martedì 12 febbraio 2019

L’Espresso 10.2.19

Oltre il buio, l’umanesimo 

La questione in Italia non è se serve o no un partito dei cattolici. La questione è se per uscire dall’odio servono o no i valori cristiani. Opposti a quelli branditi oggi dalla destra 

di Giuseppe Genna 


L’altra sera, primo di febbraio, uscito per una passeggiata pericolosa nel Bosco di Rogoredo a Milano, l’area di spaccio più vasta d’Europa, lungo i binari della ferrovia, fumiganti nella nebbia gelida, tra l’erba sbiancata ho visto piccole luci, quasi intermittenti e ho impoeticamente pensato a uno smartphone rubato o perduto. Avevo torto: erano lucciole. Il fenomeno mi è parso ai limiti del credibile. Le lucciole, si sa, sono scomparse da decenni e soprattutto non brillano in pieno inverno cittadino. Invece i piccoli coleotteri luminosi sono ritornati, nonostante l’inquinamento, la polluzione che contamina aria acque e territori. Al parco delle Cave, dall’altra parte della metropoli, da qualche anno si organizzano passeggiate estive per ammirarne gli sciami. E dunque mi è tornato alla mente il celebre articolo che Pasolini pubblicò sul Corriere della Sera diretto da Piero Ottone, proprio l’1 febbraio, nel 1975, nove mesi prima di morire, intitolato “Il vuoto di potere” e passato alla storia come l’articolo delle lucciole. Pasolini, fraterno e lontano, constatava la scomparsa delle lucciole nelle campagne italiane, un fenomeno repentino e sconvolgente, una mutazione improvvisa della natura che attestava un più profondo cambiamento nella storia occidentale e, in particolare, in quella nazionale. Ne desumeva un discrimine, con cui era in grado di argomentare la trasformazione del regime democristiano, che dal ’45 alla sparizione degli insetti lumescenti si presentava come continuatore clericale delle istanze del fascismo storico e, dopo la scomparsa delle lucciole, esprimeva un nuovo tipo di fascismo, in cui chiesa, patria, famiglia e ordine non contavano più - a sostituirli erano improvvisamente i “valori” di un nuovo tipo di civiltà, totalmente “altra” rispetto alla precedente, contadina e paleoindustriale. Un vuoto valoriale riempito di efficientismo e tecnocrazia e sottomissione al giogo delle multinazionali, che restituiva sintomi anzitutto linguistici: mentre sparivano le lucciole, «gli uomini di potere democristiani hanno quasi bruscamente cambiato il loro modo di esprimersi, adottando un linguaggio completamente nuovo (del resto incomprensibile come il latino): specialmente Aldo Moro: cioè (per una enigmatica correlazione) colui che appare come il meno implicato di tutti nelle cose orribili che sono state, organizzate dal ’69 ad oggi, nel tentativo di conservare comunque il potere». Pasolini emetteva un acuto sorprendente, pochi mesi prima del suo massacro e tre anni prima di quello che avrebbe coinvolto proprio “il meno implicato di tutti”, Aldo Moro,in un affaire da cui l’Italia non avrebbe mai potuto prescindere, storicamente, antropologicamente. E ora le lucciole sono tornate. C’è una palingenesi, un adattamento della natura, che supera ogni inquinamento. Forse dunque si dovrà affrontare il tema di un terzo tempo del cattolicesimo in politica.
Che cosa comporta il ritorno delle lucciole? Probabilmente, che “il meno implicato di tutti” sia quarant’anni dopo il più implicabile. «Chi non vede la rinnovata ipocrisia, il disprezzo della volontà dei popoli, la gerarchia delle potenze? E nell’interno degli Stati ancora faziosità, incomprensione, violenza, decadere progressivo del senso umano della vita sociale e l’intrinseca debolezza della istanza democratica. Le responsabilità di questo stato di cose sono di tutti noi»: è una descrizione impressionante del presente ed è stata scritta da Moro a due anni dalla caduta del fascismo, quando la democrazia incompiuta stava facendosi, anche grazie a Moro stesso. Le condizioni storiche sono tutte attive: dalla volontà dei popoli che viene disprezzata al predominio delle gerarchie di potenze transnazionali, che si esprime oggi in una richiesta di diminuzione della democrazia partecipata, con spinte totalitarie esplicite, in fase di germinazione e pronte a maturare. Patria, famiglia e ordine, ribaltando Pasolini, sono tornati a essere i “valori” dell’età sovranista, in cui padre Antonio Spadaro, nello scorso numero di questo giornale, ravvede l’esito di una «colonizzazione ideologica», che ha sostituito la paura alla pietà come reazione prima all’apparire dell’altro. L’articolo di Moro si intitolava “Ritorno all’uomo” e non ritorno alla teocrazia. È nell’incandescenza di questo punto che si gioca il tempo in cui sono tornate le lucciole.
