venerdì 1 febbraio 2019

Corriere 1.2.19
Prince, aveva 25 anni, veniva dalla Nigeria: asilo negato e il salto sui binari
«Non ce la faccio più»
di Andrea Pasqualetto


L’hanno trovato fra i binari di Tortona, dove si è tolto la vita. «Non ce la faccio a vedervi, vi chiedo scusa». Un sms a due amici e nulla più. Di Prince Jerry, della sua fine, del suo gesto estremo, rimangono queste poche parole che nessuno aveva letto come definitive.
È difficile sapere cosa gli sia scattato nella testa lunedì scorso, quando ha deciso di andarsene da Genova per una Tortona a lui sconosciuta. Ma di certo la sua vita non era il sogno che aveva immaginato. L’ultima delusione è arrivata in dicembre. Una lettera, un timbro prefettizio e quelle due righe: la richiesta di protezione internazionale non è stata accolta per mancanza di requisiti.
Prince aveva 25 anni, veniva dalla Nigeria e aveva scelto l’Italia per il suo futuro. Era sbarcato due anni e mezzo fa ad Agrigento, dopo sei mesi trascorsi in Libia dei quali non amava parlare. Genova era diventata la sua città e il centro Migrantes di don Giacomo, la sua casa. Una storia come tante e come tante tragicamente finita. «Girava sempre con un libro di chimica sotto il braccio, lo leggeva ovunque, appena poteva», ricorda Maurizio Aletti, presidente di Migrantes, che ha stampato nella memoria il sorriso gentile e costante del giovane nigeriano. «La chimica era la sua passione. Avrebbe voluto fare quello nella vita. Pensava di iscriversi all’università per sostenere gli esami necessari a farsi riconoscere la laurea».
C’era bisogno di un italiano fluente e lui stava facendo di tutto per impararlo. «Seguiva corsi di lingua due volte alla settimana, dentro e fuori la nostra associazione. Era già a buon punto, lo parlava e lo capiva». Aveva cercato di inserirsi con slancio nella comunità di monsignor Martino che nel capoluogo ligure ospita 230 ragazzi. «Si occupava del recupero di vestiti usati raccolti in città che noi chiamiamo staccapanni. Lavorava nell’orto e nel frutteto e nei momenti ricreativi giocava a calcetto e a pallavolo. Ma aveva il pallino della laurea. Lo feriva il fatto del mancato riconoscimento».
Non parlava molto, Prince. Non era un compagnone. Poche, misurate parole. E poi quel tratto cortese «che mi ha sempre colpito di lui. Aveva uno sguardo solare». Un sorriso e uno sguardo che negli ultimi mesi non erano più gli stessi. Se n’era accorto l’amico Pedro, nigeriano come lui. «Avevo capito che stava male ma non avevo capito tutto», ripete ora come un ritornello.
Per monsignor Martino il motivo del malessere è chiaro: «Dopo aver ricevuto il diniego alla sua domanda di permesso di soggiorno si è tolto la vita buttandosi sotto un treno», ha scritto in una chat ai suoi parrocchiani, «Prince Jerry non scappava dalla guerra, nessuno lo avrebbe ammazzato nel suo Paese. Era un laureato che sperava di trovare un futuro migliore e non aveva alcuna speranza di essere accolto, da quando il permesso per motivi umanitari è stato annullato dal recente Decreto».
Per la verità, la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva deciso di negargli la protezione ben prima dell’introduzione della nuova legge.
«Era il 30 luglio, lui era stato sentito in quella data — precisano alla Prefettura di Genova —. La Commissione ha ritenuto che non avesse i requisiti per rimanere sul territorio nazionale, anche se era una persona integrata e colta. Non era nei parametri».
La decisione, presa a luglio, gliel’hanno comunicata il 17 dicembre. Prince ha fatto anche ricorso, ha cercato di lottare. Ma qualcosa in lui è crollato. «La speranza», aggiunge Aletti.
Lunedì scorso monsignor Martino ha ricevuto una telefonata da Tortona: «Ho dovuto fare il riconoscimento di quanto era rimasto di lui».