Corriere 2.2.19
Trump si ritira dal trattato sui missili
«Mosca lo viola». Ma il timore è la Cina
Dietro la decisione due anni di analisi dei generali del Pentagono. L’Onu: continuate il dialogo
di Giuseppe Sarcina
WASHINGTON
Tempo scaduto: «Avevamo dato alla Russia due mesi per dimostrare di
essere in regola con il Trattato. Non lo ha fatto e quindi gli Stati
Uniti si sentono svincolati». Con queste parole il segretario di Stato
Mike Pompeo ha annunciato il ritiro degli Usa dall’Inf,
«l’Intermediate-Range nuclear forces treaty» firmato da Ronald Reagan e
Michail Gorbaciov l’8 dicembre del 1987. È l’accordo che consentì la
drastica riduzione dei missili schierati da una parte e dall’altra in
Europa, bloccando l’escalation cominciata con l’installazione degli
Ss-20 sovietici.
Donald Trump ha commentato con una nota: «Non
possiamo essere l’unico Paese nel mondo che è vincolato in modo
unilaterale da questo Trattato».
Il governo americano attacca: «Il
Cremlino ha testato segretamente un ordigno che viola le regole
dell’Inf e che pone una minaccia diretta ai nostri alleati e ai nostri
militari dislocati all’estero». Il missile in questione è il «Novator»,
in grado di superare le difese statunitensi e della Nato in Europa.
I
russi hanno respinto le accuse, sostenendo che sarebbero stati invece
gli americani a rompere l’equilibrio con il nuovo scudo spaziale da
completare nell’Est europeo.
In teoria ci sono ancora sei mesi per
provare a ricucire. L’Onu ha chiesto alle due super potenze di
continuare il dialogo. Ma le possibilità di un recupero sono scarse,
perché il problema è più profondo.
La sconfessione dell’Inf è solo
una parte di una strategia più complessiva maturata dopo almeno due
anni di analisi condotte dai generali del Pentagono, sotto la guida
dell’ex Segretario alla Difesa James Mattis, in collaborazione con i
servizi segreti militari. Il patto sugli Euromissili viene considerato
uno strumento obsoleto, superato dalla tecnologia e, soprattutto, da una
nuova realtà geostrategica. Per Washington le minacce principali ora
sono due: al dinamismo militare della Russia si è aggiunto quello della
Cina.
Mondo tripolare
Per Washington al dinamismo militare di Putin si è aggiunto anche quello di Xi
Nel
febbraio del 2018 Mattis scriveva nel documento cardine «Revisione
della posizione nucleare»: «Mentre gli Stati Uniti hanno continuato a
ridurre il numero e la portata delle armi nucleari, altri, compresi
Russia e Cina, si sono mossi nella direzione opposta. Hanno aggiunto
nuovi tipi di capacità nucleare, oltre che cibernetiche e spaziali».
Le
preoccupazione degli americani, dunque, partono dall’Europa, ma si
estendono a tutto il pianeta. Non a caso in quello stesso testo, Mattis
analizza anche i limiti dello Start, «Strategic Arms Reduction Treaty»,
il protocollo che fissa un tetto agli arsenali nucleari. Fu firmato nel
1991, aggiornato nel 2002 con lo «Strategic Offensive Reduction» e poi
nel 2010 con il «New Start», che scade il 5 febbraio del 2021.
Per
il momento lo scontro è con la Russia, che ha sottoscritto e ora «sta
violando quei trattati, mettendo in atto comportamenti aggressivi». Una
delle tabelle più citate dal Pentagono è quella sulla capacità
deterrente dell’Occidente. Gli Stati Uniti dispongono di 1.797 testate
atomiche che, sommate a quelle degli alleati francesi e britannici,
diventano 2.207. Quasi un terzo in meno dell’arsenale russo: 3.587
testate.
Ma anche «la Cina — avverte ancora il Pentagono — sta
modernizzando ed espandendo la sua già consistente capacità nucleare,
oltre a migliorare la sua forza militare convenzionale». Se la Russia
minaccia Stati Uniti ed Europa, la Cina «sfida la tradizionale
superiorità militare americana nell’Oceano Pacifico occidentale».
La
mossa di ieri, dunque, non è un’improvvisazione trumpiana, ma l’inizio
di un lungo e insidioso processo per trovare un nuovo assetto non più
tra due, ma tre super potenze.