lunedì 4 febbraio 2019

Repubblica 2.4.19
Macerata
Pamela, il " Lupo" e la città che in un anno ha sconfitto lo spaccio
di Carlo Bonini


Di che cosa stiamo parlando
La mattina del 3 febbraio del 2018 Luca Traini, 28 anni, di Tolentino, fascista dichiarato ed ex candidato locale della Lega, sale in auto con la sua Glock e spara contro i migranti nelle strade di Macerata. Ai carabinieri che lo arrestano dice di aver voluto vendicare Pamela Mastropietro, la diciottenne romana uccisa in modo atroce pochi giorni prima e per la cui morte è accusato un ragazzo nigeriano, Innocent Oseghale. Per il raid razzista, Traini è stato condannato il 3 ottobre scorso a dodici anni di carcere

MACERATA Un anno dopo lo scempio di Pamela Mastropietro e la mattanza del "Lupo" Luca Traini, Macerata resta un paradigma. Un cantiere, se si vuole. Ma dall’inerzia capovolta. Dove gli impresari della Paura si scoprono ora costretti a coltivare ossessivamente il culto di morti che non conviene seppellire.
Perché, cessata la materia del contendere, riportata la città a una quiete da borgo svizzero, si rivela improvvisamente l’abisso tra il reale e il narrato e una intera comunità comincia a misurare l’ipocrisia di un sillogismo — neri=droga — che avrebbe dovuto o vorrebbe assolvere la cattiva coscienza dei "bianchi", che quella droga consumano e quel mercato ingrassano.
Per raccontarlo conviene muovere ancora una volta dal "Lupo", che ieri, su questo giornale, si è raccontato a Ezio Mauro.
Condannato a 12 anni di reclusione per i colpi esplosi contro nove "neri" il 3 febbraio del 2018 e rinchiuso nel penitenziario di Ancona Montacuto, tre settimane fa, il 10 gennaio, prende carta e penna. E scrive. Una lettera di una pagina e mezzo indirizzata ad Antonio Pignataro, il questore di Macerata chiamato al capezzale della città dopo che i colpi della sua Glock 17 calibro 9x21 avevano colpito al cuore anche l’afasia dello Stato. Già, Pignataro. Il "Piña", come ha preso a chiamarlo qui chi non lo ama giocando lessicalmente con diminutivi da regimi sudamericani, lo sbirro cresciuto nella mobile palermitana di Cassarà, che ha tirato dritto come un fuso riuscendo a dimostrare che il principio di legalità non conosce il colore della pelle. E dunque può diventare una grana anche e soprattutto per i "bianchi", una volta tolti dal marciapiede "i neri che spacciano".
La lettera del "Lupo" ha una grafia ordinata, in stampatello maiuscolo, e non mostra incertezze nel tratto. Si legge: «Pregiatissimo, dottor Antonio Pignataro, questore di Macerata, mi permetto di scriverle per elogiare la sua opera di lotta al degrado cittadino e alla criminalità organizzata. Il suo lavoro, la sua battaglia contro lo spaccio di droga le ha attirato molte "antipatie" che ultimamente sfociano in scritte ingiuriose contro la sua persona.
Per quanto mi riguarda, lei, così come tutte le forze dell’ordine, state facendo un ottimo lavoro, che oltre ad appagarvi professionalmente, onora il vostro essere uomini nel tutelare la vita e il futuro dei cittadini, soprattutto dei più giovani».
Nel suo narcisismo, il "Lupo" parla evidentemente innanzitutto a sé stesso, ricorda il posto che si è dato nel mondo — di Giustiziere per conto della comunità — ma, in qualche modo, e come farà nella sua intervista a Repubblica, finisce con il privare di argomenti gli impresari della Paura che lo hanno prima ingrassato nelle sue ossessioni e, ora, vorrebbero espungerlo dalla memoria di questa storia, perché non più utile, al contrario di Pamela.
Prosegue Traini: «Con il vostro lavoro dimostrate che la speranza nella legge non è solo un’utopia da privato cittadino, anche se in stato di detenzione (per scontare la giusta pena delle mie azioni). La vorrei spronare a "fregarsene" delle minacce di pochi delinquenti che, evidentemente, in lei non vedono l’uomo di legge tutto di un pezzo che vedo io.
Concludo, augurando a lei e a tutti i rappresentanti della legge un buon lavoro e un 2019 ricco di successi sul "fronte giustizia" Con grandissima stima, le porgo i miei più cordiali saluti».
