L’Espresso 10.2.19
2019
l’Italia è omofoba
Violenze, minacce, discriminazioni. Così la persona Lgbt diventa
il nemico. Nel nuovo clima
di Simone Alliva
Froocio
fermati! Ti facciamo la festa di capodanno». Siamo a Perugia, sono le
cinque di notte del primo gennaio 2019. Lorenzo ha festeggiato il nuovo
anno con gli amici. Lascia il locale: «Forse ero vestito in maniera
troppo eccessiva». Cinque ragazzi iniziano a pedinarlo per le vie della
città. Lo ricoprono di insulti, lo minaccia-no. «Vieni qua che ti
sistemiamo». In pieno centro storico. Bisogna immaginare la scena:
Lorenzo pochi metri più avanti, a passo svelto vuole raggiungere la
macchina. Dietro cinque ragazzi che gli urlano addosso. Ad assistere
indifferente la città: i proprietari dei locali rimasti aperti, gli
studenti per le strade. «Mi guardavo intorno, non interessava a nessuno.
Io ero la preda, loro cinque i cacciatori». Non è una storia
eccezionale, è una delle tante storie che ci presenta il nuovo volto
dell’Italia. Quello anti-lgbt, omofobo, violento. Ed è finita bene: «Ho
cercato di percorrere le vie più illuminate. Arrivato in macchina, mi
sono fiondato dentro e sono partito». Resta la paura: «Sto molto attento
a quello che indosso, a quello che potrebbe succedermi se cerco di dare
troppo nell’occhio».
Le cronache delle aggressioni raccontano di un
Paese sprofon-dato nell’odio. Sono tutte dell’ultimo anno, tutte legate
alla nuova Italia. Quella del cambiamento, quelladel“prima gli
italiani”. Non è bastata l’approvazione della legge che ha introdotto
le unioni tra persone dello stesso sesso. Il dibattito pubblico che ne
ha caratterizzato l’iter è stato avvelenato. Il 4 marzo è stato come
fare marcia indietro al tempo: l’Italia consegnata a chi prometteva di
abolire le unioni civili, di cacciare “le streghe” che nelle scuole
fanno educazione di genere, di curare gli omosessuali spingendoli
all’eterosessualità. In questo Paese, dove niente è come sembra, il
tempo vira e va nella direzione del vento, e non sempre è in avanti.
C’è M. che ha 16 anni, viene massacrato di botte fino a perdere
coscienza il 21 luglio a Torino, perché? «Cammina come un frocio». A
Palermo, invece, una coppia di 14 e 15 anni, seduta su una panchina in
pieno centro, viene raggiunta prima dagli insulti poi da pugni in bocca,
in faccia e da un colpo di casco in testa.
Da nord a sud.
Le vittime
sono omosessuali, lesbiche, trans ma anche eterosessuali. Come i due
muratori di Bologna, aggrediti da un 41enne che li ha prima sommersi di
insulti omofobi per poi sfondare con un pugno il finestri-no della loro
macchina. Erano saliti in auto per prendere una bottiglietta, l’uomo ha
frainteso la situazione e li ha aggrediti. Se nel monitoraggio dei media
presentato il17 maggio del 2018 Arcigay censiva 119 storiedi
omotransfobia riportate nella stampa, con addirittura 4 omicidi
riconducibili al movente omo- transfobico, le cronache che vanno dal 1
giugno a oggi raccontano un’Italia sommersa dall’odio verso le persone
gay, lesbiche e trans. Tra giugno e luglio, ad esempio, sono stati ben
32 gli episodi, per un totale di 39 vittime, delle quali 22 nel solo
mese di giugno e 17 a luglio. La media, in passato, era poco più di 9
vittime al mese. Numeri al ribasso, perché non tutte le vittime hanno
il coraggio di sporgere denuncia. Le cifre e le storie sono comunque il
preludio dell’anno che verrà.
Liste rosa
«È l’aria che si respira in
questi ultimi tempi. Non che non sia mai successo prima. Ma chi
aggredisce adesso si sente spalleggiato, rappresentato da chi ci
governa», spiega Sebastiano Secci, presidente del Circolo di Cultura
Omosessuale Mario Mieli di Roma, che nel mese di novembre ha trovato di
fronte alla propria sede un sacco colmo di letame e un grande striscione
con la scritta “Lgbt = Abominio perverso! Famiglia è Tradizione”.
