Repubblica 2.4.19
Macerata
Pamela, il " Lupo" e la città che in un anno ha sconfitto lo spaccio
di Carlo Bonini
Di che cosa stiamo parlando
La
mattina del 3 febbraio del 2018 Luca Traini, 28 anni, di Tolentino,
fascista dichiarato ed ex candidato locale della Lega, sale in auto con
la sua Glock e spara contro i migranti nelle strade di Macerata. Ai
carabinieri che lo arrestano dice di aver voluto vendicare Pamela
Mastropietro, la diciottenne romana uccisa in modo atroce pochi giorni
prima e per la cui morte è accusato un ragazzo nigeriano, Innocent
Oseghale. Per il raid razzista, Traini è stato condannato il 3 ottobre
scorso a dodici anni di carcere
MACERATA Un anno dopo
lo scempio di Pamela Mastropietro e la mattanza del "Lupo" Luca Traini,
Macerata resta un paradigma. Un cantiere, se si vuole. Ma dall’inerzia
capovolta. Dove gli impresari della Paura si scoprono ora costretti a
coltivare ossessivamente il culto di morti che non conviene seppellire.
Perché,
cessata la materia del contendere, riportata la città a una quiete da
borgo svizzero, si rivela improvvisamente l’abisso tra il reale e il
narrato e una intera comunità comincia a misurare l’ipocrisia di un
sillogismo — neri=droga — che avrebbe dovuto o vorrebbe assolvere la
cattiva coscienza dei "bianchi", che quella droga consumano e quel
mercato ingrassano.
Per raccontarlo conviene muovere ancora una volta dal "Lupo", che ieri, su questo giornale, si è raccontato a Ezio Mauro.
Condannato
a 12 anni di reclusione per i colpi esplosi contro nove "neri" il 3
febbraio del 2018 e rinchiuso nel penitenziario di Ancona Montacuto, tre
settimane fa, il 10 gennaio, prende carta e penna. E scrive. Una
lettera di una pagina e mezzo indirizzata ad Antonio Pignataro, il
questore di Macerata chiamato al capezzale della città dopo che i colpi
della sua Glock 17 calibro 9x21 avevano colpito al cuore anche l’afasia
dello Stato. Già, Pignataro. Il "Piña", come ha preso a chiamarlo qui
chi non lo ama giocando lessicalmente con diminutivi da regimi
sudamericani, lo sbirro cresciuto nella mobile palermitana di Cassarà,
che ha tirato dritto come un fuso riuscendo a dimostrare che il
principio di legalità non conosce il colore della pelle. E dunque può
diventare una grana anche e soprattutto per i "bianchi", una volta tolti
dal marciapiede "i neri che spacciano".
La lettera del "Lupo" ha
una grafia ordinata, in stampatello maiuscolo, e non mostra incertezze
nel tratto. Si legge: «Pregiatissimo, dottor Antonio Pignataro, questore
di Macerata, mi permetto di scriverle per elogiare la sua opera di
lotta al degrado cittadino e alla criminalità organizzata. Il suo
lavoro, la sua battaglia contro lo spaccio di droga le ha attirato molte
"antipatie" che ultimamente sfociano in scritte ingiuriose contro la
sua persona.
Per quanto mi riguarda, lei, così come tutte le forze
dell’ordine, state facendo un ottimo lavoro, che oltre ad appagarvi
professionalmente, onora il vostro essere uomini nel tutelare la vita e
il futuro dei cittadini, soprattutto dei più giovani».
Nel suo
narcisismo, il "Lupo" parla evidentemente innanzitutto a sé stesso,
ricorda il posto che si è dato nel mondo — di Giustiziere per conto
della comunità — ma, in qualche modo, e come farà nella sua intervista a
Repubblica, finisce con il privare di argomenti gli impresari della
Paura che lo hanno prima ingrassato nelle sue ossessioni e, ora,
vorrebbero espungerlo dalla memoria di questa storia, perché non più
utile, al contrario di Pamela.
Prosegue Traini: «Con il vostro
lavoro dimostrate che la speranza nella legge non è solo un’utopia da
privato cittadino, anche se in stato di detenzione (per scontare la
giusta pena delle mie azioni). La vorrei spronare a "fregarsene" delle
minacce di pochi delinquenti che, evidentemente, in lei non vedono
l’uomo di legge tutto di un pezzo che vedo io.
Concludo, augurando
a lei e a tutti i rappresentanti della legge un buon lavoro e un 2019
ricco di successi sul "fronte giustizia" Con grandissima stima, le porgo
i miei più cordiali saluti».
