Repubblica 4.2.19
Lo scenario
Come cambia la politica Usa
L’ora delle donne contro Trump. Ma basterà per vincere nel 2020?
di Anna Lombardi
Di che cosa stiamo parlando
Domani
sera Trump arringherà l’America con quel discorso sullo Stato
dell’Unione che fa il punto sull’anno trascorso e annuncia le politiche a
venire. E che si tiene con una settimana di ritardo per lo shutdown. Ha
già annunciato che chiederà «unione e convergenza per tirar fuori il
Paese dallo stallo». Ma allo stesso tempo attaccherà i democratici su
clandestini e aborto. Alle sue spalle ci sarà Nancy Pelosi, che non cede
sul muro al confine col Messico. E sugli scranni le quattro donne che
sperano di sfidarlo alle presidenziali 2020.
NEW YORK
Per la prima volta nella storia della politica americana essere donna è
un assett e non uno svantaggio. Almeno nel partito democratico». Il
politologo americano Bruce Mirrof sintetizza benissimo la situazione in
cui Donald Trump si troverà domani quando salirà sul podio del Congresso
per pronunciare il suo discorso sullo Stato dell’Unione. Altro che
beato fra le donne. A ricordare a tutti chi ha vinto il braccio di ferro
dello shutdown costringendo il presidente a riaprire il governo
federale ci sarà, alle sue spalle, quella Nancy Pelosi, speaker della
Camera, che non ha ceduto sul muro al confine col Messico. In prima fila
la giudice costituzionale Ruth Bader Ginsburg, nuova icona femminista
al punto che il documentario RBG a lei dedicato è approdato perfino agli
Oscar. E sugli scranni le quattro donne già in gara per sfidarlo nel
2020: Elizabeth Warren, Kamala Harris, Tulsi Gabbard, Kirsten
Gillibrand. Di più. A rispondere al discorso ci sarà per la prima volta
una donna afroamericana. Stacey Abrams, l’avvocatessa che perse la gara a
governatore della Georgia a causa di una legge razzista che ha tenuto
lontano dalle urne migliaia di neri. Ma che già si distingue come nuova
ideologa del partito firmando su Foreign Affairs un articolo dove si
oppone alla visione di Francis Fukuyama: il filosofo della politica
secondo cui la sinistra è concentrata troppo «su battaglie identitarie a
favore di minoranze e donne: dimenticando la sua natura di paladina
della classe operaia». E invece proprio quella politica identitaria,
obietta Abrams, ha permesso nel 2018 ai democratici di riconquistare la
Camera: portando al Congresso il più alto numero di donne».
È
vero, l’America dal presidente più misogino della Storia a midterm ha
eletto 117 deputate e 12 senatrici. Un record. Eppure proprio Abrams,
con la sua sconfitta, rappresenta l’eccezione. Nel 2018 dodici donne
hanno corso per scranni di governatore, e soltanto 3 hanno vinto
portando a 9 su 50 il numero delle governatrici.
Affidarsi al
nuovo delle donne, che per quanto asset è comunque un asset divisorio,
davvero è la strada che nell’America già divisa può portare alla
sconfitta di Trump?
«La conquista di un ruolo di leadership resta
difficile. Ma d’altro canto i democratici dipendono sempre più
dall’attivismo femminile e da quello di altre minoranze oltraggiate da
Trump» insiste il professor Miroff che insegna a Suny, esperto di
campagne presidenziali a autore del saggio Presidents on political
ground.
«La politica americana non è fatta di strateghi che si
chiudono in una stanza per decidere chi deve prevalere. Ma di
convergenze. Ciascuno corre per sé, poi ci si mette d’accordo.
Alle
primarie democratiche una donna può farcela. Alle presidenziali è da
vedere» obietta il commentatore politico conservatore Michael Barone del
Washington Examiner: curatore di quell’Almanac of American Politics che
è il "chi è chi" della politica. «Per un anno i candidati dem si
butteranno sempre più a sinistra e i repubblicani più a destra: pronti a
schierarsi al centro quando inizierà la campagna elettorale vera. Chi è
abile lo farà senza dovere cambiare messaggio. Ma spesso è il
contrario: col rischio è di essere patetici e imbarazzanti scontentando
gli elettori.
Kamala Harris ed Elizabeth Warren ora sono forti
perché spingono a sinistra dove gli elettori dem, donne al 60 per cento,
sostengono proprio per battaglie identitarie. Se funzionerà nel 2020 è
presto per dirlo».
I numeri dicono che a midterm c’è stato il più
grande divario di genere della storia politica moderna: «I democratici
hanno ottenuto il 59% del voto femminile. I repubblicani solo il 40. Gli
uomini al contrario si sono divisi alla pari» ti spiega Helmut Norpoth,
prof essore di Scienza del Comportamento Politico a Stony Brook che nel
2016 col suo Primary Model statitstico fu il primo a predire la
vittoria di Donald Trump.
«Questo indica chiaramente dove bisogna andare a pescare.
Tante donne in gara non si erano mai viste: il 2020 sarà un passaggio storico per la politica americana».
A
distinguere le nuove candidate da Hillary Clinton che pure ha fatto da
battipista c’è d’altronde proprio la rivendicazione dell’esperienza
femminile lì dove Hillary preferiva ripetere: «Non corro in quanto
donna. Sono la più qualificata».
«Va riconosciuto alla Clinton di
avere dimostrato che un grande partito era pronto a rompere "il tetto di
cristallo" dandole la nomination» riflette Ellen Fitzpatrick, storica e
autrice di The Highest Glass Ceiling dove racconta tre casi di donne
che ben prima di Hillary tentarono la sfida. «Un sondaggio dice che il
90 per cento degli americani non avrà problemi a votare una donna
presidente: se sarà la donna giusta. Ma che cosa deve avere di magico
questa donna per essere accettata? Finora le candidate si sono scontrate
con ostacoli simili. Troppo ambigue, troppo aggressive, troppo
qualcosa».
Un invito al pragmatismo arriva da Alec Ross, l’autore
de Il nostro futuro, che nel 2008 aiutò Barack Obama a sviluppare
l’aspetto tecnologico della sua campagna e fu consigliere per
l’Innovazione della Clinton al Dipartimento di Stato: «L’attivismo
femminile è un fenomeno della costa: nel cuore bianco dell’America il 55
per cento delle donne preferì Trump. Bisogna partire da lì.
Consapevoli
che forse una donna non vincerà il voto dei maschi bianchi arrabbiati,
quella working class che ritiene di aver perso i suoi privilegi a favore
di altre comunità. Ma neanche Obama vinse col loro voto. Il problema
semmai è che Hillary perse soprattutto il voto delle donne. E non puoi
perdere tutti i voti dei bianchi. Nel partito ci sono figure che insieme
possono però prendere tutto. Penso a un ticket Joe Biden-Kamala Harris o
qualcosa di simile. Sì, nel ticket ci sarà una donna, non so in che
ruolo ma ne sono certo. Di più: non mi sorprenderebbe se Trump mollasse
Mike Pence per correre con Nikki Halley come vice, che forse proprio per
questo mollò a sorpresa il ruolo di ambasciatrice all’Onu. E allora,
che sfida».