«Facciamo le riunioni la sera e fuori le macchine sfrecciano urlandoci
di tutto, dagli insulti alle minacce. Non ci sentiamo tranquilli». Gli
attivisti Lgbt sono diventati un bersaglio particolare di ostilità e
campagne d’odio. Associazioni e locali erano considerate zone franche,
dove sentirsi a casa. Oggi non più. Oltre agli atti vandalici alle sedi
associative, ci sono le aggressioni, le minacce esplicite di morte.
È
il caso di Cathy La Torre, presidente di Gay Lex e storica attivista
del Mit (Movimento Identità Trans): «Da giugno ricevevo foto sempre di
pistole puntate verso di me», racconta a L’Espresso. «È partito tutto
con un account fake: ero in bici e mi arrivò questo messaggio: “Pedala e
al più presto ti arriverà un colpo di pistola in fronte”, i messaggi
riportavano che nemmeno la protezione della polizia mi avrebbe aiutata».
Così la vita di Cathy cambia radicalmente: «Sono stata sotto regime di
controllo: protezione a vicinanza. Ho fatto tutti i Pride con la scorta
e ho modificato il mio stile di vita».
Solo tra marzo e giugno Cathy La
Torre ha ricevuto una media di 800 messaggi a settimana tra minacce e
offese. Nel mese di agosto in soli tre giorni diventano 2200, aveva
criticato l’occupazione illegittima di CasaPound. «Non si fermano. Hanno
inviato anche alla polizia minacce nei miei confronti. Ho 20 anni di
attivismo alle spalle, solo tre anni fa una cosa del genere era
impensabile».
Omofobia ed estrema destra
Proprio la persona Lgbt è
diventata il nemico pubblico dell’Italia di estrema destra. Sono
moltissimi gli episodi in cui l’ostilità nei confronti delle persone
Lgbt viene espressa dalla galassia nera apertamente, con l’appoggio
delle frange estremiste cattoliche. A Roma, Federico di 21 anni viene
accerchiato da quattro uomini e insultato: «Pezzente, voi froci siete
peggio degli zingari». Dopo avergli puntato un coltello sulla schiena
viene pestato: pugni in faccia, calci nelle parti intime. Lo picchiano
così tanto da farlo cadere a terra con la faccia piena di sangue.
«Erano in quattro coi bomber neri e uno aveva la croce celtica tatuata
sulla nuca». Nel mese di settembre viene presa di mira una scuola
popolare di Milano che offre corsi di lingua agli stranieri. Le scritte
sono le solite: insulti agli omosessuali, svastiche. Ci sono anche degli
slogan pro Salvini.
30 litri di benzina per bruciarli
Rompere il muro
dell’omofobia non è facile, a volte si parla ma si resta inascoltati,
altre volte chi vede preferisce chiudere gli occhi. Andrea e Angelo
hanno rischiato la vita, più volte, hanno denunciato le aggressioni e
per questo hanno perso il lavoro. Succede a Verona, terra di Romeo e
Giulietta, universalmente nota come la città dell’amore. Trasfigurata
ne “la città a favore della vita” da una mozione anti-aborto leghista
approvata dal Consiglio comunale. La storia di Angelo e Andrea racconta,
in filigrana, questa Italia. Fascista, omofoba e indifferente. Spiega
quello che non vediamo e quello che siamo diventati. «La nostra vita è
cambiata radicalmente». È l’11 agosto, piazza Bra in centro, fuori da
una gelateria Andrea e Angelo vengono insultati da un gruppo di ragazzi:
«Culat- toni di merda, rotti in culo». «Perché ci tenevamo per mano»,
spiega Angelo. Vengono subito dopo schiafeggiati e spintonati. Poco più
in là individuano dei vigili: «Ci siamo avvicinati per chiedere aiuto,
il vigile non voleva capire. Dopo pochissimo si è avvicinato anche uno
degli aggressori, ha toccato la spalla al vigile e gli ha detto “non
vedi che sono due froci di merda?”. Il vigile lo ha mandato via senza
fare nulla». Dopo l’episodio i poliziotti della Digos hanno individuato e
denunciato un ventunenne originario della Romania. Ma l’incubo di
Andrea e Angelo comincia proprio da questa inquadratura: la denuncia, il
clamore, una grande manifestazione di piazza “Mano nella mano contro
l’omofobia” promossa dalle associazioni. «Forse se quella sera i vigili
avessero fatto attenzione questo incubo non sarebbe mai iniziato».
