L’Espresso 3 febbraio 2019
Dieci anni dopo
La grande beffa del testamento biologico negato
di Elena Testi
Fare
testamento biologico in Italia, a più di un anno dall'approvazione
della legge sul fine vita, vuol dire trovarsi in un caos di risposte
vaghe, in un viaggio pieno di ostacoli grotteschi. Da Roma fino ad
Avellino, ogni Comune dispiega una diversa procedura, tanto che
esprimere le proprie volontà, in assenza di una banca dati nazionale,
può risultare inutile. Eppure per istituirla basterebbe un semplice
decreto del governo. L'unico passaggio chiaro dell'iter è come compilare
le "Disposizioni Anticipate di Trattamento". Due fogli in tutto,
scaricabile in prestampato dalla rete, dove è obbligatorio apporre una
serie di crocette alla voce "disposizioni generali in caso di una
malattia giudicata irreversibile associata a grave disturbo cognitivo".
Un rosario di intenzioni che vanno da «in caso di arresto
cardio-respiratorio si pratichi la rianimazione cardiopolmonare» fino al
«si ricorra alla sedazione profonda».
In teoria depositare le
Disposizioni Anticipate di Trattamento dovrebbe essere semplice. Bisogna
recarsi nel Comune di residenza o andare direttamente da un notaio, ma
«senza un registro nazionale», spiega la dipendente di un Municipio
romano, «se le succede qualcosa a Milano, il medico potrebbe non
saperlo». Ed è questo il grande problema: senza una banca dati le
disposizioni rischiano di rimanere in un cassetto chiuso.
È il 14
dicembre 2017 quando il Senato approva la norma sul testamento
biologico. Durante la seduta, le telecamere inquadrano i volti di Mina
Welby, Monica Coscioni e Beppino Englaro che si abbracciano composti,
dopo anni di battaglie: il biotestamento è legge. Ma non sanno che la
norma rimarrà zoppa, tanto che un anno dopo si vedranno costretti a
scendere nuovamente in campo con una lunga lettera, questa volta
indirizzata alla ministra Giulia Grillo, per chiedere la piena
attuazione della norma. Una legge attesa, voluta e combattuta ma che
ancora non trova la sua esecuzione completa, nonostante la legge sul
fine vita sia stata salutata come una rivoluzione civile.
Tutto
gira intorno a un decreto applicativo atteso da mesi, ma che il governo
sembra non avere la volontà di emanare, malgrado le dichiarazioni
roboanti. Decreto che dovrebbe dar vita al tanto atteso registro che
raccoglie le Dat e renderle così consultabili ai medici degli ospedali
italiani. Nella manovra economica 2017 sono stati messi a bilancio 2
miliardi di euro per la sua realizzazione, altri 400 mila euro sono
stati invece previsti per la manutenzione di un qualcosa che non esiste.
Impossibile avere una data certa della sua creazione, al Ministero
della Salute la bozza del decreto, che dovrebbe dar vita al registro e
finalmente rendere pienamente attuative le «Norme in materia di consenso
informato e di disposizioni anticipate di trattamento», è in mano a
degli esperti di settore, ma dalla ministra Giulia Grillo nulla trapela.
Eppure nel settembre 2016 fu proprio lei a scrivere un post sul quale
chiedeva velocità e immediatezza: «Lo Stato non può più sottrarsi alle
proprie responsabilità e deve colmare un vuoto rispetto al quale la
nostra società da tempo chiede e attende un atto di indirizzo».
Di
velocità e immediatezza sembra che si siano perse le tracce. La legge
n. 219 per essere efficace necessitava, entro e non oltre 5 mesi (data
stabilita
il 30 giugno 2018) la creazione di un'apposita banca
dati per le Disposizioni anticipate di trattamento. È il 22 giugno
quando Giulia Grillo, a una manciata di giorni dalla scadenza prevista,
chiede al Consiglio di Stato di chiarire alcuni punti, perché «di
difficile interpretazione». In poco più di un mese palazzo Spada emette
il verdetto. Il 31 luglio di quest'anno chiarisce che
«la banca
dati nazionale su richiesta dell'interessato deve contenere copia delle
Dat, compresa l'indicazione del fiduciario, salvo che il dichiarante non
intenda indicare soltanto dove esse sono reperibili». Non solo, per il
Consiglio di Stato «il registro nazionale è aperto anche a tutti coloro
che non sono iscritti al Servizio sanitario nazionale».
E ancora:
«L'interessato deve poter scegliere di limitarle solo ad una particolare
malattia, di estenderle a tutte le future malattie, di nominare
il
fiduciario o di non nominarlo, ecc. Spetterà al Ministero della Salute
mettere a disposizione un modulo-tipo per facilitare il cittadino a
renderele Dat». Grillo appare soddisfatta: «I chiarimenti del massimo
organo della Giustizia amministrativa ci consentono di ultimare la
predisposizione di un provvedimento molto atteso dai cittadini, ma
purtroppo per lungo tempo dimenticato nei cassetti». Tutto sembra essere
pronto, a mancare sono solo i decreti del ministero. Ma passano le
settimana, i mesi, e Mina Welby, Beppino Englaro e Monica Coscioni, sono
costretti a iniziare una nuova lotta, questa volta contro la pigrizia
burocratica: «Le scriviamo per chiederLe di porre fine alla violazione
dei termini per l'attuazione della legge sul Biotestamento, una legge
ottenuta grazie a persone che hanno pagato un prezzo personale di
sofferenza e che non vogliamo sia oggi in parte vanificata».
Eppure il biotestamento interessa già migliaia di italiani. In meno di due anni,
i
moduli scaricati dal portale dell'Associazione Coscioni, uno dei pochi
siti web dove è possibile avere il modulo con pochi clic, sono stati 30
mila. Stando ai dati il 34 percento dei Dat viene dalle regioni del
Nord-Ovest, mentre 26,3 dal Centro, le restanti da Sud e Isole. La
Lombardia è la regione con la maggior percentuale di Dat espresse (21,6
per cento), seguita dal Lazio (13,9 per cento), dall'Emilia Romagna (9,3
per cento) e dalla Toscana (8,5 per cento).
Non sono però solo le
tempistiche ad essere incerte, in bilico è anche la conoscenza
approfondita della norma da parte delle Amministrazioni. Dopo un
rimpallo di telefonate, una persona risponde dall'altro capo del
telefono: «Senza fiduciario non può presentarsi», dice una dipendente
del Comune di Avellino. «Non possiamo registrarle le sue Dat se non in
presenza di una persona da lei scelta». Inutile dilungarsi sulla norma:
«Qui funziona così». A Perugia, invece, si possono avere chiarimenti
solo un'ora al giorno dal lunedì al venerdì. La prova di civiltà, tanta
esortata dalla ministra Giulia Grillo, si infrange definitivamente,
quando chiediamo se le Dat possano essere espresse da un paziente anche
con una videoregistrazione, qualora le condizioni fisiche della persona
non permettano un altro modo. La risposta è sempre un "no" senza
possibilità di replica.
Negli ospedali il caos rimane, perché
senza un registro nessuno può essere a conoscenza delle intenzioni del
paziente, unico punto certo è che la legge non prevede l'obiezione di
coscienza del medico. Le Dat possono essere disattese in tutto o in
parte, ma solo con l'accordo del fiduciario. Insomma ogni punto è stato
chiarito e persino il Garante della Privacy ha espresso il suo parere
favorevole. Ma il decreto continua a mancare.