L’Espresso 10.2.19
Oltre il buio, l’umanesimo
La
questione in Italia non è se serve o no un partito dei cattolici. La
questione è se per uscire dall’odio servono o no i valori cristiani.
Opposti a quelli branditi oggi dalla destra
di Giuseppe Genna
L’altra
sera, primo di febbraio, uscito per una passeggiata pericolosa nel
Bosco di Rogoredo a Milano, l’area di spaccio più vasta d’Europa, lungo
i binari della ferrovia, fumiganti nella nebbia gelida, tra l’erba
sbiancata ho visto piccole luci, quasi intermittenti e ho impoeticamente
pensato a uno smartphone rubato o perduto. Avevo torto: erano lucciole.
Il fenomeno mi è parso ai limiti del credibile. Le lucciole, si sa,
sono scomparse da decenni e soprattutto non brillano in pieno inverno
cittadino. Invece i piccoli coleotteri luminosi sono ritornati,
nonostante l’inquinamento, la polluzione che contamina aria acque e
territori. Al parco delle Cave, dall’altra parte della metropoli, da
qualche anno si organizzano passeggiate estive per ammirarne gli sciami.
E dunque mi è tornato alla mente il celebre articolo che Pasolini
pubblicò sul Corriere della Sera diretto da Piero Ottone, proprio l’1
febbraio, nel 1975, nove mesi prima di morire, intitolato “Il vuoto di
potere” e passato alla storia come l’articolo delle lucciole. Pasolini,
fraterno e lontano, constatava la scomparsa delle lucciole nelle
campagne italiane, un fenomeno repentino e sconvolgente, una mutazione
improvvisa della natura che attestava un più profondo cambiamento nella
storia occidentale e, in particolare, in quella nazionale. Ne desumeva
un discrimine, con cui era in grado di argomentare la trasformazione del
regime democristiano, che dal ’45 alla sparizione degli insetti
lumescenti si presentava come continuatore clericale delle istanze del
fascismo storico e, dopo la scomparsa delle lucciole, esprimeva un nuovo
tipo di fascismo, in cui chiesa, patria, famiglia e ordine non
contavano più - a sostituirli erano improvvisamente i “valori” di un
nuovo tipo di civiltà, totalmente “altra” rispetto alla precedente,
contadina e paleoindustriale. Un vuoto valoriale riempito di
efficientismo e tecnocrazia e sottomissione al giogo delle
multinazionali, che restituiva sintomi anzitutto linguistici: mentre
sparivano le lucciole, «gli uomini di potere democristiani hanno quasi
bruscamente cambiato il loro modo di esprimersi, adottando un linguaggio
completamente nuovo (del resto incomprensibile come il latino):
specialmente Aldo Moro: cioè (per una enigmatica correlazione) colui
che appare come il meno implicato di tutti nelle cose orribili che sono
state, organizzate dal ’69 ad oggi, nel tentativo di conservare comunque
il potere». Pasolini emetteva un acuto sorprendente, pochi mesi prima
del suo massacro e tre anni prima di quello che avrebbe coinvolto
proprio “il meno implicato di tutti”, Aldo Moro,in un affaire da cui
l’Italia non avrebbe mai potuto prescindere, storicamente,
antropologicamente. E ora le lucciole sono tornate. C’è una
palingenesi, un adattamento della natura, che supera ogni inquinamento.
Forse dunque si dovrà affrontare il tema di un terzo tempo del
cattolicesimo in politica.
Che cosa comporta il ritorno delle
lucciole? Probabilmente, che “il meno implicato di tutti” sia
quarant’anni dopo il più implicabile. «Chi non vede la rinnovata
ipocrisia, il disprezzo della volontà dei popoli, la gerarchia delle
potenze? E nell’interno degli Stati ancora faziosità, incomprensione,
violenza, decadere progressivo del senso umano della vita sociale e
l’intrinseca debolezza della istanza democratica. Le responsabilità di
questo stato di cose sono di tutti noi»: è una descrizione
impressionante del presente ed è stata scritta da Moro a due anni dalla
caduta del fascismo, quando la democrazia incompiuta stava facendosi,
anche grazie a Moro stesso. Le condizioni storiche sono tutte attive:
dalla volontà dei popoli che viene disprezzata al predominio delle
gerarchie di potenze transnazionali, che si esprime oggi in una
richiesta di diminuzione della democrazia partecipata, con spinte
totalitarie esplicite, in fase di germinazione e pronte a maturare.
