dopo l’endorsement di Di Maio ai gilet gialli Parigi ha
richiamato l’ambasciatore e definito quelli italiani come «attacchi
senza precedenti»: non le sembrano toni eccessivi?
Al contrario,
ritengo che ciò che hanno fatto gli esponenti dei 5Stelle sia davvero
grave. Se il rappresentante di un governo, che ricopre tra l’altro una
carica molto importante come quella di vicepresidente del Consiglio,
considera i leader di un movimento straniero – talvolta definito come
semi-insurrezionale e le cui azioni sono state accompagnate spesso da
tale violenza da imbarazzare anche alcuni dei suoi stessi animatori –
come propri interlocutori è inevitabile che i rappresentanti delle
istituzioni di quel paese si arrabbino. E anche molto. Inoltre, si deve
ricordare come tutto ciò accada dopo una lunga serie di screzi che
intercorrono tra i due governi.
Ma non si tratta certo della prima controversia che oppone i due paesi…
Certo,
ma ora le cose sono diverse. Le faccio un esempio estremo per farle
capire come vedo le cose: quando Mitterand dette asilo agli italiani che
il nostro paese considerava terroristi noi ci arrabbiamo parecchio, ma
tutto sommato quello poteva apparire come un gesto umanitario, seppure
con evidenti risvolti politici. Ora, invece, parlare con un
rappresentante dei gilet gialli, alla luce di quanto sta accadendo in
Francia, è una vera e propria provocazione. E alle provocazioni si
reagisce. Ciò detto, la formula utilizzata, il ritiro dell’ambasciatore
per consultazioni, non significa certo la rottura delle relazioni
diplomatiche ma serve ad evidenziare il grado di malumore che si respira
a Parigi.
La sua carriera diplomatica è passata anche per la
Francia e qualche anno fa dedicò un volume – «Un’amicizia difficile»
(Ponte alle Grazie, 2001), firmato con l’ex ambasciatore in Italia,
Gilles Martinet -, proprio alle complesse relazioni italo-francesi.
Questa querelle ha un lungo retroterra storico?
Senza dubbio. Se
dovessi compilare una lista aneddotica degli scontri tra Italia e
Francia degli ultimi decenni, per non dire degli ultimi secoli, avrei
diverse pagine da riempire. Perché paradossalmente questi due paesi che
hanno lavorato insieme per la costruzione dell’Europa, hanno un cospicuo
passato fatto di bisticci e dispetti reciproci: dai tempi della Disfida
di Barletta, passando per i Medici e i Savoia, fino a Berlusconi e
Sarkozy. Eppure scontri della gravità di quello cui assistiamo oggi non
credo abbiano precedenti, se non durante il regime fascista, quando – il
10 giugno del 1940 – l’Italia dichiarò guerra ad una Francia stremata.
Quella che i francesi definirono, e non a torto, come «una pugnalata
alla schiena» da parte del nostro paese.
Ma, sul piano storico, a cosa si è dovuta questa costante difficoltà?
È
davvero una vecchia storia nella quale si intrecciano interessi e mire
reciproche. Da qualcosa però si può partire. Nella formazione del loro
Stato nazionale, gli italiani hanno potuto godere di un aiuto
determinante da parte di Napoleone III che però non riteneva che quello
sforzo dovesse legittimare il desiderio di fare di Roma la capitale del
paese. Questo perché nell’ottica dei francesi la Città eterna, di epoca
papalina, era intangibile politicamente e, soprattutto, doveva
continuare a godere di una relazione speciale con Parigi che se ne
considerava la protettrice naturale. Da allora, di vicende
contraddittorie se ne sono accumulate altre, anche se alla fine si è
arrivati ad un cammino comune in chiave europea.
Non crede che
quanto accade ora vada però letto anche nella prospettiva delle elezioni
europee: i gialloverdi cercano lo scontro con Macron che è l’ultimo
leader europeista in sella, visto che Merkel ha già annunciato il
ritiro, mentre l’Eliseo si è posizionato su una linea anti-sovranista,
quella incarnata da Roma. Le due parti appaiono così come «il nemico
ideale» l’una dell’altra.
In parte è sicuramente questo il quadro
all’interno del quale va inserito quanto è accaduto. Ma non si deve
dimenticare anche l’altro elemento di novità rispetto alla lunga serie
di querelle che abbiamo ricordato fin qui. Vale a dire che avvenivano
all’interno di «uno spazio» alla cui creazione avevano contribuito sia
l’Italia che la Francia: la casa comune europea. Ora, invece, il governo
italiano non solo non è interessato a questo progetto comune, ma lo
presenta come «una sventura» o «una minaccia». Perciò ritengo che la
situazione sia grave. I 5Stelle sostenendo i gilet gialli hanno voluto
creare un «casus belli» all’interno della Ue senza curarsi e anzi
investendo sulle possibili conseguenze della loro azione. Un tempo ci si
sarebbe riconciliati alla luce della comune prospettiva europea. Ma non
è quello che vuole l’attuale governo italiano.