È
la notte del 12 settembre, Andrea sente dei rumori nel cortile di casa.
Apre la porta e viene travolto da un getto di benzina che lo colpisce in
pieno volto. All’esterno l’abitazione viene ricoperta da una serie di
scritte con la bomboletta nera, svastiche accompagnate da frasi come:
“Culattoni bruciate” e ancora “Vi metteremo tutti nelle camere a gas”.
Circa 30 litri di benzina per cospargere la casa. Anche qui: denuncia,
clamore da parte dei media ma zero solidarietà dalle istituzioni. «Il
sindaco Sboarina anzi ci ha attaccato», fuma di rabbia Angelo, «dice che
non ha nulla contro di noi ma lui è per la famiglia naturale».
Federico Sboarina, avvocato cattolicissimo soprannominato sindaco
chierichetto, a marzo ospiterà il Congresso delle Famiglie, il summit
mondiale delle associazioni anti-lgbt cattoliche e di destra. «Verona è
sempre stata così ma adesso è peggio. Tutto intorno lo è. Noi
abbiamo perso il lavoro. Abbiamo un’impresa edile e i nostri clienti
hanno sempre saputo di noi. Tre anni fa io e Andrea ci siamo sposati in
Spagna. Dopo la denuncia, l’esposizione mediatica, i clienti hanno
disdetto tutto. Si vergognavano».
Vietato l’ingresso
La cortina di
omotransfobia attraversa le istituzioni e si diffonde nel tessuto
sociale serrando porte e finestre: le strutture alberghiere rifiutano le
persone Lgbt, i locali pubblici vietano di baciarsi o tenersi per mano,
le case in affitto vengono negate. Ai primi di giugno Valentina
risponde ad un annuncio in cui chiedevano disponibilità di ragazze per
lo stand delle pistole sul Lungotevere. Un lavoro estivo, da svolgersi
tra luglio e agosto.
Viene rifiutata perché troppo mascolina:
«Prima capisci qualcosa sulla tua identità poi ti potrai proporre per
lavori in cui si cercano ragazze». Il 21 dello stesso mese due ragazze
si scambiano un bacio all’interno del caffè Mc Donald’s a Napoli,
vengono sgridate e invitate a uscire: «Una signora ci guardava con
disprezzo e paura». Nel mese di agosto Ivy 19 anni, iscritta
all’università di Lettere di Palermo, non riesce a trovare una stanza
in affitto: «Mi hanno chiuso il telefono in faccia dopo che ho detto che
ero trans. Oppure mi hanno detto esplicitamente che le altre ragazze
non sarebbero state tranquille». E sempre nel mese di agosto a Casarano,
in provincia di Lecce, un proprietario di casa si rifiuta di concedere
l’affitto a una coppia gay. «Preferisco affittare casa ad una famiglia
normale», dichiara l’uomo all’agente immobiliare che, pur avendo già
incassato la caparra, ha dovuto dare la notizia alla coppia, ormai già
pronta a trasferirsi.
Questa Italia diventa anche il paese dell’altro
mondo. Del mondo sottosopra, capovolto, dove sono gli studenti a
bullizzare i professori. Come è successo a un insegnante di Imola che
per un anno ha sopportato insulti, scritte volgari alla lavagna nella
quasi totale indifferenza degli altri docenti e della preside. Il
tentativo del vicepreside, che aveva dato inizio a un percorso
disciplinare, soffocato dai genitori «che non si sono mai preoccupati di
chiedere scusa all’insegnante dei loro figli». La denuncia arriva a
fine maggio da un amico dell’insegnante, anch’egli vittima di attacchi
omofobi, con una lettera pubblicata dal sito Gaynews.it, testata diretta
da Franco Grillini. Ancora più grave il comportamento della dirigente
scolastica: «Non gli ha espresso solidarietà, né si è presentata ai
collegi straordinari dei docenti per l’adozione di provvedimenti
disciplinari. Anzi, ha cancellato dal registro elettronico le note che
facevano riferimento a questi gravi atti». La preside sulla vicenda ha
chiesto il silenzio. Gli alunni? «Penso che abbiano capito il
messaggio», ha risposto, «non so se con l’insegnante si sono scusati
tutti, ma di certo i genitori hanno capito».