Se oggi si chiedesse a un istituto di ricerca un sondaggio sull’eventuale ritorno di un soggetto politico a ispirazione cristiana (che il quotidiano Libero si è affrettato a definire «il partito degli orrori») si otterrebbero dati prossimi al 2 per cento. Una fotografia del presente, che è frutto della strategia cattolica all’indomani dell’estinzione della Democrazia Cristiana, ovvero l’obbiettivo polemico di Pasolini. Si sbaglierebbe tuttavia a considerare numericamente la faccenda del ritorno di un simile movimento politico. «La sistemazione teorica generale in questo Paese fa premio», affermò in tempi sospetti Romano Prodi (in Italia qualunque tempo è sospetto). E forse da quei tempi bisogna partire per riflettere. Pasolini non poteva prevedere il crollo della cosiddetta Prima Repubblica, dalle cui ceneri emerse il consenso a Silvio Berlusconi, rispetto al quale l’allora capo dell’episcopato italiano, Camillo Ruini, propose lo sdoganamento, certificando la fine dell’unità politica dei cattolici e mostrando di «apprezzare consonanze o adesioni anche parziali (quelle di Forza Italia, ndr) sui temi dell’insegnamento sociale cristiano». Ciò che restò a ergersi sempre e compattamente contro la deriva iperliberista del berlusconismo, dagli anni Novanta fino a poco prima della ricomparsa delle lucciole, fu tuttavia il nucleo della sinistra democristiana, ovvero l’erede del discorso umanista di Moro, tra i cui nomi si possono registrare quelli di Sergio Mattarella e Leoluca Orlando. Che, per nulla improvvisamente, ad altezza 2019 sono uno, nelle vesti di Presidente della Repubblica, il garante della tenuta democratica e l’altro il principale oppositore delle politiche portuali di Matteo Salvini, contro cui ha il coraggio di intraprendere uno scontro istituzionale senza precedenti.
È un radicalismo cattolico antagonista all’idea dell’identità chiusa, che vorrebbe intestarsi Salvini in persona, col suo goffo tentativo di accreditarsi in Vaticano. Si tratta piuttosto di un’idea di uomo che ripristina nell’azione politica i valori evangelici dell’amore, della pietà, della dialettica: ovvero la metà in ombra dell’astro politico cattolico, che Pasolini non vedeva. Esistono ferite aperte nel discorso pubblico, alle quali la sinistra maggioritaria non è stata e non pare in grado di proporre suture e superamenti: il conflitto con religioni spacciate per aliene o il travestimento delle più perniciose istanze del capitalismo sotto spoglie di sovranismo - cioè il condizionamento di un popolo che non è più tale, perché ridotto a termitaio: nemmeno a termitaio, bensì a massa indistinta di individui presso cui la solidarietà è diventata un disvalore, a partire dall’idea stessa che la comunità funzioni politicamente attraverso la concessione di una delega di rappresentanza.
Ad altezza 2019 non è più vero che sia anzitutto la lingua a offrire i sintomi del mutamento. Al disumanismo dell’estrema destra ora al governo si oppone in ogni caso l’umanismo cattolico. E tuttavia, da scrittore, non posso ignorare i sintomi della lingua. Del resto, come intuì Leonardo Sciascia a proposito di Aldo Moro, era la letteratura stessa a spiegarne la tragedia (sostantivo di natura letteraria). Testimonia Pietro Boselli che il giovane Moro studiava per ore sul balcone di casa e, affranto dalla stanchezza, restava in bilico sul parapetto fino a notte fonda. In “Amerika” di Franz Kafka, il protagonista Karl Rossman si trova confinato sul balcone e lì accanto, anch’egli su un balcone, c’è uno studente che non fa altro che studiare, non dorme mai, studia sempre e Karl gli chiede quando dorme: «Già, dormire: quando avrò finito gli studi». Le lucciole sono riapparse e lo studente ha finito di studiare, ha dormito e ora sta per svegliarsi.