Già, non sanno più che farsene di Traini e del suo fantasma che rende le armi e si pente, gli sciacalli che, mercoledì sera, si sono ritrovati nei giardini di via Spalato, di fronte al civico 124, dove Pamela venne uccisa e smembrata. Non sanno che farsene dei numeri che indicano oggi Macerata diciannovesima su 110 città italiane per qualità della vita (10 posizioni più in alto dell’anno precedente). Dei giardini Diaz e del Parco di Fontescodella, fino a un anno fa piazza di spaccio a cielo aperto e oggi restituiti alla città, ai passeggini, al jogging e, ieri sotto il diluvio, al sit-in antirazzista degli studenti di "Officina Universitaria". Né di una giovanissima capo della squadra mobile, la napoletana Maria Raffaella Abbate, arrivata con Pignataro e che ha rivoltato la città come un calzino portando in un anno i cosiddetti indici di criminalità predatoria prossimi allo zero (14 rapine, nessuno scippo, nessun omicidio, 108 arrestati, oltre ventrirè chili di stupefacenti, cocaina, hashish, eroina, sequestrati al momento dello spaccio). O della circostanza che mai, forse, come in questo microcosmo, di fronte alla giustizia penale tutti si sono dimostrati uguali. Il bianco, Traini. E i neri, oggi sotto il tetto dello stesso carcere di Montacuto dove sconta la sua pena il "Lupo": Innocent Oseghale, nigeriano di 29 anni che tra una decina di giorni andrà a processo imputato come l’assassino di Pamela, e Gideon Azeke, 28 anni, nigeriano, ferito da Traini la mattina del 3 febbraio 2018 e arrestato due volte (a metà settembre e definitivamente a metà ottobre dello scorso anno) per spaccio di stupefacenti dalla stessa squadra mobile che lo aveva soccorso.
Casa Pound, Forza Nuova, Fratelli d’Italia, volevano una «messa solenne» che non hanno avuto per Pamela, ritenendo la preghiera officiata mercoledì sera dal parroco di santa Croce, don Alberto Forconi, una deminutio della memoria. E la voleva Deborah Pantana, consigliera comunale di Forza Italia, sconfitta nel ballottaggio del 2015 dal sindaco Pd Romano Carancini.
Con un cinismo degli argomenti e dei toni che ha finito per far saltare i nervi anche al vescovo di Macerata, Nazzareno Marconi, convinto che il silenzio della Chiesa, stavolta, non sarebbe stato sufficiente e dunque spinto a una nota ufficiale in cui si stigmatizza che «reiterare polemiche che già si erano dimostrate pretestuose lo scorso anno, rivela scarsità di argomenti e orizzonti politici meschini».
Del resto, nell’agenda politica locale della Paura, le date continuano ad essere due: le elezioni europee in primavera e, il prossimo anno, il voto per Comune e la Regione. E questo impone di continuare a cingere d’assedio emotivamente e politicamente la città. Come racconta anche solo il linguaggio del corpo del sindaco Pd Romano Carancini, orfano di un partito evaporato con le elezioni del 4 marzo, e i cui iscritti, per dirne una, hanno votato in 90 su 195 alle ultime primarie per i candidati alla segreteria. «Se mi si passa l’immagine, è come dopo un terremoto — dice— Le scosse di assestamento continuano. Ma almeno, ora, il quadro credo sia chiaro a tutti. Per Salvini e la destra che ha cavalcato la sua morte dal primo istante, Pamela deve restare viva fino al 2020. E quindi anche le polemiche di queste ore, l’accusa al sottoscritto di non aver voluto commemorare la ragazza, servono solo a creare un’equazione oscena secondo cui il Pd e il sottoscritto porterebbero il peso politico di quello che è successo. Vogliono tenere in catene la città, perché nessuno veda la strada che è stata fatta in questo anno. Non vogliono, come succederà, che la morte di Pamela e quel che è accaduto da lì in avanti vengano ricordati, come sarà, il prossimo 18 febbraio nell’unico luogo laico deputato a farlo: il nostro consiglio comunale. Non vogliono parlare di ciò che è successo dal 3 febbraio 2018 in poi». Dunque, di dodici mesi di cura da cavallo, come si diceva.
Documentata dalla media di 20 patenti a sera ritirate nei week-end ai positivi al narcotest o dalle ordinanze che hanno vietato la vendita di cannabis light in tutta la città e limitato le licenze per il gioco alle slot vietandolo dalle 7 alle 10 di mattina e dalle 3 del pomeriggio alle 8 di sera. In una guerra dichiarata al traffico, spaccio e consumo di stupefacenti che ha portato comune e forze di polizia nelle scuole medie, e convinto a difendere il progetto Sprar di accoglienza dei migranti che il decreto sicurezza Salvini ha destinato a futura estinzione.
Quello Sprar che ha consentito a due delle sei vittime del "Lupo" di trovare un lavoro nel comune di Servigliano. Ma questo, appunto, meglio non dirlo. Non fa paura.