Repubblica 2.2.19
La corsa agli armamenti
La nuova Apocalisse del Dottor Stranamore alla Casa Bianca
Vuole smentire legami col Cremlino ma lascia mani libere anche a Putin
di Vittorio Zucconi
WASHINGTON
Nell’imperscrutabile labirinto della mente di Donald Trump si smarrisce
il trattato che dal 1987 eliminava i missili a testata nucleare di
media portate e si riapre una delle finestre più isidiose
dell’apocalisse che Reagan e Gorbacuiv avevano tentato di chiudere.
L’Amministrazione americana, ieri ufficialmente per bocca del Segretario
di Stato Mike Pompeo , ha denunciato le continue violazioni
dell’accordo come ragione per abbandonarlo e dunque sull’Europa - perché
all’Europa erano destinati quei missili, non alla rappresaglia diretta
tra le superpotenze - torna ad alzarsi un incubo che sembrava dissolto
Come
tutte le azioni del settuagenario adolescente che si muove a crisi di
nervi e permalose reazioni tra i drammi del mondo e degli Stati Uniti,
anche questa decisione ha una doppia lettura. Agli americani, che lo
stanno lentamente tradendo nei sondaggi, vuol smentire il sospetto di
essere un "Manchurian Candidate", il candidato e poi presidente
manipolato dal Cremlino che lo avrebbe compresso con gli affari e dunque
lo controlla. Agli alleati europei che da tempo lo guardano come a un
loose cannon, a un cannone slegato che vaga sulla tolda delle vecchie
navi da battaglia sbattendo e mettendo a rischio l’equilibrio, promette
nuovi e migliori accordi, senza specificare quali. Ma per il momento, la
rinuncia al trattato Inf — Forze Nucleari Intermedie — lascia anche a
Putin le mani libere per sviluppare, come l’ex colonnello ha promesso di
fare, armi ancora più micidiali dei missili indicati nell’accordo e
altrettanto fa con il Pentagono, al quale, due giorni or sono, Trump ha
ripetuto la promessa di trasformare gli Stati Uniti «nella più potente e
intoccabile potenza militare della storia». Di fatto, questo significa
riesumare un’espressione che trent’anni or sono si sperava di avere
archiviato fra i luoghi comuni del giornalismo e della diplomazia: la
corsa agli armamenti. La corsa nella quale si era lanciato Ronald
Reagan, con la riesumazione delle vecchie navi da battaglia tirate fuori
dalla naftalina e il progetto fantascientifico delle "Guerre Stellari".
Era una corsa che si era avvelenata proprio con l’avvento di questi
missili "intermedi", dalla gittata fino a 5.500 chilometri, dunque
capaci di colpire qualsiasi città dell’Europa occidentale da qualsiasi
luogo della Russia a Ovest di Mosca, perché in buona parte montati su
mezzi mobili.
Chiamati dalla Nato SS-20 e SS-21 rivelarono
un’angosciosa vulnerabilità nell’Alleanza euro-americana che il
cancelliere tedesco Helmut Schmidt denunciò a gran voce: se l’Armata
Rossa avesse voluto polverizzare Amburgo, o Rotterdam o Milano,
veramente gli Usa avrebbero risposto, come imporrebbe il Patto
Atlantico, scatenando un contrattacco su Mosca, Minsk o Pietroburgo,
nella certezza di vedere poi le proprie metropoli incenerite? Senza
missili di eguale portata, come i contestatissimi Pershing sul suolo
europeo, l’Ombrello Americano avrebbe avuto soltanto stecche inutili.
Fu
proprio Reagan, dileggiato come "cowboy atomico", ma poi mostratosi
molto più razionale di alcuni suoi successori, a incamminarsi sulla
strada di nuovi accordi con quel Mikhail Gorbaciov che aveva scoperto,
politicamente e umanamente, molto più disponibile dei suoi marmorei
predecessori al Cremlino. Sulla scia del collasso sovietico, ci
incamminammo con la carovana del disarmo verso Ginevra, nel primo
memorabile "faccia a faccia" in una capannina nel parco. Poi Reykjavík,
in Islanda, dove fissammo per giorni le delegazioni americane e
sovietiche rinchiuse nelle notti dentro la piccola capitaneria di porto
bianca contro il grigio dell’oceano, riunendosi addirittura nei bagni
per mancanza di spazio, a discutere della sbalorditiva proposta "zero
testate nucleari" avanzata dall’ex cowboy atomico.
La carovana non
raggiunse mai quell’oasi impossibile, ma proseguì nella via che era
stata aperta negli Anni ’50 da Dwight Eisenhower con Nikita Krusciov,
dopo il disastro dell’aereo spia U2 abbattuto nel cielo dell’Urss,
proseguita da Nixon, battuta da Ford con i trattati sui grandi missili
intercontinentali, seguita da Bush, continuata anche da un dubbioso
Barack Obama che nel 2010 firmò un nuovo accordo Start con il ministro
degli Esteri Lavrov, pur diffidando del nuovo zar. Sempre lontanissimi
da traguardi rassicuranti, e con arsenali ancora irti di migliaia di
testate nucleari in terra e in mare, la litania di intese aveva ridotto
enormemente l’ansia dell’Apocalisse, sostituita da altre, dopo l’11
settembre. Ed era riuscita a distruggere quasi 3mila dei missili "di
teatro", come sono chiamati in gergo perché pensati per il "teatro di
battaglia", indicati fra le armi di intermedia gittata.
Oggi, il
presidente degli Stati Uniti ha sciolto i cani tenuti faticosamente al
guinzaglio, Putin può minacciare rappresaglie e fra due anni scade anche
il patto sui grandi ordigni a testate multiple, lo Start, che comunque
il Presidente può denunciare ogni mattina con un tweet stizzito. Il
Dottore Stranamore torna ad aggirarsi nel labirinto della mente di
Trump.