Già, non sanno più che farsene di
Traini e del suo fantasma che rende le armi e si pente, gli sciacalli
che, mercoledì sera, si sono ritrovati nei giardini di via Spalato, di
fronte al civico 124, dove Pamela venne uccisa e smembrata. Non sanno
che farsene dei numeri che indicano oggi Macerata diciannovesima su 110
città italiane per qualità della vita (10 posizioni più in alto
dell’anno precedente). Dei giardini Diaz e del Parco di Fontescodella,
fino a un anno fa piazza di spaccio a cielo aperto e oggi restituiti
alla città, ai passeggini, al jogging e, ieri sotto il diluvio, al
sit-in antirazzista degli studenti di "Officina Universitaria". Né di
una giovanissima capo della squadra mobile, la napoletana Maria
Raffaella Abbate, arrivata con Pignataro e che ha rivoltato la città
come un calzino portando in un anno i cosiddetti indici di criminalità
predatoria prossimi allo zero (14 rapine, nessuno scippo, nessun
omicidio, 108 arrestati, oltre ventrirè chili di stupefacenti, cocaina,
hashish, eroina, sequestrati al momento dello spaccio). O della
circostanza che mai, forse, come in questo microcosmo, di fronte alla
giustizia penale tutti si sono dimostrati uguali. Il bianco, Traini. E i
neri, oggi sotto il tetto dello stesso carcere di Montacuto dove sconta
la sua pena il "Lupo": Innocent Oseghale, nigeriano di 29 anni che tra
una decina di giorni andrà a processo imputato come l’assassino di
Pamela, e Gideon Azeke, 28 anni, nigeriano, ferito da Traini la mattina
del 3 febbraio 2018 e arrestato due volte (a metà settembre e
definitivamente a metà ottobre dello scorso anno) per spaccio di
stupefacenti dalla stessa squadra mobile che lo aveva soccorso.
Casa
Pound, Forza Nuova, Fratelli d’Italia, volevano una «messa solenne» che
non hanno avuto per Pamela, ritenendo la preghiera officiata mercoledì
sera dal parroco di santa Croce, don Alberto Forconi, una deminutio
della memoria. E la voleva Deborah Pantana, consigliera comunale di
Forza Italia, sconfitta nel ballottaggio del 2015 dal sindaco Pd Romano
Carancini.
Con un cinismo degli argomenti e dei toni che ha finito
per far saltare i nervi anche al vescovo di Macerata, Nazzareno
Marconi, convinto che il silenzio della Chiesa, stavolta, non sarebbe
stato sufficiente e dunque spinto a una nota ufficiale in cui si
stigmatizza che «reiterare polemiche che già si erano dimostrate
pretestuose lo scorso anno, rivela scarsità di argomenti e orizzonti
politici meschini».
Del resto, nell’agenda politica locale della
Paura, le date continuano ad essere due: le elezioni europee in
primavera e, il prossimo anno, il voto per Comune e la Regione. E questo
impone di continuare a cingere d’assedio emotivamente e politicamente
la città. Come racconta anche solo il linguaggio del corpo del sindaco
Pd Romano Carancini, orfano di un partito evaporato con le elezioni del 4
marzo, e i cui iscritti, per dirne una, hanno votato in 90 su 195 alle
ultime primarie per i candidati alla segreteria. «Se mi si passa
l’immagine, è come dopo un terremoto — dice— Le scosse di assestamento
continuano. Ma almeno, ora, il quadro credo sia chiaro a tutti. Per
Salvini e la destra che ha cavalcato la sua morte dal primo istante,
Pamela deve restare viva fino al 2020. E quindi anche le polemiche di
queste ore, l’accusa al sottoscritto di non aver voluto commemorare la
ragazza, servono solo a creare un’equazione oscena secondo cui il Pd e
il sottoscritto porterebbero il peso politico di quello che è successo.
Vogliono tenere in catene la città, perché nessuno veda la strada che è
stata fatta in questo anno. Non vogliono, come succederà, che la morte
di Pamela e quel che è accaduto da lì in avanti vengano ricordati, come
sarà, il prossimo 18 febbraio nell’unico luogo laico deputato a farlo:
il nostro consiglio comunale. Non vogliono parlare di ciò che è successo
dal 3 febbraio 2018 in poi». Dunque, di dodici mesi di cura da cavallo,
come si diceva.
Documentata dalla media di 20 patenti a sera
ritirate nei week-end ai positivi al narcotest o dalle ordinanze che
hanno vietato la vendita di cannabis light in tutta la città e limitato
le licenze per il gioco alle slot vietandolo dalle 7 alle 10 di mattina e
dalle 3 del pomeriggio alle 8 di sera. In una guerra dichiarata al
traffico, spaccio e consumo di stupefacenti che ha portato comune e
forze di polizia nelle scuole medie, e convinto a difendere il progetto
Sprar di accoglienza dei migranti che il decreto sicurezza Salvini ha
destinato a futura estinzione.
Quello Sprar che ha consentito a
due delle sei vittime del "Lupo" di trovare un lavoro nel comune di
Servigliano. Ma questo, appunto, meglio non dirlo. Non fa paura.