Repubblica 1.2.19
Nell’età della rabbia rivive la dittatura del proletariato
di Maurizio Ferraris
Il
populismo ha realizzato, a sua insaputa, una delle profezie dell’autore
del "Capitale". Viviamo infatti in un mondo in cui i governanti sono
schiavi degli umori e dell’applausometro dei follower: un insieme di
monadi cariche di odio
Le persone possono finalmente esprimere le
loro opinioni, hanno gli strumenti e il tempo per farlo, e queste
opinioni sono per lo più manifestazioni di paura, odio, invidia.
Immagino l’obiezione: non è granché, come comunismo realizzato. No, in
effetti non è granché, lo sapeva e lo prevedeva anche Marx, che aveva
concepito la dittatura del proletariato come fase intermedia nella
transizione fra capitalismo e comunismo, e ne riconosceva con esattezza
la carica d’odio (aveva in mente la Comune di Parigi). Ora, che cosa
sono i populismi contemporanei, se non la realizzazione della dittatura
del proletariato? Da questo punto di vista, non c’è nulla di più
ingannevole del paragone tra i populismi mediatici e il fascismo.
Quest’ultimo
era un governo autoritario, come del resto lo stalinismo. Portava
avanti un progetto politico incurante delle idee dei governati, e
questa, nel breve termine, era la sua debolezza rispetto alle democrazie
liberali, che dovevano fare i conti con l’opinione pubblica. Ma per
quanto influente fosse questa opinione resta che Churchill, nel luglio
del 1940, con la Francia arresa, l’Urss alleata alla Germania, gli Usa
neutrali, poté rifiutare le offerte di pace di Hitler. Oggi non avrebbe
potuto, e, sarebbe stata una eventualità molto peggiore della Brexit.
Ecco il paradosso del populismo.
Nel momento in cui le merci più pregiate sono i documenti, diventa facile proporre un programma elettorale vincente.
Questo
però non garantisce a chi va al governo un qualche potere dispotico,
magari rafforzato dal controllo a mo’ di panopticon che sbircia nella
vita dei governati.
Succede esattamente il contrario.
Il
panopticon è un panopticon privato, non statale, ed è un panopticon
capovolto, per cui il governante è lo schiavo dei sondaggi e del web che
l’hanno portato al potere, e dunque deve eseguire gli ordini di una
moltitudine che non è classe, e meno che mai è popolo, bensì una somma
di monadi tenute insieme dall’odio e dall’invidia sociale. I governati
governano i governanti, e questo non perché questi ultimi abitino una
qualche casa di vetro, ma semplicemente perché il Palazzo conosce
davvero troppo bene cosa vogliono gli elettori. Si è detto che i
politici attuali ricordano gli influencer sul web. Il paragone va preso
alla lettera: come questi, sono l’applausometro degli umori dei
follower, dunque a ben vedere sono degli influenced. Questa non è la
realizzazione della democrazia e della politica, ma è oclocrazia
(concretamente: vi fareste governare da quelli che posteggiano in terza
fila? Bene, l’oclocrazia è questo). Quest’odio e questa invidia hanno
bersagli inadeguati e passatissimi, per esempio le banche, il grande
complotto, i poteri forti. Non considerano, ad esempio, che prestano i
loro soldi alle banche, mentre regalano i loro dati alle compagnie, e lo
fanno probabilmente perché non si rendono conto che si tratta di una
ricchezza molto superiore in sé di quanto non lo siano i soldi che
mettono in banca. Nulla di più sbagliato, ripeto, del vedere nel
populismo un ritorno del fascismo, e uno stato totalitario.
Il
fascismo è un governo autoritario e totalitario con una progettualità
immensa e catastrofica; il populismo è un governo irresponsabile e
parcellizzato, in balia dei molteplici e contraddittori desideri dei
suoi elettori. Ossia è la completa mancanza di progetto. Il vero
compito, dunque, è formare noi stessi un progetto, essere capaci di
decisioni. Per farlo, è necessario preliminarmente rispondere a un
interrogativo.
Come mai, se è scomparsa la differenza tra lavoro
manuale e lavoro intellettuale, se l’alienazione è finita, se vige la
dittatura del proletariato, le persone sono così arrabbiate?
Banale: perché lavorano gratis, però non lo sanno, tanto è vero che il loro malumore si indirizza verso obiettivi immaginari.
Difficile
non cogliere l’asimmetria tra dare e avere. I documenti che gli archivi
forniscono ai mobilitati sono generali e accessibili a tutti, per
definizione: dunque non offrono vantaggi competitivi. Le informazioni
che i mobilitati offrono agli archivi sono individuali e accessibili
solo a chi li sa maneggiare dunque offrono enormi vantaggi competitivi.
Si aggiunga che i mobilitati pagano di tasca loro i mezzi di produzione:
apparati e abbonamento con il provider.
Il rapporto tra i
mobilitati e le piattaforme riproduce dunque il classico rapporto tra
capitale e lavoro, con una variante importantissima, e cioè che qui il
lavoro non viene retribuito, e, prima ancora, non è neppure riconosciuto
come tale. Malgrado questo, è sentito sulla pelle delle persone e nella
rabbia sociale che è la reazione a un problema che ignora, e di cui
avverte soltanto il disagio. I populisti non vedono un punto cruciale:
il problema non sta nel capitale finanziario e nella globalizzazione,
bensì nella grande asimmetria fra mobilitanti, chi gestisce le
piattaforme del web, chi interpreta i dati, e mobilitati, chi naviga sul
web.
Mentre si maledicono le banche, non si pensa che i veri
"poteri forti" sono altri: Google, Apple, Amazon (e sin qui lo sappiamo
tutti); Tencent, Alibaba, Baxt, WeChat in Cina (e questi nomi sono meno
noti). E che i più forti tra questi poteri forti sono ignoti ai più, e
sono i nomi dei "miner" che scavano i dati e li interpretano: Acsion,
Criteo, Equifax, Experian, Quantcast, Tapad – chi li ha sentiti
nominare?
E chi ha sentito nominare Privacy International,
l’organizzazione che ne indaga e ne denuncia le attività? Si tratta di
conoscere e di riconoscere che lo scambio che ha luogo tra le compagnie
di gestione e ognuno di noi non è uno scambio equo ma, proprio come nel
caso del capitale industriale, comporta una ingiustizia fondamentale,
per cui i dati (che costituiscono il capitale del XXI secolo proprio
come le merci erano il capitale del XIX secolo e le finanze quello del
XX secolo) sono distribuiti in maniera iniqua. Da parte degli utenti ha
luogo una mobilitazione incessante e che non è neppure riconosciuta come
lavoro, né da chi lo offre né da chi lo riceve, eppure è lavoro a tutti
gli effetti, dal momento che produce valore.
Dalla parte dei
gestori, ha invece luogo una capitalizzazione dei dati che produce dei
guadagni molto superiori a quelli del capitale finanziario. Riconoscere
la natura del plusvalore documediale costituisce un compito filosofico
non meno necessario di quello svolto da Marx al suo tempo, ed è
preliminare a un’opera ancora più importante, evitare che il Panopticon
capovolto paralizzi la democrazia.
– 4. Fine. Le puntate precedenti sono uscite il 28 dicembre, l’8 e il 29 gennaio