Repubblica 7.2.19
Englaro
“Eluana è viva perché dieci anni fa ci ha insegnato a dire no”
Intervista di Piero Colaprico
Signor
Beppino Englaro, 9 febbraio 2009, dieci anni senza Eluana, più
diciassette anni di Eluana in stato vegetativo, dal gennaio 1992. Eppure
Eluana non scompare: da padre come lo spiega?
«Perché è un grande
caso costituzionale e riguarda il problema universale della vita e
della morte. Eluana ha esercitato sino in fondo la libertà assoluta di
esprimere diritti fondamentali, come l’autodeterminazione. Con nostra
figlia si è capito che si può dire “no, grazie” alle cure, e dirlo in
qualsiasi momento».
Da destra dicevano provocatoriamente che lei
stava usando la sua tragedia familiare per entrare in politica. Nei
fatti li ha smentiti, ma glie l’hanno chiesto?
«Sì, altroché,
inutile dire chi. Ho detto no perché non sono un politico e non lo sarò
mai. Sono stato il capofamiglia carnico. Gli uomini della mia
generazione sentivano forte il dovere di tutelare ogni componente della
famiglia, tutto qui, un classico».
Però contro la scelta degli Englaro è stata organizzata una massiccia campagna politica.
Per
esempio c’era la processione di chi portava l’acqua perché Eluana stava
morendo, così sostenevano, di fame e di sete. Lei che pensava?
«Che
erano completamente fuori dalla vicenda. La medicina non è una scienza
assoluta, ma i medici, Carlo Alberto De Fanti in primis, dopo i suoi
attenti esami, ci dissero che Eluana non aveva alcuna sensazione di fame
e sete. Hanno voluto giocare pesante, in modo violento, fuorviando le
persone meno attrezzate culturalmente.
Alla fine, più che seminare confusione e cattiverie non hanno ottenuto».
Chi ha visto Eluana tutto poteva dire meno che fosse “tranquilla e serena”, come pure è stato scritto…
«Eluana
non era né una malata terminale né una morta cerebrale, respirava, non
deglutiva da sola, ed era morta dal punto di vista biografico. Come ha
scritto Ceronetti, era “priva di morte e orfana di vita”. Definirla
tranquilla è terribile».
E sentire Silvio Berlusconi affermare che avrebbe potuto restare incinta?
«O
non sapeva quello che diceva o è stato consigliato male da chi stava
intorno a lui. Peggio di così non avrebbe potuto esprimersi, e non credo
che anche lui volesse giocare a effetto, dicendo simili parole penose».
Lei all’inizio disse: “Darò voce a mia figlia senza voce”.
Sente di esserci riuscito?
«Senza
il minimo dubbio, sin dal primo colloquio con i medici io e mia moglie
Sati avevamo espresso le idee di Eluana e, quindici anni dopo
l’incidente, troviamo la sua lettera, in cui scrive che siamo un gruppo
familiare molto forte, che siamo un nucleo affettuoso sul quale contare,
e condividiamo i grandi valori. I genitori che hanno avuto questo
privilegio cosa potevano fare se non darvi seguito? Se ho parlato io è
solo perché mia moglie non resisteva al dolore che provavamo».
Com’è venuta l’idea di muoversi attraverso la giustizia civile?
«Per
la verità, per quattro anni siamo stati due randagi che abbaiavano alla
luna. Poi ho trovato a Milano la Consulta di bioetica e così abbiamo
dato il via a una strategia giurisdizionale di legalità dentro la
società. Allora non era quasi concepito che qualcuno potesse dire ai
medici: non voglio le cure. La cultura della società di allora non
accettava la scelta di Eluana, e di questo ce ne siamo accorti cadendoci
dentro, vedendo che nostra figlia veniva trattata come mai avrebbe
voluto.
Noi eravamo persone comuni, avevamo contro partiti e non
solo, ma la magistratura, dalla suprema corte di Cassazione in poi, s’è
comportata alla grande. I giudici non sono stati servi di alcun potere
esterno, hanno risposto al meglio del meglio».
Mettendoci molto tempo, o no?
«No,
sono stati serissimi, non hanno lasciato nulla al caso, hanno richiesto
persino un curatore speciale in contradditorio al tutore, che ero io,
proprio per cautelarsi al massimo. Ma non potevano non scoprire che i
convincimenti di Eluana erano fissati sin dal primo giorno. La nostra
forza sono state la semplicità e la trasparenza, ripetevamo sempre e
solo le stesse cose, che corrispondevano alla realtà».
Che cos’ha dato fastidio degli Englaro?
«Credo
la mancanza d’ipocrisia, il nostro rivendicare la libertà dei singoli,
avere la Costituzione come legge suprema e aver mosso ogni passo alla
luce del sole, in base alle leggi. Infatti, adesso c’è una nuova legge,
la 219 sul biotestamento, entrata in vigore il 31 gennaio 2018,
allineata alle sentenze Englaro e alla Costituzione».
Non ha l’impressione che il dibattito sul fine vita sia ormai esile?
«No, non langue, è cambiato.
Adesso
c’è questa legge che è “facoltizzante”, cioè dà la facoltà di
scegliere. Noi abbiamo trovato il deserto e i pericoli, adesso chi vuole
ha le prove provate dei pericoli che corre se non stabilisce il suo
“fine vita”. Vuoi essere curato? Non vuoi essere curato?
Siccome
non c’è chi possa decidere al posto nostro, siamo noi che, fatto
l’approfondimento, dobbiamo far sapere la scelta che abbiamo fatto
attraverso le nostre disposizioni».
E se uno non ha le idee chiare?
«Purtroppo
resta in balìa del posto dove arriva per esempio dopo un grave
situazione clinica e son dolori, si rischia la tragedia nella tragedia.
Eluana, da purosangue della libertà, avrebbe detto no grazie appena
finita l’emergenza.
Purtroppo per la medicina ancora oggi tutto quello che non è morte cerebrale è vita».
Eluana,
dj Fabo, Welby, sono aspetti diversi di come ci si pone davanti al fine
vita. Ma a volte sembra una sorta di “mischione”, o no?
«C’è chi
vuole fare confusione, ma non è così, anche se il tema generale e comune
resta l’autodeterminazione. Eluana però nulla c’entra con l’eutanasia o
il suicidio assistito, per lei il tema era il rifiuto delle terapie. Ma
Marco Cappato sta cercando di andare oltre e fa bene a cercare una
risposta legale ad altre esigenze che meritano di essere prese
seriamente in considerazione».