Patria, famiglia e ordine, ribaltando Pasolini, sono tornati a essere i
“valori” dell’età sovranista, in cui padre Antonio Spadaro, nello
scorso numero di questo giornale, ravvede l’esito di una «colonizzazione
ideologica», che ha sostituito la paura alla pietà come reazione prima
all’apparire dell’altro. L’articolo di Moro si intitolava “Ritorno
all’uomo” e non ritorno alla teocrazia. È nell’incandescenza di questo
punto che si gioca il tempo in cui sono tornate le lucciole.
Se
oggi si chiedesse a un istituto di ricerca un sondaggio sull’eventuale
ritorno di un soggetto politico a ispirazione cristiana (che il
quotidiano Libero si è affrettato a definire «il partito degli orrori»)
si otterrebbero dati prossimi al 2 per cento. Una fotografia del
presente, che è frutto della strategia cattolica all’indomani
dell’estinzione della Democrazia Cristiana, ovvero l’obbiettivo polemico
di Pasolini. Si sbaglierebbe tuttavia a considerare numericamente la
faccenda del ritorno di un simile movimento politico. «La sistemazione
teorica generale in questo Paese fa premio», affermò in tempi sospetti
Romano Prodi (in Italia qualunque tempo è sospetto). E forse da quei
tempi bisogna partire per riflettere. Pasolini non poteva prevedere il
crollo della cosiddetta Prima Repubblica, dalle cui ceneri emerse il
consenso a Silvio Berlusconi, rispetto al quale l’allora capo
dell’episcopato italiano, Camillo Ruini, propose lo sdoganamento,
certificando la fine dell’unità politica dei cattolici e mostrando di
«apprezzare consonanze o adesioni anche parziali (quelle di Forza
Italia, ndr) sui temi dell’insegnamento sociale cristiano». Ciò che
restò a ergersi sempre e compattamente contro la deriva iperliberista
del berlusconismo, dagli anni Novanta fino a poco prima della ricomparsa
delle lucciole, fu tuttavia il nucleo della sinistra democristiana,
ovvero l’erede del discorso umanista di Moro, tra i cui nomi si possono
registrare quelli di Sergio Mattarella e Leoluca Orlando. Che, per nulla
improvvisamente, ad altezza 2019 sono uno, nelle vesti di Presidente
della Repubblica, il garante della tenuta democratica e l’altro il
principale oppositore delle politiche portuali di Matteo Salvini, contro
cui ha il coraggio di intraprendere uno scontro istituzionale senza
precedenti.
È un radicalismo cattolico antagonista all’idea
dell’identità chiusa, che vorrebbe intestarsi Salvini in persona, col
suo goffo tentativo di accreditarsi in Vaticano. Si tratta piuttosto di
un’idea di uomo che ripristina nell’azione politica i valori evangelici
dell’amore, della pietà, della dialettica: ovvero la metà in ombra
dell’astro politico cattolico, che Pasolini non vedeva. Esistono ferite
aperte nel discorso pubblico, alle quali la sinistra maggioritaria non
è stata e non pare in grado di proporre suture e superamenti: il
conflitto con religioni spacciate per aliene o il travestimento delle
più perniciose istanze del capitalismo sotto spoglie di sovranismo -
cioè il condizionamento di un popolo che non è più tale, perché
ridotto a termitaio: nemmeno a termitaio, bensì a massa indistinta di
individui presso cui la solidarietà è diventata un disvalore, a
partire dall’idea stessa che la comunità funzioni politicamente
attraverso la concessione di una delega di rappresentanza.
Ad
altezza 2019 non è più vero che sia anzitutto la lingua a offrire i
sintomi del mutamento. Al disumanismo dell’estrema destra ora al governo
si oppone in ogni caso l’umanismo cattolico. E tuttavia, da scrittore,
non posso ignorare i sintomi della lingua. Del resto, come intuì
Leonardo Sciascia a proposito di Aldo Moro, era la letteratura stessa a
spiegarne la tragedia (sostantivo di natura letteraria). Testimonia
Pietro Boselli che il giovane Moro studiava per ore sul balcone di casa
e, affranto dalla stanchezza, restava in bilico sul parapetto fino a
notte fonda. In “Amerika” di Franz Kafka, il protagonista Karl Rossman
si trova confinato sul balcone e lì accanto, anch’egli su un balcone,
c’è uno studente che non fa altro che studiare, non dorme mai, studia
sempre e Karl gli chiede quando dorme: «Già, dormire: quando avrò
finito gli studi». Le lucciole sono riapparse e lo studente ha finito di
studiare, ha dormito e ora sta per svegliarsi.