venerdì 8 febbraio 2019

La Stampa 8.2.19
Il crollo delle nascite mette in gioco il diritto alla maternita’
di Linda Laura Sabbadini


Nel 2018 solo 449 mila nascite. 120 mila in meno rispetto a dieci anni fa. Lo sapete quante erano nel 1964? 1 milione. Un cambiamento epocale. E sono in particolare i nati da madri italiane a diminuire di più. Le nascite da madri straniere raggiungono il 20%, una parte cospicua. Il numero di figli per donna è 1,3, molto basso e molto variegato nelle varie zone del Paese. A differenza del passato è il Nord ad avere più figli e il Sud di meno. Bolzano è al primo posto con 1,76, la Sardegna addirittura all’ultimo con 1,06 figli per donna.
Mentre i nati calano, l’età alla nascita dei figli cresce, raggiungendo il record di 32 anni nel 2018. Cresce la fecondità nelle età superiori ai 30 anni e diminuisce in quelle inferiori. E c’è un’altra notizia importante: abbiamo raggiunto il record di donne che hanno figli dopo i 40 anni. Le donne con più di 40 anni stanno per eguagliare la fecondità delle 20-24enni.
Ma perché così tante donne fanno figli in età avanzata? Perché non è vero che non esiste più il desiderio di maternità o paternità. Molte donne e uomini desiderano avere figli. Lo dimostrano tutte le rilevazioni statistiche, svolte per tanti anni. Ne vogliono 2 in media. Ma nella realtà ne hanno solo 1,3. Ciò vuol dire che lo scarto tra desiderio e realtà è alto.
Ci sono ostacoli. Le donne ci provano più tardi che in passato, rinviano, e poi rinviano di nuovo, fin quando ci riescono, oppure sono costrette a rinunciare. Comunque, non mollano. Il tempo biologico a disposizione si riduce con i rinvii e aumentano i rischi di abortività spontanea o semplicemente di non riuscire più a rimanere incinta. Ma nonostante il desiderio le nascite sono poche perché gli ostacoli alla costruzione di una vita indipendente sono diventate vere e proprie barriere.
La verità è che è in gioco il diritto alla maternità e alla paternità. Diritto che si può esercitare in una democrazia avanzata se viene riconosciuto una volta per tutte il valore sociale della maternità e della paternità. E scusatemi, ma dobbiamo dirlo, noi de facto non lo abbiamo riconosciuto. Non ci abbiamo investito. Le donne hanno pagato e pagano il prezzo più alto, con il sovraccarico di lavoro di cura, con le difficoltà e interruzioni sul lavoro, con i più bassi salari, con le penalizzazioni sulla carriera. E donne e uomini lo hanno pagato e lo pagano non riuscendo ad avere il numero di figli che desiderano realmente.
Non basta e non serve un bonus qua, una misura là, frammentate. Non serve la misura introdotta dell’appezzamento di terra per chi fa il terzo figlio, copiata dalle politiche di Putin per ripopolare le steppe! Altro che terzo figlio! Qui c’è chi non riesce ad avere il primo o il secondo figlio desiderato.
Dobbiamo adottare un’ottica di sistema. Investire in primis sui giovani che hanno difficoltà a costruire una propria vita indipendente, garantendo accesso al mercato del lavoro e adeguata formazione, investire in servizi per l’infanzia di qualità e adeguatamente flessibili, in misure per un maggiore coinvolgimento dei padri nel lavoro di cura, in tempo pieno nelle scuole, in welfare aziendale vero, investire per rendere più semplice la vita delle madri.
Serve che finalmente il governo si doti di politiche per la creazione di un clima sociale favorevole alla maternità ed alla paternità: non più parole, ma azioni concrete. I Paesi che l’hanno fatto, come la Svezia, stanno in ben altra situazione e hanno tassi di fecondità più alti e vicini a 2. Più frequentemente lì il desiderio si trasforma in realtà.