Repubblica 7.2.19
Prodi
"Al Pd serve un padre Zingaretti può diventarlo decisivo votare alle primarie"
Intervista di Andrea Bonanni
L’ex
premier: "L’affluenza sarà fondamentale, un leader prende forza dal suo
popolo. Importante il segnale delle regionali, alle europee va fermata
la tendenza nazionalista e autoritaria dei populisti"
BOLOGNA
«Da ormai troppo tempo ci si azzuffa nel governo e nel Pd.
Eppure l’Italia e il Pd avrebbero tanto bisogno di un padre: è un sentimento che vedo crescere in tutti gli italiani.»
Presidente Prodi, ma il padre del Pd non sarebbe lei?
«Al massimo io sono un nonno.
Uno che fa molte prediche e cerca di ispirare buoni comportamenti E tale voglio rimanere».
Quali buoni comportamenti?
«Il
primo è quello di andare assolutamente a votare alle primarie.
L’affluenza ai gazebo avrà un’importanza enorme. Il numero degli
elettori dovrà essere così elevato da dimostrare che il Partito
democratico si pone come un’alternativa credibile: oggi è l’unica
alternativa possibile.
Andare a votare significa affermare la
nostra identità. E il vincitore del confronto deve essere il leader
indiscusso del partito. Basta leadership per interposta persona».
Un padre, dice?
«Certo.
Usciamo da anni in cui sia il partito, sia il Paese, si sono estenuati
in diatribe continue, rancori, isterismi, proclami ignoranti e liste di
proscrizione.
Per il Paese, spero che il padre non sia qualcuno
che ha sempre bisogno di mettersi in divisa per apparire forte. Per il
Partito democratico c’è bisogno di una figura autorevole, che sappia
finalmente ascoltare, riconciliare, tranquillizzare ma anche decidere».
Questa figura può essere Zingaretti?
«Se
intensifica il lavoro di allargamento e di pacificazione che ha
iniziato, le sue possibilità sono molte, ma lo dovranno decidere le
centinaia di migliaia di cittadini che voteranno alle primarie. Un
leader prende forza dal suo popolo. E per dare forza alle primarie
saranno di grande importanza i segnali che manderanno le elezioni in
Abruzzo e in Sardegna. Il Pd ha in entrambi i casi i candidati più
autorevoli: sono fiducioso proprio perché sento che si sta esaurendo il
tempo nel quale competenza ed esperienza sono visti come un valore
negativo. E poi, naturalmente, ci saranno le europee».
Le elezioni
europee si avvicinano mentre i due partiti populisti al governo
polemizzano con Bruxelles, con Parigi, con Berlino e perfino con
l’Olanda. E invece il campo progressista stenta a ritrovarsi sotto la
bandiera europea.
Dovunque governino gli antieuropeisti, dalla
Gran Bretagna all’Ungheria alla Polonia, le bandiere dell’Europa
sventolano in piazza come segno di protesta.
Qui da noi non sventola nulla...
«Le
vedremo, le bandiere dell’Europa. Forse non si è ancora riflettuto
abbastanza sull’importanza di ritrovarci sotto simboli comuni. Per
questo ho lanciato l’idea che il 21 marzo in tutte le case si esponga la
bandiera europea accanto a quella italiana. L’Unione europea è
indispensabile per il nostro benessere e per il nostro futuro di
cittadini liberi. Dobbiamo capirlo e dobbiamo dirlo con forza».
Invece gli italiani sembrano diventati euroscettici...
«Quando
abbiamo fatto l’euro e quando abbiamo voluto l’allargamento, gli
italiani erano i più decisi sostenitori di quelle scelte. E sa perché?
Perché capivano che l’Europa prendeva decisioni per il futuro di tutti.
Ma da allora questa capacità di prender decisioni si è indebolita
nell’Ue. Con la bocciatura del progetto di Costituzione da parte dei
francesi, il potere è passato dalla Commissione al Consiglio. È
ritornato agli stati membri. Non si guarda più al bene collettivo ma
all’interesse nazionale. I populisti vorrebbero accentuare ancora questa
rinazionalizzazione del nostro destino. Le prossime elezioni europee
devono ribaltare questa tendenza».
Che valore politico ha, oggi, la bandiera europea?
«Innanzitutto
rappresenta il nostro futuro, quello dei nostri figli e dei nostri
nipoti. Come ripeto sempre agli studenti, gli italiani sono quelli che
meglio dovrebbero capirlo. Nel Rinascimento l’Italia dominava il mondo.
Ma gli staterelli italiani divisi furono spazzati via dalla prima
globalizzazione della storia: la scoperta dell’America. Oggi, con la
globalizzazione totale, neppure la Germania, da sola, ha la forza di
costruire le nuove caravelle, che si chiamano Google, Amazon, Alibaba,
Tencent, Microsoft. Dobbiamo fare l’Europa prima che l’intelligenza
artificale e la rete 5G ci distruggano completamente».
Non sembra proprio l’aria che tira, presidente.
Tantomeno in Italia...
«Questa
maggioranza ha dovuto intanto prendere atto che chiedere l’uscita
dall’euro e dall’Unione europea sarebbe un suicidio, anche se non perde
occasione per sparare sulla Francia, sulla Germania e persino
sull’Olanda, per soffiare sul fuoco del nazionalismo come ha fatto su
quello del razzismo e della xenofobia. Vogliono un’Europa debole e
divisa perché vogliono una società debole anche in Italia.
Si
tratta di forze che praticano una politica autoritaria e verticale,
dall’alto verso il basso, ignorando i corpi intermedi e la società
civile, che siano i sindacati, gli enti locali, le imprese o la stampa.
Persino il Parlamento è stato svuotato della sua funzione, violando nei
fatti il dettato costituzionale. Certo, quello dell’autoritarismo è un
vento che soffia su tutto il mondo.
Ma la complessità e la
ricchezza del tessuto democratico sono gli elementi costitutivi
dell’Europa e della nostra libertà. Anche per questo dobbiamo
difenderla».
E invece nel Pd sono riusciti a produrre due
manifesti sull’Europa: quello di Calenda e quello degli eurodeputati.
Non le sembra un po’ troppo?
«I valori, i concetti e i programmi
dei due manifesti sono identici e condivisi da tutti. Le divergenze sono
su come applicarli».
Grande coalizione europeista o liste separate che corrono in parallelo?
«Ma
è proprio questo il punto. Si tratta di decisioni solo pragmatiche, da
prendere tenendo in considerazione che esiste il sistema proporzionale
ma esiste anche la soglia di sbarramento del 4 per cento. Gli europeisti
devono muoversi in modo da ottimizzare il loro risultato complessivo. E
queste decisioni spettano al nuovo leader del Partito democratico. Per
questo deve ricevere una investitura popolare forte, tale da conferirgli
di fatto la paternità non solo del partito ma di quella maggioranza di
italiani che continua a credere nell’Europa.
Come me».
Consigli al presidente del Lazio? Intensificare il lavoro di allargamento e di pacificazione che ha iniziato
L’Europa è la garanzia della nostra libertà, dobbiamo farla prima che intelligenza artificiale e rete 5G ci distruggano
Il professore
Romano Prodi, 79 anni, due volte presidente del Consiglio, ha guidato la Commissione europea dal 1999 al 2004