venerdì 1 febbraio 2019

Repubblica 1.2.19
Bruciarono clochard per noia il giudice non li condanna
Avevano 13 e 16 anni. Il primo non è imputabile, l’altro va ai servizi sociali Il nipote: la pena non può essere il volontariato
di Enrico Ferro


Si può uccidere per noia senza trascorrere un giorno in carcere. Si può tormentare fino alla morte chi non ha nulla e uscirne comunque puliti. Nessuna condanna per i ragazzini responsabili della morte di Ahmed Fdil, clochard marocchino di 64 anni di Santa Maria di Zevio ( Verona), morto carbonizzato il 13 dicembre del 2017 nell’auto che era anche la sua casa. Si sono presi gioco di lui, l’hanno bruciato vivo ma, al momento del delitto, uno ha 13 anni e quindi non è imputabile, l’altro ne ha 16 e la giudice Maria Teresa Rossi del Tribunale dei Minori di Venezia gli ha concesso la messa in prova per tre anni. Ciò significa comunità, lavori socialmente utili e psicoterapia. « Questo è il valore della vita di mio zio, lo zero assoluto» ha fatto in tempo a gridare il nipote Salah Fdil in tribunale, prima di venire allontanato dall’aula. Il reato contestato era omicidio volontario aggravato dalla minorata capacità di difesa della vittima, perché quella sera Ahmed stava dormendo sul sedile della sua Fiat Bravo avvolto da una coperta. Gli scherzi andavano avanti da tempo. A loro, in fondo, piaceva così. Sapevano che nell’abitacolo di quell’auto si era ridotto a vivere un marocchino senza casa, senza famiglia, senza lavoro, uno che chiedeva l’elemosina al mercato. La loro passione era tormentarlo proprio nelle ore della sera. Il massimo dell’eccitazione lo raggiungevano con i petardi lanciati nella piazzola di sosta dove stazionava regolarmente la vecchia Fiat. Lui si svegliava di soprassalto, usciva imprecando e loro fuggivano ridendo come matti.
Quella sera di poco più di un anno fa il "Baffo" aveva lasciato il finestrino dell’auto un po’ aperto per far passare l’aria. I due ragazzini hanno avuto l’idea di buttarci dentro alcuni fazzoletti di carta incendiati. «Quell’uomo è morto bruciato vivo, non è riuscito a uscire ed è diventato una torcia umana», sintetizza l’avvocata Alessandra Bocchi, del foro di Vicenza, che assiste il nipote della vittima. Un gioco disumano che si trasforma in una trappola mortale. Inizialmente i carabinieri pensarono a un incidente, perché ad Ahmed piaceva bere e anche fumare. Ma dopo qualche giorno, nel paese a poco più di dieci chilometri da Verona, sono iniziate a girare voci sui tormenti patiti dal senzatetto a opera di alcuni ragazzini. La prima segnalazione giunge quasi per caso, nel corso di un banale intervento per un litigio sorto dopo un piccolo incidente stradale. Un ragazzino, anche lui minorenne, sfida i carabinieri: «Voglio vedere se riuscite a trovare chi ha ucciso il "Baffo", tanto io so tutto » . Passano altri giorni e una nuova segnalazione giunge stavolta grazie a un insegnante imbeccato dai suoi studenti. Vengono individuati i due ragazzini, uno di 13 e l’altro di 16 anni che, messi alle strette, iniziano a incolparsi a vicenda. « Gli dicevamo barbone di m… ma l’idea dei fazzoletti non è stata mia » , dice il diciassettenne. Viene ricostruita la scena. I due ammettono di essersi appostati per tormentare, ancora una volta, quell’uomo solo e indifeso. Il racconto che il tredicenne fornisce agli investigatori è una storia speculare all’altra ma a responsabilità invertite. Poi ci sono le chat intercettate, altro spaccato desolante di un’adolescenza maledetta. «Hai realizzato il tuo sogno di ammazzare una persona » , lo incalza il sedicenne. Ma l’altro nega: « Il mio sogno era ammazzare un gatto».
« Decisivo è stato il parere del responsabile dei Servizi sociali, secondo cui l’imputato avrebbe dimostrato pentimento » spiega l’avvocata Bocchi e ancora non si capacita.
Quanto vale una vita
In alto, l’auto carbonizzata del clochard. Sopra, fiori lasciati nel luogo in cui l’uomo è stato ucciso "per gioco"