Corriere 8.2.19
Nello scontro con Parigi l’Italia ha più da perdere
di Massimo Nava
In
diplomazia, il richiamo del proprio ambasciatore è un forte segnale di
tensione, di disagio per un torto subito, di incomprensioni. Di solito,
non succede fra Paesi con una lunga tradizione di amicizia e
cooperazione nei campi più diversi. Di solito, bastano una telefonata
fra ministri o un gesto distensivo da una parte o dall’altra, a
prescindere dai torti reciproci. Se addirittura occorre risalire al
tempo di guerra per avvertire un simile livello di scontro, significa
che la corda, tirata troppo a lungo negli ultimi mesi, si è davvero
spezzata. Si dice che a volte le parole sono pietre. In politica (e in
campagna elettorale) sono pietre pesanti, perché fanno danni proprio in
quegli ambiti in cui andrebbero « maneggiate » con cura e attenzione, a
cominciare dalla comunità degli affari e dalle relazioni industriali,
pubbliche e private, per non parlare della sensibilità collettiva,
fragile e suscettibile quando si agitano le bandiere della rivalsa e del
patriottismo da bar.
Come si è arrivati a questo punto è
facilmente sotto gli occhi di tutti, dato che le opinioni pubbliche
francese e italiana assistono da mesi a uno stillicidio di dispetti,
giudizi malevoli, incursioni a gamba tesa nella politica altrui. Sul
conto francese vanno messe le rudezze della polizia alla frontiera di
Ventimiglia, le ambiguità sul dossier Libia, i calcoli nazionali di
convenienza sul dossier Fincantieri, la scarsa disponibilità sul fronte
migrazioni, il giudizio sprezzante del presidente Macron a proposito di
nazionalismi e populismi paragonati alla «lebbra» o quell’aggettivo
«vomitevole» pronunciato a suo tempo da un portavoce di En Marche a
proposito della politica dei respingimenti del nostro ministro degli
interni.
Sul conto italiano vanno messe le incursioni del governo
in carica a sostegno dei gilet gialli (che sono cosa diversa da
gemellaggi fra partiti e leader), il voltafaccia sulla Tav, le
affermazioni strumentali sulla « Francia coloniale » (con astruse teorie
sul ruolo politico della moneta Cfa), l’imbarazzante cattivo gusto di
molte battute nei confronti del presidente della Repubblica e infine un
atteggiamento tendente a considerare la Francia un avversario scomodo (e
non un prezioso alleato) nelle complesse negoziazioni in sede europea.
Più
difficile comprendere come ricucire in fretta i rapporti, anche se la
nota francese sembra volere medicare subito lo strappo «per ritrovare
una relazione di amicizia e rispetto reciproco all’altezza della nostra
storia e del nostro destino comune». Basterebbe aggiungere «all’altezza
dei nostri interessi comuni» per rendersi conto di quanto sia assurdo
mettere a rischio la vastissima rete di rapporti economici, culturali,
militari e umani a colpi di malintesi e insinuazioni.
Confronto
Le opinioni pubbliche assistono da mesi
a incursioni a gamba tesa nella politica altrui
Alla
nota francese ha fatto subito eco la dichiarazione distensiva di Luigi
di Maio, fedele al metodo collaudato di confondere la rete con battute
uguali e contrarie. Ma fra freni e acceleratori è evidente un pericoloso
e isterico gioco delle parti a fini elettorali. Ciò che dovrebbe essere
materia di satira o scherno benevolo fra vecchi amici, diventa rivalsa,
sospetto, casus belli. Il
governo gialloverde ha bisogno di
nemici esterni e capri espiatori per galvanizzare un elettorato
disorientato dalle risse interne e deluso dai risultati. Il presidente
Macron, in calo nei sondaggi e sotto scacco da dodici settimane per le
proteste dei gilet gialli teme il contagio elettorale e attacca il
bersaglio più pericoloso, il Paese in cui il populismo ha vinto e
governa.
E’ vero che motivi di attrito non sono mancati né ieri,
né oggi, con i diversi governi e nelle diverse stagioni. Basti ricordare
i sorrisetti sprezzanti di Sarkozy all’indirizzo di Berlusconi o
l’incomprensibile protezione «culturale» e giudiziaria accordata all’ex
terrorista Battisti, anche se il nostro ministro degli interni dovrebbe
sapere quanto siano complesse da caso a caso le procedure di
estradizione degli altri ex terroristi che vivono in Francia. Cosi come
occorre ricordare che la Francia ha spesso inteso a senso unico la
cooperazione industriale, alzando barriere ogni volta che è stato
possibile e favorendo invece incursioni finanziarie piuttosto
spregiudicate. Basti citare un nome su tutti, Vincent Bolloré.
È
tuttavia soprattutto vero che l’Italia ha molto più da perdere dallo
scontro, cacciandosi in una posizione di orgoglioso isolamento, proprio
nel momento in cui è sempre più stretto il rapporto fra Berlino e
Parigi. Ogni governo ha il diritto di portare avanti la propria visione
politica. Altra cosa è farlo con battute offensive o dando aperto
sostegno a gruppi di dimostranti, senza calcolare che dispetti e battute
possono tornare al mittente. Con gli interessi. Il che, prima di essere
un peccato di orgoglio, è un errore strategico.