Rompere il silenzio
Eppure rompere il silenzio dopo una violenza sarebbe la prima risposta
da dare. La violenza cerca un alleato nel senso di colpa, nel “te la sei
cercata”, aggredisce la vittima e la fa tacere. Dire “mi hanno
aggredito” e indicare l’aggressore è la prima mossa per allentare la
catena dell’omofobia. Ma non è facile compierla.
Nel 2017 nel centro
di Bari una coppia in vacanza in Puglia, è stata prima insultata mentre
usciva da un locale. Successivamente picchiata: calci e pugni per
essere poi essere rapinata. Il tribunale di Bari ha condannato il 31
gennaio 2019 i tre aggressori a due anni di reclusione. Per il giudice
un «pestaggio animalesco a sfondo sessista», «brutale». Le vittime «per
paura di ritorsioni» - come da loro dichiarato - non si sono costituite
parte civile. «Un segnale», commenta Gabriele Piazzoni, segretario
nazionale di Arcigay. «L’as- senza di una legge penale di contrasto
dell’omotransfobia espone le vittime a una condizione di vulnerabilità
estrema, da cui legittimamente si mettono al riparo. Perciò spesso non
denunciano o addirittura rinunciano a quel poco di giustizia che è loro
dovuta. Trattata il più delle volte come materia da talk show,
ridefinita ogni volta nelle contrapposizioni degli opinionisti di turno.
Una questione di opinioni, insomma, delegata dalla politica, in modo
pilatesco, ai tribunali popolari».
Lega-M5S divisi anche sui gay
Doveva essere una legge contro l’omofobia, ma si è tramutata in una
paccottiglia di emendamenti, schiacciati dall’alleanza gialloverde. Era
il 2013, quando la norma approdò in Parlamento, per poi rimanere
saldamente ferma al Senato, dimenticata dalla sinistra e destinata
all’oblio dalla destra. Il disegno, in attesa di approvazione da sei
anni, dovrebbe introdurre il reato di discriminazione e istigazione
all’odio e alla violenza omofobica e transfobica. Pena prevista da sei
mesi a quattro anni e una multa fino a seimila euro, il tutto mitigato
da quel «non costituiscono discriminazione, né istigazione alla
discriminazione, la libera espressione e manifestazione di convincimenti
od opinioni riconducibili al pluralismo delle idee, purché non
istighino all’odio o alla violenza».
Alberto Ribolla, giovane
deputato del Carroccio, è stato uno dei pochi leghisti ad essersi
seduto a un tavolo con Arcigay. Oggi ammette: «Una legge contro
l’omofobia non è nella agenda politica». Il problema sono gli
ultra-cattolici intransigenti del suo stesso partito, come Simone Pillon
e il ministro Lorenzo Fontana. Ribolla quindi allarga le braccia e
ripete: «Ci atteniamo alla linea di Matteo Salvini». E qual è? «Chi
commette violenze contro gli omosessuali è uno stupido». E allora
perché non tornare a discutere una legge? «Perché al momento le
priorità sono altre». Quanto alla posizione degli alleati di governo,
«non abbiamo mai discusso di questo», dice Ribolla.
Già, il Movimento 5
Stelle. Era il 18 settembre del 2013 quando i grillini si presentarono
in aula con dei garofani rosa nel taschino o tra i capelli, imitando i
deputati inglesi, che si presentarono così a Westminster per
l’approvazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso. Il fiore
però perse i petali di fronte alla decisione di sospendere la seduta in
Commissione Giustizia e attendere che la maggioranza, formata all’epoca
dal Pd e il centrodestra trovasse un accordo sull’estensione del reato
di omofobia alla legge Mancino. I pentastellati insorsero, chiesero le
dimissioni della presidente della Camera, Laura Boldrini, «perché se
l’accordo non c’è, le leggi si discutono in Aula». Il giorno dopo un
nuovo gesto dimostrativo: il bacio in bocca con il compagno di banco per
chiedere l’approvazione della norma. Da allora il silenzio siderale, se
non per una dichiarazione di Vincenzo Spadafora in Commissioni riunite
Affari costituzionali, lavoro e Affari Sociali: «Rimane l’auspicio sulla
legge contro l’omofobia anche se non la prevede il contratto». E con
“l’auspicio”, la questione è definitivamente nel dimenticatoio. E.T